Incontri di discernimento e solidarietà
 
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LA STORIA DI DAVIDE

Pino Stancari

Regalità e potere

Questa sera vorrei occuparmi di un personaggio, esattamente di Davide, passando in rassegna una serie di pagine del secondo libro di Samuele. Il personaggio Davide non è sconosciuto e gli eventi a cui fanno riferimento le pagine di cui ci occuperemo sono più o meno presenti nella nostra esperienza già acquisita di lettori della Sacra Scrittura e di conoscitori della storia della salvezza.

Certamente Davide è uno dei grandi personaggi. La storia della salvezza passa attraverso di lui in modo decisivo, stabile.

Attorno all’anno 1000 a.C. vive e opera questo personaggio a cui la storia della salvezza conferisce un valore strutturale, nodale, un riferimento che consente di ricapitolare tutte le vicende antecedenti e di impostare le vicende che verranno fino alla pienezza dei tempi, quando colui che compare sulla scena ed è il personaggio definitivo, ultimo, esauriente della storia della salvezza, di tutta la storia umana, è individuato senz’altro come il figlio di Davide.

Il secondo libro di Samuele, Davide re. La regalità di Davide. Interessa proprio questa particolare dimensione del personaggio. E’ una dimensione carismatica, perché la regalità di Davide esprime un valore intrinseco, teologale della sua vocazione, della missione che gli è affidata nella storia della salvezza.

La regalità di Davide ha qualcosa da dire a riguardo del tema del potere.

Davide è figura esemplare per quanto riguarda la regalità , passando attraverso alcune situazioni piuttosto problematiche. Ci sono delle tappe d’accostamento alla configurazione del potere regale del popolo di Dio che sono addirittura polemiche, momenti di rifiuto, atteggiamenti di ostilità nei confronti di una istituzione monarchica che avrebbe compromesso l’unica regalità che compete al Signore Dio d’Israele.

Il primo re d’Israele è una figura tragica, si tratta di Saul. Accanto a Saul, alla scuola di Saul, a contatto con Saul vive e cresce, impara il mestiere di re Davide. E se è vero che il primo re a tutti gli effetti è Saul, è anche vero che proprio a Davide può essere attribuito il titolo regale in forma esemplare, che rimane riferimento indelebile per le generazioni successive.

La figura di Saul è travolta in un fallimento clamoroso, ma è proprio la comparsa di Davide che conferisce alla istituzione monarchica quel rilievo sacramentale che resterà come insostituibile valore di orientamento nella storia della salvezza. Non a caso noi continuiamo ad usare comunemente nel nostro linguaggio cristiano una terminologia che in tanti modi, con tante approssimazioni, rinvia alla regalità. Noi quotidianamente invochiamo la venuta del re, la manifestazione della regalità.

E’ inevitabile fare i conti con Davide e con la regalità di Davide. E’ una regalità che si afferma in contatto con lo sviluppo fallimentare dell’esperienza precedente di Saul, che la ricapitola e recupera. Davide svetta, Davide è personaggio luminoso, Davide è figura che attrae a sé l’interesse, il compiacimento, l’ammirazione di tutti nella sua generazione e rimane come segnale di orientamento per le generazioni future.

Anzi, quando alcuni secoli dopo non esisterà più l’istituzione monarchica, non esisterà più il re sul trono che fu anticamente di Davide, ancora i credenti del popolo di Dio continueranno a rivolgere la propria aspirazione più profonda verso la promessa di un nuovo Davide.

La succesione al trono

Capp. 7-20 di 2Sam. Questi capitoli costituiscono senza dubbio il nucleo più antico di tutta la narrazione che si sviluppa nei due libri di Samuele. E’ il nucleo originario di tutta la narrazione; i fatti relativi al periodo antecedente, sono stati inseriti nella narrazione ampliando e articolando il racconto, a partire da questo nucleo. I capp. 7-20 di 2Sam trattano della successione al trono di Davide.

L’istituzione monarchica era stata dapprima mal vista, mal giudicata, considerata come una minaccia pericolosa dai grandi personaggi dell’epoca precedente, basti pensare a Samuele, che pure unge il primo re, Saul, e unge pure re Davide. Samuele è un personaggio che sta sulla soglia, egli da parte sua dichiara espressamente di essere angustiato dalla prospettiva che il popolo d’Israele si adegui a quelle che sono le consuetudini degli altri popoli. Anche il popolo d’Israele deve essere governato da un re? Samuele è istintivamente contrario a una soluzione del genere, ma si adegua a un disegno che è più grande di lui e che in modo evidentissimo manifesta le intenzioni provvidenziali di Dio stesso: anche Israele avrà un re. Il primo caso, quello di Saul, si trasforma in una avventura terribile, sconvolgente. Eppure Saul, è un personaggio a cui devono essere riconosciuti dei meriti, delle qualità, ha una grandezza, ma tante complicazioni e contraddizioni poi lo travolgono.

Davide regna. L’istituzione monarchica è elemento di coagulo per le tribù che sono ancora piuttosto tendenti all’autonomia, garantisce l’unità interna del popolo, l’organizzazione della vita nel paese, e, soprattutto, garantisce la difesa nei confronti dei nemici esterni, e anzi consentirà, nel corso di alcuni decenni, un allargamento del raggio di influenza che il popolo d’Israele può esprimere, inglobando dei territori, ottenendo il vassallaggio di popolazioni confinanti, tutto questo perché l’istituzione monarchica consente quella organizzazione interna e quella politica esterna da cui il popolo come tale trarrà dei vantaggi. E’ vero che corrispondentemente il popolo subisce delle conseguenze che già erano state preannunciate da Samuele, conseguenze pesanti.

La regalità è pienamente instaurata quando colui che siede sul trono può presentare l’erede, perché la regalità sussiste in pienezza quando diviene garanzia di stabilità. Non è più come al tempo dei giudici, un personaggio dotato di particolari capacità carismatiche che interviene in quel momento, in quella generazione, in quel luogo per affrontare quel problema.

L’istituzione monarchica permette al governo del popolo intero, raccogliendo la diversità delle tribù e sistemando la distribuzione dei sudditi in tutto il territorio consente di guardare al futuro con animo rasserenato. Questa caratteristica del potere monarchico a noi sfugge, eppure essa è decisiva. Colui che siede sul trono è a pieno titolo riconosciuto come re quando è in grado di offrire la garanzia di un seguito, di una successione, c’è un erede che già è pronto per subentrare.

Chi è l’erede di Davide? Non è soltanto una questione di ordine dinastico, nel contesto di una procedura che già funziona automaticamente. Non è soltanto il vezzo, la curiosità politica di qualche curioso indagatore degli equilibri che si vengono esprimendo negli ambienti di corte. Qui è in questione la regalità di Davide in quanto tale, il valore sacramentale di questa regalità, il segno che Dio stesso ha voluto superando tutte le resistenze e le opposizioni, convincendo addirittura Samuele a prestarsi a questa avventura. E’ Dio stesso che ha voluto fare della istituzione monarchica un modo per rivelare la sua presenza, per confermare la sua iniziativa, per procedere nella maturazione delle coscienze in vista di quel pieno compimento delle promesse che risalgono all’epoca dei patriarchi e che giungeranno alla realizzazione nella pienezza dei tempi.

Notate bene che stando così le cose, la regalità coincide con la paternità di Davide. Davide è padre, ha un figlio, presenta il figlio, sarà il suo erede. Davide è definitivamente riconosciuto e qualificato in se stesso come re, perché è in grado di testimoniare la realizzazione della sua paternità potendo ormai presentare l’erede, il figlio che gli succederà.

Quando si fu stabilito nella sua casa

2Sam 7: è una pagina famosissima, l’episodio in cui viene formulata per la prima volta in modo esplicito la cosiddetta promessa messianica. 2Sam 7 è un testo di primaria importanza in tutta la rivelazione biblica che ci porta dritti dritti fin nel cuore del Nuovo Testamento, fino all’annunciazione a Maria. Quando l’angelo si presenta a Maria nella casa di Nazareth, cita 2Sam 7.

«Il re quando si fu stabilito nella sua casa». Così si apre il racconto. Anticamente era certamente una unità a se stante, è il nucleo originario attorno al quale tutto l’insieme degli altri racconti si è venuto componendo.

«Il re quando si fu stabilito nella sua casa». Questo è il punto di partenza: il re ha una casa e la casa non è soltanto un edificio, la casa è una famiglia, la casa è una parentela, la casa è tutto il complesso di relazioni che movimentano quella casa, che la rendono viva. Davide ha molti figli. "La sua casa", questo termine è molto comune nel linguaggio biblico per indicare l’equivalente del nostro termine famiglia. La casa di Davide è la famiglia di Davide, la casa di Giacobbe, la casa di Giuseppe, la casa di… Davide ha una grande famiglia, ha molti figli, vedete, non ha problemi. Si tratta soltanto di indicare l’erede, ma questa è una procedura di ordine tecnico. Adesso giunge il momento in cui gli eventi maturano. Per Davide si tratta soltanto di precisare chi sarà l’erede, ma Davide è stabilito nella sua casa.

Nel frattempo è anche vero che Davide re si è costruito una reggia. Questo è confermato anche dagli scavi archeologici. Una reggia piuttosto sontuosa e se ne vanta. Fatto sta che Davide ha un pensiero. Dato che ormai lui è re consolidato al punto che la reggia sta li a dimostrare in modo così vistoso la solidità della sua casa, la stabilità del suo trono attraverso l’erede che sarà designato, Davide ritiene opportuno dedicarsi alla costruzione di una casa per il Signore, ossia alla costruzione di un tempio. Prende questa decisione, informa il profeta Natan, sembra che tutto debba andare in questo modo. Il profeta Natan torna da Davide e gli dice: guarda che le cose non stanno così.

Il racconto di cui dobbiamo occuparci si apre con una smentita, un avvertimento per Davide: stai attento, perché le cose non stanno come a te sembra che sia tutto scontato. Attraverso il profeta il Signore manda a dire a Davide: guarda non sei tu che costruisci una casa per me, io non ho bisogno di un tempio, dice il Signore, un tempio me lo costruirà un altro più avanti. Non ho bisogno di un tempio, sto benissimo sotto una tenda, sono abituato a questo tipo di dimora. Non tu costruirai una dimora per me, stai attento Davide, perché invece sono io che costruisco una casa a te.

Una affermazione un poco curiosa questa, perché il punto di partenza del racconto di cui ci stiamo occupando, consisteva in quella affermazione che ci era presentata come evidente in se stessa, inoppugnabile: Davide una casa se l’è già costruita, esercita la funzione regale, svolge in pienezza il ruolo del sovrano, è dotato di quelle prerogative del potere regale, perché ha una casa, se l’è costruita ed è una casa solidissima. E invece il Signore gli manda a dire: non sei tu che costruirai una casa per me, sono io che costruisco una casa per te, sono io che ti do una famiglia, sono io che ti do un figlio, sono io che ti do un erede.

Questo modo di intervenire del profeta costituisce un affondo veramente provocatorio in rapporto a una situazione serena e ormai incrollabile che Davide ritiene di avere acquisito. Davide, tra l’altro, ha una lunga carriera alle spalle, con tante vicissitudini, con tante incertezze. Davide ha già dato prova di sé in modo mirabile delle sue qualità umane, delle sue qualità morali, delle sue qualità spirituali. Davide è l’uomo di Dio oltre che l’uomo di potere, Davide è orante e contemplativo oltre che guida energica, risoluta, appassionata dei suoi sudditi, in ogni impresa.

Eppure il Signore gli manda a dire: vedi che sono io che intervengo per darti una famiglia. Su quel terreno che ritenevi ormai di avere già organizzato in base alle tue prerogative regali, intervengo io; non è vero che tu ti sei costruito una casa, non è vero che tu hai una famiglia, non è vero che tu sei padre, non è vero che hai una figlio, te lo do io: la promessa messianica.

2Sam 7,12: «Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno».

Questo è il linguaggio usato dall’angelo quando si presenta alla Madonna: «Renderà stabile il trono di Davide suo padre» (cfr. Lc 1,32-33).

Io farò questo: darò a te un successore. Dare a Davide un successore significa dare a Davide il titolo regale: Io ho fatto di te un re, io ho fatto di te un padre, io rendo stabile il tuo trono, il tuo potere, quello per cui sei sovrano dei tuoi sudditi e per cui sei coinvolto nella storia della salvezza come sacramento che rivela l’intenzione di Dio.

E, come dice il v. 13, sarà proprio questo discendente di Davide che edificherà una casa al mio nome, è lui che costruirà un tempio per me e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male… ecc.

Natan parlò a Davide con tutte queste parole secondo questa visione (v. 17) . Davide recepisce il messaggio, ma in modo che è ancora piuttosto incerto, nebuloso. Davide semplicemente accoglie con rispetto, con sincera devozione il messaggio che gli è stato rivolto tramite il profeta. Come andranno adesso le cose?

Il peccato di Davide

Dal cap. 8 al cap. 12. Una serie di pagine che ci danno una immagine dell’espansione del regno. Davide è combattente, ha organizzato, riprendendo tra l’altro le istruzioni a lui lasciate da Saul, un esercito. Collaborano con lui alcuni suoi parenti stretti. Anche questa è una prerogativa dell’istituzione monarchica. Esiste un esercito dal tempo da cui esiste un re in Israele, precedentemente non esisteva. E’ in corso la guerra contro gli ammoniti, popolazione che sta ad oriente del Giordano, guerra che si tradurrà ancora una volta in una vittoria, assai significativa a vantaggio di Davide e dei suoi.

Queste pagine ci consentono ancora una volta, di ammirare e celebrare la abilità politica e militare di Davide, che ingrandisce il regno, che coinvolge le popolazioni confinanti nella obbedienza alla sua politica di governo.

Nel contesto di queste pagine, capp. 11-12, il racconto del peccato di Davide.

Davide è ormai avanti negli anni, tant’è vero che non va più al fronte, non guida più lui l’esercito, rimane a Gerusalemme, la capitale e di là muove le leve del potere. Davide anziano, in un momento di grigiore, per quel che riusciamo a decifrare, anche se l’apparenza esterna è proprio quella che serve a caratterizzare l’uomo di successo, l’uomo arrivato, l’uomo che è ormai collocato in una posizione pubblica incrollabile. C’è di mezzo una donna, Davide trova la maniera per far si che muoia in battaglia il marito di quella donna di cui si è invaghito. Nel frattempo quella donna è incinta e nascerà un figlio. Essa sarà chiamata a corte dopo la morte del marito e diventerà moglie di Davide, nasce un figlio che muore.

Il profeta Natan viene mandato dal Signore per affrontare Davide. La situazione in sé è squallida, ma qui non è la sconcezza di un comportamento immorale, nel senso più banale del termine, che viene rilevato, qui è in questione la regalità di Davide, il suo modo di governare, la sua posizione di potere, la dimensione sacramentale della sua regalità. E tutto coincide con la sua paternità. Il figlio, nato da Davide, muore. Vorrei che fosse chiaro: non è un episodio che possiamo interpretarecome un problema di coscienza (Dio interviene per punire in modo smisurato per un verso, fiscale per un altro verso). Qui è in questione la regalità di Davide, e il figlio di Davide, in quanto generato da lui, è un figlio che muore.

Siamo perfettamente in linea con quanto, attraverso il profeta, il Signore aveva fatto presente a Davide: guarda che le cose non stanno come tu sei convinto, le cose non stanno così, non è vero che tu hai una famiglia solida, stabile, ormai un edificio, ormai una relazione con i tuoi parenti, una moltitudine di figli che danno solidità al tuo trono. Non è vero: tuo figlio muore.

Nel frattempo nasce un altro figlio da quella stessa donna e quest’altro figlio si chiama Iedidià (2Sam 12,25) che significa: amato dal Signore. Quest’altro figlio sarà soprannominato Salomone, il pacifico (2Sam 12,24-25). Sarà proprio questo Iedidià, detto Salomone, l’erede.

Ma adesso di questo figlio non si parla, questo figlio viene accantonato, anche perché è giovanissimo, appena nato. Davide ha figli adulti. In ben altra direzione va lo sguardo di coloro che attendono la designazione dell’erede. Di Salomone non si parlerà per un pezzo. Riemergerà la figura di questo personaggio molto più avanti.

Intanto l’alternativa è posta: non è il figlio nato da te, ma è il figlio che ti do io secondo la mia promessa. Non è il figlio generato da te, quello muore. Ma il figlio che viene suscitato nella tua discendenza come espressione della mia promessa che si compie. E’ l’amato del Signore, sarà Salomone il pacifico colui che costruirà il tempio.

E non dimenticate mai: tutto quello che riguarda il riconoscimento dell’erede, l’identificazione del figlio, e dunque esprime la paternità di Davide, ci aiuta a discernere il valore della sua regalità. Non il figlio che hai generato tu, ma quell’altro che ti viene donato in obbedienza alla mia promessa.

Tu non sei re per come hai esercitato il potere. Hai potuto fare quello che ti è piaciuto di quella donna e del marito di quella donna, hai interferito con la vita privata dei tuoi sudditi, hai strumentalizzato la loro obbedienza allo scopo di affermare la tua sovranità assoluta; ebbene: non è questo che fa di te un re, non è questo che fa di te un padre, non è in questo modo che tu eserciti il potere regale, per il quale pure io ti ho chiamato. Le cose vanno in un altro modo. La situazione tende a diventare sempre più drammatica, sempre più sconvolgente.

La disfatta

Cap. 13: adesso vediamo che cosa succede nella casa di Davide. Non gli è risparmiato nulla al re Davide: ecco chi sono i suoi figli, ecco come si comportano. In realtà è una casa fatiscente, che non ha fondamenta. I figli, uno dopo l’altro, esprimono una miseria incorreggibile, una storia tragica. Davide è spettatore di questo crollo, il crollo della sua casa, il crollo della sua paternità, il crollo della sua regalità, del suo potere.

E’ spettatore di eventi che non fanno altro che fornirgli lo specchio in cui riconoscere la tristezza miserabile del suo fallimento. Il figlio primogenito di Davide si chiama Amnon, un personaggio molto dotato e tutti sono convinti che sarà l’erede. Soltanto che questo Amnon si innamora di una sorellastra che si chiama Tamar. E’ un’altra figlia di Davide, figlia nata da un’altra madre, Tamar. Vuole a tutti i costi abusare di lei e si permette di violentarla. Dopodiché un odio feroce nei confronti di quella ragazza di cui ha approfittato in modo così spudorato: la caccia, non ne vuole più sapere.

Davide è informato. 2Sam 13,21: «Il re Davide seppe tutte queste cose e ne fu molto irritato, ma non volle urtare il figlio Amnòn, perché aveva per lui molto affetto; era infatti il suo primogenito».

Davide ascolta, Davide è informato, Davide viene a conoscenza, ed è la conoscenza di un uomo con animo trepidante e sempre più ferito intimamente. Davide non interviene, è come se avvertisse una forma di paralisi, non può prendere posizione. C’è per di più l’affetto sincero e intenso per questo figlio, il primogenito. Dovrebbe essere l’erede ed è un mascalzone spudorato. Davide lo sa bene, non interviene, è impotente.

Tamar ha un fratello che è anch’egli figlio di Davide. Con Tamar sono figli della stessa madre. Questo personaggio si chiama Assalonne, ambiziosissimo, genialissimo, vivacissimo, affascinante più che mai. Assalonne se l’è legata al dito, è evidente: è sua sorella. L’ha presa in casa sua e ordisce una congiura per vendicarsi. Un bel giorno invita Amnon e gli altri principi della corte nella sua residenza di campagna, perché deve tosare il gregge. E proprio nel corso di quella festa di famiglia fa trucidare Amnon, il principe ereditario. Un disastro.

Naturalmente Assalonne deve fuggire. Adesso Davide è informato. Non soltanto Amnon è morto, ma Assalonne è fuggito e tutti gli altri nella sua figliolanza sono morti. Ormai la guerra è dichiarata, gli equilibri sono scompensati, tutti i programmi si stanno disfacendo, non tengono più. In 2Sam 13,36-37 Davide ha ricevuto la notizia, come ebbe finito di parlare l’informatore «ecco giungere i figli del re, i quali alzarono grida e piansero; anche il re e tutti i suoi ministri fecero un gran pianto. Quanto ad Assalonne, era fuggito ed era andato da Talmài, figlio di Ammiùd, re di Ghesùr. Il re fece il lutto per il suo figlio per lungo tempo».

E’ morto Amnon ed è perso Assalonne e tutti gli altri figli sono isolati. E’ traballante tutta l’articolazione della politica interna perché la stabilità del potere dipende dalla presenza di un erede.

Assalonne rimane in esilio per 3 anni, perché ci vuole tempo perché Davide plachi il suo dolore. Poi Assalonne fa di tutto per rientrare. A corte ci sono quelli che si rendono conto come sia traballante l’equilibrio dell’istituzione monarchica e si danno da fare per ottenere da Davide il permesso affinché Assalonne possa rientrare. Ioab, che è parente stretto di Davide, comandante dell’esercito, fa di tutto per favorire Assalonne, ci tiene ad avere sotto mano un erede. Assalonne rientra, cap. 14. Per il primo periodo non può presentarsi in pubblico, è rientrato a Gerusalemme ma rimane a casa sua, v. 24: «"Si ritiri in casa e non veda la mia faccia". Così Assalonne si ritirò in casa e non vide la faccia del re».

Assalonne però non sopporta una discriminazione del genere e ad un certo momento usa dei metodi piuttosto sbrigativi per ottenere finalmente l’accesso a corte.

E così vanno le cose. Il re, da parte sua, un po’ è disinformato, un po’ non vuole informarsi. E’ affezionato ad Assalonne: è suo figlio! Sa che deve contare su un erede e un insieme di indizi piuttosto evidenti per tutti i contemporanei suggerisce che l’erede sia proprio Assalonne. Assalonne viene riammesso a corte, v. 33:

«Il re fece chiamare Assalonne, il quale venne e si prostrò con la faccia a terra davanti a lui; il re baciò Assalonne».

Adesso Assalonne ha possibilità di muoversi a suo piacimento e si dà un gran daffare: organizza le cose in base a certe sue genialissime abilità di tipo clientelare, prende contatto con le tribù più lontane, quelle che sono più oppresse, meno favorite, costruisce tutta una rete di relazioni dirette per attirare a sé la simpatia, la solidarietà, il debito della gente. Assalonne ci sa fare: va incontro a tutti, bacia tutti, abbraccia tutti, si presenta come garante nel seguire le cause di coloro che hanno difficoltà di ordine giudiziario, garantisce il suo appoggio, sa come muoversi. Chi più di lui ha credenziali autorevoli. Assalonne sta tramando.

Davide è spettatore di tutto questo, ma non interviene. Davide appare sempre di più come congelato, non reagisce, è un osservatore preoccupato non tanto di interagire, quanto piuttosto di scavare in se stesso, nell’intimo della sua coscienza per discernere nella profondità del cuore il senso degli eventi che si stanno svolgendo sulla scena pubblica. Che padre sono io? Che re sono io? Quale potere regale mi è stato conferito e quale potere regale diviene struttura sacramentale della storia della salvezza per cui mi sarà dato un erede?

Assalonne procede nelle sue tresche politico-clientelari. A un certo momento insorge, ha buon gioco, non ha oppositori. Davide non si difende.

Le pagine che stiamo sfogliando sono veramente grandiose non solo letterariamente; è la densità del vissuto che non può sfuggirci. Assalonne insorge e muove ormai con i suoi armati contro Gerusalemme.

2Sam 15,13: «Arrivò un informatore da Davide e disse: "Il cuore degli Israeliti si è volto verso Assalonne"». Assalonne ottiene favori. A tutti quelli che incontra sulla sua strada promette; un concorso popolare rende l’insurrezione di Assalonne un fenomeno intrattenibile, come una marea che sta salendo per travolgere qualunque opposizione. La notizia giunge a Davide che fugge.

«Allora Davide disse a tutti i suoi ministri che erano con lui a Gerusalemme: "Alzatevi, fuggiamo; altrimenti nessuno di noi scamperà dalle mani di Assalonne"».

Assalonne muove contro Gerusalemme, muove contro suo padre, vuole uccidere suo padre: «Nessuno di noi scamperà dalle mani di Assalonne. Partite in fretta perché non si affretti lui a raggiungerci e faccia cadere su di noi la sventura e colpisca la città a fil di spada». La guardia del corpo, i collaboratori più vicini e più fidati, assieme con Davide fuggono.

«Il re dunque uscì a piedi con tutta la famiglia; lasciò dieci concubine a custodire la reggia. Il re uscì dunque a piedi con tutto il popolo e si fermarono all'ultima casa».

Davide assiste al passaggio di quelli che stanno fuggendo con lui, i suoi fedelissimi, mercenari che si erano consacrati al suo servizio, i suoi ministri. Ci sono quelli che hanno tradito, ci sono i suoi collaboratori, consiglieri che sono già passati dalla parte di Assalonne, ma ci sono quelli che sono rimasti vicino. Davide assiste a questo passaggio, anzi invita molti di questi a tornarsene a casa loro: andate, cosa c’entrate voi con me? Siete qui occasionalmente, siete forestieri, avete altre possibilità, altre speranza per la vita vostra. Quelli che sono accanto a Davide confermano la loro intenzione di accompagnarlo, di seguirlo. E tutti piangono. v. 23:

«Tutti quelli del paese piangevano ad alta voce, mentre tutto il popolo passava. Il re stava in piedi nella valle del Cedron e tutto il popolo passava davanti a lui prendendo la via del deserto».

Il re sta li, impalato, congelato. Eppure ci rendiamo conto che è intimamente scosso, è travolto da sentimenti potentissimi, una trepidazione sconvolgente. Anche il re piange. v. 30:

«Davide saliva l'erta degli Ulivi».

Dice tante cose a noi questa erta degli Ulivi. Per guardare l’ultima volta Gerusalemme, si sale l’erta degli Ulivi, si volge indietro e guarda Gerusalemme. Chi arriva da oriente raggiunge la cresta del monte degli Ulivi e finalmente vede Gerusalemme. Adesso Davide sta fuggendo da Gerusalemme: «saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi». Ecco, questo è il re, a capo coperto, in segno di lutto, a piedi scalzi in atteggiamento penitenziale. E’ già da un pezzo che noi ci siamo resi conto del fatto che la vita di Davide ha preso questa piega, si è configurata come una vicenda penitenziale. E’ da un pezzo che è così. Davide peccatore in pianto, Davide peccatore ha confessato. A lui, attraverso il profeta Natan a suo tempo il Signore diede quell’annuncio: non questo figlio, ma il figlio che nascerà secondo la promessa. Tu Davide non morirai.

E poi sappiamo quello che è successo. Davide non è morto. E’ invecchiato sempre di più. Ormai è un uomo molto avanti negli anni. Suo figlio è il suo nemico. Lui se ne sta fuggendo da Gerusalemme, sale piangendo. Anche Gesù piangerà una volta che dall’alto del monte degli Ulivi scorgerà Gerusalemme. «Tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva».

«Fu intanto portata a Davide la notizia: "Achitòfel è con Assalonne tra i congiurati"». Achitofel è un sapiente. E’ vero che nel frattempo, aiutato dai suoi collaboratori, tenta di organizzare qualche forma di resistenza, ma intanto bisogna allontanarsi prima che sia possibile, raggiungere il Giordano e poi bisogna sperare che Assalonne non insegua subito Davide e i suoi uomini. E infatti andranno così le cose. Assalonne è giovane intelligente, brillante, intraprendente, determinato, ma qui sbaglia le mosse.

Ancora non è del tutto sicuro di sé, rinvia l’inseguimento, quello che consentirà a Davide e ai suoi di attraversare il Giordano e di trasferirsi nel territorio di oriente.

v. 5: «Quando poi il re Davide fu giunto a Bacurìm, ecco uscire di là un uomo della stessa famiglia della casa di Saul». Territorio di Beniamino, Saul era un beniaminita. Dunque questo tale viene allo scoperto, si chiama Simei, figlio di Ghera.

«Egli usciva imprecando e gettava sassi contro Davide e contro tutti i ministri del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti i prodi stavano alla destra e alla sinistra del re. Simeì, maledicendo Davide, diceva».

Vedete cosa si permette questo personaggio. Comunque sia la situazione è tale per cui lui può affrontare il re con questa straffottenza: «Vattene, vattene, sanguinario, scellerato! Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni»

Come se Davide dovesse essere ritenuto responsabile del fallimento di Saul! Quel tale si permette di affrontare Davide così perché Davide sta fuggendo, la situazione è precipitata.

«Il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne tuo figlio ed eccoti nella sventura che hai meritato, perché sei un sanguinario».

Ora c’è un giovane cugino di Davide, Abisai che dice: Guarda, adesso vado e gli taglio la testa.

«Ma il re rispose: Che ho io in comune con voi, figli di Zeruià?». Zeruià è la madre di Abisai. «Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: Maledici Davide! E chi potrà dire: Perché fai così?». Lascia che maledica.

«Poi Davide disse ad Abisài e a tutti i suoi ministri: "Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di togliermi la vita: Quanto più ora questo Beniaminita!».

C’è mio figlio che marcia contro di me e io dovrei prenderla con questo beniaminita che mi maledice? «Lasciate che maledica, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi. Davide e la sua gente continuarono il cammino e Simeì camminava sul fianco del monte, parallelamente a Davide, e, cammin facendo, imprecava contro di lui, gli tirava sassi e gli lanciava polvere».

Una scena terribile. Loro camminano sul bordo della valle e dall’alto della cresta Simei continua a imprecare, buttando sassi e polvere e maledicendo. «Il re e tutta la gente che era con lui arrivarono stanchi presso il Giordano e là ripresero fiato».

Adesso a oriente del Giordano, dopo alcuni altri eventi che chiariscono le posizioni, gli schieramenti, si raccolgono le forze dei due eserciti contrapposti, a oriente del Giordano la battaglia decisiva.

Conversione e regalità

Cap. 18. Davide passa in rassegna la sua gente, sono tre distaccamenti nello schieramento del suo esercito. Davide vorrebbe andare in battaglia anche lui: glielo proibiscono. Gli dicono: tu non venire con noi, tu non puoi mettere a rischio la tua vita. E il re rimane, obbedisce ai suoi uomini, ai suoi ufficiali che gli chiedono di restare in posizione sicura. V. 4:

«Il re si fermò al fianco della porta, mentre tutto l'esercito usciva a schiere di cento e di mille uomini. Il re ordinò a Ioab, ad Abisài e ad Ittài: "Trattatemi con riguardo il giovane Assalonne!"».

Perché? E’ suo figlio. E’ il nemico: è suo figlio. «"Trattatemi con riguardo il giovane Assalonne!". E tutto il popolo udì quanto il re ordinò a tutti i capi nei riguardi di Assalonne».

In battaglia Assalonne è sconfitto e viene ucciso. Proprio Ioab, il comandante dell’esercito, anch’egli parente stretto di Davide, lo uccide, contravvenendo all’ordine esplicito dato dal re. Ma con tutte le ragioni dell’uomo politico e del militare in battaglia, in questo caso.

2Sam 18,19ss Davide viene informato, si rende conto che il suo esercito ha vinto e appena riceve la notizia subito insiste: E Assalonne?

Shalom, pace, dice il primo ambasciatore, evangelizzatore dice il testo ebraico. Ma: c’è pace per Assalonne? (così in ebraico). Arriva un altro: C’è pace per Assalonne? Cap. 19,1:

«Allora il re fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva in lacrime: "Figlio mio! Assalonne figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!"». Il re piange Assalonne, il figlio ribelle, che congiurava, che voleva spodestarlo, che voleva sostituirsi a lui in modo violento e che ha compiuto a Gerusalemme un’impresa veramente truce: si è unito alle concubine di suo padre.

Ebbene: «Figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te». Tutti rimangono interdetti, quelli che rientrano dalla battaglia non sanno come comportarsi. Il re piange e fa lutto per Assalonne. Il comandante Ioab deve intervenire: ma insomma, che figura ci facciamo, che figura ci fai tu, e come la mettiamo con la gente. Sembra quasi che tu sia dispiaciuto perché abbiamo vinto. Bisogna pure dare un riconoscimento a questi uomini che hanno penato tanto per te. Non bisogna dimenticare che è in questione la regalità di Davide, una regalità sofferente, piagata, sconvolta dalla esperienza di un fallimento.

Ioab convince Davide a presentarsi in pubblico, si siede sulla porta, non riesce nemmeno a stare in piedi. E la gente passa, sfilano, e lo guardano e tutti ammutoliscono perché sono dinanzi alla rivelazione di questa sofferenza profondissima, una epifania del dolore. Davide che è stato scardinato nelle sue sicurezze, che è stato ferito nel cuore, Davide che nel corso della sua missione regale man mano è andato assumendo comprensione del compito a lui affidato, Davide si è reso conto di essere smentito, di essere sbugiardato, di essere costretto a misurarsi con la sua menzogna, con la sua falsità, con le sue contraddizioni. L’esercizio del governo ha fatto di Davide un uomo travolto nel cuore da una necessità di vita nuova. La necessità urgente di una conversione totale: Assalonne suo figlio è morto. E’ morto il nemico? E’ aperta una piaga che si aggiunge a tutte le altre e che conferma proprio lo squartamento del cuore di Davide padre, Davide re.

Il Signore ha promesso: io ti darò un figlio, io farò di te un padre, io farò di te un sacramento della mia paternità, della mia regalità. Come si esercita il potere?

Adesso il re è invitato a rientrare. La tribù di Giuda si fa avanti, le altre tribù di danno da fare. Naturalmente la situazione è cambiata, per cui tutti cercano di accattivarsi le simpatie di Davide, cercano di riprendere spazio, di trovare udienza presso il re, perché ormai Assalonne è finito tragicamente.

2Sam 19,16: «Il re dunque tornò e giunse al Giordano; quelli di Giuda vennero a Gàlgala per andare incontro al re e per fargli passare il Giordano. Simeì, figlio di Ghera, Beniaminita, che era di Bacurìm, si affrettò a scendere con gli uomini di Giuda incontro al re Davide».

Ricompare Simei. Che deve fare! Scende con gli uomini di Giuda, lui che è un beniaminita si fa avanti con quegli altri.

«Aveva con sé mille uomini di Beniamino. Zibà, il servo della casa di Saul, i suoi quindici figli con lui e i suoi venti servi si erano precipitati al Giordano prima del re e avevano servito per far passare la famiglia del re e per fare quanto a lui sarebbe piaciuto. Intanto Simeì, figlio di Ghera, si gettò ai piedi del re nel momento in cui passava il Giordano e disse al re: "Il mio signore non tenga conto della mia colpa! Non ricordarti di quanto il tuo servo ha commesso quando il re mio signore è uscito da Gerusalemme; il re non lo conservi nella sua mente! Perché il tuo servo riconosce di aver peccato ed ecco, oggi, primo di tutta la casa di Giuseppe, sono sceso incontro al re mio signore"».

Abisai dice: questa è la volta buona, adesso è giunto il momento di tagliargli la testa: «Ma Abisài figlio di Zeruià, disse: "Non dovrà forse essere messo a morte Simeì perché ha maledetto il consacrato del Signore?". Davide disse: "Che ho io in comune con voi, o figli di Zeruià, che vi mostriate oggi miei avversari?"». Voi siete oggi i miei avversari, figli di Zeruià, voi non loro. «Si può mettere a morte oggi qualcuno in Israele? Non so dunque che oggi divento re di Israele?». Attenzione: oggi io divento re d’Israele, perché oggi nel cuore piagato di Davide penitente c’è spazio per la conversione: «Il re disse a Simeì: "Tu non morirai!". E il re glielo giurò».

Nel Vangelo secondo Luca, quando Gesù è agonizzante sulla croce, c’è un malfattore accanto a lui e gli rivolge la parola, ce n’è un altro, e quest’altro dice: Gesù ricordati di me nel tuo Regno. Oggi tu sei re. E Gesù gli risponde: Oggi con me in paradiso.

Oggi Davide è re, rientra in Gerusalemme, è il Signore che porta a compimento le sue promesse, gli darà un figlio così come potrà essere accolto riconosciuto, amato e lasciato come erede da un cuore penitente, alla consegna della vita.