Incontri di discernimento e solidarietà
 
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LA VERGOGNA CHE REDIME

di Pino Stancari

Apocalittica e potere

Il Libro di Daniele è un testo apocalittico che fa da caposaldo nella lettura apocalittica antica e neotestamentaria. Il tema del potere è dominante nella letteratura apocalittica. I poteri così come vengono configurandosi nella storia degli uomini, nelle loro grandi forme istituzionali, si abbarbicano nell’intimo del cuore umano, là dove lo scenario della storia si manifesta nelle sue forme più nascoste, ma anche più decisive.

Abbiamo a che fare con pagine che esprimono la ricerca teologica e il vissuto pastorale di un popolo, che per molti secoli ha avuto a che fare con situazioni impegnative; esse hanno rischiesto un discernimento radicale, là dove il fallimento della nostra condizione umana viene considerato nella sua oggettiva drammaticità, là dove proprio la vocazione dell’uomo a realizzarsi attraverso il dialogo con il creatore è già segnata da una sconvolgente contraddizione. Ed è proprio nel contesto di una storia umana compromessa tragicamente, che è operante la misericordia di Dio: essa apre strade alternative, inventa soluzioni di salvezza. La storia degli uomini non appartiene agli uomini, ma a Dio; non appartiene al fallimento della creatura umana, ma rivela la gloria, l’onore e la potenza del creatore.

Fedeli a Dio nell’impero degli uomini

Nel libro di Daniele incontriamo, fino al cap. 7, dei racconti che mettono in scena dei credenti, sono dei giudei, persone esemplari che appartengono al popolo di Dio, ma inseriti nel contesto di un impero che è costruito secondo le forme tipiche del mondo pagano. Le situazioni vengono descritte con varie denominazioni, con vari riferimenti di ordine storico e geografico, in modo sufficientemente coerente da identificare una realtà che si ripete, che si ripropone nella storia degli uomini: l’impero. Ed è in quel contesto che sono inseriti quei credenti. Che cosa succede quando un credente ha a che fare con l’organizzazione del mondo che si esprime nelle forme vistose, grandiose, affascinanti che sono proprie di una civiltà come quella dei grandi imperi dell’antichità, come li ha conosciuti il popolo di Dio nel corso della sua storia? Cosa succede quando il credente è inserito in un sistema di quel tipo, che poi è il sistema dominante, anche se cambiano i nomi e si aggiustano gli equilibri, spesso dopo catastrofi immani che travolgono una di queste sintesi di civiltà? A questo rispondono i racconti fino al cap. 7.

La statua di Nabucodonosor

Noi ci inseriamo in uno di questi racconti. Capitolo 3, un racconto in aramaico (i capp. 2-7 sono scritti in aramaico). Nel contesto di questo racconto si inserisce un’ampia sezione, i vv. 24-90, che è giunta a noi in greco.

Il racconto ci parla di quel che avviene a Babilonia, figura tipica dell’impero, là dove regna Nabucodonosor, personaggio anch’egli esemplare per quanto riguarda quel complesso di poteri che strutturano l’edificio imperiale. Il re Nabucodonosor ha deciso di costruire una statua d’oro alta 60 cubiti e larga 6, e l’ha fatta erigere nella pianura di Dura, al centro dell’immenso territorio che a lui fa capo. E’ un fenomeno di idolatria, il racconto ne parla in modo molto sobrio, senza perdersi in descrizioni. Il fenomeno colto nella sua oggettività è forse, per certi versi, ancora più sconvolgente.

Non è chiaro cosa stia qui a rappresentare la statua, se una statua o lo stesso re. Comunque la presenza di quella statua enorme esprime la presa di posizione del sovrano che vuole confermare come competa a lui la gestione di ogni potere. Il re ha predisposto ogni cosa in modo da ottenere il riconoscimento di un valore assoluto al gesto che egli compie, e la statua sta li a rappresentare il valore sacro del potere che egli esercita. Il re Nabucodonosor esige un atto di fede da parte dei suoi sudditi, tutti. Il v. 2 aggiunge: «Quindi il re Nabucodònosor aveva convocato i sàtrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province, perché presenziassero all'inaugurazione della statua che il re Nabucodònosor aveva fatto erigere, I sàtrapi, i prefetti, i governatori, i consiglieri, i tesorieri, i giudici, i questori e tutte le alte autorità delle province vennero all'inaugurazione della statua. Essi si disposero davanti alla statua fatta erigere dal re. Un banditore gridò ad alta voce: "Popoli, nazioni e lingue, a voi è rivolto questo proclama"».

Le autorità sono concentrate a Babilonia, in quella posizione di speciale riguardo, ma un messaggio è indirizzato a tutti i sudditi dell’impero sterminato, in modo che al momento opportuno, all’unisono, tutti i popoli, tutte le nazioni, tutte le lingue che sono presenti in quel territorio, tutti i sudditi si prostrino in adorazione. E tutto questo avviene al suono della musica.

«Quando voi udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna, e d'ogni specie di strumenti musicali, vi prostrerete e adorerete la statua d'oro, che il re Nabucodònosor ha fatto innalzare».

C’è un’ orchestra che produce una sinfonia così intensa così potente e penetrante, che il suo suono riecheggia di luogo in luogo, è ripreso e rilanciato da altre orchestre, da una miriade di orchestre disseminate su tutto il territorio dell’impero. Esso raggiungerà gli estremi confini e, al suono della musica, tutti, all’unisono, adoreranno la statua. Il principio del potere, che ha un valore assoluto, esige un atto di fede. Nabucodonosor chiede questo ai suoi sudditi, un riconoscimento di tipo religioso e, da parte sua, fornisce dei servizi. Ne è grandiosa e spettacolare manifestazione proprio questa messa in scena musicale che è in grado di coinvolgere tutti gli abitanti di un territorio sconfinato, conferendo a tutti l’ebbrezza di un ecumenismo capillare e gratificante. Nabucodonosor mette una condizione:

«Chiunque non si prostrerà alla statua, in quel medesimo istante sarà gettato in mezzo ad una fornace di fuoco ardente».

E’ interessante questa clausola prevista nell’editto imperiale perché ci rendiamo conto che Nabucodonosor conserva nel suo animo una qualche forma di angoscia, per cui ci tiene a segnalare che chi, eventualmente, non sottostasse al suo comando, dovrà subire una punizione feroce. Al solo pensiero che il suo potere possa essere contestato Nabucodonosor è disturbatissimo; per questo ha già previsto una punizione severa.

Tutti tranne tre

Tutti? No ci sono dei credenti, dei giudei, che non ci stanno. Sono tre giudei che già hanno svolto dei compiti di responsabilità nel territorio dell’impero; non sono dei contestatori ad oltranza, dei fanatici, avversi a Nabucodonosor per partito preso. Tutt’altro, sono ben inseriti, hanno dimostrato di essere pronti a servire il bene pubblico con le capacità di cui sono dotati, ma per quanto riguarda l’atto di adorazione, che è loro richiesto, non sono affatto disposti a sottostare alle prescrizioni di Nabucodonosor: non si prostrano, non adorano. Non fanno questo clamorosamente, platealmente; sono persone riservate, discrete; nessuno se ne sarebbe accorto, se non avessero notato il fatto dei Caldei, dei babilonesi, che ci tengono a riferirlo a Nabucodonosor. Evidentemente costoro hanno motivi di interesse privato, di carriera, di competizione per approfittare dell’occasione e denunciare quei giudei e così screditarli nei confronti del re. Gli accusatori si rivolgono al re, dicono: ci sono alcuni giudei ai quali hai affidato gli affari della provincia di Babilonia, sono personalità di riguardo. Questo è vero in tutto il libro di Daniele e in particolare nei racconti che stiamo considerando. I credenti, che qui sono citati, sono inseriti nel contesto del mondo pagano, hanno a che fare con l’impero, hanno anche degli incarichi, sono presenti, sono rivolti verso il re e lo stesso re, in alcuni casi, non è un personaggio immondo. È un personaggio che fa parte di tutto un sistema che in sé è veramente problematico. Si tratta di vedere come ci si inserisce in questo sistema, come ci si sta collocati dentro, come si prende posizione, là dove è l’autenticità della coscienza e l’autenticità della fede viene messa alla prova. Questo è un caso esemplare, un caso che, come vedremo, raggiunge la misura del martirio.

Ci sono alcuni, cioè Sadrach, Mesach e Abdenego, «che non ti obbediscono, o re: non servono i tuoi dei e non adorano la statua d'oro che tu hai fatto innalzare».

Il re li chiama, v. 13, è sdegnato, comanda che gli siano condotti i 3 e questi compaiono alla sua presenza. «Nabucodònosor disse loro: "E` vero, Sadrach, Mesach e Abdenego, che voi non servite i miei dei e non adorate la statua d'oro che io ho fatto innalzare?"».

Voi ce l’avete con me. Nabucodonosor si mette in atteggiamento di vittima, è lui l’incompreso, è lui che non è seguito, è lui che non è accolto, è lui che non è aiutato, è lui che non trova riscontro favorevole, malgrado le sue intenzioni di impegno totale e irrevocabile a vantaggio dei suoi sudditi. E’ lui che nell’esercizio del potere non ottiene riscontro, approvazione, obbedienza, è lui la vittima della situazione, è lui che se la prende, che è risentito. Voi ce l’avete con me. E’ vero questo? Chiede. Ecco la prova: se siete pronti fermatevi qui davanti a me

«quando udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna e d'ogni specie di strumenti musicali»

e vi prostrerete, adorerete la statua che io ho fatto e allora amici come prima, tutti felici e contenti, altrimenti dovrò farvi gettare nella fornace del fuoco ardente: «Quale Dio vi potrà liberare dalla mia mano?». E’ in questione proprio un riferimento di ordine religioso, «Quale Dio vi potrà liberare dalla mia mano?». Nabucodonosor presenta se stesso come il vero obbediente: "Sono io che obbedisco a un valore assoluto, un valore sacro, un valore divino; voi avete rifiutato di obbedire con fede alla mia richiesta, al mio modo di garantire l’ordine pubblico e il benessere universale. Sadrach, Mesach e Abdenego fanno il loro discorso: "Guarda, tu puoi suonare la musica fin che vuoi, ma noi non ci prostreremo. Se tu decidi di farci buttare nella fornace di fuoco ardente, noi saremo gettai nella fornace di fuoco ardente". I 3 sviluppano la loro riflessione in modo molto pacato e rispettoso nei confronti di Nabucodonosr: "Noi non ce l’abbiamo con te, solo che un atto di fede come quello che tu ci chiedi per noi, è riservato all’unico Signore, il Dio di cui noi siamo servitori. Non siamo servi di nessun altro Dio, non rivolgiamo a nessun altro Dio la nostra devozione di adoratori". Non cercano di giustificarsi, non si difendono, non cercano di accattivarsi le simpatie, di far valere i loro meriti. Si limitano a dire le cose come stanno: per noi c’è un solo Dio, è a lui che noi siamo consacrati per essere servi e senza ambiguità. Non dicono nemmeno: "Vedi, il Signore nostro Dio ci tirerà fuori da questo guaio, il Signore nostro Dio interverrà con un gesto prodigioso, vedrai che ti troverai tu a mal partito, perché il Signore nostro Dio è più potente, è l’unico, è vero, è santo". Anzi, dicono: "Tu ci getterai nella fornace, sarà così. Dovremo subire questo supplizio, noi non possiamo pretendere che Dio intervenga a nostro vantaggio. Non è che noi possiamo mettere alla prova, siamo noi che siamo messi alla prova, non noi che mettiamo alla prova lui. Non possiamo pretendere niente". Sono molto lineari nella loro posizione, molto coerenti, un atteggiamento di totale gratuità nella sincera adorazione di Dio, nella offerta al Dio cui sono servitori della loro obbedienza". Così concludono al v. 18:

«Anche se il Signore nostro Dio non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dei e non adoreremo la statua d'oro che tu hai eretto».

Non possiamo pretendere niente, ma un atto di devozione che impegna la coscienza, che impegna la fede, questo vale solo per Dio. Nabucodonosor procede in modo coerente con quanto è stato già predisposto.

Nella fornace ardente

«Allora Nabucodònosor, acceso d'ira e con aspetto minaccioso contro Sadràch, Mesàch e Abdènego, ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito. Poi, ad alcuni uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadràch, Mesàch e Abdènego e gettarli nella fornace con il fuoco acceso. Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, calzari, turbanti e tutti i loro abiti e gettati in mezzo alla fornace con il fuoco acceso».

E’ interessante il fatto che, per adesso, vittime di questa punizione sono le guardie che li hanno legati e gettati nella fornace; esse vengono raggiunte dalle fiamme che si agitano vorticose e si elevano in altezza, risucchiandole nella fornace. I 3 sono stati gettati dentro la fornace. Dal v. 24 fino al v. 90 c’è l’inserzione in greco. Quello che avviene adesso è lo spettacolo contemplato da Nabucodonosor, e più esattamente ancora lo spettacolo è accompagnato, sottolineato, illustrato da una eco sonora. Nel racconto precedentemente c’era quell’orchestra con la sua musica, adesso dalla fornace, insieme con il crepitio delle fiamme, giunge un canto. I 3 che sono stati gettati nella fornace cantano. Dice il v. 24:

«Essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore».

Tutto questo avviene mentre Nabucodonosor, che osserva, non può non ascoltare il suono di questa musica, le voci dei 3. Per adesso è la voce di Azaria, uno dei 3, che trascina gli altri due, poi saranno tutte e 3 le voci all’unisono che risuoneranno.

L’orazione penitenziale

Dal v. 25 fino al v. 45, un primo canto, ed è una orazione penitenziale, poi c’è un intermezzo in prosa, vv. 46-50, poi di nuovo un canto, vv. 51-90. In questo ultimo caso non è più una orazione penitenziale, ma un canto di lode. Uno svolgimento ampio e complesso. Il primo canto è una orazione penitenziale, il secondo canto è un inno di lode, tra loro un breve intermezzo che li separa e li congiunge. Passeggiano in mezzo alle fiamme, sono gettati nella fornace, ma nella fornace hanno trovato, per così dire, una dimora adatta a loro, e dal di dentro della fornace, sono in grado di offrire una testimonianza sonora, canora, una testimonianza che si esprime con il linguaggio della benedizione.

Nel primo caso, la benedizione si sviluppa nella forma di un canto penitenziale che assume le movenze tipiche di una supplica, anche se non mancano gli accenti propri dei lamenti; ma fin dall’inizio, questo canto penitenziale è impostato come benedizione: Benedetto il Signore. Anche nel momento in cui si confessano i peccati, anche nel momento in cui ci si lamenta per la sorte derelitta da cui si è segnati, anche nel momento in cui si va incontro alle conseguenze catastrofiche di una storia sbagliata: Benedetto il Signore. Quei tali che sono stati gettati nella fornace ardente benedicono il Signore. Questa indicazione è già molto eloquente. Là dove Nabucodonosor sta esercitando il suo potere come valore assoluto e sacro, quei 3, che sono stati gettati nella fornace, benedicono il Signore.

Di chi è il potere? A chi appartiene il potere? Quei 3 benedicono il Signore, stanno esorcizzando il potere di Nabucodonosor e stanno testimoniando; essi affrontano la prova, fino alle estreme conseguenze del martirio, benedicendo il Signore.

«Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri; degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre. Tu sei giusto in tutto ciò che hai fatto; tutte le tue opere sono vere, rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi. Giusto è stato il tuo giudizio per quanto hai fatto ricadere su di noi e sulla città santa dei nostri padri, Gerusalemme. Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo a causa dei nostri peccati».

E’ una ricostruzione ideale di una storia ormai remota; il racconto che leggiamo risale al II secolo a.C., ma è ambientato in un contesto che storicamente sarebbe più antico di alcuni secoli. Si parla di Nabucodonosor, colui che distrusse Gerusalemme e deportò a Babilonia la popolazione.

"Tu sei innocente, noi ti benediciamo perché tu sei integerrimo, perché tu sei coerente, perché tu sei fedele nella tua iniziativa che ci riguarda fin dal tempo dei nostri padri e che ancora illustra il senso di eventi drammatici che sono quelli nei quali si è manifestata la miseria del nostro popolo, gli errori della nostra gente. Noi siamo ancora coinvolti in questa storia sbagliata, in questa catastrofe fallimentare. Tu sei giusto, sono i nostri peccati". I 3 che sono nella fornace non stanno imprecando contro Nabucodonosor, non stanno protestando perché il mondo è in mano ai prepotenti, non stanno invocando l’intervento di Dio per colpire gli avversari di cui sono vittime innocenti. Lo stesso Nabucodonosor ci è parso dispiaciuto di doverli punire, ma deve farlo perché lui è il primo adoratore del principio assoluto, è l’idolatria del potere. Lui è il primo devoto, deve dare l’esempio. I 3 benedicono il Signore, perché "noi siamo dei peccatori".

Ridotti al silenzio

Seconda sezione, vv. 29-30: è la vera e propria confessione del peccato. «Poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo. Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti, non li abbiamo osservati, non abbiamo fatto quanto ci avevi ordinato per il nostro bene».

E’ una presa di posizione che esprime la maturità di una coscienza politica: il nostro coinvolgimento nella storia contemporanea, attraverso una partecipazione al grande impero dei pagani, ha suscitato in noi la consapevolezza sempre più intensa e drammatica del nostro peccato. Il nostro impegno nelle cose del mondo e nell’organizzazione del sistema sociale e politico dell’impero ci ha radicati nella consapevolezza del nostro peccato: "Benedetto sei tu Signore, noi siamo dei peccatori".

Nella terza sezione, vv. 31-38, vengono delineate a grandi linee le conseguenze a cui vanno incontro i nostri , e con loro va incontro tutto un popolo.

«Ora quanto hai fatto ricadere su di noi, tutto ciò che ci hai fatto, l'hai fatto con retto giudizio: ci hai dato in potere dei nostri nemici, ingiusti, i peggiori fra gli empi».

Loro certamente sono gli ingiusti, ci hai Tu in mano a loro, ci hai dato in mano a «un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra. Ora non osiamo aprire la bocca». Noi non siamo migliori di lui, non siamo migliori di loro, noi non osiamo aprire la bocca, noi siamo ridotti al silenzio. Ecco conseguenza: siamo ridotti al silenzio, non osiamo aprire la bocca. «Disonore e disprezzo». Qui è aiskiné, la vergogna, «Vergogna e disprezzo sono toccati ai tuoi servi, ai tuoi adoratori». Noi siamo degli svergognati, siamo degli spudorati, non abbiamo più una faccia presentabile, non siamo più in grado di esercitare in modo coerente la nostra testimonianza, i tuoi adoratori sono dei disonorati. E siamo quindi schiacciati in una esperienza di solitudine che è dolorosissima. Dice ancora il v. 34:

«Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza».

E’ come se si fossero svuotati di senso tutti i riferimenti alla storia del passato, alla storia dell’alleanza,

«non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo tuo amico, di Isacco tuo servo, d'Israele tuo santo, ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare».

Il passato sembra smarrito, irrecuperabile e dinanzi a noi c’è un avvenire oscuro,

«Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia».

Non c’è più il tempio, non ci sono più quelle figure che avevano svolto funzioni sacramentali nel popolo di Dio: non c’è più re, non c’è più sacerdote, non c’è più profeta. Resta la vergogna.

La vergogna che redime

Quarta e ultima sezione del canto penitenziale, vv. 39-45. «Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c'è confusione per coloro che confidano in te». Il termine "confusione" in greco è di nuovo aiskiné, la vergogna. Il contenuto della offerta che noi possiamo presentarti, è proprio la nostra realtà di svergognati: uno spirito umiliato, una realtà schiacciata, una esperienza che è maturata nel corso di una storia compromessa, una storia di fallimenti fino alla corruzione di adesso, fino alla vergogna. Ebbene, questa vergogna noi ti presentiamo. Succede infatti che proprio nella nostra vergogna, umiliati come siamo, ci rendiamo conto che ancora possiamo affidarci all’amore tuo, ancora possiamo consegnarci all’amore tuo, possiamo abbandonarci alla pazienza fedele dell’amore tuo. Diceva il v. 40 «perché non c’è vergogna per coloro che confidano in te»: per coloro che si consegnano e si abbandonano a Te e all’amore tuo la vergogna non è più un impedimento, la vergogna è divenuta il sacramento di un incontro che conferma l’appartenenza a te. Prosegue il canto: «Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto». Bisogna aggiungere: "Non svergognarci". La nostra traduzione lo tralascia.

«Fa’ con noi secondo la tua clemenza, trattaci secondo la tua benevolenza, secondo la grandezza della tua misericordia. Salvaci con i tuoi prodigi, dà gloria, Signore, al tuo nome. Siano invece confusi quanti fanno il male ai tuoi servi, siano coperti di vergogna con tutta la loro potenza; e sia infranta la loro forza!».

Per quanto riguarda i nemici conducili attraverso l’esperienza della vergogna, umiliali, perché, quando li avrai umiliati, saranno anche loro maturati nella vergogna e allora saranno in grado di presentarsi a te, «sappiamo che tu sei il Signore, il Dio unico e glorioso su tutta la terra». Qui non è chiesta vendetta, invocata la rivincita: sappiano che tu sei il Signore, il Dio unico e glorioso su tutta la terra, sappiano che a te ci si presenta nella vergogna, come capita a noi oggi consapevoli di tutto quel che è avvenuto e attraverso la prova che stiamo subendo, fino al supplizio del fuoco ardente, noi siamo maturati nella confidenza in te, nella capacità di affidarci alla gratuità dell’amore tuo, consegnare a te la nostra vergogna.

I 3 nella fornace che cantano in questo modo, stanno esorcizzando il potere di Nabucodonosor. Non sono nella fornace perché Nabucodonosor li ha condannati, sono nella fornace perché peccatori. E nella miseria della loro condizione di peccatori, sono messi in grado di presentarsi a Dio, di confermare la loro appartenenza a Dio, di offrire a lui un culto che è valido per la sua gloria: il Signore di tutta la terra.

L’Angelo del Signore

C’è un intermezzo in prosa, vv. 46-50: «I servi del re, che li avevano gettati dentro, non cessarono di aumentare il fuoco nella fornace, con bitume, stoppa, pece e sarmenti. La fiamma si alzava quarantanove cubiti sopra la fornace e uscendo bruciò quei Caldei che si trovavano vicino alla fornace». Di nuovo quei tali ci vanno di mezzo. «Ma l'angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace..». C’è un angelo del Signore, oltre ai 3 nella fornace c’è un quarto personaggio, un angelo del Signore che era sceso con Azaria e i suoi compagni nella fornace e: «allontanò da loro la fiamma del fuoco e rese l'interno della fornace come un luogo dove soffiasse un vento pieno di rugiada».

I 3 nella fornace sono avvolti da questo involucro umido, pneuma drosou= spirito di rugiada, che li custodisce, li protegge, li rende inattaccabili al fuoco. Questa immagine è strettamente connessa con la testimonianza di cui i 3 nella fornace stanno dando prova: Benedicono il Signore, stanno cantando. E’ un vento che soffia e li avvolge di rugiada nello stesso tempo; è proprio il loro canto indirizzato al Signore per benedirlo che esplicita sonoramente il valore pneumatico di questa rugiada che li avvolge, che li libera dalle vampe della fornace: «Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia».

L’inno di benedizione

Nella prima sezione del canto si è trattato di un’orazione penitenziale, adesso siamo al grande canto di benedizione che assume la forma di un inno di lode, grandioso. «Allora quei tre giovani, a una sola voce, si misero a lodare, a glorificare, a benedire Dio nella fornace dicendo». Ogni versetto è accompagnato dalla ripetizione del ritornello: «degno di lode e di gloria nei secoli». Il cantico è costruito da una prima strofa, vv. 52-56, sei benedizioni dirette a Dio:

Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri

Benedetto il tuo nome glorioso e santo

Benedetto sei tu nel tuo tempio santo glorioso

Benedetto sei tu nel trono del tuo regno

Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi e siedi sui cherubini

Benedetto sei tu nel firmamento del cielo

E sempre il ritornello: degno di lode e di gloria nei secoli.

Benedetto sei tu nella tua sovranità immensa, eterna, al di sopra di tutto, tu che stai all’inizio, tu che stai alla fine, tu che domini, tu che governi, tu che sei il Signore, Benedetto Tu, per sei volte.

Adesso il cantico prende un’altra piega: il cantico da questo momento in poi assume la forma di un immenso invitatorio: Benedite opere tutte del Signore il Signore. Cosa succede? La benedizione indirizzata al Signore per 6 volte, è una benedizione incompleta: 6 è una cifra che indica una imperfezione, una insufficienza. Bisogna giungere ad una settima benedizione. Per benedire il Signore come faremmo noi, per benedirlo come merita. Al posto della settima benedizione c’è tutto il seguito: è un lungo elenco di inviti indirizzati adesso a tutte le creature di Dio, perché partecipino ad un unico coro finalmente abilitato a benedire il Signore. Noi potremmo benedire il Signore quando saremo in grado di interpretare la benedizione che tutte le altre creature rivolgono al creatore. E quando la nostra benedizione è a lui indirizzata passerà attraverso la ammirazione, il rispetto, la meraviglia, la gratitudine per tutte le creature che sono nel mondo. Per benedire il Signore bisogna che noi siamo testimoni di questa unica e immensa celebrazione di lode che sale a Dio da tutte le creature, nessuna esclusa, compreso il popolo della fornace. Nessuna esclusa compreso Nabucodonosor: benedetto il Signore, benedite il Signore! I 3 che stanno nella fornace con questo loro canto di benedizione stanno evangelizzando, stanno testimoniando che il potere appartiene a Dio, stanno svuotando di contenuto il presunto potere di Nabucodonosor, stanno addomesticando il fuoco ed ogni altra esperienza di contraddizione, di dolore, di disgrazia: benedetto il Signore.

Nel v. 57: «Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli». Adesso il ritornello cambia. Questo versetto apre il resto del cantico.

Nei vv. 58-63 ci sono 6 inviti rivolti alle creature celesti, è passato in rassegna l’universo in base a un ordine che segue più o meno uno svolgimento dall’alto verso il basso. Sei inviti rivolti a creature celesti. Aggiungendo a questa sequenza il v. 57 in tutto fanno 7 inviti:

Benedite, angeli del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, cieli, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, acque tutte, che siete sopra i cieli, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, potenze tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, sole e luna, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, stelle del cielo, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, opere tutte del Signore, il Signore

Altra strofa, vv. 64-73. Otto inviti rivolti alle creature degli spazi intermedi, tra l’alto e il basso, sono 8 inviti perché bisogna espungere i vv. 67-68, inseriti successivamente. Sono 8 inviti, 4+4. Prima quaterna, si tratta di quelle creature che si muovono tra l’alto e il basso:

«Benedite, piogge e rugiade, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, o venti tutti, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, fuoco e calore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, gelo e freddo, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

Fuoco e calore sono lampi e fulmini, gelo e freddo sono vari tipi di grandine. C’è sempre da tenere conto di quello che è l’atteggiamento dell’animo umano, il modo di stare sotto la pioggia, il modo di stare sotto la grandine, il modo di osservare un lampo. La percezione di fragilità che ci prende quando siamo avvolti da un turbine di vento: creature del Signore, benedite il Signore.

L’altra quaterna, negli spazi intermedi sono considerate le alternanze meteorologiche, provo a dire così:

«Benedite, ghiacci e nevi, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, notti e giorni, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, luce e tenebre, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, folgori e nubi, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

Ghiacci e nevi, si può dire il passaggio dalla neve al ghiaccio. Che strano! La neve così soffice, così delicata, così farinosa, e poi il ghiaccio, così duro così aspro così tagliente. Dio è il creatore di queste variazioni, questo è il creato da Dio: benedite il Signore. Variazioni degli elementi fisici, qui si tratta variazioni meteorologiche, pensate alle variazioni nel cuore umano, nei sentimenti umani, nell’umore dell’uomo!

Non tanto la notte e il giorno, ma il passaggio dalla notte al giorno e dal giorno alla notte. Che cosa succede quando sono spettatore di un’alba? E quando sono spettatore di un tramonto? Benedite il Signore, creature del Signore.

Luce e tenebre indicano il sereno e il fosco. S. Francesco d’Assisi, nel Cantico delle creature, è andato a scuola di questo testo. Il cielo che è nuvoloso e poi si apre, diventa terso. Cosa passa sul volto di un uomo, cupo, pesante, oscuro e poi luminoso, sorridente, trasparente? Benedite il Signore.

Cosa succede quando il cielo è coperto e poi tra le nuvole si infila un raggio di luce.. Che stranezza! E sempre di riflesso: che cosa succede nell’animo umano quando sotto il cielo nuvoloso, spunta un raggio di luce? Benedite il Signore.

E’ passando attraverso tutte le creature, è condividendo la qualità del dono che compete ad ogni creatura e traendone motivo per benedire il Signore che potremo benedirlo: Benedetto il Signore attraverso tutte le creature che sono sue.

C’è un’altra strofa ancora, vv. 74-81. Qui l’attenzione si sposta sulle creature della terra, dall’alto verso il basso, qui si procede per coppie:

«Benedica la terra il Signore, lo lodi e lo esalti nei secoli.

Benedite, monti e colline, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

La terra nella sua piattezza, monti e colline: la terra ondulata. Anche qui una pianura e poi invece un orizzonte che si muove, che è contorto: è il panorama che varia secondo il punto di vista, è il senso di angoscia e di oppressione ma anche il senso di liberazione, di gioia con cui si osserva.

«Benedite, creature tutte che germinate sulla terra, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, sorgenti, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

Qui sono le creature che vengono da sottoterra, una pianta che spunta e cresce, l’acqua che zampilla: benedite il Signore.

«Benedite, mari e fiumi, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, mostri marini e quanto si muove nell'acqua, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

Adesso la componente acquatica della superficie terrestre e le creature che abitano nell’acqua: benedite il Signore.

«Benedite, uccelli tutti dell'aria, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

Qui sono tutte le creature viventi, gli uccelli del cielo, gli animali selvatici e domestici: benedite il Signore.

Ecco l’ultima strofa, sono 7 inviti rivolti agli uomini.

«Benedite, figli dell'uomo, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.

Benedica Israele il Signore, lo lodi e lo esalti nei secoli».

Il popolo di Dio con la sua particolare vocazione.

«Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

I sacerdoti nell’ambito del popolo di Dio sono specialisti nella benedizione.

«Benedite, o servi del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

Sono tutti i credenti in quanto hanno maturato l’esperienza di una vocazione.

«Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

Qui sono già i trapassati, i defunti, anche loro benedicono il Signore. E noi benediciamo il Signore in comunione con loro che benedicono il Signore.

«Benedite, pii e umili di cuore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli».

Tutti i piccoli, gli umili, per benedire il Signore. E la nostra benedizione è per il Signore in quanto assorbe in sé la benedizione di tutti gli umiliati della terra.

«Benedite, Anania, Azaria e Misaele, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli, perché ci ha liberati dagl'inferi, e salvati dalla mano della morte, ci ha scampati di mezzo alla fiamma ardente, ci ha liberati dal fuoco», perché anche il fuoco è creatura che benedice il Signore attraverso gli uomini. Ne è possibile benedire il Signore se non ci affidiamo anche al fuoco come a creatura di Dio nella riconoscenza per il dono d’amore che nella sua fedeltà ci converte. E anche Nabucodonosor benedica il Signore. E questo giorno e questo luogo benedicano il Signore, e questa fatica e questo sudore, benedicano il Signore. E questa malattia e questo dolore, benedicano il Signore. E questa incomprensione e questa umiliazione, benedicano il Signore. Il potere non è di Nabucodonosor, il potere è del Signore e noi ne siamo i testimoni umiliatissimi e vergognatissimi, attraverso l’esercizio della benedizione.

Il cantico di Daniele è sempre presente nelle lodi della domenica mattina. E le lodi della domenica mattina sono in una posizione strategica nella preghiera della chiesa: è la domenica mattina, all’alba, che la chiesa canta con Daniele 3.

La benedizione si conclude qui con una ricapitolazione.

«Lodate il Signore, perché egli è buono, perché la sua grazia dura sempre.

Benedite, fedeli tutti, il Dio degli dei, lodatelo e celebratelo, perché la sua grazia dura sempre».

La benedizione di Nabucodonosor

Si ritorna la racconto e riprende il testo in aramaico, dal v. 91: «Allora il re Nabucodònosor rimase stupito e alzatosi in fretta si rivolse ai suoi ministri: "Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?". "Certo, o re", risposero. Egli soggiunse: "Ecco, io vedo quattro uomini (c’è anche l’angelo) sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell'aspetto a un figlio di dei". Allora Nabucodònosor si accostò alla bocca della fornace con il fuoco acceso e prese a dire: "Sadràch, Mesàch, Abdènego, servi del Dio altissimo, uscite, venite fuori". Allora Sadràch, Mesàch e Abdènego uscirono dal fuoco».

Li fanno uscire, dopodiché li osservano, li annusano, non puzzano nemmeno di fumo. I 3 non dicono niente, silenzio. Il loro silenzio parla attraverso il canto della benedizione e nello stesso tempo quella benedizione rende parlante, cantante, benedicente anche il silenzio, di quelli che non hanno più niente da dire. E Nabucodonosor che li osserva, li scruta, li studia.

«Nabucodònosor prese a dire: Benedetto il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego». Questo non vuol dire che Nabucodonosor si converta, però anche Nabucodonosr è in grado di esprimersi con un atto di benedizione. «Benedetto il Dio di Sadràch, Mesàch e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui; hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio che il loro Dio. Perciò io decreto». Nabucodonosor emana un altro decreto, secondo i suoi sistemi, ma intanto anche Nabucodonosor ha pronunciato una benedizione e in questo modo la testimonianza dei 3 ha raggiunto la sua ultima e più sapiente fecondità, perché attraverso il canto della benedizione hanno dimostrato che anche l’avversario più feroce, anche il persecutore più spietato diviene strumento di benedizione per coloro che sono nella vergogna e benedicono il Signore, ecco che tutta la creazione diventa eco orale e festoso nella comunione di un disegno che celebra la gloria di Dio e che manifesta la sua Signoria e appartenenza a lui del potere e di tutta la benedizione. E l’onore, la benedizione e la gloria.