Incontri di discernimento e solidarietà
 
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GRANDE E’ IL TUO NOME SU TUTTA LA TERRA

Pino Stancari

Salmo 8

2O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:

sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.

3Con la bocca dei bimbi e dei lattanti

affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,

per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

4Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,

la luna e le stelle che tu hai fissate,

5che cosa è l'uomo perché te ne ricordi

e il figlio dell'uomo perché te ne curi?

6Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli,

di gloria e di onore lo hai coronato:

7gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,

tutto hai posto sotto i suoi piedi;

8tutti i greggi e gli armenti,

tutte le bestie della campagna;

9Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,

che percorrono le vie del mare.

10O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

Il salmo 8

Il tema scelto quest’anno è quello del potere. Il tema del potere sarà affrontato seguendo il solito metodo: entrando in contatto con testi biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sosteremo su questa o quella pagina biblica che ci aiuterà nella nostra ricerca.

Il primo testo che prenderemo in considerazione è il Salmo 8, che acquista un rilievo per certi versi grandioso nell’ambito dell’itinerario di preghiera che si sviluppa lungo l’intero salterio. Siamo ancora all’inizio, in una fase ancora introduttiva del percorso che cresce e matura con intensità sempre più coinvolgente e in rapporto a situazioni di vita. La preghiera è il cammino della vita, il cammino della fede, il cammino della esistenza umana e di quella condizione storica che ci coinvolge insieme con tutti gli altri uomini di questo mondo. E’ il cammino della vita e siamo all’inizio del percorso. Il salmo con cui abbiamo a che fare acquista, in questa fase iniziale, un rilievo grandioso, di spicco, una posizione certamente determinante.

Guardiamo più da vicino il nostro salmo. Riconosciamo senza fatica le caratteristiche di un canto di lode. Oltretutto il salmo 8 è concatenato con il salmo che precede, salmo 7, una supplica che poi assume la forma di un canto di fiducia, che si conclude al v. 17:«Loderò il Signore per la sua giustizia, canterò il nome di Dio l’Altissimo». Il salmo 8 si connette in modo diretto ed esplicito a questa ultima battuta del salmo 7 con questo proposito di dedicare l’intero cammino della vita al canto della lode, per celebrare il Signore e la sua giustizia, per celebrare il Signore e l’opera di cui egli è l’autore, il disegno che si compie nel mondo e nella storia umana in obbedienza alla sua volontà di amore: «Canterò il nome di Dio, l’altissimo». L’ultimo versetto del salmo 7 diventa così per così dire il prologo del salmo con cui adesso ci stiamo confrontando. E’ un canto di lode, ma nello stesso tempo dovremo riconoscere le caratteristiche di una meditazione sapienziale, gli sviluppi di carattere meditativo sono molto evidenti nel nostro salmo. E’ un canto di lode, ma è come se la celebrazione festosa con cui si proclama la lode del Signore assumesse una andatura pacata, riflessiva, come è proprio delle testimonianze di preghiera che solitamente vengono definite appunto meditazioni sapienziali.

Tutta la forza, lo slancio, l’entusiasmo del canto di lode, ma insieme tutta la moderata, compassata, silenziosa concentrazione meditativa delle preghiere che esprimono la riflessione di qualcuno che sta maturando nella sapienza della vita, del mondo, della storia umana.

Io, noi

Il salmo si apre e si chiude con una antifona, v. 2: «O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra». Qui è il caso di mettere un punto, non come nella traduzione CEI dove si trova ":", la traduzione del rigo seguente esige un cambiamento. Per adesso limitiamoci a mettere un punto per identificare l’antifona introduttiva che coincide con la ripetizione conclusiva di essa, v. 10: «O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra». Il salmo è così incorniciato. Questo conferma che abbiamo a che fare con un canto che comporta la partecipazione di un coro e poi l’intervento di un solista: il coro ripete l’antifona e il solista sviluppa invece la riflessione sapienziale, personalizzata in modo profondo, in una forma propriamente lirica. Nell’antifona, che apre e chiude il salmo 8, ascoltiamo la testimonianza di un soggetto che parla in prima persona plurale: noi. O Signore nostro Dio.

In tutto il corpo del salmo si esprime, invece, la voce di un soggetto che parla in prima persona singolare: io. Un coro e un singolo testimone. La coralità, che coinvolge la moltitudine umana, la possiamo qualificare per gradi successivi: un coro liturgico, un popolo, il popolo di Dio, tutti i popoli, la moltitudine umana, in un luogo, in tutto i luoghi, in un tempo, una generazione. E’ come se percepissimo l’eco di un coro che raccoglie le testimonianze dell’umanità nel corso della storia, di generazione in generazione. Questo coro tende ad assumere dimensioni sempre più universali, in modo da raggiungere il massimo della potenza ecumenica. Nello stesso tempo il salmo 8 dà voce alla testimonianza di un singolo orante che ci invita a condividere la sua personalissima esperienza sapienziale, la sua esperienza di attento osservatore degli eventi, di persona che vive e che matura nella sapienza interiore del vissuto.

La magnificenza di Dio

«O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra». Il salmo si apre e si chiude con la testimonianza di questo sentimento della magnificenza di Dio: quanto è grande il tuo nome su tutta la terra! E’ considerata con uno sguardo panoramico tutta la superficie della terra, tutte le componenti dell’universo. Questa formula molto sobria ed essenziale allude in modo evidentissimo alla grandezza, alla varietà della creazione. Quanto è immensa la creazione, in tutte le sue componenti! «Quanto è grande il tuo nome su tutta la terra».

Lo sguardo, che dilaga in tutte le direzioni e scandaglia tutte le profondità e contempla tutte le dimensioni dell’universo, è attirato da riferimenti di ordine trascendente. Tutta la creazione trasmette una varietà e una ricchezza straordinaria di messaggi che vengono percepiti attraverso la contemplazione del creato e si ricapitolano nel nome del Signore. Tutta la creazione parla, è dotata di una sua singolare eloquenza e concorde proclama il nome del Creatore. La recezione di questa eloquenza, che è espressa dalla moltitudine delle creature, si va a incastonare nell’intimo della persona umana. Qui parla un coro al plurale: "O Signore nostro Dio". Questa espressione, molto affettuosa, manifesta l’interiorità dell’esperienza che ci viene testimoniata: coloro che stanno contemplando, che stanno recependo il messaggio, coloro che sono in ascolto del nome che risuona silenziosamente e vibra nella moltitudine delle creature, ebbene costoro accolgono nella profondità del loro intimo: «O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra».

C’è una nota di commozione che caratterizza in modo decisivo l’antifona che apre e chiude il salmo, una commozione semplice e profondissima: il tuo nome su tutta la terra. E’ questo un messaggio che penetra nell’intimo della persona umana, di ogni persona, di tutte quelle persone che vengono convocate per partecipare al coro degli oranti, che poi è il coro di coloro che vivono, di coloro che stanno al mondo e guardano quello che sta succedendo nel corso della storia umana.

L’accenno al nome, peraltro, conferma questo riferimento allo svolgersi della storia umana; la storia della salvezza ha nella rivelazione del nome santo, il nome del Signore, un suo perno decisivo. «O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra». E’ il nome di colui che si è rivelato attraverso una storia che è storia di incontro, di una alleanza; che è storia di comunione, di amore. Sull’orizzonte della gratuità dell’universo creato da Dio e rivelazione della sua iniziativa di amore, ecco lo svolgimento di una storia, che è iniziativa di amore, testimonianza che si fa determinata e definitiva: «O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra». Questo sentimento della magnificenza riecheggia nella battuta introduttiva del cantico di Maria, quando entra nella casa di sua cugina Elisabetta e la saluta, canta: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore». E’ il sentimento della magnificenza, un modo di respirare, un modo di stare al mondo, un modo di osservare, ascoltare, scrutare, il tempo della storia, la vastità degli spazi: il tuo nome per noi, la tua iniziativa, il tuo modo di rivelarti attraverso la creazione e attraverso la storia, a conferma della tua affettuosa premura per noi. Siamo pervasi dalla commozione di chi si rende conto di ricevere una comunicazione diretta e qui, lo ripeto ancora, è un soggetto plurale che si esprime: noi. Chi è in grado già di pronunciare questa testimonianza in prima persona singolare, porta in sé la risonanza di una partecipazione corale che non ha limiti. Chi è commosso perché si rende conto di ricevere la rivelazione di messaggio, è pronto a dichiarare che tutta la moltitudine umana nella varietà delle situazioni, attraverso le esperienze più eterogenee e originali, è convocata per partecipare a questo unico coro che celebra la lode del Signore.

Chi è l’uomo perché tu te ne curi

Dal v. 2c al v. 9, il corpo dell’inno si articola in 4 brevissime. Al centro di questo svolgimento innico, nel v. 5, risuona un interrogativo: «Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi?». In ebraico una formula esclamativa apre e chiude il salmo: Quanto è grande il tuo nome su tutta la terra! Nel centro del salmo, in ebraico, c’è una parola (mah), che serve all’esclamazione e all’interrogazione, per cui il salmo 8, incorniciato all’interno dell’antifona che già conosciamo, ha nel v. 5 il suo perno: Quanto grande… che cosa è l’uomo, chi è l’uomo? E’ un’interrogazione che riproduce in sé stessa l’intensità dell’esclamazione che apre e della esclamazione che chiude il salmo: quanto è grande il tuo nome! Chi è l’uomo?

Adesso il salmo prosegue in prima persona singolare, una testimonianza lirica. Prima strofa: vv. 2c-3. Qui è necessario aggiustare la traduzione della CEI che dice: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. Segue un punto. Bisogna togliere il punto e correggete in questo modo: renderò culto alla tua maestà celeste con la bocca dei bimbi e dei lattanti. Il punto si situa qui. Poi prosegue: affermi la tua potenza contro i tuoi avversari per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

C’è qualcuno che si fa avanti e prende posizione personalmente. Il canto di lode, a partire da quella commozione introduttiva, si fa sempre meditativo, sempre più interiore. C’è qualcuno che esprime adesso una intenzione ferma e risoluta: renderò culto alla tua realtà celeste, mi dedicherò a celebrare la lode della tua maestà celeste. Questa dichiarazione così solenne e perentoria si radica in un atteggiamento di docilità e di dipendenza totale al modo di quel che avviene quando un lattante apre la bocca: con la bocca dei bimbi e dei lattanti, io celebrerò la lode della tua maestà celeste. Il lattante con i suoi gorgheggi, con i suoi sospiri, i suoi gemiti, i suoi piagnucolii, che apre la bocca perché si protende verso il latte di cui ha bisogno: sono tutte situazioni graziose, ma anche modeste, per certi versi meschine. Esse sono proprie di questa prima testimonianza di vita, quando ancora il canto della lode non è elaborato. Colui che sta prendendo posizione, dichiarando l’irriducibile intenzione di dedicarsi al canto della lode, sta compiendo un atto interiore discernimento. C’è l’alternativa tra la condizione dei lattanti, che aprono la bocca, e quella dei personaggi di cui si parla nel seguito del v. 2. Vi sono personaggi che sono intraprendenti nell’uso della parola, perché sono abituati a chiacchierare, a rumoreggiare, a intervenire con una sonorità invadente, petulante, insistente, assordante. Il Signore conferma la sua potenza contro i suoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli. In ebraico i ribelli sono figure caratterizzate dalla pretesa di rivendicare un particolare riconoscimento al loro modo di essere presenti, al loro modo di gestire le cose e le situazioni del mondo. Rivendicano un potere. "Tu affermi la tua potenza contro i tuoi avversari per ridurre al silenzio nemici e ribelli".

Chi si sta esprimendo in questo modo sta testimoniando a noi quale discernimento sia divenuto il criterio di orientamento della sua vita; il suo modo di stare al mondo è segnato da questo passaggio, da questa evoluzione così chiara e provocatoria tra la rumorosa intraprendenza degli avversari e la silenziosa, boccheggiante, aspirazione di un bambino, anzi di un lattante. Questo sono io: un lattante che apre la bocca. Gli avversari individuati sono presenti all’interno di quel discernimento che si svolge nel corso di una vita, attraverso le esperienze più personali. Quegli avversari non sono fuori di me, sono dentro di me; quel modo di occupare la scena del mondo e di gridare e di schiamazzare e di rivendicare un potere è dentro di me, ed è dentro di me che tu affermi la tua potenza riducendomi al silenzio. Proprio in quanto ridotto al silenzio io assumo la solenne, direi proprio sacerdotale autorevolezza, di un interlocutore in grado di celebrare la tua lode. E’ la lode che potrò porgerti con la bocca di un bambino che dev’essere allattato. Proprio in quanto un bambino che attende il latte di cui ha bisogno, io rendo culto alla tua maestà celeste, un culto corrispondente alla tua sovranità e grandezza senza limiti.

La seconda strofa, vv. 4-5, riprende la situazione di quel bambino che dev’essere allattato. Adesso, in quanto ridotto a un lattante, sono in grado di cantare la tua lode. V. 4: «Se guardo il tuo cielo opera delle tue dita». E’ l’incanto di un bambino: sotto il firmamento in una notte stellata c’è il balbettio di lode di un bambino. «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?». Il cielo ricamato, opera delle tue dite: il cielo e le stelle, le costellazioni, i movimenti, tutto si squaderna nella notte sotto lo sguardo di una piccola creatura che pure si affaccia su questa sterminata bellezza. Se guardo il tuo cielo, se mi considero come spettatore rivolto a questa visione così immensa, così preziosa, così fulgida, così … che cos’è l’uomo? Come è piccolo l’uomo! Il termine uomo in ebraico è enosc, che è l’uomo mortale, l’uomo limitato, è l’uomo che si consuma, che nasce da donna per ritornare alla terra.

Dice l’altro rigo del v. 5: chi sono io, figlio dell’uomo? Espressione anche questa sintomatica perché il ben-adam, il figlio di adam, è l’uomo che si definisce in se stesso sempre come un soggetto relativo: io sono figlio di… Io non appartengo a me stesso, io non sussisto in me steso, io non gestisco la mia identità in modo autonomo: io sono figlio di… Sono inserito in un circuito di relazioni, in una sequenza di generazioni, non appartengo a me stesso. Che cos’è l’uomo piccolo come sono io? Eppure tu ti ricordi dell’uomo, ti prendi cura di lui. Una piccolezza che ha per te un valore irrevocabile, una piccolezza verso la quale tu sei rivolto con la pazienza di una visita continua. Qui il verbo tradotto con "te ne curi è proprio il verbo che allude all’impegno di una visita. Tu ti sei impegnato a visitare con premurosa delicatezza questa piccolezza che è il figlio dell’uomo.

Il v. 5 ci riporta all’antico racconto della creazione: "Dio crea l’uomo a sua immagine, secondo la sua somiglianza". Immagine appunto in cui il creatore ha voluto rispecchiarsi; la persona umana creata per entrare in dialogo con il creatore, è un’immagine a cui Dio non ha voluto e non vuole rinunciare.

Una piccolezza gioiosa

Nella seconda strofa l’uomo si rende conto di essere minuscolo nell’universo creato da Dio; eppure questa piccolezza è intimamente rallegrata, sostenuta, dalla gioia festosa di chi, incantato, osserva la volta celeste e scopre di essere non già relegato in una periferia remotissima e insignificante, ma di essere considerato, ricordato, amato, abbracciato: tu ti ricordi di questa piccolezza, tu visiti la impercettibile periferia del mondo e della storia in cui io sussisto. Io, che non appartengo a me stesso, sono l’interlocutore di cui tu vai in cerca e tutto nella creazione, nella storia, mi si configura come testimonianza del tuo diretto, speciale interessamento per me. E’ una piccolezza che assume straordinarie prerogative di grandezza. Paradosso sconcertante, paradosso che il salmo 8 sottolinea fino alla provocazione, ma una provocazione pacata. Tutto avviene nel corso di una meditazione interiore che non cerca lo sfogo delle facili esplosioni. Tutto è contenuto nel segreto del cuore umano, dove la mia piccolezza è visitata. E la sorpresa, la meraviglia, l’incanto con cui contemplo l’universo attorno a me, sopra di me, sotto di me, dentro di me, l’universo vale come segno di una attenzione trascendente che mi conferisce una grandezza del tutto gratuita. Quell’uomo che sono io, piccolissimo, che non appartiene a se stesso, è dotato di una grandezza che proprio il Signore dell’universo gli ha conferito fin dall’inizio. E’ una grandezza a cui lui, il Signore dell’universo, non intende rinunciare, quali che siano i fraintendimenti, le deviazioni, le ribellioni.. Il Signore dell’universo continua a ricordarsi di me, continua a ricercarmi, continua ad indicare in me l’immagine della sua volontà di vita e d’amore.

Meno degli angeli

Che cosa è l’uomo?

Ed ecco, terza strofa, vv. 6-7: la grandezza dell’uomo, quell’uomo minuscolo che sono io. Quest’uomo scopre di essere destinatario di un messaggio di amore che passa attraverso tutta la creazione e tutto lo svolgimento della storia umana: «Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi». La grandezza dell’uomo sta nell’essere dotato di un potere che lo riguarda in quanto non è un angelo. L’uomo sta al di sotto del cielo, in una posizione che è inferiore a quella degli angeli. Qui il termine "angeli" allude a delle entità divine, a delle entità che si vorrebbero ergere come se fossero divine. E’ la pretesa di scalare il cielo e di introdursi in esso come padroni dell’universo. Quegli avversari, di cui si parlava nel v. 3, "nemici e ribelli", ricompaiono adesso sotto l’apparenza degli angeli, figure che pretendono di attribuire a se stesse un titolo divino e di farla da padroni in questo mondo. Ora, il potere che tu hai dato all’uomo, per cui è grande nella sua piccolezza, è il potere di stare sotto il cielo, è il potere di non schiacciare la terra.

"Lo hai fatto poco meno degli angeli", in una posizione che segna il limite invalicabile di questa grandezza sotto il cielo, eppure in una posizione che garantisce un riferimento a tutto il resto della creazione, che gli consente di evitare la pesantezza dei passi, l’irruenza prepotente del gesto che stringe, l’intervento delle mani che stritolano e consumano il mondo creato da Dio. Il potere che tu hai dato all’uomo, è il potere di star sotto il cielo, è il potere di non essere angeli, è il potere di chi sta nel mondo senza schiacciarlo, senza opprimerlo, senza offenderne la bellezza.

E’ una piccolezza fatta grande proprio perché dotata di questo potere così originale. Il nostro salmo 8 ci conduce a considerare proprio questa originalità del potere che la potenza di Dio ha conferito alla creatura umana. Un potere che non ha nulla a che fare con l’irruenza dominatrice di quel padrone che volesse scalare il cielo. E’ un potere sottomesso, è un potere che sta sulla terra senza appesantirla con degli interventi che la abbruttirebbero.

Per l’uomo dotato di questo potere il cielo si spalanca: sta sotto il cielo e nel cielo contempla lo specchio della terra, dell’universo, di tutte le creature che gli sono affidate; esercita il suo potere in quanto contempla l’universo nello specchio celeste.

Custode del mondo

Quarta strofa: vv. 8-9. Ancora la grandezza dell’uomo. Adesso la prospettiva è, per così dire, ribaltata. I versetti 8-9 dipendono ancora dal verbo che abbiamo letto nel v. 7: tutto hai posto sotto i suoi piedi, «tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare». Adesso lo sguardo è rivolto alle creature che sono sottostanti. Nella strofa precedente lo sguardo era rivolto alle creature superiori, che pretendono di scalare il cielo: gli angeli. Qui, invece, il potere per cui l’uomo nella sua piccolezza è grande, è descritto come prerogativa di non essere bestia, il potere di chi sta al di sopra delle belve: vi sono gli animali domestici, ma poi gli animali selvatici, gli uccelli del cielo, i pesci del mare. Sono tutti i movimenti più caotici, più incomprensibili, che fanno da contrappunto ai movimenti ordinati che sono inscritti nella volta del cielo. Sono i moti sotterranei. Qui attraverso l’immagine delle bestie si allude a tutto quello che sta al di sotto dell’uomo e sta al di dentro dell’uomo: la profondità infernale che si può decifrare nell’intimo della coscienza, nell’abisso del cuore umano. Tra l’altro gli animali, le belve di cui si parla, divengono, nel linguaggio biblico, attraverso la predicazione dei profeti e poi nella visione degli apocalittici nell’ultimo periodo della storia della salvezza, figure emblematiche nelle quali si indica la presenza dei grandi imperi, gli apparati del potere, le forme istituzionali del potere. E’ la bestia nella storia umana, mostri che vengono man mano avvicendandosi, la bestia che è nel cuore umano e che scalpita per muovere i propri artigli, per devastare la scena del mondo.

Ebbene il potere dell’uomo sta al di sopra delle bestie, è il potere di stare sulla terra senza distruggerla, senza tradire la dignità, la qualità, il valore di tutte le creature di Dio. E’ nella sua piccolezza di bambino che l’uomo governa. E’ nella piccolezza di un bambino che sta sotto il cielo incantato, contemplando il ricamo delle stelle. E’ in quella piccolezza che si configura la sovranità dell’uomo che è chiamato ed inviato per governare la terra. Tutta la terra è docile al di sotto di lui che è sottomesso all’altezza del cielo.

Tra cielo e terra, l’uomo: sta sotto il cielo e sta sopra la terra. Il potere di stare sotto il cielo e quindi contemplare nel cielo lo specchio della terra. Il potere di stare sulla terra e di amarla e benedirla nel rispetto di tutta la bellezza che il creatore vi ha effuso.

Si ritorna all’antifona di partenza: «Quanto è grande il tuo nome su tutta la terra». La contemplazione della grandezza del Signore, il canto della lode per lui fa tutt’uno con la contemplazione del creato e con la ricapitolazione di tutto e di tutti nell’intimo del cuore umano, che coglie finalmente il valore della propria vocazione. L’uomo è grande proprio perché è piccolo come un bambino lattante. Ecco la sovranità dell’uomo, ed ecco la maestà di Dio che ha creato per la gioia di compiacersi della sua immagine.

Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra. Una responsabilità cui l’uomo non può venire meno, d’altra parte una responsabilità che è conferita all’uomo proprio nella esperienza di una piccolezza che è il prodotto di un discernimento completo, che espelle la pretesa angelica, la pretesa padronale di scalare il cielo e di ergersi come Dio di questo mondo, e nello stesso tempo espelle la pretesa bestiale di occupare la terra. Un discernimento radicale, che scava il cuore umano fino a suscitare quella commozione che diventa ormai il criterio determinante per qualificare il potere che Dio ha conferito all’uomo: Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.


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Il potere 1999-00