Incontro del 15 marzo 20141
Biblioteca della Parrocchia di San Romano Martire
Tema: “La Messa: Riti di comunione e di conclusione”
Introduce Giulio Cascino - testimone Fr. Massimo Fusarelli, ofm
L’incontro
inizia con l’invocazione allo Spirito Santo e con la recita
delle lodi.
Giulio introduce la riflessione di Fr. Massimo precisando che i nostri incontri di quest’anno sulla messa partono dalla “traccia” di Pio esplicitata in 10 punti, uno dei quali (il punto 8) è dedicato alla messa sul mondo; punti che rimangono per noi il suo testamento spirituale.
Pio ci invita a vivere la messa come il momento centrale della vita cristiana in quanto fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa. Per questo ci invita a fare qualcosa per la vita delle parrocchie, entra nel dettaglio, perchè la messa è sempre sul mondo. La comunità nel celebrare la messa è unita non solo al suo interno ma con tutta la comunità della Chiesa universale. Pio parla fondamentalmente dell’importanza della messa domenicale perchè è quella che è vissuta da tutto il popolo, per cui ci invitava ad uscire da una liturgia esangue, senza popolo e ritualizzata. Per questo l’importanza che ci sia un popolo, e la messa domenicale dovrebbe essere il frutto di una comunità parrocchiale. Sottolinea anche l’importanza di valorizzare i momenti di silenzio che all’interno della messa sono previsti, ma che in genere vengono trascurati. Un invito non a chiudersi nella propria comunità ma ad aprirsi : è “uscire “ il verbo più usato da Papa Francesco quando parlando delle 99 pecorelle diceva che noi non ne abbiamo 99 ma ne abbiamo una e la curiamo, la pettiniamo, mentre le 99 stanno fuori. Non siamo dei pettinatori, ha detto Papa Francesco.
Sappiamo che l’ite Missa est ci dice che la messa è finita, è finita la liturgia della messa, ma poi continua fuori, vivendo nella vita quotidiana. Mi veniva in mente che nella messa di domani la prima lettura sottolinea che ad Abramo Dio chiede di uscire dalla sua terra. Da rapporto che Abramo ha con Dio gli giunge la richiesta di uscire, di aprirsi.
Sappiamo che la fede per Pio non è né una morale né una dottrina, ma un rapporto personale con Gesù, e tutto questo nella messa, nell’eucarestia si realizza, ma si deve realizzare non in modo ritualizzato. Premesso tutto questo noi abbiamo scelto per tutto un anno, una volta al mese, di fare una riflessione su questo tema che prende spunto dal volumetto la “messa sul mondo” di Teilhard de Chardin. Ci stiamo preparando a celebrare una messa sul mondo aprendo lo sguardo al mondo. Fr. Massimo Fusarelli è già venuto da noi il 23 novembre 2013 quando ci ha parlato dei sacramenti in generale; oggi dovremmo parlare dei “riti di comunione e di conclusione”, ma forse riprenderemo la parte della liturgia eucaristica e della preghiera eucaristica trattati solo in parte la volta scorsa.
Fr. Massimo Fusarelli: distribuisce un testo di tre pagine dal titolo “La struttura essenziale della Celebrazione Eucaristica”2 che viene proposto nell’allegato a completamento del presente resoconto.
Questo tema non è così scontato e uno dei rischi di ritualizzare la liturgia eucaristica, come tutta la liturgia, è proprio quello di entrarci dentro in modo automatico, non tenendo presente la complessità dell’atto rituale come ogni liturgia richiederebbe.
Se per lunghi secoli ci hanno insegnato che i sacramenti sono segni efficaci della grazia di Dio, cioè tutta la forza dei sacramenti era concentrata sull’essere segno, e il rito sembrava quel marchingegno che doveva produrre il segno, allora la messa è quel marchingegno rituale che alla fine produce le ostie consacrate per riceverle e per adorarle. Ma tutto il complesso rituale che nei secoli poi è cresciuto, e, soprattutto dopo Trento ha preso una forma barocca (con tutte le ragioni per questo, non va banalizzato), era ridotto alle rubriche, cioè a quel complesso di gesti che andavano osservati esattamente: da qui il ritualismo, il rubricismo. In questo c’è anche la nostra mentalità latina, romana, per cui il rito è una garanzia dell’ordine della società e dello Stato e va eseguito perchè gli dei siano benevoli con noi, e noi dobbiamo essere esatti con loro. Questa mentalità ci è rimasta tutta intera. Cito sempre il buon Cicerone che era sacerdote di Esculapio che diceva:”io sacrifico ogni anno il mio bravo gallo”, anche se si capiva che non ci credeva per niente; ma doveva fare quel sacrificio perchè era un atto che esplicitava il suo compito nella società, in quel culto pubblico che era la religione romana che non toccava i sentimenti interiori. Ahimè, nonostante i duemila anni di evangelizzazione in molti cristiani (e ognuno di noi dentro un po’ ce l’ha) rispunta, quando meno se l’aspetta, questa visione religiosa.
Invece tutto il rinnovamento che ha preceduto il Vaticano II e che lo ha seguito, e che speriamo continui e si riprenda, ci ha fatto capire che il rito non è semplicemente una serie di atti, di gesti, di parole, che affascinano di per sé, ma che il sacramento è profondamente connesso, ha molto a che fare con il rito. Il sacramento è un’azione rituale, si dà a noi solo attraverso quell’azione rituale che è molto complessa perchè di mezzo c’è l’elemento antropologico (l’uomo), una assemblea, c’è l’elemento antropologico del corpo, della corporeità (e io cerco di spiegarlo quando nella mia chiesa a Frascati tutte le domeniche usiamo l’incenso, ma a tutti dà fastidio, tutti tossiscono, e sembra che solo l’incenso dia fastidio).
Ma qual è il senso dell’incenso: nell’antichità era un modo per profumare gli ambienti e disinfettarli; noi lo abbiamo ereditato. Ma il senso è (quando l’incenso si usa per bene) che avvolge l’aula, avvolge le persone; l’azione rituale avvolge tutto il corpo, non può essere qualcosa che coinvolge solo la mente. L’azione rituale è complessa perchè vuole toccare tutto: l’acqua, l’olio, il pane, alzarsi, camminare verso l’altare, ritornare, il sacerdote che presiede l’eucarestia, i lettori. Compiuti bene questi gesti, e compiuti con sapienza, ci danno l’idea di un’azione rituale complessa, dove rispetto alla vecchia liturgia, di cui qualcuno è ancora molto nostalgico pur senza averla conosciuta, in cui faceva tutto il prete, e poi c’era tutta la batteria di ministranti che sull’altare si davano da fare forse in modo un po’ teatrale, ma fondamentalmente il prete faceva tutto, richiede diversi attori (di per sé non si potrebbe celebrare la messa se non ci sono almeno tre persone: il sacerdote, l’accolito e il lettore) proprio per dare questo senso. Invece continuiamo noi preti ad uscire da soli, a suonare, a cantare, a fare tutto, ammazzando la ritualità intesa non come una serie di gesti che hanno valore di per sé, ma attraverso i quali si annuncia, si manifesta e si realizza la pienezza del segno sacramentale. Questo è importante interiorizzarlo, non basta capirlo, se si vuol curare bene la celebrazione superando il ritualismo. Si cade nel ritualismo se ci si ferma ai gesti in sé e per sé, e non capendoli si enfatizzano aspetti secondari (la processione offertoriale all’altare in cui si porta di tutto, tranne il pane e il vino, dimostrano una grave ignoranza, a partire dal prete); proprio perchè non si capisce più il senso vero dei gesti li si caricano di significati che non hanno. Invece lo vedremo, la processione dell’offertorio, se ben fatta, ha un senso molto profondo.
Allora vedete lo schema proposto in queste due tabelle (che riportiamo nell’allegato citato): prendiamo la tabella 1 : le colonne A, B, C, D, E sono un po’ la struttura della messa. Per poter parlare della “preghiera eucaristica” e dei “riti di Comunione” cerchiamo di aver presente tutta la struttura della messa che ha una logica molto profonda.
Nella seconda tabella le colonne B e D sono la “Liturgia della Parola” e la “Liturgia Eucaristica”. Il Vaticano II ha riscoperto dall’antichissima tradizione della Chiesa (Diogneto, Giustino Martire lo hanno scritto) le due mense: della “Parola ” e dell’”Eucaristia”.
Prima si era esaltata, soprattutto in funzione antiprotestante, la mensa eucaristica, (la liturgia della Parola nella messa di Pio V non era più visibile: le letture erano pochissime, il Vangelo era quello domenicale che si ripeteva per tutta la settimana, la prima lettura raramente era presa dall’Antico Testamento, erano quasi sempre le epistole di San Paolo, il salmo era ridotto a un versetto). Quindi la Liturgia della Parola era molto sacrificata, era letta quasi tutta dal sacerdote; solo i parroci alla fine della messa facevano la predica, non l’omelia ma la predica che, se erano bravi, prendevano spunto dal Vangelo o lo spiegavano o lo prendevano come occasione per un’esortazione morale; ma era al di fuori della messa. Quindi nella Messa non si sentiva più il senso profondo delle due mense; non che non ci fosse, ma era stato mortificato.
Invece nella messa cosiddetta di Paolo VI le due mense sono molto visibili, nei presbiteri dovrebbero avere anche un rilievo architettonico: l’ambone, che non può essere un leggio con un drappo sopra, e l’altare, che non può essere un tavolino qualsiasi ma una mensa con una bella pietra perchè quando il Sacerdote arriva e mette le sue mani sopra e lo bacia, si aggrappa a Cristo roccia, e con lui tutta l’assemblea. E tutta l’attenzione durante la liturgia è intorno alla mensa e non al tabernacolo (ammesso che sia ancora nel presbiterio), e poi l’ambone da dove non si debbono dare gli avvisi e di per sé neanche fare l’omelia, ma leggere la Parola: ecco le due mense.
Questi sono i due fuochi dell’eucaristia ed hanno la medesima struttura. Se guardiamo la tabella 2 vedete : “Liturgia della Parola” e “Liturgia Eucaristica”; non sto qui a spiegare tutto, lo potete leggere, è molto comprensibile. Ma la liturgia della parola ha ripreso (e questo è la tabella 3) quella che era la lettura sinagogale della parola di Dio. Questo schema (tab 3) è molto interessante perchè ci fa vedere il canone ebraico, cioè come gli Ebrei dividono la Bibbia: La legge o Torah, i Profeti o Nebiim, gli Scritti o Ketubim. Noi abbiamo i libri delle origini – il Pentateuco – i libri storici e i libri profetici: così dividiamo l’Antico Testamento.
La lettura sinagogale ha la prima lettura dalla legge (Torah) la “Parashah”, in cui si fa memoria di quello che Dio ha fatto per liberare il suo popolo; la “Haftharah” come seconda lettura presa dai Profeti o dagli Scritti, cioè come i profeti, i sapienti, hanno attualizzato ciò che Dio ha fatto per liberare il suo popolo. Soprattutto attraverso esortazioni, regole di vita, perchè il popolo di Dio risponde all’intervento salvifico di Dio nella storia vivendo di conseguenza. Il “Midrash” è l’attualizzazione alla vita: Dio ha agito per noi, memoria della liberazione dall’Egitto, attualizzata dai profeti e dai sapienti; oggi questa assemblea, come è toccata, come interpreta, come attualizza questa Parola?
Il canone cristiano ha l’antico e il nuovo testamento: la liturgia eucaristica, la domenica, ha la prima lettura dall’Antico Testamento, sempre (perchè l’Antico Testamento è la carne della fede, diversamente torniamo a Marcione che diceva : quello dell’Antico Testamento è un Dio cattivo, un Dio giudice, un Dio brutto, mettiamolo da parte, leggiamo soltanto il Dio tutto dolce del Nuovo Testamento; non è vero, la Chiesa ha reagito con forza contro Marcione proprio perchè se facciamo fuori l’Antico Testamento facciamo fuori la carne della fede, come dicevo poc’anzi. Cioè facciamo fuori la memoria di quello che Dio ha fatto nel suo Amore per il suo popolo e quindi per tutta l’umanità). Questa memoria si fa esortazione, istruzione per l’oggi delle chiese con la lettura dell’epistola (2° lettura) tratta da San Paolo o da altri scritti che spesso non hanno nulla a che fare né con la prima lettura né con il Vangelo; ma questo non importa perchè l’attualizzazione non è prendere di peso quanto leggiamo nell’Antico Testamento; in realtà l’ Epistola apre percorsi, apre cammini che l’intelligenza radunata della Chiesa è chiamata a scoprire. L’annuncio del Vangelo è la Parola di Gesù che oggi fa diventare presente, operante, quella Parola dell’annuncio della liberazione che Dio ha fatto per il suo popolo. Ecco: la liturgia della Parola ha questa unità profonda.
Lo vedete nella tabella 2 (parte sinistra- Liturgia della Parola): la promessa ai padri (è la prima lettura), il salmo è la risposta dell’assemblea a quella Parola, per questo almeno il versetto andrebbe sempre cantato perchè noi siamo contenti che Dio ci ha rivolto la sua Parola; la seconda lettura è l’adempimento nelle chiese (come quella parola diventa oggi attuale nelle chiese): di solito annuncio del Mistero di Cristo ed esortazione a viverlo nella propria vita morale, quotidiana. Il versetto alleluiatico è molto importante (lo sostituiamo come se niente fosse con qualsiasi cantarello); quel versetto preso dal Vangelo è la chiave di lettura di tutta la liturgia della Parola; è la chiave che un buon predicatore dovrebbe usare per legare almeno prima lettura e Vangelo. Il Vangelo è ciò che compie, non solo oggi in Cristo, ma in prospettiva escatologica la Parola dell’amore salvifico di Dio che ha liberato il suo popolo; e il Vangelo è annuncio della buona notizia della Resurrezione; ogni Vangelo, la domenica in modo particolare, è annuncio della Resurrezione. Anche se sembra che non c’entri niente, ma “il Signore disse ai suoi discepoli” e ora sta dicendo a noi, perchè è il vivente, perchè è il risorto. Non leggiamo i pensieri del Mahatma Ghandi, né di Buddha, e neanche di San Francesco perchè non sono viventi, come Cristo: lui è il vivente presente in mezzo alla sua Chiesa.
La liturgia eucaristica, (parte destra della tabella 2) ha la stessa struttura della liturgia della Parola: il prefazio (la grande lode delle opere salvifiche di Dio nella storia) come la “prima lettura”, il canto del “Santo” – santo, santo è l’assemblea che, come nel “salmo”, esplode nella lode, nella benedizione, in ricordo, nella memoria di quello che Dio ha fatto in Gesù; l’invocazione dello Spirito perchè si rinnovi in noi, in mezzo a noi ciò che Dio ha fatto, e l’attesa che ancora oggi si compia, diventa sacramento celebrato: ora manda o Signore il tuo Spirito; celebrando ora il memoriale del tuo Figlio, ora ciò che abbiamo annunciato diventa realtà. Si invoca lo spirito sul popolo, e si prega per tutte le necessità, per il Papa, per i Vescovi, per i vivi, per i defunti, per tutta l’umanità e per le intenzioni particolari.
La dossologia finale: la liturgia ha questo doppio polmone: annuncio, proclamazione, risposta, canto. Tutta la messa è così, per questo alcune cose vanno cantate, vanno recitate bene; molti dicono che la Messa è noiosa, certo, se la appiattiamo tutta si, ma se si rispettano la sue diastole e sistole (espirazione, inspirazione), la liturgia prende un’altra vitalità. La liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica, le due mense sono i due elementi fondamentali della Messa.
Ritorniamo al nostro schema di tabella 1: ci sono momenti rituali che precedono e seguono sia la liturgia della Parola sia la liturgia eucaristica che hanno un senso. L’azione rituale è composta da segmenti che si incrociano, si intrecciano, e se non cogliamo questo reciproco intreccio ci sfugge l’insieme, e quando ci sfugge l’insieme diamo un eccessivo valore, peso, ad un elemento. Così c’è il prete a cui piace la Bibbia che dedica la maggior parte del tempo della Messa alla parola di Dio: se la Messa dura 50 minuti, circa 40 minuti sono dedicati alla liturgia della Parola (che poi gran parte del tempo è dedicato alla predica, perchè le letture non durano più di 5 minuti), il resto tutto di corsa; c’è un altro invece che tira fuori tutti i ceri, tutti i simboli, dedicando gran parte del tempo alla liturgia eucaristica. No, la liturgia vive di una armonia dei vari segmenti. Sia i riti di introduzione, sia l’offertorio spesso vengono proposti in modo frettoloso e poco accurato.
Proviamo invece a vedere come questi elementi (tab 1) sono legati alla liturgia della Parola e dell’Eucarestia . Vedete allora la colonna A: Liturgia per l’introito del Signore misericordioso, invece di chiamarli “riti di introduzione” che danno l’idea dell’anticamera del dentista che dopo un po’ di attesa si passa dentro, invece dire “liturgia per l’introito del Signore misericordioso”: il gesto che andrebbe fatto almeno la domenica (non bisogna uscire dalla sacrestia con il suono della campanella che dovrebbe essere abolita. La campanella aveva senso quando le persone dovevano finire il rosario ed almeno per educazione accogliere il prete che entrava; ma quando l’assemblea è radunata e canta, quella è la campanella). La Messa non comincia quando esce il prete, la Messa comincia quando l’assemblea inizia a cantare; solo allora il presbitero entra, possibilmente in modo processionale – non per fare passerella – ma mentre l’assemblea canta il presbitero con alcuni ministri, i lettori laici, chi raccoglie le offerte, cioè tutti quelli che nella liturgia esercitano una ministerialità – non solo i chierichetti o i seminaristi vestiti a festa (questo è un altro abominio) ma chi nella liturgia avrà la sua ministerialità, entrano nella navata, l’assemblea canta ed è il segno di un popolo in cammino, verso la mensa, è il segno di una assemblea che si è raccolta dalle case nella casa della Chiesa, ma si ricorda che è una comunità in cammino, in movimento. Il saluto dell’altare e dell’assemblea va messo in risalto da parte del presbitero, siamo radunati non perchè siamo amici, tanto amici, - tanti preti cominciano la Messa dicendo “che bello anche oggi ritrovarsi”. No è un altro che ci raduna, è Cristo stesso che ci raduna e noi salutiamo Lui in modo rituale baciando la mensa e salutando l’assemblea. E’ Cristo stesso che saluta la sua Chiesa – “Il Signore sia con voi”- qualche prete dice il Signore è con voi, ma non ha senso dire questo; “il Signore sia con voi”, è una attesa, una speranza, una apertura, è una possibilità, è dire: questa assemblea si è radunata con tutte le sue fatiche, i suoi punti di domanda, le sue oscurità, le sue piccole gioie; il Signore sia veramente presente in tutto questo; “e con il tuo Spirito”: veramente si realizzi quello che tu dici cioè che il Signore sia presente in mezzo a noi, e che questa Messa sia l’esperienza della sua viva presenza in mezzo a noi. La litania del Signore misericordioso : “Signore pietà, Cristo pietà” (nella vecchia liturgia 9 volte si ripeteva il Kyrie, c’era questo dialogo fra il sacerdote e il chierichetto ); nella liturgia ambrosiana ancora è così; andrebbe cantato per dargli risalto perchè non è l’atto penitenziale, ma è rivolgersi a Cristo invocando la sua misericordia. E’ molto bello: fin dall’inizio noi ci rivolgiamo verso di Lui. La grande dossologia : la grande lode, il Gloria, e l’orazione della colletta che raccoglie l’inizio e poi apre a tutta l’Eucarestia.
Poi c’è (colonna C della tabella 1) la “Liturgia per l’offertorio della carità dei fedeli”: anche qui c’è la litania della carità dei fedeli che è la processione offertoriale che porta anche le offerte (in alcune chiese, ho visto in Africa e anche in altre parti – anche in Italia c’è qualcuno che lo fa – le persone vanno a portare la loro offerta prima di portare i doni. E’ un modo bello perchè è un altro movimento: le persone non rimangono immobili aspettando che passi questa mezz’ora, ma si muovono, vanno verso l’altare, mentre si canta. La liturgia è questo movimento, questo popolo in cammino. Il bacio della pace, nella liturgia ambrosiana precede questo movimento della processione offertoriale (invece nella liturgia latina c’è prima della comunione), la processione dei doni dei fedeli e il suo canto, e poi segue l’incensazione che è una lode, una benedizione, (a che serve incensare, a niente! a che serve vestirsi come un antico romano, a niente! a che serve portare i fiori alla moglie o alla ragazza quando è la sua festa, a niente! a cosa serve un bacio, a niente! Ma il bello è che è gratuito, che esprime qualcosa che va oltre l’immediata funzionalità. La liturgia ha bisogno di questo respiro, altrimenti muore); l’orazione sulle offerte come all’inizio.
Poi c’è (colonna E della tabella 1) la “Liturgia per la Comunione dell’Agnello immolato”: il bacio della pace, dopo il Padre Nostro e l’embolismo che libera da ogni male, c’è la litania dell’Agnello immolato: come all’inizio c’è la processione d’ingresso e il suo canto e la litania “Signore pietà”, nell’offertorio c’è il canto della processione offertoriale, nei riti di comunione c’è la litania dell’Agnello (Agnello di Dio che togli i peccati del mondo) che andrebbe sempre cantata. Sentire una assemblea di 2-300 persone che canta l’Agnello di Dio è la migliore preparazione alla comunione. L’ostensione dell’eucarestia e l’invito alla mensa: “beati gli invitati... venite, venite tutti” confessati, in grazia di Dio, ma questo dovrebbe essere chiaro se si è annunciata la parola, senza la preoccupazione di confessarsi per fare la comunione in modo così meccanico. Ecco allora la processione di comunione ed il suo canto, il silenzio, (come il silenzio è bene che ci sia dopo le letture, dopo l’omelia ), l’orazione dopo la comunione .
Allora vedete, mi sembrava importante dare questa lettura globale della messa: la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica, lo ripeto, sono i due fuochi, accompagnati dai segmenti che precedono e legano : l’introito precede, i riti di comunione seguono, la liturgia per l’offertorio lega i due momenti; e vedete, con le differenze che ci sono, gli elementi sono i medesimi. Per cui la liturgia eucaristica, tutta la Messa non può che andare in questa onda, in questa onda che sale e che scende, in questo movimento. La logica, il filo conduttore è quello della Liturgia della Parola (Memoria delle grandi opere di Dio per la liberazione del suo popolo attualizzate nell’oggi della Chiesa, che diventa un annuncio del Cristo risorto, il Vangelo), e della Liturgia Eucaristica (lode per tutte le opere che Dio ha fatto - il prefazio- che diventa attuale oggi nell’invocazione dello Spirito che rende attuale la memoria della Pasqua di Cristo, che a sua volta si fa preghiera, offerta, intercessione per il mondo).
Ecco che allora, dire la Messa sul mondo, a parte la parola a effetto, è semplicemente la logica di tutto quello che abbiamo letto: memoria delle azioni di liberazione che Dio ha fatto per il suo popolo vuol dire che questo Dio è intervenuto nella storia di Israele, di Gesù, della Chiesa, dell’umanità; e noi ogni volta che ci raduniamo facciamo memoria di un Dio che ha a che fare con la storia, con il mondo; non con un Dio metafisico, lontano, separato che al massimo assorbe il mondo per divinizzarlo. No, è un Dio che ha creato il mondo : la creazione è uno dei fuochi teologici di tutta la liturgia. All’offertorio cosa dice il sacerdote: Benedetto sei tu Signore Dio dell’universo (è la Beracà ebraica), dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo (è la Beracot ebraica, la benedizione ebraica).
Noi lodiamo Dio per tutto quello che noi abbiamo fatto, per dire quanto siamo bravi? No, per quello che ha fatto lui: l’opera della creazione che all’uomo è affidata. Quel pane, se l’uomo non lo lavora, non c’è; la creazione è questa azione di Dio verso il mondo ma che rende il mondo adulto (direbbe Bonheffer), lo responsabilizza, lo rende capace di concreare. Quindi, annunciare la parola, presentare i doni, ricevere i doni. Noi facciamo la comunione pensando a Gesù: no, mi dispiace, bisogna mangiare, bere, è un atto fisico, non perchè siamo cannibali, ma perchè la comunione alla Pasqua di Cristo chiede questa concretezza, diversamente che segno è? Che sacramento è, tutto mentale? tutto emotivo? tutto morale? (Spesso mi sento dire: Padre io non ho bisogno di andare a Messa, faccio tutto a casa); va benissimo, ma è un altro Dio, è un’altra fede, è un’altra cosa. Però questa è la riduzione intimistica devozionale della fede che molti hanno patito. Ad un certo punto tutto questo discorso che oggi facciamo rispetto ai tradizionalisti: ma chi dice che la vecchia Messa non era l’unica Messa di sempre; ma noi abbiamo avuto la grazia di riscoprire questa immensa ricchezza portata dal Concilio, e guai a chi me la toglie. Io non saprei mai stare in una forma ritualistica religiosa perchè sembra che la logica biblica della fede sia questa: memoria delle grandi azioni di Dio, un Dio che ha a che fare con la storia (nella liturgia della Parola) e che oggi rende attuale tutto questo in Cristo, risorto dai morti, nell’attesa della sua venuta. La Messa sul mondo è tutta in questa attesa della sua venuta: noi facciamo memoria di quello che Dio ha fatto e che ha compiuto in modo meraviglioso in Gesù Cristo morto e risorto, mentre attendiamo che lui ritorni. Ma purtroppo non torna. Le lettere apostoliche del nuovo testamento debbono giustificare che il Signore non torna.
L’attesa escatologica del Signore non è la sospensione della storia; siccome lui ritornerà il mondo è svuotato di senso?, no; come la vita religiosa che io ho professato con i voti, siccome io già vivo come vivremo in Paradiso non avendo moglie né altre cose per me, non mi autorizza a disinteressarmi della storia. Neanche una monaca di clausura si può disinteressare della storia perchè è la struttura della fede; noi attendiamo il ritorno del Signore lavandoci, facendo da mangiare, crescendo dei figli, amando qualcuno, odiando qualcun altro, cioè vivendo: l’attesa escatologica che viviamo in modo rituale nella celebrazione, ma che poi è la vita del cristiano, è piena di storia. La coerenza morale non è: siccome sono cristiano non devo rubare, oppure devo rubare con una certa eleganza, poi mi confesso e sto a posto. La vita morale è semplicemente la tensione di tutta la vita per l’attesa del risorto, del Signore che viene, è l’aderenza alla storia di chi aspetta il ritorno di qualcuno per cui non può vivere come se la storia fosse già finita, e prendiamo quello che viene. Questo è il senso profondo della morale cristiana. Allora la liturgia è Messa sul mondo in se e per sé, non è un valore aggiunto. La Messa è ciò che è in sé e per sé.
Andiamo ora alla Liturgia Eucaristica (Tabella 2 colonna D): la preghiera eucaristica è chiamata dagli orientali la grande preghiera. Non so se riusciamo a farlo capire questo. Il presbitero a nome di Cristo per tutta l’assemblea (se prego per il capo prego per tutto il corpo, però si parte da Cristo: il prete non è il nostro sindacalista presso Dio, non è un ponte). Il primo dato fondamentale della preghiera eucaristica è che è una preghiera (è sottinteso che il celebrante deve lui stesso per primo pregare); non sta leggendo un testo che poi produce magicamente quello che dice, anche se lui pensa a tutt’altro. Grazie a Dio Cristo ha legato a se e al suo Spirito i sacramenti per cui anche se io penso a tutt’altro l’eucarestia è eucarestia, perchè Dio è fedele al suo popolo. Però se io presbitero prego mentre recito la grande preghiera l’assemblea sta certamente attenta. Non è vero che l’assemblea è un popolo bue, che qualunque cosa gli si dica è uguale. Non è vero, l’assemblea vibra, un buon presidente di assemblea sente la vibrazione del popolo; per esempio mentre predica sente che deve finire perchè ha superato il limite, perchè non lo sta più ascoltando nessuno. Oppure si accorge che quel registro che ha toccato ha alzato il livello di attenzione. Chi parla in pubblico deve sapere anche qualcosa di comunicazione, non per manipolare l’assemblea, ma perchè il messaggio arrivi meglio. Qualche volta diventa duro anche per il prete, che ha deciso di dedicare la propria vita al servizio del Vangelo, accorgersi che a nessuno interessa quanto sta accadendo nella celebrazione, ma il perchè sta nell’abitudine inveterata ad una partecipazione passiva. La preghiera eucaristica ritualmente è una preghiera difficilissima perchè è un testo che dura dai cinque agli otto minuti dove c’è una voce sola con due piccole interruzioni : “il santo” e “il mistero della fede”. Anche nel presbitero richiede un’arte nel saperla proclamare, soprattutto nel non avere sempre la stessa cadenza, nel non appiattire la preghiera, nel renderla triste, per certi aspetti una cantilena oziosa, incomprensibile: questo è il modo per ammazzare la celebrazione, pur restando valida la Messa; capite che l’efficacia rituale è persa.
La preghiera eucaristica è una preghiera innanzi tutto legata all’Eucarestia che ha momenti diversi e che è una unità che comincia da quando il presbitero dice “Il Signore sia con voi “ - “e con il tuo Spirito”- “in alto i nostri cuori”-, ... fino a “per Cristo con Cristo ed in Cristo”; tutta questa è la preghiera eucaristica. Non è facile capirlo perchè il prefazio, interrotto dal “Santo” e poi nei nostri messali, sia antichi che moderni, si gira pagina, comincia la preghiera eucaristica con l’iniziale (specie nei vecchi messali con la croce molto fiorita) dava l’impressione che la preghiera eucaristica comincia quando si dice “Padre clementissimo”; nell’antico canone o “Padre veramente santo”. No, la preghiera eucaristica inizia con il dialogo iniziale del prefazio che è presente in tutte le liturgie dell’oriente e dell’occidente, ed è antichissimo, e in quel dialogo c’è già tutta la preghiera eucaristica. “”Il Signore sia con voi “ – l’ho detto prima-, “in alto i nostri cuori”; adesso nella liturgia orientale si dice “ stacchiamoci dai pensieri mondani” e il popolo risponde al presbitero “invoca per noi la Sapienza”, perchè da soli non ce la facciamo. La liturgia orientale ha molto più dialogo fra presbitero ed assemblea che chiede “invoca per noi la sapienza” ed allora il diacono canta “Sapienza, Sapienza!” E questo aveva anche un senso pratico: nelle antiche basiliche il diacono soprattutto richiamava le persone all’ordine, diceva loro “guardate che qui comincia una cosa importante”. Se andiamo nelle chiese ortodosse, in oriente, questo ancora vale - io ho avuto questa esperienza in Russia dove c’è chi entra, chi esce, chi bacia le icone - e ad un certo punto esce questo diacono, con una voce baritonale meravigliosa, e canta “Sapienza, Sapienza” e tutti si compongono in silenzio; è un po’ la campanella.
Però la liturgia richiede anche un ordine, ancora oggi nelle nostre chiese un sacerdote in certi momenti deve saper dire, senza arrabbiarsi, “stiamo attenti!” E’ naturale che sia difficile mantenere una attenzione costante alla celebrazione.
Il dialogo del prefazio è come questa grande campana che avvisa che stiamo entrando in un momento particolare, “in alto i nostri cuori” pensiamo alle cose di lassù direbbe San Paolo, rivolgiamoci al Signore, “rendiamo grazie al Signore nostro Dio” e tutti rispondono “ è veramente cosa buona e giusta”. Rendere grazie è semplicemente l’eucaristia, quindi il dialogo iniziale dice proprio “adesso facciamo eucaristia”, state in silenzio. In questo momento bisogna educare le nostre assemblee a non correre, a non uscire per rispondere al telefonino, a non cercare il canto prossimo da parte del coro, il prete a non sfogliare l’agenda con i nomi dei defunti; in questo momento si sta fermi si sta buoni perchè le parole che diciamo nel rito devono essere vere. Perchè se io porto i fiori a mia moglie solo perchè sono obbligato e lo faccio in modo poco affettuoso il gesto perde di senso; tutta la bellezza sta nel modo in cui glieli do quei fiori. Così nella liturgia: i gesti vanno vissuti con attenzione, in modo sobrio, senza caricarli neanche da parte del prete.
Poi inizia il prefazio prendo qui la preghiera più breve che sappiamo a memoria“ E’ veramente cosa buona e giusta (il sacerdote riprende ciò che il popolo ha risposto- vedete che c’è il dialogo!) nostro dovere fonte di salvezza rendere grazie sempre e in ogni luogo a te Signore, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno”; la Messa sul mondo non è come vedete un valore aggiunto; rendere grazie – non solo qui, ora, in chiesa, sempre- cioè in tutti i tempi - e in ogni luogo. Sant’Agostino sosteneva che si può lodare Dio dovunque e sempre. E’ proprio vero, e la liturgia lo dice “sempre e in ogni luogo”. Però abbiamo bisogno una volta a settimana di radunarci e quello che facciamo sempre – ringraziare Dio – farlo assieme come comunità, in modo rituale; capite allora il senso del rito? “a te Padre Santo per Gesù Cristo tuo dilettissimo figlio”: chi è il destinatario della lode? E’ il Padre, sempre, perchè tutta la liturgia è rivolta al Padre. Nella liturgia romana c’è solo una eccezione: è la preghiera prima della comunione - Signore Gesù Cristo che hai detto ai tuoi Apostoli vi lascio la pace..- è l’unica preghiera rivolta a Gesù Cristo; diversamente tutte le preghiere sono rivolte al Padre. Infatti questa preghiera è tardiva, non è dell’antica liturgia romana. “Egli è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose”:vedete, la memoria della creazione fatta in Cristo, quindi il mondo, la storia, l’uomo, tutte le sue esigenze, tutta la sua realtà; “e lo hai mandato come salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo nato dalla Vergine Maria”. Colui per mezzo del quale hai creato tutte le cose è venuto in mezzo a noi, uno di noi: per cui la creazione è Santa; Dio non solo ha creato, ma è entrato misteriosamente nella creazione. La Messa sul mondo non è un proiettile che viene da fuori e poi scappa e se ne va, è un Dio che ha creato tutto ed ha sposato per sempre in modo irrevocabile il mondo, la Sua creazione. “Per compiere la tua volontà e acquistarsi un popolo santo stese le braccia sulla croce; morendo distrusse la morte e proclamò la Resurrezione”. E’ tutto il mistero di Cristo. “Per questo mistero di salvezza” è al singolare; “per questo mistero di salvezza” dove Cristo ricapitola tutto: creazione, incarnazione redenzione. In mezzo c’è Israele, la sua storia, i profeti, c’è tutto. La liturgia compendia tutto.
La 4° preghiera eucaristica, non so se la avete un po’ nelle orecchie, fa invece in modo disteso la memoria di tutta la storia della salvezza, così come fa la liturgia orientale; da qui è presa la 4° preghiera eucaristica, che è molto bella. Non si usa tanto perchè è più lunga. Io la uso almeno una volta a settimana perchè personalmente cambio spesso la preghiera eucaristica sia quando la liturgia lo permette sia anche quando la liturgia non lo permette. Le persone apprezzano queste attenzioni del celebrante il quale deve credere che il popolo di Dio è abitato dallo Spirito Santo, è lo Spirito che suscita; a me persone molto semplici hanno fatto delle restituzioni del Vangelo che io, con tutti i miei libri, non avrei mai pensato. Lo Spirito Santo realmente opera e soprattutto quando l’assemblea è radunata lo Spirito agisce con più forza. “Per questo mistero di salvezza”(unico: Messa sul mondo vuol dire che creazione, redenzione di Cristo e attesa escatologica è un unico mistero, e che il mondo è al cuore di questo mistero) “uniti agli angeli e ai santi cantiamo a una sola voce l’inno della tua lode”. La chiesa terrestre è unita alla chiesa celeste: angeli e santi sono tutti i fedeli che ci hanno preceduto; gli angeli sono angeli – spiriti – ma i santi non sono solo quelli sugli altari: è mia nonna, sono i miei parenti, sono i miei amici, sono tutta quella schiera immensa di credenti che nessuno ha conosciuto e io vorrei dire anche chi è morto, pur non conoscendo Cristo, nel suo abbraccio, misteriosamente nel suo amore. Quindi la liturgia si apre a questa comunione dei santi, enorme, che prende dalle origini del mondo fino alla fine perchè in questo momento l’Eucaristia è fuori dal tempo, raccoglie tutto il tempo dall’inizio a quel piccolo punto in cui noi siamo, fino al compimento in Cristo; ecco questo è il punto più alto della Messa sul mondo. Veramente sul mondo perchè la liturgia eucaristica ci pone in un punto alto che ci fa vedere la storia non solo nel contingente (preoccupati che Putin invade la Crimea che Renzi fa o non fa, che ho mal di denti, ora come faccio con i figli, con i nipoti etc), cioè non si concentra la storia solo nel punto in cui ognuno di noi si trova, ma ci fa vedere il mondo la storia, gli uomini nella loro pienezza. Io non guardo il mondo a partire dal mio “particulare” come direbbe Guicciardini, ma dal punto di sintesi che è Cristo nel quale tutte le cose sono state create, che si è fatto uomo, è morto è risorto ed è il “veniente”, è colui che sempre viene, mentre noi attendiamo il punto in cui la sua venuta incrocerà la nostra storia. Ecco, questo è il prefazio. Fatto il prefazio noi abbiamo già fatto l’Eucaristia. Il prefazio raccoglie tutto. Il prefazio poi è interessante, e la nuova liturgia in questo è ricchissima (nel messale romano abbiamo 108 prefazi; anticamente nel vecchio messale ce ne erano molti di meno, la domenica si recitava sempre lo stesso prefazio, quello complicatissimo); invece adesso abbiamo diversi prefazi perchè così in ogni Messa possiamo attualizzare la lode, il grazie, ad un evento particolare: la memoria di un santo, il matrimonio, un evento di dolore, di gioia; cioè la lode che noi rivolgiamo a Dio, perchè la Messa sul mondo non è astratta, generica, ma è legata a un’intenzione, a un momento particolare. Anche questo dice che la liturgia entra nella nostra vita.
Il canto è la risposta innica al Prefazio e nel Santo che è il trisaghion di Isaia, la visione di Isaia:“Santo santo santo è il Signore (cioè il Dio separato che è altro dal mondo, questo vuol dire biblicamente “santo santo santo”) il Signore Dio dell’universo, Lui è separato dal mondo ma è il Dio dell’universo: creazione e redenzione. Dio creando ha detto: “il mondo mi piace mi interessa”; quindi un cristiano che dice: “il mondo non mi piace” non è cristiano è un’altra cosa. (Spesso dicono “ma io sono libero di valutare le situazioni”; si, tu sei libero ma non sei cristiano. “Ma io osservo i comandamenti”, però Gesù che ha detto al giovane ricco? “Va ,lascia tutto, vieni e seguimi”. Ma tutto Signore?, almeno una cosetta lasciamela, no, no tutto! E il giovane se ne va triste e Gesù forse è più triste di lui perchè lo amò). “Santo santo, separato, separato!: oggi molti sono angosciati perchè sostengono che non c’è più il senso del sacro e che la liturgia si è troppo appiattita (peccato che per qualcuno il senso del sacro consista nei campanelli, nelle vesti, negli incensi, nelle balaustre) ma senso del sacro è proprio questo nella Bibbia, e cioè che il Dio totalmente separato è innamorato del mondo, è talmente Dio da amare totalmente il mondo (Dio dell’universo). I cieli e la terra sono pieni della tua gloria, un Dio santo, alto, separato ma che riempie i cieli, e fin qui ci arriviamo, ma anche la terra. Benedetto colui che viene nel nome del Signore: noi ti accogliamo, tu vieni, vieni Signore, rivelaci questo Dio innamorato della creazione; osanna nell’alto dei cieli l’assemblea canta: il Santo è un canto bellissimo, è il canto degli angeli cui noi siamo ammessi, anche se molte espressioni canore di oggi non esprimono questa ricchezza.
Poi si entra nell’anamnesi: la liturgia eucaristica ha avuto nella storia un lungo percorso che qui non possiamo riprendere, ma la seconda preghiera eucaristica inizia immediatamente con le parole Padre veramente santo fonte di ogni santità santifica questi doni: si comincia con l’epiclesi. Nel canone romano, quello che per 1500 anni ha usato la chiesa di Roma, l’unico, non c’è epiclesi, non c’è invocazione dello Spirito che è uno dei problemi del canone romano, c’è qualcosa di simile “santifica o Dio questa offerta con la potenza della tua benedizione, degnati di accettarla a nostro favore,” ma non si nomina lo Spirito Santo. La riscoperta delle fonti liturgiche ha inserito qui l’epiclesi. Ora abbiamo due epiclesi, prima non ne avevamo nessuna. La prima epiclesi quando si fa memoria dell’istituzione “Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perchè diventino per noi“ e dopo quando si dice “ricordati o Padre della tua Chiesa diffusa su tutta la terra, rendila perfetta nell’amore” si invoca lo Spirito sulla Chiesa perchè diventi ciò che essa è, cioè il corpo di Cristo unito nell’amore.
Gli orientali hanno una sola epiclesi dopo la consacrazione: prima si ricorda quello che Gesù ha fatto nell’ultima cena e poi si invoca lo Spirito perchè questi doni diventino il corpo e il sangue del Signore.
La liturgia latina invece ha enfatizzato la consacrazione dando valore consacratorio alle parole “questo è il mio corpo” ora abbiamo temperato questo con l’invocazione dello Spirito, ma questo resta un fattore di differenza fra noi e gli orientali e abbiamo quindi questa doppia epiclesi: epiclesi sulle offerte in ricordo di quello che Gesù ha fatto. Noi non facciamo quello che Gesù ha fatto nell’ultima cena: quello che Gesù ha fatto lo ha fatto una sola volta. Nella preghiera eucaristica noi facciamo memoria delle opere di Dio, nella creazione, in Israele, che in quei segni del pane e del vino (sono i segni della pasqua ebraica: il pane - la creazione - il vino - il sangue, l’alleanza). Noi preghiamo su questi doni facendo memoria di tutta la storia della salvezza, di quello che Gesù ha fatto benedicendo il Padre in quell’ultima sera prima di patire, finché Egli venga. E questi doni ci sono ridonati pieni, colmi, trasformati dalla sua presenza. Il pane e il vino sono sacramentalmente il corpo del Signore donato, il sangue del Signore versato, la realtà qui e ora di tutta la storia della salvezza, come corpo, come sangue, come pane, come vino; la creazione come vedete c’ è sempre. Ecco perchè dico che la Messa sul mondo c’è sempre, non è un pezzo in più, non è un accessorio, è l’anima della liturgia cristiana.
Il sacerdote mentre prega ricorda quello che Gesù ha fatto nell’ultima cena, racconta “Egli offrendosi liberamente alla sua passione prese il pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli”, così fece con il calice... è il racconto dell’ultima cena.
Noi abbiamo talmente concentrato tutto sulla consacrazione (campanelli, in ginocchio, incenso) che quando il sacerdote dice “mistero della fede” si sente quasi una liberazione da parte dell’assemblea, quasi che l’essenziale sia fatto; ma non è così.
Paolo VI ha avuto tanto coraggio nel fare questa meravigliosa riforma liturgica, ma non ha avuto la forza di fare alcune cose fra cui per esempio abolire la cosiddetta elevazione, cioè dopo le parole sul pane il sacerdote alza l’ostia, dopo le parole sul vino il sacerdote alza il calice. Questo già si faceva nell’antica Messa, ma solo perchè le persone non vedevano niente, non capivano. Questo rito è iniziato nel 1200, ai tempi delle controversie sull’eucarestia quando c’era chi negava la realtà dell’eucarestia come Berengario di Tour. Allora il sacerdote per risvegliare l’attenzione delle persone alzava l’ostia, di spalle faceva vedere l’ostia, e le persone adoravamo smettendo di dire le proprie preghiere; e così è stato fino a 50 anni fa; parimenti per il calice, ma di per sé nella logica rituale questo gesto non serve. Le parole sul pane, le parole sul calice e poi si continua con l’anamnesi “celebrando il memoriale della morte e resurrezione del tuo Figlio” – questa è la memoria – “ti offriamo Padre il pane della vita e il calice della salvezza”; fatta la memoria delle grandi opere di Dio l’assemblea offre: noi siamo così nobili perchè battezzati, figli di Dio, che possiamo presentare al Padre il pane e il vino il corpo e il sangue di suo Figlio; capite cosa vuol dire questo? In quell’ostia, in quel pane consacrato, un frammento della nostra creazione (perchè quello è pane, è vino) sono assorbiti completamente dalla potenza del Risorto, sono già il mondo redento, salvato nell’escaton, nell’ultimo giorno, e noi li presentiamo al Padre, gli diciamo Padre, guarda, noi dobbiamo morire tutti ammazzati perchè il mondo non è proprio un giardino di violette, noi meriteremmo di essere annullati, ma noi ti presentiamo quel pezzo di mondo che tu hai già redento, che già hai salvato e diciamo: ricordati di noi; infatti subito dopo diciamo “ricordati Signore della tua Chiesa, ricordati di tutti i presenti” (il canone romano), “ricordati anche degli uomini che ti cercano con cuore sincero” (dice la 4° preghiera eucaristica), cioè anche di chi non è cristiano, anche di chi non crede ma sta cercando, ricordati di tutti, dei vivi, ricordati dei nostri fratelli che sono morti; cioè lì la preghiera prende un respiro perchè noi abbiamo detto al Padre: “caro, il mondo tu lo ami, lo hai già salvato eccolo qua, adesso ricordati di noi, salvaci, continua a tenere alta questa tensione di salvezza”.
Alla fine la preghiera eucaristica riprende nell’inno, nel canto, questo movimento “per Cristo, (attraverso di Lui e in vista di Lui vuol dire “per”; è finale ed è causale) con Cristo, (siamo in comunione con lui) in Cristo ( siamo intimi alla Sua vita) a te Dio Padre Onnipotente (sempre Lui è il destinatario) nell’unità dello Spirito Santo (unità dello Spirito Santo fra il Padre e il Figlio e quindi fra noi e il Padre nel Figlio; lo Spirito Santo fa di noi una sola famiglia nella Trinità ) ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”. Come è cominciata la preghiera eucaristica?: “E’ veramente giusto lodarti benedirti”; e come si conclude? “Ogni onore e gloria”. Vedete, è veramente una preghiera di lode, di benedizione. A questo punto la liturgia eucaristica sfocia nella liturgia della comunione.
Riprendiamo la “Liturgia per la comunione dell’Agnello immolato”. In tutte le liturgie, dopo la preghiera eucaristica, si continua perchè la preghiera è unica benché abbia parti diverse, con il Padre nostro, la preghiera del Signore, che è il modello della preghiera cristiana (Matteo la mette al centro del discorso della montagna), è il cuore della nuova alleanza. Pregare il Padre nostro dopo la preghiera eucaristica è riprendere tutti i temi della preghiera eucaristica in forma di preghiera da parte dell’assemblea. Come abbiamo iniziato la liturgia eucaristica ? “Padre veramente santo”, ora diciamo: Padre nostro- che sei nei cieli – nella liturgia eucaristica dicevamo “i cieli e la terra sono pieni della tua gloria”; - sia santificato il tuo nome – “è veramente degno lodarti benedirti, è nostro dovere, fonte di salvezza” –venga il tuo Regno- “nell’attesa della tua venuta”. Vedete che pregando il Padre nostro si riprende tutto? Dacci oggi il nostro pane quotidiano – “che questo pane e questo vino diventino per noi il corpo e il sangue di tuo Figlio. Per i padri la parola “pane” dal greco si può anche tradurre “pane super sostanziale” e i padri hanno detto che il pane non è soltanto la pagnottella per vivere, è il pane dell’eucaristia, è Cristo. Il padre nostro innanzi tutto dice: dacci il pane per oggi, per vivere, perchè Dio ci ama tanto che si prende cura delle nostre povere necessità, che non sono povere perchè se non mangio muoio: vedete la Messa sul mondo, di nuovo? Un Padre che si preoccupa delle piccole cose di ogni giorno. Però quel pane è segno anche di un pane più grande, il corpo del Signore. Fa che anche noi perdoniamo; datevi un segno di pace, anche nell’offertorio prima di presentarti all’altare se qualcuno ha qualcosa contro di te (non se tu ce l’hai con qualcun altro) lascia la tua offerta, vai e riconciliati. Il padre nostro riprende tutto in forma di preghiera dell’assemblea rivolta al Padre. Il padre nostro continua liberaci dal male; nella Messa noi non diciamo “Amen”, fateci caso, diciamo Liberaci da tutti i mali (è l’embolismo, la continuazione) Liberaci o Signore da tutti i mali concedi la tua pace ai nostri giorni e con il soccorso della tua misericordia vivremo sempre liberi da ogni turbamento (si continua l’embolismo, “liberaci dal male”, non si riprende nient’altro nel Padre nostro, ma l’ultima invocazione, e questo perchè l’esperienza del male ci appartiene).
All’inizio della messa abbiamo chiesto perdono al Signore per essere degni di celebrare l’Eucaristia ed ora gli diciamo “Signore noi siamo peccatori, ma il male ha una forza tale .. liberaci “ E non solo dal male ma da ogni turbamento. Questa parola è un po’ antica, gli inglesi nel loro messale usano la parola “ansia”, forse ansia è un po’ psicologico; turbamento vuol dire da ciò che ci rende insicuri, dal male che ci sconforta che ci schiaccia. Nell’attesa che si compia la beata speranza (vedete sempre l’attesa) e venga il nostro salvatore Gesù Cristo. E qui di nuovo tutto il popolo interviene: tuo è il Regno, tua è la potenza, tua è la Gloria; è sempre un intervento di lode di benedizione.
Poi il segno della pace. Qui c’è questa preghiera, se non ricordo male, di origine gallicano-germanica perchè sapete che l’incontro fra il mondo latino e barbarico nel 5°- 6° - 7° secolo ha avuto un grande influsso nella nostra fede e nella liturgia, per cui noi troviamo nella liturgia elementi che nella vecchia liturgia romana non c’erano; era ancora più semplice la liturgia romana. Per esempio parole che accompagnano i riti: quando il sacerdote spezza l’ostia e fa cadere un frammento nel calice dice ”il corpo e il sangue di Cristo uniti in questo calice”, così quando si lava le mani “ lavami Signore da ogni colpa, quando purifica dopo la comunione il calice “il sacramento ricevuto” ...... Questo bisogno di accompagnare i gesti con parole è tipico della mentalità germanica. In realtà è un po’ magica, ogni gesto ha un significato più profondo; ed anche un po’ devota, il sacerdote prega anche individualmente. Nella vecchia Messa erano molti di più questi gesti, ora sono stati ridotti; però dicono la commistione con un altro mondo culturale che è anche interessante perchè la liturgia assorbe tutto. Anche oggi in Africa celebrano in modo diverso da noi, per fortuna; in India io ho detto la Messa seduto per due ore con le gambe incrociate, con un manto dorato particolarmente vistoso, ma per loro è il manto della preghiera, è un modo diverso di celebrare. La liturgia per sua natura assorbe, si fa linguaggio adeguandosi alle sensibilità le più diverse.
Il segno della pace, fino al Vaticano II non esisteva, quel segno era rivolto solo dal sacerdote celebrante ai ministri ed ai sacerdoti che stavano sul presbiterio: gli passavano una tavoletta con il volto di Cristo (nei nostri conventi ce ne sono di bellissime) – e questo avveniva solo nelle Messe solenni, non nelle messe quotidiane, e ognuno baciava la pace. La pace era questa tavoletta con il volto di Cristo: Lui era la pace. Quindi si bacia la tavoletta con il volto di Cristo, ma il gesto era riservato solo ai sacerdoti: il significato era interessante perchè Cristo è la nostra pace. S. Paolo dice: Lui è la nostra pace. Scambiarsi il segno della pace non è quello che facciamo oggi nelle chiese, questa sagra delle buone emozioni. Piuttosto ognuno deve sapere se la pace ce l’ha, non con il vicino che non conosce, ma con la persona con cui magari non si parla. (In confessione mi capita di sentire: “io Padre non ho peccati, ma sono 40 anni che non parlo con mio fratello). Ma allora come si fa a fare tranquillamente la comunione, a scambiarci la pace? Abbiamo individualizzato tutto, per cui non connettiamo più le cose. Nella liturgia, dopo il Concilio, è stato recuperato il segno della pace (testimoniato nelle antiche liturgie dal “bacio della pace”) - messo a questo punto prima della comunione per essere degni di fare la comunione. Invece le liturgie orientali e quella ambrosiana a Milano lo mettono prima del Credo, perchè il Credo fa già parte dell’offertorio, quindi prima della liturgia eucaristica, prima di presentare le offerte all’altare, riconciliati! ; sicuramente è un senso molto bello anche quello. Fatto sta che prima della comunione noi chiediamo perdono, diamo il perdono.
Poi c’è il canto all’Agnello immolato: nell’Apocalisse si dice che i santi, i martiri cantano all’Agnello, noi qui, dopo aver ascoltato nella liturgia della Parola le grandi opere di Dio attualizzate in Cristo risorto, dopo aver presentato al Padre i doni della creazione, invocato su di essi lo Spirito perchè siano il corpo e il sangue del Signore, pregato per tutti nella memoria della Pasqua, ora cantiamo all’Agnello immolato presente tra noi. E’ una fede nella presenza di Cristo nella sua Chiesa; è seguire l’Agnello dovunque egli vada. Ma dove va l’Agnello? Alla croce, ahimè, e non è un incidente la croce, sta sempre lì; la croce è collocazione provvisoria come diceva don Tonino Bello nel suo aspetto di dolore di morte, ma se vogliamo sapere chi è il Dio di Gesù Cristo, dobbiamo guardare la croce, croce, come ha intuito la Chiesa antica, gemmata, gloriosa, sul trono, ma croce. Lui c’è stato lì, non è un incidente; cantiamo all’Agnello immolato e poi si distribuisce il corpo e il sangue del Signore con questa processione che non è una fila, ma una processione. Come all’inizio il presbitero è entrato in chiesa in processione, all’offertorio abbiamo portato i doni in processione, ora veniamo all’altare come popolo di Dio in cammino, sostenuto nel suo cammino dal corpo del Signore (ci sono i furbi che prendono sempre le scorciatoie perchè non gli va di fare la fila, a parte gli anziani, i malati), però quel senso processionale è molto forte. Fare la comunione (alcuni non lo capiscono arrivano tardi, ma basta che fanno la comunione, ma non è così, non serve; basta pensare che Santa Chiara faceva la comunione sette volte l’anno e già era molto devota; a quel tempo non si faceva la comunione come oggi) quindi il cuore della Messa non è la produzione delle ostie; fare la comunione ha senso se noi abbiamo vissuto tutta questa dinamica, tutto questo movimento, ed allora noi riceviamo, mangiamo, facciamo Pasqua, siamo parte di questo mistero di cui abbiamo fatto memoria.
Rimaniamo in silenzio (io dico che la Messa è riuscita se dopo la comunione mi siedo, cerco di pregare e sento che l’assemblea è raccolta e prega, qualunque sia il numero dei presenti).
L’orazione finale: come all’inizio c’è la colletta, all’offertorio c’è l’orazione, alla fine c’è l’orazione (sono tre orazioni) e poi l’invio : “ite missa est” che non si sa bene cosa voglia dire; letteralmente si traduce : “Andate è stata mandata”, e’ “stata inviata” chi: l’assemblea, la Chiesa ? Da quel “missa” poi ha preso il nome l’Eucaristia “Messa” che in italiano è una parola che non vuol dire niente se non nel riferimento a tutta questa azione rituale. “Ite”: vattene! Andatevene, non rimanete in Chiesa, perchè c’è qualcuno che non se ne va mai: va a messa, poi c’è l’incontro del gruppo, poi c’è il coro, poi c’è l’incontro per il volontariato... Le parrocchie sono diventate non il mondo ma il micro mondo; siccome io nel mondo non ci sto bene mi faccio il mondo parallelo che è la Parrocchia o il convento; ma non è bello stare in Parrocchia o in convento perchè poi lo stesso mondo di fuori lo trovi lì. Spesso sento dire: ma pure in Parrocchia c’è l’invidia, ci sta rivalità, anzi lì è peggio, perchè è tutto ammantato di fede. Allora la Parrocchia, la Chiesa cioè, non è il nostro mondo. “Ite”. Il mondo è il mondo. Noi abbiamo bisogno della Chiesa? Ma certamente; la domenica ci ritroviamo, ascoltiamo la Parola, spezziamo il pane e poi durante la settimana dobbiamo vivere come comunità cristiana la vita del lavoro, della famiglia, della politica senza aver paura dei mondi in cui si riesce ad essere presenti, senza temere la quotidianità con i suoi pesi e le sue contraddizioni. Quando poi la comunità cristiana si raduna porta tutto questo, lo offre lo presenta, lo fa circolare per poi tornare. Molti sostengono che non riusciremo a mantenere le nostre parrocchie. Certo, questi elefanti amministrativi che abbiamo creato non riusciremo a tenerli. Ma chi l’ha detto che dobbiamo tenere queste strutture, che la vita cristiana non possa essere più leggera nelle sue strutture, ma nutrire profondamente la fede? Con questo non sono esperto di pastorale e non voglio entrare nel merito, anche se qualche mia idea ce l’ho. Se snellissimo un po’ e la Parrocchia non fosse solo dire Messe o tutto il gigante che fa vivere le persone troppo dentro con le diverse iniziative di percorsi/gruppi. Ammiro molto gli scout perchè a 18 anni devono fare la partenza; devono decidere o fanno i capi, e sono affari loro perchè l’impegno è notevole, (è un secondo lavoro) o fanno una scelta nella comunità parrocchiale, nella Chiesa, o partono: è il senso di diventare adulti.
La benedizione finale e l’invio.
Giulio Cascino: la riflessione di Padre Massimo mi riporta alla liturgia di domani che fa memoria della Trasfigurazione di Gesù. In particolare nella prima lettura tratta dalla Genesi c’è l’invito ad Abramo ad uscire dalla sua terra; questo invito ad uscire, ad andare in missione, è la caratteristica del pontificato di Papa Francesco. La messa è un momento forte della comunità ecclesiale che serve a farla aprire al mondo (la messa è sul mondo) non a rinchiudersi in se stessa. Oggi c’è questa prima lettura tratta dalla Genesi che ci parla di Abramo che parte, lascia tutto, si fida. Poi c’è il Vangelo della trasfigurazione in cui si evidenzia che i tre vogliono rimanere lì, fare tre tende. Anche qui c’è la raccomandazione di Gesù che occorre tornare a valle dove c’è il mondo reale (Qui viene in mente la narrazione dell’Ascensione quando gli apostoli vengono invitati a non rimanere a guardare il cielo). Poi c’è un particolare che me lo ha ricordato quando si parlava dell’incenso: la nube luminosa che avvolge, che fa ombra, ombra che evoca un po’ il mistero. L’incontro con Gesù nell’Eucaristia ci inserisce nel mistero. E’ quanto tu dicevi quando parlavi dell’incenso durante la celebrazione che avvolge l’assemblea. L’uomo di fede non è quello che possiede la verità (come sottolinea Pio nei suoi dieci punti). Il Papa dice che la verità non la possediamo, la incontriamo: l’uomo di fede accetta di vivere nel mistero; qui c’è un equivoco nei movimenti, in chi si sente di avere la fede. C’è il rischio dell’integralismo. In questo uscire bisogna rimboccarsi le maniche.
C’era un sacerdote che per spiegare la Kenosi faceva una grande V (lo svuotamento e poi l’innalzamento - cita la lettera di Paolo ai Filippesi).
Il punto più basso raggiunto da Gesù è farsi cibo per gli altri, farsi cosa, esponendosi anche a tutte le profanazioni. Se la nostra vita deve essere una Messa che continua dopo il rito, l’impegno per questo è di una radicalità al di sopra delle nostre forze. Il fatto di aprirsi è una continua ricerca del nostro modo di vedere. Se la Messa diventasse quello che abbiamo ascoltato cambieremmo noi e cambierebbe di conseguenza il mondo. Pio ci diceva che la Messa richiede un popolo non un conglomerato di persone impegnate in diverse iniziative. L’impressione che ho è che la Messa non sia questo momento così centrale, così rivoluzionario come dovrebbe. Mi pare inoltre che manchi una preparazione approfondita sulle letture.
Fr. Massimo Fusarelli: il problema dei sacerdoti è lo scadimento della loro formazione; è facile far scadere tutto in un rito religioso. E’ facilissimo far scadere la liturgia cristiana a rito religioso e così è ugualmente facile far diventare essenziale (le vesti, le suppellettili) ciò che nella liturgia è accessorio, proprio per la mancanza di una preparazione accurata, profonda, che si riscontra purtroppo proprio nei giovani sacerdoti. A Frascati abbiamo fatto nuovo l’ambone che non c’era e la mensa in marmo di Carrara. Mentre ci prepariamo a consacrare il nuovo altare ed a benedire l’ambone stiamo facendo in contemporanea una catechesi per spiegarne il senso, soprattutto per l’ambone. E’ l’occasione per dire alcune cose e viverle meglio e far sì che i segni siano reali. E’ importante che i segni siano veri e ben compresi, come un popolo deve essere un segno vero, un popolo, non un conglomerato.
Soana Tortora: Volevo ringraziare fr. Massimo per questa anticipazione di una celebrazione comunitaria della Messa sul mondo. Soprattutto ho colto le cose che vivo quotidianamente, questa ritualità che è in fondo essenza della celebrazione liturgica dell’Eucaristia proprio come rendimento di grazie. Questo movimento che è comunque una sorta di grande respiro, questa contrazione e questa espansione, questo raccogliersi e questo riaprirsi, questo convenire e questo uscire che è il respiro della vita; non è altro. Io credo che questo sia qualcosa che va al di là dell’approfondimento delle letture cui faceva cenno Giulio; se vogliamo essere servi inutili, ma servi, dovremmo avere l’esperienza di questo ritmo, vivere l’esperienza (non solo con la testa) di questo ritmo di una Messa che continua dentro di noi e fuori di noi. Dopo la morte di Pio stiamo vivendo una Quaresima, che è astinenza per la sua assenza, ma che è anche preparazione di una Pasqua. Dovremmo cercare di andare verso una Pasqua comunitaria per riprendere questo ritmo vitale. Senza metterci nella logica del fare, per non perdere questo ritmo che oggi ho sentito come elemento fondante del mio essere cristiana, vedremo cosa si potrà fare qui in Parrocchia dove siamo ospiti.
Questa settimana, come accennavo a qualcuno di voi, è stata una settimana un po’ particolare per la morte di mia suocera e ci siamo ritrovati all’improvviso (si è addormentata davanti alla televisione dopo aver ricevuto la benedizione del parroco – aveva 94 anni-) a celebrare il suo funerale con mia figlia che è all’ottavo mese di gravidanza e che è voluta venire a La Spezia da Roma per salutare la sua nonna. E in questo ritmo fra morte e vita mi ci sono ritrovata proprio oggi, grazie a Fra Massimo, e ci tenevo a comunicarvelo.
Pino Macrini: In tutta la riflessione sul tema della Liturgia, e in particolare della Liturgia Eucaristica domenicale, che padre Massimo ci ha proposto con dottrina profonda, chiarezza e semplicità di esposizione ed anche con partecipazione affettiva per noi ascoltatori, mi ha fatto molto riflettere l’affermazione che nella Liturgia Eucaristica c’è una continua “relazione“, un continuo ”riferimento“, un continuo “rimando“ dal Memoriale della Salvezza, di cui all’annuncio evangelico, alla realtà del mondo in cui viviamo e viceversa: tra Liturgia Eucaristica ed il Mondo, il Creato in cui viviamo ed operiamo, c’è un rapporto, un flusso vitale, una corrente vitale e vivificante, un movimento – diceva padre Massimo - che richiama un altro movimento vitale, quello del cuore umano (fatto di sistole/diastole) o quello della respirazione (inspirazione/espirazione) che genera anch’esso un flusso “vitale“ perché rende possibile la vita del corpo nella sua unità di spirito e materia.
In questo senso, di fatto, se vissuta con piena coscienza e consapevolezza del valore e del significato dei singoli atti liturgici e del loro insieme, ogni Celebrazione Eucaristica è di per se stessa, nella sua realtà profonda, una Messa sul Mondo, sul Creato, sul nostro mondo personale, fatto di cose e di rapporti umani, personali e sociali.
Mi vien da riflettere sul fatto che purtroppo da “laico“, anche a causa della mia ignoranza sull’argomento per una mia scarsa “formazione” sui cosiddetti “temi religiosi”, questo rapporto vitale, questo flusso vitale non l’ho compreso nella sua profonda dimensione; esso è rimasto allo stato di una vaga intuizione, di una sensazione non definita bene nei suoi contorni, avvolta comunque nelle nebbie; la mia partecipazione alla Liturgia, in conseguenza, è nata e si è mantenuta su un livello troppo devozionale e superficiale, almeno fino a quando non ho cominciato ad approfondire la mia conoscenza della Sacra Scrittura, attraverso la lettura diretta ed anche attraverso l’ascolto di chi, con sapienza e carità, ha spezzato la Parola per me.
Penso anche che, almeno per quanto riguarda la mia esperienza personale, da questa scarsa “formazione“ sia dipesa per molta parte anche una mia scarsa incisività, una mia debole testimonianza nella realtà che mi circonda : e, purtroppo, come per me penso anche per tanti altri laici.
Mi viene in mente, sul punto, il richiamo specifico contenuto nella “Evangelii Gaudium“, fra l’altro di recente proposta dal ns. Parroco, don Marco, alla riflessione comunitaria anche del Consiglio Pastorale parrocchiale, proprio per individuare concrete linee di azione che, in linea con l’esortazione di Papa Francesco, portino la Comunità parrocchiale ad individuare linee di apertura concreta, “di uscita“ effettiva nella realtà esterna, nella Comunità civica in cui viviamo, in attuazione della compartecipazione e corresponsabilità nell’evangelizzazione.
Mi riferisco al cap. II°, par.II n. 102, della “ Evangelii Gaudium “, lì dove, a proposito delle “altre sfide ecclesiali “ testualmente si dice: “ … È cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa. Disponiamo di un numeroso laicato, benché non sufficiente, con un radicato senso comunitario e una grande fedeltà all’impegno della carità, della catechesi, della celebrazione della fede. Ma la presa di coscienza di questa responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione non si manifesta nello stesso modo da tutte le parti. In alcuni casi perché non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società. La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale….”
Ecco, io penso che anche questa nostra esperienza, che stiamo conducendo con l’aiuto di tanti amici esperti e - oggi in particolare - di p. massimo Fusarelli, sia un momento di formazione dal quale non possiamo prescindere : “ momenti di formazione “ che potrebbero anche essere una delle nostre linee di impegno nella Comunità parrocchiale della quale siamo ospitati e della quale siamo – anche di fatto - parte integrante.
Giulio Cascino : A proposito di formazione, ma i parroci dovrebbero essere degli esperti nella celebrazione della Messa secondo le indicazioni emerse nella relazione di stamane.
Fr. Massimo Fusarelli: Anche nei preti la formazione si è un po’ fermata, eppure è importante. La maggior parte dei parroci temo non abbia molto tempo per approfondire. Ma al di là del tempo disponibile studiare liturgia, sacramentaria può essere utile, ma dipende dalla precomprensione che ognuno ha in testa. Se uno ha una visione ritualistica può leggere quello che vuole, ma tutto viene filtrato con quel modello. Per molti la liturgia diventa un palcoscenico. Quasi che si senta la necessità ogni domenica di trovare qualcosa di nuovo per colpire le persone che partecipano alla Messa. Ma non c’è bisogno di questo: la liturgia romana ha di suo una sobrietà per cui il prete deve fare bene quello che è previsto, deve starci dentro poi con tranquillità le parole, i gesti parlano da soli, ed ognuno nell’assemblea prende quel frammento, quel pulviscolo a lui utile. A volte l’arte di celebrare in alcuni è troppo rigida, formalizzata, in altri è troppo personalizzata; non si devono imporre all’assemblea i propri gusti. Il prete è a servizio del sacerdozio dei battezzati, per cui il popolo di Dio ha diritto ad una liturgia celebrata come si deve, e non secondo il gusto personale di ciascuno; lo diceva bene Papa Benedetto: questo modo di celebrare è una forma di neo-clericalismo. Molti durante la Messa fanno più omelie: all’inizio c’è un’omelia, prima delle letture per darne una chiave di lettura, poi c’è l’omelia, poi prima della preghiera eucaristica per richiamare l’importanza del momento, prima del segno della pace per mandare un messaggio a gruppi parrocchiali che magari sono in contrasto fra loro e prima della fine della Messa. Questo è il pregiudizio intellettualistico: tutti devono capire perchè se tutti capiscono la Messa è efficace; ma non è vero, perchè il linguaggio simbolico rituale colpisce a prescindere dalla comprensione intellettuale, è attrattivo, tocca i sentimenti nel senso più alto. La comprensione eventualmente viene dopo. Invece la nostra formazione seminariale è soprattutto intellettualistica. Temo che oggi la nostra formazione sia insufficiente; vedo giovani studenti di teologia con preparazione di base molto povera, la teologia è un po’ giustapposta; per entrare in una visione come quella di cui abbiamo parlato oggi bisogna aver avuto un tipo di formazione che sappia connettere elementi diversi, che sappia avere una visione d’insieme: invece chi ha una formazione povera tende ad assolutizzare il particolare. Spesso si dice: basta che il prete sia santo sia devoto; ma purtroppo questo non basta perchè per gestire un linguaggio simbolico rituale non basta essere devoti. Un prete che comunica deve imparare. Sarebbe bello che il gruppo liturgico non fosse soltanto sistemare i fiori ma un laboratorio in cui riflettere per osare qualcosa di più nella liturgia domenicale. Ma comunque anche così si può fare molto.
Francesco Giordani: ho preparato la lettura di uno scritto di Pio su “La messa e il mondo “ che vi propongo:
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” dice il Vangelo di Giovanni (Giov. 3, 16).
Siamo arrivati a parlare tranquillamente di “mondo cattolico” come se fosse un altro mondo.
C’è una Chiesa a Roma a via del Corso dove sette suore, figlie della Chiesa, fanno l’adorazione del Santissimo ed aprono la Chiesa dalle 17 alle 22. davanti alla chiesa passano giorno e notte fiumi di persone e sono rari quelli che entrano per adorare il Santissimo.
Raramente ho trovato un livello di laicità, intesa come amore universale per tutte le persone e tutti gli eventi della storia personale e sociale, così alto come nell’abbadessa di un convento di clarisse che osservano una stretta clausura.
La Messa può essere celebrata in chiesa anche con la porta chiusa al mondo, non nel senso materiale che si impedisca a qualcuno di entrare, ma che si vive la celebrazione a prescindere dal mondo che è al di fuori.
C’è la tendenza a un ripiegamento su se stessi, sia pure sul proprio rapporto con Dio con un certo individualismo spirituale, sui presenti, sulla parrocchia e più marcatamente, sull’associazione o il movimento a cui si appartiene.
Ci si ricorda forse delle immagini che la TV ha trasmesso di quel che succede nel mondo: la violenza, le guerre, la miseria causata forse dalla natura e più spesso dagli uomini. Queste immagini qualche volta restano impresse, ma esse non sono la realtà, alla quale si pensa sempre di meno.
Quanto si pensa a quello che succede nel paese o nel quartiere della città in cui si abita, ai disagi di tutti o di molti e a quelli che dovrebbero provvedere, alle numerose persone che sono povere, emarginate, malate, tormentate dalla mancanza di armonia nella famiglia?
Si pensa a quanti nella nostra stessa nazione vivono in condizioni di grande disagio, di precarietà?
Quanto si pensa sopratutto a quel che succede in tutto il mondo, alla gran maggioranza delle popolazioni in confronto delle quali il nostro mondo “occidentale” è in situazione economica molto privilegiata, dimenticando quello che dice il salmo: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”?
Le intenzioni espresse nella preghiera universale, alle quali tuttavia non viene dato talora il peso che sarebbe conveniente, imprimono la loro apertura al mondo a tutta la celebrazione eucaristica?
E le omelie? Non ne ho sentite molte ma ho sentito molti che si lamentano dello scarso riferimento alla Parola, dell’impostazione moralistica, e di uno sguardo al mondo attento più ai suoi peccati che alle sofferenze.
C’è una carenza che a me sembra particolarmente grave nella Messa e in tutta la pastorale: la mancanza di coscienza politica.
E’ una vita che cerco di capire e di comunicare quel che mi sembra si debba intendere con il termine “coscienza politica”. Si tratta della percezione di come si svolge la convivenza umana nell’intreccio di fatti strutturali ed eventi spirituali, delle cause, delle conseguenze, dei processi.
Cosa c’entra questo con la celebrazione della Messa? Sembra che una delle preoccupazioni principali sia quella di tenere la Messa lontana dalla politica e giustamente inorridiamo quando constatiamo delle strumentalizzazioni politiche, cioè a fini di giochi di potere, della religione e di quello che per noi non è il momento più santo, la Messa.
Bisogna mettere a fuoco che cosa si intende per politica e quindi per coscienza politica.
Nella Messa siamo chiamati ad amare il mondo che è amato da Dio e per il quale il Padre ha dato il suo Figlio unigenito.
Questo mondo, questo popolo immenso di donne e di uomini che si succedono sulla terra, vivono insieme. Ma questa convivenza umana è un insieme di armonia e di contrasto, di pace e di guerra, di gratuità, solidarietà e amore, con egoismi, soprusi e violenze di ogni genere.
La tentazione più forte, con i guai conseguenti, sembra dipendere dalla seduzione del potere, come ci insegnano le stesse tentazioni di Gesù nel deserto.
Tutto questo è politica e non può essere dimenticato mentre si celebra il “mistero della fede”, il centro della storia”.
Laura Marini: Ce la prendiamo spesso con i nostri parroci ma c’è anche un laicato un po’ addormentato che va a Messa in modo passivo, che va a sentire la Messa, e non c’è la consapevolezza di quel che realmente è. E c’è da parte nostra anche una grande ignoranza sul significato della liturgia nei vari momenti della Messa. A noi è servito un anno di approfondimento per capire qualcosina, venendo già da una esperienza abbastanza privilegiata. Anch’io ho girato parrocchie alla ricerca di un parroco un po’ più illuminato, ma alla fine ho capito che mancava qualcosa anche da parte mia. Mi hanno sempre colpito le persone che vanno a Messa e non si comunicano. Servono laici preparati che sappiano dialogare con i sacerdoti alla pari per una esigenza di crescita comune.
Massimo Panvini: In tutto quello che abbiamo detto mi viene in mente una frase di don Tonino Bello tratta da un suo librettino “Affliggere i consolati” in cui, parafrasando le ultime parole della celebrazione della messa diceva: “La pace è finita andate a Messa”, cioè datevi da fare.
Alberto
La Porta: Sono rimasto colpito
dallo spazio del silenzio, che particolarmente è previsto
nella celebrazione eucaristica dopo la omelia e dopo la Comunione.
Trovo che l'atteggiamento di silenzio sia particolarmente importante
per entrare in una dimensione contemplativa (a cui Pio non ha cessato
mai di invitarci, l'unica che ci può aprire mente e cuore al
"mistero", ai riti liturgici che realizzano la presenza e
azione salvifica del Signore per l'umanità e per ciascuno di
noi. La Messa come ha sottolineato papa Francesco non è una
rappresentazione, ma è l'evento stesso della morte e
resurrezione del Signore Gesù che si attualizza, un evento che
si è realizzato una volta per tutte e si attualizza
simbolicamente e realmente nella celebrazione eucaristica. Purtroppo
come comunità cristiana non siamo abituati a fare silenzio e
pausa, a entrare in uno spirito meditativo e contemplativo, e nella
Messa siamo sopraffatti da tante parole umane, tanti canti, tante
azioni che rimangono perciò più o meno esteriori. Se si
ha il coraggio di chiedere il silenzio, i fedeli, per mia esperienza,
rispondono positivamente. Purtroppo non c'è questa abitudine,
e risentiamo di un clima pieno di rumori non solo fisici che
caratterizza la nostra società. Come anche di un
efficientismo e produttivismo, che negano il silenzio, ciò
che è gratuito ed esaltano un fare a scapito della riflessione
più profonda. Così in qualche modo viene negato quel
ritmo della Messa di cui ha parlato padre Massimo, ritmo che
intreccia il nostro andare verso Dio e il suo venire verso noi,il suo
parlarci ed il nostro ascoltare, il nostro rispondere ed il suo
agire, nella storia di salvezza e nella Messa e riesce quasi
impossibile cogliere ed accogliere il protagonismo di Dio e
rispondere con il nostro vivere la Messa, oltre la Messa, nella
vita-quotidiana-e-nella-storia.
Fr. Massimo Fusarelli: vorrei consigliarvi, per quando vi capita di pregare personalmente, di prendere la preghiera eucaristica e pregare con essa, senza pensare a quello che dice, ma pregate; siccome è una preghiera potete farla vostra. Se vi mettete in preghiera e poi dite: E’ veramente cosa buona e giusta rendere grazie a te Signore Padre Santo. Si tratta di imparare a rendere vivi i testi liturgici impregnandoli di preghiera anche personale, testi peraltro già impregnati di preghiera di diverse generazioni cristiane. La difficoltà a fare silenzio in alcuni momenti della Messa (dopo le letture e dopo la comunione) dipende proprio dalla mancanza di preghiera personale. Dobbiamo educarci ad un po’ di preghiera silenziosa. La preghiera personale dispone alla preghiera liturgica, come la preghiera comunitaria nutre la preghiera personale.
Oggi in particolare abbiamo visto la preghiera eucaristica, ma anche le collette, le orazioni di inizio, sono molto ricche, specie quelle domenicali del messale italiano, questi testi possono aiutare la preghiera personale. Quindi far diventare la preghiera eucaristica anche preghiera personale è un modo di vivere la diastole e sistole che abbiamo visto nella celebrazione della Messa: la preghiera personale nutre la preghiera comunitaria e la preghiera comunitaria nutre la preghiera personale.
La prima preghiera eucaristica è quella del messale romano e la seconda è quella del messale italiano. La seconda però a volte è così ridondante che anche dirla può diventare pesante.
Giulio Cascino: Vorrei una parola di chiarimento sul cenno fatto durante la relazione di stamane al versetto alleluiatico.
Fr. Massimo Fusarelli: Il versetto alleluiatico è la chiave di lettura delle letture ascoltate; in genere è scelto da una frase del Vangelo. Da quel versetto meditando, riflettendo si può avere una chiave della prima e seconda lettura, e del Vangelo. E’ bene farci attenzione; domani per esempio, che il tema è la trasfigurazione, si cita il Vangelo di Marco al versetto 9 “dalla nube luminosa si udì la voce del Padre: questi è il mio Figlio, l’amato, ascoltatelo”. Questo “ascoltare” è la chiave della liturgia di domani: la fede non è visione ma è ascolto. Uno parte da lì: Abramo non ha visto niente, ha ascoltato, si è fidato. Gesù sul monte ha ascoltato; i poveri Apostoli, che non hanno capito niente, hanno ascoltato, e poi capiranno dopo la Resurrezione. Diventiamo credenti che imparano ad ascoltare e non vogliono vedere le madonne, i santi; comunità che ascolta. Questo versetto alleluiatico è un buon punto di partenza per l’omelia.
Come preghiera finale per il nostro incontro di oggi prendiamo la 4° preghiera eucaristica che ho evocato, soprattutto la parte dell’ intercessione:
Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
“Guarda con amore o Dio la vittima che tu stesso hai preparato per la tua Chiesa. E a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane e berranno di quest’unico calice concedi che riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo a lode della tua gloria. Donaci Signore che tutta la nostra vita sia questa offerta viva e che la vita degli uomini con i quali condividiamo l’avventura dell’esistere sia offerta viva a lode della tua gloria, anche quando molti non lo sanno. Ora Padre ricordati di tutti quelli per i quali noi ti offriamo questo sacrificio, del tuo servo nostro Papa Francesco, benedicilo, riempilo del tuo Spirito profetico, dei Vescovi suoi collaboratori in Roma, dei nostri Vescovi ausiliari, dona anche a loro soprattutto di essere dentro la storia faticosa di questa città, del collegio episcopale, dei presbiteri, dei diaconi, di coloro che si uniscono alla nostra offerta. In ogni eucarestia Signore tanti si uniscono alla nostra offerta,non lo sappiamo, in questa preghiera confluisce, converge la preghiera anonima di molti, silenziosa di molti, accoglila; dei presenti, perchè è sempre una assemblea concreta che celebra con le sue intenzioni e del tuo popolo, e di tutti gli uomini che ti cercano con cuore sincero, che sappiamo di essere debitori della nostra ricerca del tuo volto Signore, anche della ricerca di coloro che non sanno di cercarti, ma lo fanno, con loro noi siamo in cammino verso di te. Ricordati anche dei nostri fratelli che sono morti nella pace del tuo Cristo, e di tutti i defunti dei quali tu solo hai conosciuto la fede; i loro volti sono davanti a te o Signore. Padre misericordioso concedi a noi tuoi figli, di ottenere con la Vergine Maria, gli Apostoli, i martiri, i santi, l’eredità eterna del tuo Regno, dove con tutte le creature, liberate dalla corruzione del peccato e della morte il disegno della creazione sarà compiuto, il mondo ti sarà restituito nella sua bellezza e noi canteremo la tua gloria in Cristo nostro Signore per mezzo del quale tu o Dio doni al mondo ogni bene; perchè al mondo che tanto ami sai dare solo cose buone come un Padre tenerissimo.
E insieme concludiamo dicendo, come nella messa: “ Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te Dio Padre onnipotente nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.” Amen.
Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo
Il prossimo appuntamento è per il 27 aprile p.v. alle ore 11,00 a Frascati presso il Convento San Bonaventura–via Cesare Minardi 3, - per celebrare la messa con Fr. Massimo Fusarelli e la sua comunità.
Ancor prima di essere scomposta ed analizzata nei suoi elementi più minuti, la celebrazione chiede di essere compresa nella globalità della sua struttura essenziale e nella dinamica di fondo in cui si articolano i suoi segmenti principali. Senza una tale visione di insieme il significato del singolo elemento rischia di essere travisato nell’arbitraria attribuzione di senso si un estrinseco procedimento allegorizzante.
La celebrazione si struttura in un’evidente dualità fondamentale che lega in stretta successione la Liturgia della Parola (elemento B) e la Liturgia Eucaristica ( elemento D). Il Concilio Vaticano II ha riscoperto il significato profondo del legame tra queste due parti, indicandole come le due mense della Parola e del Corpo e Sangue del Signore: se nella prima il Signore invita alla conversione in vista di un patto di alleanza con il suo popolo, nella seconda Egli realizza e compie l’alleanza eterna nel suo amore.
Le due parti principali sono tra loro preparate, raccordate e seguite da tre segmenti celebrativi: la Liturgia per l’introito del Signore misericordioso ( elemento A), la Liturgia per l’offertorio della carità dei fedeli ( elemento C) e la Liturgia per la comunione dell’Agnello immolato ( elemento E). Anche tali segmenti di introduzione, raccordo e conclusione presentano una struttura omologa, che è necessario cogliere per acquistare una comprensione coerente ed unitaria dell’intera celebrazione.
Tabella 1: Omologia strutturale dei tre segmenti di articolazione e di raccordo - vedi pagina 20 del presente documento in formato PDF
Tabella 2: Disposizione simmetrica dei due assi portanti - vedi pagine 20 e 21 del presente documento in formato PDF
Tabella 3: Confronto fra canone ebraico, lettura sinagogale, canone cristiano, lettura ecclesiale - vedi pagina 21 del presente documento in formato PDF
1 Presenti: Fra Massimo Fusarelli, Giulio Cascino, Soana Tortora, Alberto La Porta, Laura Marini, Edmondo Cesarini (dell’associazione T. d. Ch.), Massimo Panvini, Francesco Giordani, Roberto Giordani, Pino e Carmelina Macrini, Anna Polverari, Antonio Russodivito, Maria Celeste Fonte, Pino Baldassari.
2 Le pagine proposte da Fra Massimo sono tratte dal testo : - La Celebrazione dell’Eucaristia - di Luca Bassetti- Arcidiocesi di Lucca Corso interdisciplinare teologico- biblico - catechistico, Casa suore dorotee – Vorno, 2-3 luglio 2010