Non tutti gli interventi sono stati rivisti dagli interessati
Incontro del 23 novembre 20131.
Biblioteca della Parrocchia di San Romano Martire
Tema: “La Messa sul mondo2 “ - I Sacramenti -
Introduce Franco Passuello – Testimone è Fratel Massimo Fusarelli, ofm
Franco Passuello distribuisce il programma della mattinata che si articola nei cinque momenti di seguito indicati in modo sintetico:
Apriamo il nostro cuore e preghiamo: lettura della Liturgia delle ore – 1° settimana del salterio del T.O. – sabato – ORA TERZA
Il senso cristiano ed ecclesiale dei sacramenti- Padre Massimo Fusarelli
In silenzio
Discernimento spirituale sul mondo:
a) condividiamo riflessioni, invocazioni, domande
b) condividiamo convivialità (Lc. 14, 16-24)
c) la nostra offerta per essere testimoni
Lode e benedizione: Liturgia delle ore-1° settimana del salterio del T. O. – sabato – ORA SESTA
(Padre Nostro e Benedizione finale)
Franco Passuello : Introduce la riflessione con la citazione da Matteo 18 vers. 20 “dove sono due o tre persone riuniti nel mio nome io sono lì, in mezzo a loro”.Quante volte lo abbiamo sentito, ma fino a che punto siamo consapevoli che se siamo qui nel suo nome Lui è qui in mezzo a noi. Il fatto che Lui è qui in mezzo a noi significa che il nostro cuore deve essere disposto ad incontrarlo, perché in incontri come questo non sono le nostre parole che contano: dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono con loro, e noi possiamo incontrarlo rivolgendo il nostro cuore al Signore dentro di noi e sentendoci assemblea convocata da Lui.
E’ importante questo: sapere che non è un incontro qualunque, non è un seminario; siamo qui riuniti nel suo nome; siamo qui facendo memoria di Pio, proseguendo un percorso che Pio ha tracciato nei famosi 10 punti, ma è un percorso che ci getta alla sequela concentrandoci sul punto più essenziale, là dove l’eucarestia incontra il mondo. Se ci pensate siamo ancora sul vecchio tema su cui è nata l’associazione Maurizio Polverari: fede e politica .fede e città; non siamo altrove. Questo mi sembra un punto essenziale.
Va da sé che se c’è qualcuno che non se la sente di essere qui nel Suo nome non si deve preoccupare, anzi è una ricchezza, una risorsa perché se c’è una cosa che Pio e i suoi confratelli ci hanno insegnato è l’assoluta laicità non nostra, ma dell’incarnazione. Quindi nessun spavento.
Se uno non si sente disposto a stare qui nel Suo nome, o non si sente disposto a starci oggi, è comunque qui con noi in assoluta fraternità.
Abbiamo scelto di inserire proprio per queste ragioni questo incontro proprio nell’ora liturgica di tutta la Chiesa, come si può vedere da una sintesi della traccia di questa mattinata. Siamo nell’ora terza: l’ora terza è l’ora delle Pentecoste, l’ora dello Spirito. Noi che siamo qui in memoria di Pio abbiamo inserito la sequenza di Pentecoste che Pio ci ha sempre invitato a recitare.
Si inizia quindi recitando la sequenza allo Spirito Santo e la lettura breve (1 Re 8, 60-61)3
Ancora Franco Passuello con qualche piccola parola di raccordo prima di dare inizio alla conversazione di Padre Massimo.
Padre Massimo Fusarelli, frate minore francescano, ricopre l’incarico di padre guardiano del convento di S. Bonaventura a Frascati; ma nonostante i suoi molti impegni ha dedicato questo tempo di stamane a noi.
Padre Massimo ha ricoperto nel campo della formazione rilevanti incarichi a livello internazionale e tuttora è coordinatore della formazione per Lazio e Abruzzo e a livello nazionale.
Massimo ha conosciuto bene Padre Pio Parisi nella seconda metà degli anni ’90 ha condiviso il cammino di ricerca spirituale che Pio animava nelle Acli. Io ricordo in particolare che nell’incontro di spiritualità nazionale delle Acli tenutosi a La Verna ha portato una sua comunicazione sull’Eucarestia nella spiritualità francescana. Comunicazione che mi sono andato a rileggere, e che è assolutamente in tema con il nostro incontro di stamane.
Padre Massimo ha poi un merito particolarmente importante per averci fatto conoscere ( a Pio e a noi) Suor Chiara Patrizia, clarissa in Urbino, che è divenuta poi una vera madre spirituale per i nostri incontri di discernimento. Permettetemi allora di renderla presente qui fra noi leggendovi un frammento di Suor Chiara4 che mi ha mandato in occasione di S. Francesco per farmi gli auguri di buon onomastico:
“L’Eterno
ha sfiorato il mio tempo,
ha giocato col fragile fiore
della mia vita,
si è messo a danzare
con un filo d’erba
che al mattino risplende
e a sera dissecca.
L’Eterno
ha ballato
dentro il mio giorno
E la polvere è esplosa
fecondando la terra
con i semi divini della gioia”
Questo testo ci avvicina bene a quello che è emerso nell’incontro sulla Liturgia con Padre Francesco Rossi de Gasperis del 26 ottobre scorso.
Ne faccio una rapidissima sintesi come raccordo al tema di oggi, ma utilizzo un saggio di Padre Francesco Rossi de Gasperis su “Sacerdozio di Gesù e laicità nel Nuovo Testamento” che si ritrova nel testo “Per un catechismo della laicità” del 1995 ,riproposto anche in “Dialoghi sulla laicità”5 .
Diceva Padre Rossi “Gesù che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, ha fatto di noi il tempio di Dio e la dimora dello Spirito Santo, un regno , dei sacerdoti per Dio suo Padre “. Ricordate la volta scorsa Padre Rossi. E poi cita Rm12, versetti 1-2 : “ Vi esorto,dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi quale sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; e cioè il vostro culto secondo la parola.” E’ una sua traduzione letterale, ma di Padre Francesco ci possiamo fidare.
Poco prima Padre Francesco parlava del passaggio, ecco il punto centrale, dalla liturgia rituale alla liturgia esistenziale; lo stesso che è stato al centro della sua comunicazione di ottobre : Gesù che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, ha fatto di noi il tempio di Dio e la dimora dello Spirito Santo.
In questa prospettiva padre Francesco ha riletto il Vangelo di Giovanni (capitolo 13) e dove gli altri evangelisti narrano della istituzione dell’Eucarestia, (che Giovanni fa nel capitolo 6), Giovanni racconta la lavanda dei piedi: ricordate quanto ha insistito su questo punto. La lavanda dei piedi è la rivelazione di un Dio che si fa servo nel Figlio, che per primo si china nel servizio liturgico. Questa è la liturgia, questa è l’eucarestia sul mondo: la donazione di sé , compiuta da Cristo, applicata su tutto il creato (Teilhard de Chardin), il suo consumarsi nell’amore. Questo è il modo di amare di Dio. E noi siamo come Israele dopo l’esilio di Babilonia: non c’è più il tempio, il tempio siamo noi e ci è chiesto di offrirci a Dio, di dirgli questo è il mio corpo e questo è il mio sangue. L’eucarestia è la nostra vita che viene offerta. Consumarsi nell’amore. Far capire con la nostra vita chi è Dio. La testimonianza è avere quell’amore nel mondo che lui ha: amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. Questa ci ha detto padre Francesco è la liturgia. Ciascuno di noi è chiamato a trovare, sono sempre parole di Padre Francesco , nella propria vita i luoghi, i tempi e i modi di consumarsi nell’amore per apparire, agli occhi degli altri uomini in mezzo a cui viviamo, come della gente guardando la quale si capisce qualcosa di chi è Dio.
Passo la parola a Padre Massimo al quale abbiamo chiesto una riflessione sul “senso cristiano ed ecclesiale dei sacramenti nella loro diverse dimensioni: simbolica, salvifica e profetica” .
Padre Massimo Fusarelli: Buongiorno a tutti, sono contento di essere con voi perché mi permette di rinnovare un legame con voi e come occasione per riprendere in mano una tematica importante che è presente in noi ma che di tanto in tanto è bene riportare alla mente, rianimare anche in questo momento di Chiesa in cui mi sembra che per il discorso liturgico sacramentale c’è un momento di respiro, anche a 50 anni dalla Sacrosanctum Concilium speriamo ci sia la possibilità per una rilettura più serena e non solo fra continuità e discontinuità con il Vaticano II, ma guardando decisamente avanti.
Parlare dei Sacramenti nel discorso che ho visto fate quest’anno è un mare immenso. A me interessa cogliere due nodi parlando dei sacramenti: da una parte la fondazione teologica ( in Dio, nel Mistero nella rivelazione ) e dall’altra parte la radicazione antropologica ( i sacramenti sono per l’uomo per la storia, per la creazione).
I sacramenti, come dice la teologia classica scolastica medioevale, lo abbiamo imparato al catechismo, sono composti di forma e materia, un elemento visibile ed un elemento invisibile. La Grazia dei sacramenti si comunica a noi attraverso gesti, azioni rituali, elementi fisici (pane vino acqua, olio); ecco è proprio questa fisicità dei sacramenti ad avere le radici nella fondazione teologica, i sacramenti attingono alla rivelazione di Dio al suo Mistero, e alla radicazione antropologica, cioè l’uomo, la creazione, la storia non è ciò che viene dopo l’iniziativa di Dio, non è un semplice destinatario (di modo che il mistero di Dio sarebbe conservato nella sua assolutezza) , ma Dio crea, salva, comunica se stesso al mondo, all’uomo, come primo partner del suo modo di essere. Ma il modo di essere di Dio , ce lo dice la Trinità, è semplicemente quello della relazione, del dono; quindi l’uomo, il mondo non sono dei destinatari passivi di una salvezza atemporale, fuori dal tempo, ma l’uomo, il mondo, la creazione sono già dentro la logica stessa di essere del modo di essere di Dio e della sua comunicazione.
Vorrei dare ragione con alcuni elementi di questa che è la struttura essenziale dei sacramenti, (siamo sul piano del catechismo , della catechesi), ma cerchiamo di leggere con sapienza questi elementi.
Quando parliamo dei sacramenti attingiamo innanzi tutto all’economia della rivelazione, come ci hanno insegnato a dire i Padri della Chiesa, cioè a quel complesso di gesti e di parole con cui Dio si è rivelato all’uomo, mondo.
La rivelazione di Dio non è appena una comunicazione di verità , ma è una economia sacramentale, cioè una economia, un piano, un progetto fatto di gesti e parole, come dice la Dei Verbum e lo vedremo più tardi, intimamente connessi.
Questa economia della rivelazione non ci raggiunge solo razionalmente come un contenuto dottrinale, ma ci raggiunge in un luogo che chiamiamo sintetico e simbolico che è quello dell’esperienza liturgica.
La liturgia della Chiesa è il luogo sintetico e simbolico dove noi siamo raggiunti dall’ economia sacramentale della rivelazione e possiamo rispondere.
Desidero sciogliere questa espressione che può essere un po’ densa:
Cosa vuol dire che la celebrazione liturgica dei sacramenti è il luogo sintetico dell’economia sacramentale: perché nella celebrazione liturgica dei sacramenti noi ogni volta abbiamo in sintesi tutta l’economia della rivelazione, vale a dire dalla creazione fino all’escaton, all’attesa del ritorno del Signore, alla consumazione della storia, attraverso il cammino di Israele, e quel culmine che è Gesù Cristo per noi cristiani, nel cammino poi della Chiesa e del mondo. Nella Liturgia , nella celebrazione liturgica dei sacramenti, noi abbiamo in sintesi tutta questa economia sacramentale.
Ed è il luogo simbolico: perché simbolico? Sappiamo il senso profondo della parola “simbolo” che viene continuamente riapprofondito anche dal punto di vista della moderna ermeneutica, semeiotica, simbolo è una parola molto intensa, vuol dire ciò che tiene insieme elementi diversi della realtà. La celebrazione liturgica dei sacramenti ci fa tenere insieme il Mistero di Dio (certamente invisibile agli occhi carnali ) e la realtà, l’ esperienza, la vita, gli elementi non solo dell’uomo ma di tutta la creazione.
Continuamente la celebrazione liturgica tiene insieme questi elementi: invisibile e visibile , il cielo e la terra , tanto per essere chiari; e come li tiene insieme?
La liturgia, come ogni azione rituale simbolica, non serve a niente, è tempo perso. Perché ci dobbiamo vestire in quel modo curioso, fare dei gesti fuori dal tempo come danzare ( ci sono aspetti liturgici molto simili alla danza), perché usare incenso, profumi, luci , che senso ha. Non ha nessun senso. Si potrebbe fare molto di più in quel tempo per la carità, per i poveri ( chi dice questo di solito non dice mai lo faccio io, ma lo dice perché lo debbono fare gli altri)
La liturgia, proprio perché è azione rituale simbolica è inutile è tempo sprecato: è come ogni gioco. Il gioco a cosa serve. Non è tempo sprecato? Già i romani dicevano: Carmina non dant panem; la poesia , l’arte non è che ti dà profitto. E’ tempo sprecato.
La liturgia proprio perché è “ inutile” , perché non è immediatamente funzionale, perché è un tempo del gioco, ludico, nel senso più alto, coinvolge tante dimensioni dell’umano, del corporeo, dello storico, toccate dall’iniziativa di Dio, trasformate da essa e proprio per questo rinviate, cariche, ricche di senso al mondo, alla vita, alla storia. Proprio perché è azione rituale simbolica quindi inutile, non funzionale, la liturgia ci dice, ci annuncia, ci rende presente il modo di comunicarsi di Dio.
Dio ha creato il mondo, perché? per piacere, perché ha amato il mondo, l’amore è insano. L’amore non ha ragione fondata, esiste e basta. Così è per l’azione liturgica. Questo non possiamo dimenticarlo perché una certa visione più religiosa ha portata a vedere i sacramenti molto in relazione al risultato: la salvezza dell’anima va cosificata, i meriti cosificati, l’obbligo il precetto liturgico cosificato, sottraendo questi momenti a questo spazio di libertà.
Voglio vedere con voi questo foglio6 che ho preparato e che poi vi lascio, contiene alcune indicazioni sui sacramenti per ulteriori vostri approfondimenti.
C’è uno specchietto che ci fa vedere la logica dei sacramenti in tre momenti fondamentali dell’opera lucana. Anche per questo troviamo una sostanziale continuità fra i tre testi. Ci fermiamo proprio sullo specchietto:
Sono tre testi che conosciamo bene: “I discepoli di Emmaus”, “Il Battesimo dell’Etiope da parte di Filippo” e la “conversione di Saulo”. Ho messo tutto a tabella in modo che visivamente il tutto è più chiaro.
Sono momenti dove la comunità delle origini ha narrato la sua esperienza sacramentale: nel Battesimo, nell’Eucarestia, nell’incontro con Cristo.
Quali sono elementi comuni : nel tempo della Chiesa da Gerusalemme a Emmaus, Gaza, Damasco, l’uomo incontra la rivelazione, o meglio Dio incontra l’uomo al quale si vuole donare sempre in un luogo preciso, concreto, non sempre centrale; Emmaus tutt’oggi è un oscuro villaggio, Gaza sappiamo oggi quello che è, così come Damasco in questo tempo; sono luoghi drammatici, luoghi difficili, luoghi dove seppure nelle tensioni continua la vita, continuano gli amori, continuano i figli. Cioè sono i luoghi della vita.
In questi luoghi c’è una iniziativa divina, sempre: del Risorto che a Emmaus non lo riconoscevano, ma Lui si mette sulla loro strada, cammina con loro ; dello Spirito del Risorto, l’Etiope legge le scritture ma non le comprende, gli manca la chiave d’accesso, gli manca la password, non ce l’ha, il suo spirito è chiuso; e nella conversione di Saulo l’iniziativa del Risorto che chiude gli occhi di Saulo che pensavano di vedere troppo di sapere tutto del modo in cui Dio si rivela (per Saulo Dio si rivela solo attraverso l’osservanza della Torà) ed invece i suoi occhi vengono chiusi per riaprirsi ad una nuova sapienza.
Entrando nell’aspetto più proprio, che noi diremmo sacramentale, questi tre testi cosa ci offrono: l’annuncio della Parola, il Kerygma, che è la mediazione della Chiesa. Quando parliamo di mediazione della Chiesa, soprattutto dal 1700 in poi con l’apologetica, noi pensiamo alla Chiesa con tutta la sua pesantissima struttura. Mediazione della Chiesa è innanzi tutto è mediazione di una Parola. Dio ci rivolge la sua Parola non in modo diretto, assoluto, ma attraverso una comunità che già ha ricevuto questa Parola e cerca di viverla: Parola annunciata.
Gesù ai discepoli di Emmaus , viandante misterioso, racconta dalla legge e dai profeti tutto quello che riguardava il Cristo; li accompagna ad una nuova lettura , ad una nuova interpretazione della Scrittura.
Filippo dice all’Etiope: tu non comprendi il rotolo di Isaia dove parla del servo sofferente, e gli comincia a raccontare di Gesù nel quale quel servo sofferente si compie. Ecco la chiave ecco la password.
A Saulo è Gesù stesso che dice “Io sono Gesù che tu perseguiti”
C’è una concentrazione cristologica formidabile nella ricerca e nella tensione di Saulo di Tarso.
Parola annunciata. Capite quanto è importante nei Sacramenti la parola annunciata perché siano cristiani ed ecclesiali? I sacramenti non sono segni gesti magici che funzionano da soli; il rischio è altissimo nella mentalità religiosa. C’è sempre un kerygma, una Parola annunciata , un annuncio fondamentale di Cristo crocifisso e risorto, il Mistero Pasquale. Padre Pio Parisi ci ha allenati a questo. Il Mistero Pasquale che non è un moloc misterioso, ma è la vita concreta di Gesù di Nazareth non solo nel momento finale della Pasqua, ma tutta la sua esistenza è stata un “passaggio” ed un “patire” che si compie in Gesù.
E’ questa parola annunciata che mette in cammino i discepoli la comunità che fa memoria di questi eventi ; “resta con noi “ dicono i discepoli di Emmaus, perché si fa sera.
L’etiope dice”cosa mi impedisce di essere battezzato?” Sente sua questa Parola, tocca la sua vita.
Paolo, che non era poi un tipetto facile, dice“ Che debbo fare?”
La parola annunciata suscita, muove , apre orizzonti nuovi. Oggi facciamo molta fatica a fare questa esperienza su di noi e anche, parlo da presbitero, nella nostra cosiddetta azione pastorale. Noi non stiamo con la gente, noi facciamo azione pastorale e quando parliamo questo linguaggio un po’ formalizzato cerco sempre di smontarlo perché posso parlare un’ora senza dire nulla.
La nostra vita suscita queste domande? Resta con noi (nostalgia) , allora dammi il Battesimo (desiderio) , che debbo fare ?
Ecco di nuovo la mediazione della Chiesa: nel sacramento è la Parola celebrata.
La Parola annunciata, che è l’intervento di Dio nella storia, verso l’uomo, nella creazione, non può rimanere solo Parola, Verbum, concetto , dottrina, verità, (la nostra formazione greca), ha bisogno di diventare Parola celebrata, cioè “ Parola agita insieme”. Celebrare significa “frequentare insieme”.
Diamo insieme corpo a questa Parola, altrimenti questa Parola tocca o solo la mente o solo le emozioni che cambiano, e non raggiunge tutta la persona. Frazione del pane a Emmaus, Battesimo dell’Etiope e Ananìa, questo discepolo che aveva una paura matta si Saulo, gli impone le mani.
Questi gesti, versare l’acqua, spezzare il pane, imporre le mani, sono i gesti dei nostri sacramenti, agiscono quella Parola annunciata.
Scomparsa del testimone: il Risorto scompare dalla tavola dei discepoli di Emmaus, Filippo scompare; l’Etiope deve continuare da solo il suo cammino, Ananìa lo stesso non ha più nessun seguito nella vita di Saulo.
La prima mediazione è quella ecclesiale, ma non quella ecclesiastica; non so se si coglie la sfumatura. Ecclesiale è quella della Chiesa che celebra la Parola, la agisce e poi rinvia, ma non ecclesiastica ,cioè individuale sia di soggetti individuali sia di soggetti comunitari.
Vediamo il rischio che un gruppo, una comunità, un movimento, un ordine religioso si metta al posto di, cioè assorba in se tutta la dimensione sacramentale; la Chiesa rinvia , rimanda, la Chiesa è luogo simbolico per fare spazio ad una presenza, ma non fermare a sé, mai.
Mediazione della Chiesa: Vita missionaria. La Parola annunciata, agita nella celebrazione diventa vita vissuta. Allora cosa vuol dire questo , che il rito non è fine a se stesso ma è il modo in cui Dio dialoga con l’uomo perché la sua vita sia rinnovata.,.trasformata, lievitata.
La riflessione teologica medioevale ha fatto sì che la Liturgia, cioè tutto l’insieme delle azioni simboliche, (pensiamo alla Messa con cui abbiamo più familiarità), a cosa serve la Messa? A produrre ostie consacrate.(scusate la banalità) Non è che ci domandiamo: ma la nostra comunità partecipa alla Mesa in modo consapevole? No ci domandiamo piuttosto quante comunioni vengono distribuite in un mese, in un anno, ogni domenica? E’ una domanda comprensibile perché un qualche risultato lo si deve pur vedere, toccare. Ma è l’idea che la liturgia è un contenitore di sacramenti. Cioè l’azione liturgica complessiva alla fine deve produrre battesimi, cresime, comunioni. Banalizzo un po’, ma questa mentalità è molto frequente in noi.
Il passaggio che il Vaticano II oggi ci ha dato di fare è di vedere come tutta l’azione liturgica è sacramentale ed è già quella azione rituale il luogo in cui noi siamo raggiunti dall’azione di Dio, che ci rimanda alla vita. Già la celebrazione ha una dimensione sacramentale e ci dice che tutta la vita ha questa dimensione sacramentale. Che cosa vuol dire in fondo: che Dio si rivolge all’uomo, suscita la sua libertà; Dio parla all’uomo non dall’alto, imponendo alla libertà dell’uomo una scelta, ma Dio si rivolge all’uomo suscitando la risposta. Questo suscitare la risposta che è lungo nei tempi, nelle modalità, che non è lineare, è proprio quella che chiamiamo economia sacramentale di cui la celebrazione liturgica dei sacramenti (dicevo all’inizio) è luogo sintetico , simbolico, ma non assorbe tutto. Questo poi ritorna nella vita.
La vita ha una dimensione sacramentale anche per chi non condivide la fede. Ha una dimensione simbolica vale a dire, e tiene insieme elementi differenti che non si lasciano ridurre ad una sola dimensione: quella terrestre, quella scientifica, quella religiosa, no; quella emotiva, quella razionale, no; la vita tiene insieme in tensione costante , non in modo armonico prestabilito come noi vorremmo, ma in tensione costante le polarità diverse della vita. La celebrazione liturgica dei sacramenti è questo simbolo di queste polarità; per questo quando tanti dicono “come sono stato bene padre in questa Messa padre “ mi preoccupo, perché vuol dire che gli ho dato un tranquillante, gli ho dato una liturgia che ti fa stare bene.
E’ vero, ognuno di noi ha bisogno di stare bene, di rilassarsi, però ci sono altri modi, e non è che ogni volta si debba uscire angosciati da una celebrazione, da una Messa. La liturgia dunque deve certamente essere una esperienza di pace, ma aperta verso, aperta oltre, in cammino.
Il passo di Paolo, dei discepoli di Emmaus, dell’Etiope è sempre in movimento, in cammino; non mi deve mai far quietare in senso passivo, statico, perché questo è la morte, è la fine della Chiesa.
Mi piace qui ricordare la nostra bella definizione dei Sacramenti del catechismo :
“I sacramenti sono segni efficaci della Grazia istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa attraverso i quali ci viene comunicata la vita divina”.Qui ci sarebbe da discutere per anni perché con tutto il rinnovamento teologico del 1900 non siamo arrivati ad una definizione nuova ; quella scolastica resta la più sintetica.
I sacramenti sono segni, cioè azioni sensibili, celebrazioni; si sente dire : io mi confesso da solo, ma io penso tanto a Gesù e ce l’ho dentro di me, io invoco tanto lo Spirito e ce l’ho dentro di me. Non obietto su questo, ma la logica della rivelazione è un’altra, vuole toccare la tua carne , la tua vita, il mondo, il pezzo di storia che tu abiti.
C’è un articolo di Andrea Grillo, un teologo laico, padre di tre figli, il cui pensiero è molto vivace, che recupera una bella definizione di San Tommaso d’Aquino che dice:” Sensus autem non potest esse sine tactum” (non si dà senso senza il tatto) e continua S. Tommaso : “il tatto è il fondamento di tutti i sensi”.
Se tu non tocchi qualcosa non hai contatto con la realtà . E l’organo del tatto dice Tommaso non può essere un corpo aereo ma deve essere un corpo corporeo, storico.
I sacramenti sono segni vuol dire che Dio si rivolge a noi, parla a noi toccando la nostra umanità, la nostra corporeità. Vedo che quando amministro il sacramento della riconciliazione,quando posso imporre la mano, almeno toccare lievemente il capo con la mano è importante ; non è un perdono così, deve essere una mano di tenerezza, di misericordia, io sono peccatore ma sono toccato, questo vale soprattutto per i malati, per le persone sole.
Ecco: la salvezza ci raggiunge corporalmente. La nostra teologia, soprattutto la nostra spiritualità, ha avuto molti problemi con il tatto. Perché non si tocca. Guardate le vesti di noi religiosi, sono fatte apposta per isolarci, e dietro a questo c’è tutta una visione su cui oggi non ci soffermiamo. Ma i sacramenti sono segni e ci rimanda al toccare e ci dice che la Grazia ci raggiunge solo in modo contingente ( che non vuol dire solo non necessario) ma “cum tactum”, ci raggiunge con il tatto la Grazia.
I sacramenti sono segni efficaci: noi effici lo abbiamo tradotto “ex opera operatur”: il presbitero quando celebra anche se in peccato mortale celebra validamente poiché è Cristo che agisce. E questo va bene . Ma dalle condizioni di validità ci siamo dimenticati di passare alle condizioni di verità.
S. Giovanni Crisostomo, quando era arcivescovo di Costantinopoli, capitale dell’impero, e diceva nelle sue omelie che gli sono costate due esili , ed il secondo gli è costato la vita, diceva alle matrone che entravano nella basilica: “riesci appena ad entrare in basilica appesantita come sei dai tuoi gioielli inutili”; ed agli uomini diceva: ” a cosa serve che offriate scudi d’oro per la basilica, tovaglie per l’altare croci d’oro , se poi Cristo non ha dove bere, non ha dove mangiare fuori della basilica? A cosa serve offrire calici d’oro se Cristo non ha neanche una ciotola, e si riferisce ai poveri. Ecco questa condizione di verità dei sacramenti è altrettanto importante quanto la condizioni di validità.
I sacramenti sono segni efficaci della Grazia: che cos’è la Grazia. La Grazia è il Mistero Pasquale in azione; è il Cristo crocifisso e risorto che nel suo Spirito qui e ora ci raggiunge ecco la Grazia che ci incontra e ci salva.
Istituiti da Cristo: Cristo non è un notaio che ha istituito i sacramenti, ma i sacramenti sono gli atti, le azioni di Cristo che ci raggiungono (ecco lo specchietto) attraverso la mediazione della Chiesa, ahimè, lo so siamo poveretti, ma le sue azioni raggiungono attraverso la parola annunciata, celebrata e vissuta. Sono segni, atti di Cristo, affidati alla Chiesa. La Chiesa, dice un adagio, fa i Sacramenti ma la Chiesa è fatta continuamente dai Sacramenti, è resa Sacramento dai Sacramenti , cioè la Chiesa non fa azioni rituali.
Sto leggendo un bel libro sulla antichità cristiana dei primi 4 secoli,( soprattutto il 4° e 5° secolo è stato il mio ambito di studio), di uno storico francese dal titolo “La caduta degli ultimi pagani”in cui si narra il passaggio dal paganesimo al cristianesimo; li si vede come i riti civici del paganesimo romano ellenistico erano completamente staccati da una sensibilità interiore. Erano riti civici che mantenevano la città, proteggevano lo Stato, la Repubblica; questo era molto forte nella pietas romana. I cristiani diranno bene, adesso la città la conserviamo noi con i nostri riti.
Noi, soprattutto noi latini occidentali, abbiamo preso molto della mentalità romana: i riti vanno eseguiti in modo perfetto. E’ la mentalità romana, qualcosa abbiamo mantenuto. Ecco, non basta eseguire riti, sacramenti occorre lasciarsi fare, lasciarsi trasformare, lasciarsi raggiungere nella dimensione corporea, storica; attraverso i quali (questi segni, atti di Cristo affidati alla Chiesa) ci viene comunicata la vita divina. .
I sacramenti non sono fini a se stessi, Dio non ha bisogno del nostro culto, i sacramenti sono ordinati alla vita dell’uomo, della creazione, della storia, per suscitare la fede.
E concludo riprendendo alcune sottolineature, che trovate nel retro del foglio che vi ho dato, sotto il titolo “La corporeità della storia della salvezza:
Israele “Sacramento” di Dio nella storia: questo piccolo popolo fa vedere ai popoli l’iniziativa di Dio
Cristo Sacramento originale : è Lui l’origine, il significato, il centro dei sacramenti
Chiesa Sacramento principale: sacramento principale e non unico. Immaginate se la Chiesa fosse sacramento unico solo chi entra nella chiesa cattolica è salvo e Dio non raggiungerebbe con la sua azione di salvezza gli altri uomini. San Tommaso diceva: “Dio non è legato ai sacramenti”, cioè la sua economia sacramentale è più grande dei Sacramenti storici. Alcuni super cattolici tendono a dimenticarlo, o forse più semplicemente non lo sanno.
Uomo Sacramento esistenziale : l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio è nel mondo sacramento, segno dell’agire di Dio verso gli uomini . Promuovere la libertà dell’ uomo è promuovere l’immagine di Dio. Ma questo lo dicevano anche i Padri; Gregorio di Nissa nel 4° secolo scriveva: “l’immagine di Dio è deposta nella libertà dell’uomo”. Bellissimo. Ci sono voluti mille anni per togliere la schiavitù, però il seme era stato messo. Subito i cristiani si sono adoperati per far abolire i giochi gladiatori che erano terribili, feroci, e così molte altre pratiche. C’è stata una cristianizzazione delle pratiche, ma sulla schiavitù i cristiani non hanno mai detto niente. Io in Brasile ho trovato documenti in cui i frati, fino a poco più di 150 anni fa, ancora si interrogavano su quanti schiavi dovessero impiegare in ogni convento in funzione della estensione delle terre in dotazione a quel convento ( C’era tutta una proporzione fra numero di schiavi e ettari di terra. . Nel leggere questo, con la sensibilità di oggi, mi sono sentito un po’ a disagio. Però il seme della libertà dell’uomo era stato posto.
La Creazione come parola e segno Il creato è la prima parola , il primo segno del divino che ci rimanda a Cristo Sacramento originale, alla Chiesa. C’è una circolarità.
Vi ho voluto dire un po’ di cose sparse, richiamare alcuni fondamenti, non fare subito una applicazione, ma dare un po’ i criteri, i metri di misura, perché ognuno continui poi la propria ricerca in modo personale.
Da questa visione un po’ si respira, sono cose che voi sapete ma che ho voluto rimettere in ordine e su cui è bene fermarsi a riflettere di tanto in tanto.
Vorrei concludere con la citazione della Dei Verbum che trovate alla fine della prima pagina di questo foglio che vi ho lasciato.
Questo testo, mi piace dirlo, è stato scritto in questa forma da un nostro frate, Padre Umberto Betti, teologo, che è stato fatto cardinale in extremis poco prima di morire, ma a lui non interessavano questi riconoscimenti, ha preferito dire sempre liberamente il suo pensiero.
Ecco, qui c’è un po’ la sintesi di quello che ho cercato di dirvi oggi (Dalla Dei Verbum 2):
“L’economia della rivelazione avviene (avviene cioè nella storia, vedete il radicamento) con eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza,( la creazione, Israele, Cristo ecc.) manifestano (fanno vedere) e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole,( si parte dalla storia, dagli eventi, non da una dottrina atemporale ) e le parole dichiarano le opere( non le esauriscono , non le spiegano, le dichiarano) e chiariscono il mistero in esse contenuto.(E’ come dire che l’azione, la vita , il mondo, l’uomo , la creazione viene prima di qualsiasi dottrina. Dio ci raggiunge – mi dispiace per tutti gli spiritualisti- solo attraverso la nostra povera carcassa, attraverso la nostra umanità, i nostri sentimenti, il nostro tatto, i nostri sensi, la storia, la vita , questa povera comunità che è la Chiesa, che sono le nostre realtà. La salvezza di Dio si è attaccata a questo scoglio che è la nostra umanità, il mondo la creazione. Mi sembra la parola più bella per dire i Sacramenti nella prospettiva cristiana.)- -
Franco Passuello: il nostro incontro continua con 5 minuti di silenzio, poi apriamo il discernimento le domande. Non vi debbo ricordare Pio che ci ripeteva le parole del Salmo 37 : Sta in silenzio davanti a Dio e spera in Lui
Padre Massimo credo ci abbia regalato una comunicazione che da tempo non sentivo; per chi vuole si apre il punto che nella traccia abbiamo indicato come “discernimento spirituale sul mondo”: una comunicazione fra di noi. Padre Massimo ci ha sottolineato che l’economia dei sacramenti vive nella storia e in diretto rapporto con la storia , con il mondo.
Giulio Cascino: ascoltando anche stamane la riflessione sui Sacramenti ho avuto la sensazione che nella Chiesa è necessario un cambiamento profondo di mentalità e di prassi che si è consolidata nei secoli; con il nuovo Papa questo cambiamento sembra ancora più urgente :occorre ritornare a qualcosa che si era perso.
Ma qual è il motivo per cui c’è stato un graduale allontanamento dalla fede autentica e come mai il Concilio è rimasto congelato? La risposta che mi dò è che motivi di potere e di uso politico della religione hanno allontanato dalla via maestra la Chiesa. E quali sono gli strumenti per fare questo percorso di riscoperta di questi valori originari?
Ecco allora le mie domande: Come mai ci si è allontanati, e come si fa a ritornare ai valori originari del Vangelo.
Edmondo Cesarini7: Nella Messa, all’offertorio, portiamo all’altare la nostra offerta, che è tutta la nostra realtà umana (sofferenza, lotta, difficoltà, peccato, impegno, angoscia, divisioni,aspettative, gioie, speranze, disillusioni, frustrazioni,amore, ambivalenze, sicurezze,fallimenti, paure, lutti, odi, invidie,insofferenze, scoramenti, disperazione, solitudine, entusiasmi, rabbie, pietà, passione, compassione...). Tutta questa nostra umanità è la materia – il pane e vino, che sono frutto della natura e delle nostre azioni – che lo Spirito di Carità “transustanzia” in Corpo di Cristo, la Chiesa.
E’ la dinamica fondamentale dell’essere cristiani:nella vicenda eucaristica la nostra umanità trova il suo significato esistenziale ed il suo trascendimento nella partecipazione al Corpo di Cristo.
Ogni volta quest’umanità combattuta nell’agonia della vita, angosciata dalla vanità della morte, ridiventa Corpo, quello su cui “la morte non avrà vittoria”, quello che è il significato, il senso, lo scopo dell’esistenza umana.
Il momento dell’offertorio riassume il passato perché si offre quello che si è stati, la nostra umanità, la nostra sofferenza, la nostra vita. Ma offrire la propria vita non è facile: significa anzitutto averla “accettata”, perché si può offrire solo quello che si ha, quello di noi che si è accettato, superando il senso di ribellione alla vita che ci assale quando vogliamo essere diversi da quello che siamo. E si può offrire solo quello da cui si è disponibili a separarsi, superando la tentazione di tenerci strette “come un tesoro geloso” le nostre ricchezze (potere, ambizione, benessere, soddisfazioni...): quello che non siamo disposti a “vendere e dare ai poveri”, non entrerà a costituire il Copro di Cristo.
Il momento della Comunione impegna il futuro, perché partecipando al Corpo di Cristo, cioè la Chiesa, accettiamo l’impegno a partecipare al progetto d’amore che questa appartenenza implica. Alla comunione partecipiamo a tutta l’umanità, nella comunione riunita e fatta sacra dall’Eucarestia: cioè accettiamo la condivisione dell’umanità del prossimo, che è il massimo impegno etico, il “ compimento di tutta la legge”.
Anna D’Ottavi : volevo semplicemente una delucidazione perché forse ho perso qualcosa : quando lei parlava che i Sacramenti, la Messa, il gioco sono inutili, cioè è una perdita di tempo. Siccome ho la grazia di lavorare in un luogo bellissimo dove dell’arte sacra si è fatto oltre che un lavoro anche un aiuto a pregare, non la vedo così tanto una cosa inutile; inoltre essendo anche mamma ricordo che il gioco per i bambini era fondamentale. Probabilmente ho capito male. Non vorrei essermi persa qualcosa.
Franco Passuello: siccome mi sembra che ci sia un equivoco, darei subito la parola a Padre Massimo per un chiarimento.
Padre Massimo Fusarelli: iniziamo dall’ultima domanda.
Inutilità della liturgia lo dicevo in senso positivo. La liturgia è inutile! Perché dobbiamo fare quei riti , quei gesti, perché dobbiamo cantare inni esporre una icona? Dicevo in senso funzionale stretto si farebbe meglio a servire i malati in quell’ora oltre che buttar soldi per mantenere le strutture delle chiese ( lì a Frascati debbo ristrutturare il presbiterio e siccome abbiamo una mensa per 70 persone qualcuno già mi ha detto: ma lascia perdere . Ed io di rimando, ma non ti preoccupare faremo l’uno e l’altra cosa). L’inutilità della liturgia vuol dire appunto che, come il gioco, l’arte, il canto, non è immediatamente riducibile ad un immediato opus, al fare dell’uomo, fare che non esaurisce tutto l’essere dell’uomo. La liturgia, l’arte, il gioco ci dicono che c’è un altro, un oltre, per questo sono importanti, fondamentali.
Anche noi rischiamo di far perdere alla liturgia questo carattere giocoso, inutile, volendola a tutti i costi finalizzare; anche la fruizione morale della Messa : “è importante che tu vada a Messa perché così sei più vicino a Dio” , è un po’ una finalizzazione , e non ci rendiamo conto invece che è Dio che è vicino a noi, sempre.
In confessionale mi dispiaccio quando devo sentire persone che si disperano per non aver potuto andare per una volta a Messa, quando magari hanno frequentato la celebrazione della Messa per una vita. Hanno un così forte senso del precetto domenicale che sentono questa come una mancanza grave. Dovremmo invece dare il senso della libertà dell’azione di Dio , della inutilità della Liturgia, cioè non dovremmo neanche sottoporre la liturgia all’obbligo di un precetto. Io bacio mio figlio perché sono obbligato da un precetto? E’ evidente che non è così! Ugualmente non ha senso che uno porti i fiori alla moglie per obbligo. Lo stesso vale per il nostro rapporto con Dio. Inutilità della Liturgia in questo senso.
Alla domanda (Giulio Cascino) sul perché della riduzione della fede rispetto ai valori originari, non è facile dare una risposta in poco tempo. Provo a darvi alcuni cenni.
Ci sono di mezzo ragioni storiche, filosofiche, incontri con culture altre; potremmo parlare che l’unica inculturazione che alla Chiesa è riuscita è quella con l’ellenismo. Non c’è un’altra inculturazione che veramente sia riuscita, e questa è una grande domanda: Il logos greco è riuscito a dire qualcosa del logos di Dio, a trasmetterlo, a dirlo, non ad esaurirlo. Cosa è avvenuto in certi passaggi della storia, nel passaggio dal primo al secondo millennio? Poi quando parliamo di Chiesa latina è un conto, di Chiese d’Oriente è un altro; cosa è successo nella nostra scolastica cioè nel 1200/1300, cioè nel passaggio dalla teologia monastica a quella scolastica? Cosa è successo dal 1300 in poi con l’Umanesimo, con il Rinascimento?. La Chiesa ha combattuto tanto il pensiero moderno, da Cartesio a Kant, ma la teologia cattolica è il miglior frutto del pensiero di Cartesio. Se voi aprite un manuale di teologia che molti preti ancora in servizio hanno studiato,almeno fino a metà degli anni sessanta, vi accorgerete che Cartesio ha stravinto. Tutta la teologia era una serie di tesi e antitesi: alla tesi “ Deus Unus Est”:venivano portate tutte le argomentazioni contro ed a favore della tesi proposta fino a concludere: Deus Unus Est. Ecco che mentre facevamo polemica con il pensiero moderno di Cartesio, ne venivamo poi influenzati. Quella riduzione cui lei accenna nella sua domanda è frutto della modernità, della apologetica della fede ; parliamo soprattutto dal 1300 e in modo massiccio da 1600 in poi: dal 1780 al 1815 c’è stato in Italia, soprattutto in Toscana con i Lorena ( i granduchi erano molto aperti a questi venti del Nord) , c’è stato il primo sintomo forte, ma già incubava la distanza dalla religione ufficiale. Sono gli effetti del razionalismo di Cartesio, e più avanti Kant. La fede, la teologia sono state dentro la storia . Però nello stesso tempo sotto traccia nella Chiesa, nel pensiero cristiano ci sono stati, sotto traccia dicevo, torrenti carsici, e soprattutto quella che è la spiritualità (che non è spiritualismo), l’esperienza cristiana vissuta, i Santi , non solo quelli canonizzati. Alcuni passaggi: quello che ha fatto San Vincenzo de Paoli, per esempio, vale più di una biblioteca di teologia, cioè ha tirato fuori le suore dalla clausura; non gli ha fatto fare i voti, non gli ha dato un abito, portavano solo quel cappellone perché era il vestito delle contadine francesi dell’epoca. Non le ha messe dentro una clausura dicevo, e questa era una idea altra rispetto alla consacrazione che ha fatto saltare tante croste che nei libri, nella pratica di certa predicazione, sono saltate secoli dopo. Ma lì c’è stata come un soffione d’acqua calda che all’improvviso è schizzato fuori. Ora non voglio fare “cicero pro domo sua”, ma San Francesco, dico san Francesco non in francescani, è una di queste esplosioni del Vangelo che resta come un fiume carsico. Il Vaticano II, con tutto quello che lo ha preparato, sicuramente è stato una di queste esplosioni che evidentemente cerchiamo subito di attenuare. Questo perché quel tipo di criterio, di criteriologia, razionale da una parte, e dall’altra di altro genere, ogni tanto riemerge.
Ho studiato i Padri della Chiesa, per obbedienza ai miei superiori, e dopo aver studiato la teologia molto a contatto con alcuni teologi come Karl Rahner , ricordo che un giorno( dopo aver letto un libro di Rahner sulla sacramentaria ) corsi in stanza da un compagno per fargli vedere come mi si fosse aperta un’altra possibilità di pensare e per me da quel momento cambiava tutto;per me è stata come la notte di fuoco di Pascal. Mi si è come aperta un’altra possibilità di pensare, di leggere che è soprattutto questa unità fra elemento teologico e elemento antropologico. E cioè che l’uomo non è il destinatario passivo dell’azione di Dio che deve solo applicare moralmente ,ma che l’uomo già con la sua esistenza storica , per dirla in modo impegnativo per la sua esistenza esperienziale, per l’atto stesso di esistere, è già segno, è già sacramento di Dio. Per me questa è stata una cosa che mi ha aperto, mi ha illuminato. Abbiamo tanti passaggi di questo genere nella storia della Chiesa. Oggi, grazie soprattutto a Von Balthasar, la teologia si degna di guardare anche all’esperienza spirituale depositata soprattutto negli scritti di donne e uomini di fede come aventi un peso teologico. La teologia non è solo la dottrina, la filosofia il pensiero, ma anche l’esperienza cristiana credente. Qui c’è un grande passaggio: come fare per superare questo gap, bisogna tornare al Vangelo. Io da francescano non ho altro da indicare.
Ma questo Vangelo che è? Non è così scontato che noi credenti abbiamo vivo il senso del Vangelo, che non è solo il libretto. La paradossalità che il Vangelo chiede e manifesta è radicale.
Domani è la festa di Cristo Re e leggeremo che a Gesù sulla croce gli viene detto per tre volte “salva te stesso”. Chi può dare torto a queste persone? Dal ladrone cosiddetto cattivo agli altri che sono lì: hanno ragione!
Gesù sceglie invece di non salvare se stesso: Il Vangelo è tutto lì. Ma perché! Non c’è un perché, è pazzo, è fuori da ogni ragione : è la follia, infatti, della croce. Anch’io devo fare così! Non è che la assumo come una categoria morale, se faccio così divento nevrastenico.
Ricordo che Padre Pio raccontava che quando era al noviziato il maestro dei novizi li invitava ad “agere contra”: desideri bere ? Non bere. Desideri giocare? Fai il contrario: quello che la natura ripugna tu lo devi fare. Secoli di spiritualità austera. Chiesi a Padre Pio: ma qual è stato il frutto di questo tipo di spiritualità? La sua risposta fu: un’ ulcera perforante! Questa risposta è stata per me illuminante più di tanti insegnamenti.
Il Vangelo non è un imperativo morale, è un annuncio di liberazione, ma anche noi abbiamo ragionato per tanto tempo come Kant, e siamo molto più Kantiani di quello che pensiamo.
Nel medio evo, prima di Francesco, la teologia monastica ha ridato questo respiro, poi c’è stato S. Francesco. Ogni epoca ha avuto questi momenti di respiro.
Oggi la teologia di Papa Francesco è fatta di gesti, parole, lui è un pastore, sa sbriciolare cose che apparentemente sembrano semplici, ma c’è dietro una notevole profondità evangelica. Mi sembra un altro di questi soffioni d’acqua calda che di tanto in tanto esplodono.
Però noi abbiamo autodifese, soprattutto noi ecclesiastici, non da poco; perché questo capovolgimento non è mentale, ma è conversione; e il Vangelo resta paradossale, per tutti, a partire dai credenti.
L’offertorio ( è la domanda di Edmondo Cesarini) : nella liturgia rinnovata da Paolo VI quel momento della Messa non si chiama più offertorio, si chiama preparazione e presentazione dei doni. E’ un rito di passaggio, è vero, fra la liturgia della Parola e la grande preghiera Eucaristica, dove bisogna semplicemente preparare la mensa, disporre i doni sulla mensa per il sacrificio: nelle liturgie orientali questo momento è previsto prima della Messa e dura almeno mezz’ora; per noi romani, più pratici, dura tre minuti .
Nella Messa di Pio V che alcuni sembrano rimpiangere tanto, sia chi l’ha conosciuta , ma soprattutto chi non l’ha conosciuta , si chiama offertorio. Perché la preghiera: “ricevi Santa Trinità” era un testo a sfondo molto sacrificale. Cioè il Medio Evo ha interpretato la Liturgia, il tardo Medio evo soprattutto, ha interpretato la Messa come rappresentazione; la Messa è una celebrazione allegorica che rappresenta il Calvario; allora ogni parte della Messa era legata ad un momento del calvario. Il perché è dovuto al fatto che il popolo non capiva più niente della Messa per la lingua, per i gesti, per il silenzio. Allora bisognava trovare dei mezzi per imprimere nel popolo un senso di fede, di devozione.
Quando il sacerdote sale i gradini dell’altare è come Cristo che sale il calvario, quando si inchina si carica della croce: questa rappresentazione del calvario aveva un senso anche affettivo, devozionale, molto profondo. E’ una forma da rispettare perché su questo modo di celebrare la Messa si sono formate molte generazioni di fedeli, di cristiani, di santi. L’offertorio era il momento culmine in cui Cristo si prepara all’offerta, perché la chiave interpretativa della liturgia era quella di tipo sacrificale.
Il Vaticano II, grazie a tutta la teologia che lo ha preparato, ha parlato dell’Eucarestia più che come rappresentazione allegorica come ripresentazione, oggi, attuale, dell’unica Pasqua di Cristo nella forza dello Spirito, grazie al soggetto celebrante che è l’ assemblea presieduta da un presbitero. Non solo il prete, che faceva tutto nella vecchia Messa, ma una assemblea celebrante. Leone Magno 1500 anni fa diceva: “tutta l’assemblea concelebra”. Poi questo non è stato più detto. Anche questo di Leone Magno è uno di qui gettiti di acqua calda che poi scompaiono.
Secondo il messale le preghiere dell’offertorio debbono essere dette in silenzio, ( le diciamo a voce alta quando non c’è il canto, ma andrebbero dette in silenzio) è un momento molto sobrio. Ma queste preghiere: “Benedetto sei tu Signore...” sono testi ebraici che chi ha fatto la riforma liturgica ha preso( è la Beracà, la preghiera di benedizione): ”Benedetto sei tu Signore Dio dell’universo (il movimento è a Dio) dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, questo vino, frutto della vite, della terra e del lavoro dell’uomo, lo presentiamo a te (non lo offriamo , è Cristo che offre, noi presentiamo i doni) perché diventino per noi bevanda e cibo di salvezza.
Qual è il movimento: riconoscere che tutto viene da Dio, (Benedetto sei tu Signore) tutta la creazione, ciò che noi siamo, la nostra corporeità, il mondo viene da Dio, noi glielo restituiamo; non glielo offriamo propriamente, in senso sacrificale intendo, ma glielo presentiamo, glielo poniamo dinanzi perché ci venga ridonato come ragione di salvezza.
Cosa vuol dire:
Quel pane e quel vino sono un frammento della nostra creazione , della nostra vita, un frammento insignificante di per sé; un po’ di pane che di tutto sa tranne che di pane, ed un po’ di vino, sono frammenti della nostra realtà della nostra creazione già pienamente redenti. L’Eucarestia ci dice che il mondo, la creazione, la storia sono già nell’escaton , già redenti. E’ un’anticipazione . E’ come un raggio di luce nel buio in cui viviamo o nella penombra, che ci fa vedere, non ci sottrae alla penombra, ci fa vedere per continuare a camminare nella storia . L’Eucarestia non è la liturgia celeste che già ci ha portato di là, ci fa stare qua ma con questi lampi di luce.
Quel senso di offertorio, che capisco, l’offerta va recuperata ma non a partire dall’uomo che offre, ma a partire da Dio che offre se stesso e permette all’uomo di restituire. A me piace dire “restituire” perché c’è una linea di tendenza nella nostra fede, come in ogni religione, di tipo sacrificale, che è molto ambigua: non so se qualcuno ha letto gli scritti di Renè Girard, questo antropologo, dove la religione con il sacrificio chiaramente ha molto a che fare; ma il cristianesimo ci ricorda che il sacrificio unico perfetto, compiuto una volta per tutte, è quello di Cristo. E ci ricorda altresì che noi non dobbiamo vivere di sacrifici, di iniziativa dell’uomo per espiare un senso di colpa : qui bisogna sacrificare qualcuno perché il gruppo viva. Questa interpretazione della religione ha risvolti preoccupanti.
Quindi una visione sacrificale, in questo senso, dell’Eucarestia, che chi rimpiange il vecchio rito ha in mente (anche se nelle parole del vecchio rito c’è molto la dimensione sacrificale, ma non in questo senso, ma in senso biblico, teologico ) può essere ambigua.
Come recuperare: non è solo l’offertorio come passaggio rituale, ma è tutta l’Eucarestia che in quanto ripresentazione dell’unico dono di se, solidale con il Padre e con noi, che fatto Gesù Cristo, ci assume, grazie allo Spirito Santo, nel movimento di Gesù di restituzione al Padre. Ci assume con tutta la nostra intelligenza , sensibilità , umanità. Non siamo vittime inerti, passive come gli Aztechi che buttavano giù i nemici , i carcerati, chiaramente gli scarti, come sacrifici umani dalle loro piramidi, no,questo non è cristiano; o come chi si offre a Dio perché un altro sia salvo. Dio non ha bisogno di sacrifici umani.
Se sei dentro al dono di sé, solidale con il Padre e con gli uomini, in modo indivisibile, di Gesù, grazie allo Spirito Santo, sei in questa logica .
Liborio Oddo: Vorrei fare alcune considerazioni stimolato dalla chiara e interessante esposizione di P. Massimo e dagli interventi degli amici.
Mi sembra che oggi quando si parla del Vaticano II e della sua recezione nella vita delle comunità cristiane, molti degli esperti (docenti, relatori, conferenzieri, predicatori, divulgatori), che svolgono compiti di formazione, di comunicazione e di divulgazione, ricorrono ad un artificio retorico per cercare di creare nell’uditorio una disposizione favorevole ed accogliente verso i nuovi paradigmi teologici, i nuovi orientamenti pastorali, le nuove pratiche liturgiche. L’artificio consiste nel presentare le scelte teologiche, pastorali e liturgiche del Concilio non come lo sforzo perenne della Chiesa di crescere nella tradizione, nell’approfondimento del significato della Parola di Dio e nell’incremento della Vita (essa si, sempre veramente nuova perché sempre ci viene donata dal Cristo risorto), ma come scelte necessarie per opporsi ad un passato negativo, presentato come tempo della Chiesa costantiniana, clericale, intollerante, fanatica, integralista, giuridicistica, ritualista, etc.
Questo modo di procedere non rende ragione della realtà storica di ieri e di oggi e crea dentro la Chiesa un clima di contrapposizioni ideologiche, di diffidenza, di incomprensione, che non aiutano a costruire con l’aiuto della Grazia processi autentici di conversione personale e comunitaria.
I modi di far Teologia e di avvicinarsi alla Bibbia e alla letteratura patristica da parte della prima Scolastica e poi dalla Scolastica post-tridentina saranno parziali, ma alcune conquiste e preoccupazioni di quelle scuole rimangono importanti anche per l’oggi. La preoccupazione di conoscere attraverso la ragione comune a tutti gli uomini il contenuto delle affermazioni veritative della fede, è cosa importante anche oggi, come rimane importante la preoccupazione della ragione credente di rispondere alle obiezioni della filologia e della scienza storica all’attendibilità dei documenti importanti delle origini e della tradizione cristiane.
Per quanto riguarda il rito dell’Offertorio bisogna stare attenti a non dargli un significato sacrificale, come se ci fossero nella Messa due momenti sacrificali: quello nostro nel cosiddetto Offertorio e poi quello di Cristo nella preghiera eucaristica. Il rito dell’Offertorio, che non consiste nella semplice preparazione materiale dei doni che saranno santificati, non è un’offerta dei nostri sacrifici separatamente dal sacrificio di Cristo, ma la sua struttura vuole significare ritualmente la partecipazione di tutta l’assemblea dei fedeli all’unico ed eterno sacrificio di Cristo per la salvezza di tutti e di tutto l’universo. Il sacrificio di Cristo per la redenzione del mondo, dalla schiavitù del peccato e della morte, è avvenuta una volta per sempre sul Calvario e rimane eterno per la sua resurrezione. Ma noi come possiamo unirci a questo unico ed eterno sacrificio? Lo facciamo attraverso la celebrazione della Messa, cioè attraverso la celebrazione nel memoriale del sacrificio di Cristo, cioè del banchetto spirituale dei fedeli a cui Cristo ci chiama e ci invita: “Venite a me, voi tutti affaticati ed oppressi, e Io vi ristorerò” (Mt 11, 28); “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui…ha la vita eterna” (Gv 6, 57 e 55). Quindi l’offerta dei doni da parte dei fedeli nel rito offertoriale significa che noi dobbiamo unirci all’azione attuale di Cristo che offre il sacrificio per la salvezza di tutti e dell’universo intero. L’Offertorio ci invita a predisporci ad offrire con Cristo e con tutta la Chiesa il sacrificio al Padre (questo è il senso pregnante della “actuosa partecipatio” dei fedeli alla celebrazione eucaristica). Vorrei ricordare a proposito quanto dice la Costituzione “Sacrosanctum Concilium” al numero 48: “i cristiani non assistano quasi estranei o muti spettatori a questo mistero della fede, ma partecipino, alla santa azione piamente e attivamente comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere … facciano eucarestia a Dio offrendo l’ostia immacolata non soltanto mediante le mani del sacerdote, ma anche insieme a lui, imparando ad offrire se stessi e di giorno in giorno per la mediazione del Cristo siano trasformati nell’unità con Dio e tra di loro perché infine Dio sia tutto in tutti”.
Da quanto ho detto si può capire come certe polemiche sulla Messa come sacrificio o come cena del Signore sono fuoriposto e rivelano una diffusissima mancanza d’iniziazione liturgica nel popolo cristiano, nonostante che siano trascorsi cinquant'anni dal Concilio Vaticano II.
Franco Passuello: Siccome non facciamo la pausa, ma continuiamo il nostro incontro nell’altra sala predisposta per condividere il momento di convivialità, come avete visto dalla traccia, ora darei la parola a Padre Massimo nel caso abbia qualcosa da rispondere.
Padre Massimo Fusarelli: Si, ma più che rispondere vorrei continuare la riflessione.
È vero che a volte per chiarezza espositiva si tende a contrapporre. Non so se ho dato questa idea di contrapposizione in modo così radicale; no, non intendevo questo. Rispondevo all’amico Giulio Cascino e dicevo: ci sono sempre state nella storia, nella spiritualità, nella teologia, nel pensiero umano linee diverse, che qualche volta si incontrano e qualche volta si scontrano, i fiumi carsici, sempre. Ho citato San Tommaso, la prima scolastica, la scolastica medioevale è stato un coraggio enorme. La teologia monastica, per quanto sublime, non era più adatta ai tempi, non bastava più ad un mondo che cambiava radicalmente(non è che solo oggi cambia) . Noi siamo in un cambio d’epoca, ma ce ne sono stati tanti nella storia di cambi d’epoca. San Tommaso è stato un genio perché ha capito che quel mondo che cambiava aveva bisogno di una sintesi nuova. Il nostro San Bonaventura, da teologo qual era, ha mediato fra la teologia monastica , biblica, patristica ed il nuovo pensiero con la scoperta di Aristotele, dando luogo ad un pensiero che potremmo dire di sintesi, qualcuno ha detto di compromesso mediano, che San Tommaso supera perché S. Tommaso veramente crea un nuovo sistema, un nuovo pensiero. Geniale! Magari anche oggi ce ne fossero, anche se oggi è più difficile perché il sapere, il reale non è dominabile come 800 anni fa perché siamo in una complessità enorme.
Quando parliamo di teologia scolastica parliamo di una teologia più tardiva. Purtroppo noi abbiamo conosciuto la neo-scolastica che non conservava i tesori della antica, , era molto ristretta era molto formalizzata.
Quando noi diciamo prima , è un prima molto recente degli ultimi 100- 130 anni, non è il prima della grande tradizione. La storia va avanti a volte a scossoni violenti a volte però è un fiume che porta con sé un po’ tutto del passato. Oggi però a volte amiamo ripetere che siamo in un cambio d’epoca, non in un’epoca di cambio, abbiamo bisogno di nuove sintesi, ma chi ce le dà queste nuove sintesi non lo decidiamo a tavolino. Chi pensa, chi apre nuovi varchi ad un certo punto c’è , si esprime, non viene studiato in laboratorio.
Anche piccoli laboratori come questi, infinitesimali, vogliono aprire nuove possibilità senza pensare di fare sintesi esaustive.
Personalmente ho visto la vecchia liturgia una volta sola, per sbaglio, mentre confessavo , celebrata da un confratello monaco, non francescano, che ha quasi vent’anni meno di me, ( mi trovavo al paese di mia madre). Il giovane parroco, bardato in modo un po’ curioso( camice moderno, pianeta antica) ha celebrato questa Messa di Pio V in latino. Leggeva in latino e chiaramente non capiva cosa stesse leggendo, mentre la chierichetta ( ho scoperto dopo che era professoressa di greco e latino) rispondeva correttamente, pur controvoglia.
Questo giovane parroco durante la celebrazione ha letto le letture in italiano del messale di Paolo AVI perché non è in grado di leggere le letture del vecchio messale in latino: cioè ha fatto un miscuglio.
Andando in sacrestia mi sono permesso di osservare che avevo assistito all’unica Messa secondo il vecchio rito di Pio V ma non mi era sembrata curata come avrebbe dovuto. Per questo gli ho chiesto anche il perché volesse seguire quel rito ormai superato.
La risposta è stata:celebro questa Messa perché mi sento meglio, mi dà il senso del Mistero. Ma a me sembra che non capisci nulla di quello che celebri, gli ho risposto di rimando. Mistero non vuol dire che non si capisce niente, ma Mistero è il progetto di Dio finalmente rivelato in Cristo.
Questo è lo stesso pressapochismo di chi deve rendere appetibile la Messa con balletti e canti. Il perché di questi tentativi è dovuto al fatto che c’è un’assemblea che non riesce più ad essere celebrante, orante, che rischia di non portare più vita nell’Eucarestia; noi presentiamo pane e vino e basta, non presentiamo con il pane e il vino tutto il resto del nostro essere, tutta la vita.
E’ chiaro, anche nella vecchia liturgia, che ora ha fatto questo passo evolutivo, come anche in altri testi, che il sacrificio di Cristo è unico, è l’ultimo. La violenza che si è abbattuta su di lui ha esaurito con lui la sua carica perché Cristo ha risposto non con altra violenza, che chiedeva altro sacrificio, ma ha risposto con l’amore e ha annullato in sé quel tipo di violenza . Dio non ha bisogno di essere placato dai sacrifici umani perché il dono di amore totale che lo ha consumato completamente (la vittima va consumata completamente), che ha consumato completamente Cristo è la nuova energia ( l’esplosione atomica disse Benedetto XVI in una delle sue prime omelie), che dal di dentro ha fatto erompere la nuova umanità.
Poi, letture devozionali, banalizzanti, molto parziali, ripropongono la logica del sacrificio, che è vero non troviamo nei testi liturgici della grande tradizione, ma magari in altre volgarizzazioni. Perché la tendenza al sacrificio è umana, è naturale.
Io mi sacrifico per il bene dei miei figli: non è vero, perché gliela fai scontare per tutta la vita.
Direi a qualche nostro genitore: tutta la vita arrabbiato perché i figli non ti hanno corrisposto; ma quale sacrificio. Il sacrificio d’amore è un’altra cosa, non ti rende arrabbiato: penso alla vocazione matrimoniale, alla vocazione religiosa.
Spesso quando diciamo: “perché queste riduzioni!” non ci accorgiamo che abbiamo a che fare con riduzioni nostre, parziali, piccole.
Poi tutto il discorso liturgico: Io non provo nessuna nostalgia per il vecchio rito perché non l’ho mai conosciuto. Sono stato cresciuto dal mio vecchio parroco che era uno molto convinto e ci ha trasmesso in modo molto serio, molto motivato (siamo nei primi anni ’70) tutto il senso della nuova liturgia. Io ci sono cresciuto dentro.
Anche a me fanno male i pressapochismi. Mi fa male vedere i miei giovani confratelli,( entrati per lo più in convento dopo un ritorno alla fede, o per qualcuno come primo approccio alla fede), i quali non hanno il nutrimento di una esperienza di Chiesa per cui non colgono il senso profondo di certi gesti, parole, e sentono la necessità di dargli senso con altre forme, ma che gli sono estranee : non c’è bisogno che io vengo danzando verso l’altare, ma cosa voglio esprimere!
Queste diverse espressioni le ho viste fare in Africa , in tante parti dell’Africa, ma da come danzano all’offertorio per portare i doni è evidente che è il loro linguaggio, si nota una compostezza che fa capire che in quel momento pregano. Non è che si capisce, si sente, e c’è un silenzio nell’assemblea, perché è un gesto sacro , che noi non saremmo mai capaci di fare perché faremmo le foto, perché per noi sarebbe folclore; per questo non potremmo mai trasferire da noi quel rito . Così come ho visto in certe liturgie dell’oriente assumere alcuni segni, come l’offerta dell’incenso, ma in una modalità che capisco è linguaggio, è segno.
Anche lì ci vuole vigilanza perché si può far evaporare il senso profondo cristiano della liturgia, e questo in ogni latitudine. E’ vero il discorso che stiamo affrontando è molto complesso.
Mi sembra però che con questo Papa, che è il primo Papa figlio del Concilio, ( è stato ordinato dopo il Concilio con la nuova Messa), con lui questa dialettica (spesso scontro) fra discontinuità e continuità non ha più ragione di esistere. Il passo da fare è un altro, è diverso.
Il fatto semplicissimo che Lui la mattina celebra con altri e propone un pensiero sul Vangelo del giorno ci fa vedere un frutto del Concilio : la Parola annunciata, celebrata e vissuta.
Ecco io spero che questo grande segno, che non può rimanere isolato, faccia un po’ scuola e ci aiuti a superare queste cose.
Non sono ottimista sul futuro, anche per la categoria cui appartengo.
E’ vero che l’ignoranza ( non nel senso di mancanza di nozioni ma nel senso di capacità a riflettere, di crescere nel pensiero) , non aiuta. Anche la riforma liturgica è un po’ ferma; non perché bisogna fare cose più strane, ma perché bisogna approfondire.
Dove abito a Frascati non abbiamo una parrocchia ma una rettoria, però abbiamo vari gruppi, una bella comunità di persone che in parrocchia non andrebbe mai, ma da noi vengono. Ho visto però che c’è uno stile liturgico celebrativo un po’ amicale.
Alcuni però iniziano ad interrogarsi e ci stanno chiedendo di essere aiutati a capire meglio quello che si fa la domenica con la celebrazione della Messa. Diversi vengono a celebrare con noi i Vespri. E’ un altro stile , più essenziale, più asciutto, non dobbiamo dire parole, è una esperienza più interiore: è bello ci affascina , però è più faticoso.
Allora stiamo pensando, ne parlavamo ieri in comunità, di organizzare una piccola formazione liturgica, ma che aiuti a crescere un po’. Anche i nostri cristiani, ascoltati, si rendono conto che non basta “far caciara in Chiesa”; l’atto liturgico è qualcosa di più profondo, radicato.
Sul latino i giovani studenti che abbiamo lì hanno difficoltà. Siccome abbiamo delle preghiere che quando facciamo gli incontri si dicono in latino, perché il confratello giapponese le conosce in latino e noi no, mi adopero con i confratelli italiani perché qualcosa di latino imparino (almeno il Veni Creator).
Mi lascio interrogare da questa fatica di mantenere viva la nostra storia , e come trasmetterla in modo vitale, (non come qualcosa di museale), per dare il senso di appartenere ad una Chiesa che ha pregato per secoli in quel modo; dovremmo cercare di mantenere quindi qualche piccola preghiera in latino,magari con la bellezza del canto, però non pare sia facile.
Franco Passuello: Credo che dire grazie a Padre Massimo non sia una fatica, e spero che potrà essere per una seconda volta con noi.
La volta scorsa Padre Francesco Rossi De Gasperis ci ha ricordato che l’Eucarestia è stata istituita in un contesto di cena, e che la cena è il segno della carità dell’assemblea. Noi abbiamo deciso, per questi primi incontri, di non celebrare l’eucarestia, lo faremo alla fine, negli ultimi tre incontri quando celebreremo la Messa sul mondo; però adesso non facciamo una pausa ma una condivisione che è ancora dentro alla logica del nostro incontro. Nella traccia abbiamo indicato un brano che dopo averlo scelto con Soana ( che mi ha aiutato in questa preparazione ) ho scoperto che Pio lo aveva citato in un incontro di spiritualità della Acli a Chiusi della Verna. Lo leggiamo nell’altra sala, di fronte alla mensa:
Lc 14-16- Gesù rispose: “Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò un servo a dire agli invitati:Venite, è pronto. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi, zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare , perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena”
Franco Passuello: Proseguiamo nel discernimento seguendo la traccia che ci siamo dati stamane, con il punto indicato sotto il titolo : “La nostra offerta per essere testimoni”. I nostri interventi continuano non più ragionando su cosa sono i Sacramenti, la Chiesa, ma su cosa offriamo noi : la nostra sofferenza , le nostre gioie.
Abbiamo pensato, visto che siamo qui anche in memoria di Pio, di introdurre questo momento con la lettura di un testo di Pio, tratto dal suo ultimo scritto “L’etica dal Mistero”8 . Ce lo legge Francesco Giordani, anche se il suggerimento di riflettere su questo passo ci viene da Roberto.
Mistero:”(...)La Parola è un evento, è una vita donata fino alla morte e alla risurrezione e come tale può essere recepita da tutto il nostro essere personale, compresa da tutte le nostre facoltà, non singolarmente ma unitariamente: udito, veduto, contemplato, toccato (cfr, 1 Giov1,1-4).
Nel silenzio interiore riusciamo a raccogliere un poco tutti noi stessi e quindi testimoniare con tutta la nostra vita, parole, gesti, scelte in tutti i campi, ciò che abbiamo sperimentato aprendoci alla Parola.
E la Parola è”Mistero”luminosissimo e concretissimo, sole e roccia, indicibile e inaccessibile che tuttavia sempre viene a noi.
(...)E’ diffusa, specialmente in alcuni movimenti, la convinzione che pregando, e anche senza pregare, il Signore viene incontro ai nostri bisogni, risponde alle nostre richieste, risolve i nostri problemi. Le sue grazie sono formulate conformemente alle nostre richieste. Lui è il liquido prezioso calato negli stampi da noi confezionati.
Il Signore ci ha insegnato a chiedere per ottenere, con certezza, ma per ottenere il suo Spirito.
La Parola, il dono che il Padre ci fa del Figlio e dello Spirito Santo è perfettamente originale, è in tutti i sensi sua iniziativa e su questo dobbiamo riporre tutta la nostra fiducia, senza lasciarci frenare dai nostri demeriti come dai nostri meriti.
(...) La Parola è una sorgente che non si esaurisce mai e ci fa entrare nella vita eterna. (...)”
Soana Tortora: Vivo questo momento come un momento di presentazione di doni dentro questo nostro incontro; provo a farlo anch’io con voi.
Dallo schema che ci aveva proposto Padre Massimo veniva fuori questa riflessione su : Parola annunciata, Parola celebrata e vita vissuta, con la necessità di questa mediazione della Chiesa, e dico anche di noi Chiesa, di aiutarci a diventare e di aiutare i nostri fratelli a diventare cristiani adulti; cristiani capaci, come gli apostoli dopo la morte di Gesù, di non avere bisogno di testimoni da toccare , ma diventando tempio (come ci diceva la volta scorsa Padre Rossi de Gasperis) e quindi riuscire a farci testimoni di Cristo. Da questo punto di vista mi domando che cosa vuol dire fare questo nel mondo, oggi, e che significato abbia.
Io, nel mio piccolo, l’impegno che sto portando avanti nella piccola avventura sull’economia solidale ( che coinvolge anche altri oltre me) la vivo anche in questa dimensione. Tutto quello che stiamo cercando di fare la vivo nell’ottica di far diventare uomini adulti tutti quelli che incontriamo. Le persone vengono liberate dall’oppressione concreta della povertà, ma anche dal pensiero unico, dall’oppressione di un modo di vivere, di stili di vita che ci hanno condizionato, ci hanno rovinato e l’idea di mettere insieme le persone, di riunire: Ut unum sint. Io credo che questo possa essere un impegno da perseguire, anche se è un compito che mi spaventa. Se riuscissimo a vivere questa avventura potremmo pensare di diventare un po’ segno. L’impegno su questa strada è il dono che in questo momento mi sento di fare.
Alberto La Porta: In questi giorni mi è capitato di rileggere una riflessione dell’allora card. Ratzinger fatta in conversazioni radiofoniche (siamo nel 1982), che Padre Rossi de Gasperis lo scorso anno aveva condiviso con dei suoi amici. Questa riflessione ci interpella fortemente portandoci fuori dal Tempio come costruzione umana , come segno di potenza, ma portandoci invece in una dimensione di testimonianza di una Chiesa fatta di piccoli gruppi. “Il futuro della Chiesa, (si legge nella riflessione del card. Ratzinger) non è nei grandi movimenti, nelle grandi manifestazioni, ma nei piccoli gruppi che riscoprono Gesù e lo testimoniano, lo vivono portando una luce là dove operano” ; così come succedeva all’inizio della cristianità. La mia offerta è cercare di capire senza polemica senza contrapposizione, ( in questo senso sono d’accordo con Liborio) ma riscoprire e testimoniare la bellezza di un essere cristiani anonimi, come la Madonna, come gli Apostoli, senza potere, in cui il Re dell’universo ( domani lo festeggiamo) è un Re debole, un Re che non è potente, che non pensa a se stesso ma si mette a servizio degli altri.
In questo senso, per me diventa importante riscoprire, vivere, testimoniare una dimensione della vita cristiana che è quella del silenzio, della meditazione, dello scoprire l’interiorità come un aspetto fondamentale che non si contrappone all’azione, all’impegno, ma la vivifica e vivifica la stessa Liturgia e i Sacramenti come ci diceva Padre Massimo .
In questo itinerario c’è la tentazione molto diffusa, che va al di là della storia molto complessa di cui ci faceva cenno Padre Massimo, da una parte la spiritualizzazione che ci stacca dalla vita (ricordiamo come Pio ci richiamava ad essere incarnati nella storia) , ma c’è pure un’altra tentazione che è quella della cosificazione ( come ci segnalava Padre Rossi de Gasperis) dei Sacramenti, della Messa.
Cioè in sostanza cerchiamo qualcosa di chiaro, di sicuro, per star bene, per confortarci.
Questo atteggiamento è molto diffuso, ci fa comodo, è tranquillizzante seguire i precetti; ci tranquillizza ma ci deresponsabilizza nello stesso tempo.
La nostra piccola testimonianza in questo senso può essere utile.
Giulio Cascino: ripeto una delle cose dette da Alberto. Sto riscoprendo la dimensione del silenzio grazie a Pio, e grazie a voi. Mi sto accorgendo di avere personalmente bisogno di silenzio, ma anche all’esterno avverto che c’è esigenza di silenzio in una società segnata dal rumore continuo che ci porta alla superficialità, al chiacchiericcio.
Questo è il dono che cerco di portare anche fuori, in famiglia: Scoprire che l’essenza della preghiera non è quello che io dico a Lui, ma è quello che Lui dice a me.
E questo è davvero il silenzio più difficile. E la fatica è notevole per riuscire ad ascoltare Dio che parla.
Questa capacità d’ascolto è fondamentale, e ce n’ è un grande bisogno in generale e nella stessa vita ecclesiale, compreso il momento liturgico della Messa: penso che alcuni momenti di silenzio durante la Messa (all’inizio, dopo l’omelia, dopo la consacrazione e soprattutto dopo la Comunione ) sarebbero opportuni.
Franco Passuello: A chiusura di questa mattinata vorrei portarvi anche la mia offerta personale.
In questo mese, come ormai mi capita da qualche anno, sono stato male. Però avevo preso l’impegno di fare questo lavoro per oggi. Ho così scoperto il dono che già ho ricevuto da questi incontri di riflessione che abbiamo avviato: cioè di accettare la mia piccolezza dello star male non come sacrificio, ma cercando di vivere questa stato di malattia come donazione di sé nell’amore. C’è una bella differenza fra “mi sacrifico” e “sto facendo un gesto d’amore” , visto che il sacrificio l’ha già fatto Uno per tutti. Per me è stato così; Maria ha sopportato i miei nervosismi, ma nel profondo sono riuscito a vivere con amore questo impegno che avevo con voi.
Questo è già un frutto del lavoro che stiamo facendo; non lo avevo così chiaro. Anche nelle piccole cose c’è una spiritualità dell’offerta di sé come dono. Era il centro del ragionamento di quella liturgia esistenziale di cui ci parlava Padre Massimo.
Don Franco Amatori: La preghiera dell’ora sesta, l’ora del Mezzogiorno; a metà giornata ci riconfrontiamo con il Signore. Don Franco guida il gruppo nella recita dell’ora sesta ( Sabato della 1° settimana).
L’antifona (Chi cerca il Signore non manca di nulla) ci aiuta a riflettere su quello che abbiamo detto nella mattinata.
Don Franco commenta la lettura breve che legge Anna Polverari( Ger 17,9-10)9:
Il cuore è difficilmente guaribile, non tanto riguardo agli affetti, ma per il giudizio che noi diamo sulla storia, su noi stessi. La nostra attenzione vorrebbe ottenere subito, essere noi gli attori del cambiamento, delle trasformazioni , gli autori della storia, ed invece dobbiamo accettare che l’autore è un Altro.
Compreso tutto il discorso di stamane: tradizionalisti da una parte che fanno un certo discorso, e altri che hanno fretta di vedere il cambiamento. Non ci rendiamo conto quanto il cammino dell’umanità è lento, è difficile, e sta in mano ad altri.
Noi non siamo dispensati dal fare la nostra parte, però viviamo con una certa sofferenza il fatto che il progetto di Dio, tutto questo grande Mistero che intuiamo, che è così grande,così forte, lo vorremmo vedere ed invece dobbiamo soffrire con Cristo il sacrificio delle cose che non vanno.
Viviamo anche l’ansia di questo tempo, sia quella politica sia quella religiosa; quindi questo desiderio di rinnovamento nella Chiesa lo soffriamo perché contiene il Signore che parla, ma è Lui l’autore ed ha bisogno di tempi. La corporeità della Chiesa ha bisogno di pazienza, di profondità, di riflessione.
Il fatto di celebrare sesta perché a quest’ora è l’ora sesta( se fosse il pomeriggio celebreremmo nona oppure i Vespri), è un modo di santificare il tempo, un tempo che è turbolento, pieno di contraddizioni , ma lo viviamo santificando il tempo con la liturgia delle ore che ci accompagna durante il giorno, e lo offriamo con grande umiltà, sapendo che anche le nostre contraddizioni sono consapevolezza di partecipare al sacrifico di Cristo ( Completo nella mia carne quello che manca alla Passione di Cristo, diceva S. Paolo ) .
Recita del Padre Nostro
Benedizione finale: Benedetto sei tu Signore che ci hai convocato, che ci hai dato questo pane della tua Parola, ci hai dato l’occasione di questo scambio e ci hai resi attenti agli eventi del mondo che cercheremmo di viverli rispondendo alla tua chiamata, Benedetto sei tu Signore, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Prossimi Appuntamenti:
Alberto indica le date previste per i prossimi incontri:
Martedì, 3 dicembre ore 19,00-20,30: lectio di Pino Stancari che continua la lettura del libro di Giuditta;
Sabato, 14 dicembre ore 9,00- 13,00: 3° incontro della “La Messa sul mondo“ l’Eucarestia. Ci aiuterà nella riflessione Padre Francesco Rossi de Gasperis;
Sabato, 21 dicembre ore 9,30: S.Messa con don Franco Amatori
Appuntamenti previsti per il prossimo anno :
Martedì, 7 gennaio 2014 ore 19,00-20,30: Padre Pino Stancari continua la lettura del libro di Giuditta;
Martedì, 14 gennaio 2014 ore 18,30: Riti di introduzione e liturgia della Parola con il Prof. Andrea Grillo del Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo (Roma)
15 febbraio 2014: Liturgia eucaristica e preghiera eucaristica
15 marzo 2014: Riti di comunione e di conclusione
Nelle date del 26 aprile, 31 maggio e 21 giugno celebreremo la Messa sul mondo.
L’Associazione Teilhard de Chardin organizza a metà luglio 2014 a Frascati due giorni di riflessione/approfondimento sul pensiero di Teilhard che quest'anno sarà dedicata all'Eucarestia.
A questo incontro siamo tutti invitati come ad una sorta di conclusione dell'anno.
1 Presenti: Alberto La Porta, Franco Passuello, Maria Filippi, Edmondo Cesarini (dell’Associazione Teilhard de Chardin), Soana Tortora, Liborio Oddo, Massimo Panvini, Francesco Giordani, Roberto Giordani, Pino e Carmelina Macrini, Anna Polverari, Antonio Russodivito, don Franco Amatori, Maria Celeste Fonte, Pino Baldassari, Anna D’Ottavi, Giulio Cascino, Flavio Zanardi, Sr. Anna, Anna Melodia, Rolanda Petrangeli.
2 Cfr. Appunto di Franco Passuello “Ancora in cammino come discepoli del Risorto” condiviso nelle riunioni del 16 settembre e 2 ottobre e distribuito a tutti gli invitati nel 1° incontro sulla Liturgia del 26 ottobre.
3 “Tutti i popoli della terra sapranno che il Signore è Dio e che non ce n’è altri. Il vostro cuore sarà tutto dedito al Signore nostro Dio, perché cammini secondo i suoi decreti e osservi i suoi comandi.”
V. Insegnami i tuoi sentieri,
R, guidami nella tua verità, o Signore.
4 Chiara Patrizia, Frammenti di vita – Pregare nella storia degli uomini-, ed. rosso fisso,Salerno,2009
5 AA.VV. Dialoghi sulla laicità-La profezia dl popolo di Dio sul mondo, ed Rubbettino,2002 pp. 153-176
6 Cfr. allegato 1 al presente resoconto
7 Cfr. Allegato 2 : La dimensione eucaristica. Contributo di Edmondo Cesarini , segretario della sezione romana dell’Associazione Teilhard de Chardin.
8 Pio Parisi, Itinerario, L’etica dal Mistero- primo approccio- , editore Rosso fisso, Salerno, 2010 pagg. 27-29
9 Ger17,9-10: “Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per rendere a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni.