Incontri di discernimento e solidarietà
 
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LA PASSIONE DI GESÙ CRISTO SECONDO GIOVANNI (GV 18-19)

di Pino Stancari

l’ora del Signore

Prenderemo ora in esame uno dei grandi testi del NT., il vangelo secondo Giovanni. La Chiesa ritorna alla passione secondo Giovanni ogni anno, nel corso della settimana santa, il venerdì santo, momento straordinario della preghiera liturgica, con il rito della solenne adorazione della croce. Nella domenica delle Palme si legge una delle passioni dei tre sinottici, poi, nel venerdì santo, sempre, ogni anno, la passione secondo Giovanni.

Nel vangelo secondo Giovanni il racconto della passione si sviluppa in cinque grandi tappe. Già dal cap. 13 siamo entrati, stando alla espressione che è molto cara alla teologia di Giovanni, nell’ora del Signore, che è l’ora della gloria. L’ora in cui Dio si rivela presente nella storia degli uomini e porta a compimento la sua opera di salvezza, è l’ora per eccellenza, è l’ora che sintetizza lo svolgimento della storia umana e ne interpreta il significato definitivo. Si tratta di una storia di salvezza, è l’ora del Signore. Dal cap. 13 siamo alle prese con quell’ora. Gesù a cena con i suoi discepoli e la ampia esposizione dei discorsi con cui Gesù si rivolge ai discepoli e poi la preghiera del Signore fino a tutto il cap. 17.

Dal cap. 18 si svolge il racconto della passione in 5 grandi tappe.

Prima tappa: l’arresto di Gesù, 18,1-11, arresto che avviene in quella località che gli altri evangelisti chiamano Getzemani, e che qui si chiama giardino.

Seconda tappa: 18,12-28a il processo di Gesù dinanzi all’autorità giudaica, dinanzi al sommo sacerdote.

Terza tappa, è quella centrale nel racconto ed è la più ampia tra tutte, 18,28b-19,16: il processo di Gesù dinanzi all’autorità romana, dinanzi a Pilato.

Quarta tappa, 19,17-37: la crocifissione e morte di Gesù. Tutto quello che avviene sul Golgota.

Quinta tappa, 19,38-42: la sepoltura del cadavere che è stato deposto dalla croce che viene unto in seguito all’intervento, oltre che di Giuseppe di Arimatea, anche di Nicodemo, quel tale che in precedenza era andato da lui di notte. Nicodemo ricompare alla fine del cap. 19, alla tappa conclusiva del racconto della passione: è presente alla sepoltura, assiste ad essa, anzi contribuisce con una abbondante offerta di unguento profumato molto prezioso. Come può un uomo rinascere quando è vecchio? Così aveva chiesto Nicodemo a Gesù. Nicodemo assiste alla sepoltura del maestro, è presente quando viene posta sull’entrata del sepolcro la pietra che lo chiude.

Nel giardino

La prima sezione del racconto riguarda l’arresto di Gesù che avviene nel giardino. Il termine giardino (kepos) è qui presente in 18,1:

«1Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli».

Nel vangelo secondo Giovanni si chiama così: giardino. Alla fine di tutto nell’ultima tappa del racconto, in occasione della sepoltura del cadavere, quando è presente anche Nicodemo, veniamo a sapere in 19,41 che :

«nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. 42Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino».

La sepoltura di Gesù avviene in un giardino. E vedete, il termine giardino apre il racconto e chiude il racconto, è la grande cornice di tutto lo svolgimento, tappa dopo tappa. Tutto avviene nel contesto di un giardino. Questo richiamo al giardino non ha un significato meramente logistico, ha un significato propriamente teologico. Gesù è sepolto nel giardino, nel giardino c’è il sepolcro aperto, là dove, all’alba del terzo giorno, si reca Maria di Magdala a cercare il cadavere del Signore che non trova. Corre ritorna piange. Quando il Signore si presenta lo confonde con il giardiniere. Non è il giardiniere, è il Signore, eppure, è anche vero che è il giardiniere. Il giardino nella rivelazione biblica è una realtà così teologicamente pregnante da ricapitolare tutto lo svolgimento della storia della salvezza. L’uomo creato da Dio è posto nel giardino, Gen 2, e poi in Gen 3 il peccato e, quindi, l’espulsione dal giardino. Da quel momento, fino a quanto avviene adesso, nell’ora del Signore. E’ l’ora in cui di nuovo il giardino diventa il luogo dell’incontro realizzato, il luogo della comunione di vita tra il creatore e la sua creatura, tra Dio e l’uomo: nel giardino l’incontro si era trasformato in un tradimento, in una fuga, e quindi nel dramma di una separazione; adesso, di nuovo, nel giardino, perché nell’ora del Signore è ristabilito il contatto tra Dio e la sua creatura, tra il Signore onnipotente e l’umanità che era randagia e dispersa nel tempo della storia umana, portando con sé le conseguenze del peccato. Di nuovo il giardino: questo è il contesto il contesto all’interno del quale avviene tutto. Tutto quel che avviene nel corso della passione del Signore, fino alla morte e la sepoltura acquista il significato di un evento risolutivo per quanto riguarda la riapertura del giardino, la possibilità di varcare la soglia che era stata ostruita per gli uomini che erano stati espulsi. Di nuovo il giardino diventa un luogo accogliente affinché sia realizzato quell’incontro che era il fine verso cui fin dall’inizio era mirata l’opera di Dio creatore. Ha creato l’uomo per instaurare una relazione di vita, una comunione di amore, una trasparenza nella intimità della conversazione. Tutto questo nel giardino, ma il giardino è stato poi abbandonato per quanto è avvenuto in seguito al peccato. Adesso il giardino è ritrovato. Tutto dipende dal fatto che scocca l’ora decisiva, l’ora del chiarimento, l’ora in cui l’intenzione di Dio creatore che ha voluto instaurare una relazione di amore con la creatura umana, l’intenzione di Dio si dimostra vittoriosa rispetto a tutti gli ostacoli, a tutti i tradimenti, rispetto lo strazio che il peccato ha prodotto nel mondo e nel corso della storia umana.

Un uomo nuovo nel giardino, un nuovo Adamo.

Il racconto della passione è presentato dal nostro evangelista Giovanni come invito a contemplare la realtà del nuovo Adamo. E in relazione a quel nuovo Adamo, che è Gesù Figlio di Dio, che si ricompone e si ristabilisce l’identità della creatura umana, di ogni uomo, sempre e dovunque.

Il nuovo Adamo

La prima sezione del racconto ci parla dell’arresto che avviene nel giardino. Giuda, con gli altri che l’accompagnano, è alla ricerca di Gesù per arrestarlo e sottoporlo a tutte le violenze che già sono state predisposte. Nel giardino gli uomini cercano Gesù, e cercano Gesù in continuità con quell’antico Adamo che nel giardino dimostrò a suo tempo di essere fango proveniente dalla terra, destinato a ritornare alla terra. La ricerca di Giuda e degli altri che vogliono mettere le mani addosso a Gesù incrocia però un’altra ricerca. Nel giardino il Padre cerca il Figlio di cui compiacersi e lo trova. Gli uomini cercano il vecchio Adamo e in realtà mettono le mani sul nuovo Adamo. Il personaggio ricercato da quanti si presentano per arrestarlo è il Figlio di cui Dio si compiace.

La prima sezione del racconto è dominata dalla figura di Gesù che avanza. L’antico Adamo fuggiva, si nascondeva, come poltiglia di fango ritornava alla terra. Il nuovo Adamo si erge: chi cercate? Per 3 volte la domanda. Quando rispondono: Gesù di Nazaret, Gesù per tre volte dice: Io sono. E’ il nome santo del Dio vivente. La scena è dominata da questa presenza del maestro che risoluto risponde a quanti si presentano per arrestarlo: diviene per noi rivelazione della presenza santa, che fu rivelata a suo tempo a Mosè. Io sono, è il nome di Dio, rivelato a Mosè che aveva adorato la santità del vivente dinanzi la roveto che arde e non si consuma. Da notare questo richiamo al roveto sempre ardente, a quella fiamma, a quel puto di luce, il racconto della passione secondo Giovanni è accompagnato da successivi e sapientissimi richiami agli effetti luminosi.

Giuda ha preso un distaccamento di soldati, con lui ci sono delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, egli «si recò là con lanterne, torce e armi». La notte è attraversata da questo bagliore di luce, certo una luminosità minacciosa, lo scintillio delle armi, il riverbero della luce sulle corazze delle guardie. Nella luce della notte, al bagliore della luce: Io sono, si presenta. E’ così che la santità del Dio vivente si esprime tramite la presenza di Gesù di Nazaret, il Figlio di cui Dio si compiace. In 18,8 replica: «"Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano". Perché s'adempisse la parola che egli aveva detto: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato"». Il Figlio ha ricevuto dal Padre questo incarico, il Figlio risponde alla chiamata, il Figlio compie la missione che gli è stata affidata: non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato. Simon Pietro estrae la spada e Gesù allora dice a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». Ecco il punto, ecco come nella notte della storia umana splende la luce, ecco come la santità del Dio vivente è presente attraverso la testimonianza di un figlio che si fa innanzi. Proprio addosso a lui si scatena la violenza degli uomini, nel giardino. Gli uomini cercano l’antico Adamo, quello vecchio, quello di sempre; cercano di aggredire Gesù di Nazaret così come sono abituati ad aggredire l’uomo, gli uomini, che trattano, manipolano, stringono, si impossessano. Forse non se ne sono ancora resi conto ( lo stesso Giuda stramazza la suolo e di lui non si parla più): sono entrati nel giardino, e proprio quel Gesù di Nazaret che adesso arrestano è il Figlio di cui Dio si compiace.

Un’altra ricerca incrocia la loro: gli uomini cercano un uomo da aggredire, il Padre cerca il Figlio di cui compiacersi; gli uomini trovano Gesù di Nazaret e lo arrestano, il Padre ha trovato il Figlio; gli uomini cercano il vecchio Adamo, quello che conoscono, che è fango del loro fango, Dio cerca il nuovo Adamo e lo trova. Il nuovo Adamo non resta solo. Non è bene che Adamo sia solo nel giardino (Gen 2,18a).

Il Maestro di tutti

Seconda sezione del racconto, il processo di Gesù davanti all’autorità giudaica. Gesù è interrogato, viene messo in discussione il suo magistero. Gesù è maestro. Nel frattempo Pietro rinnega il maestro, rifiuta di essere discepolo di Gesù, mentre Gesù si fa avanti confermando di essere maestro dei suoi discepoli; non solo, ma il suo magistero è rivolto a interlocutori che sono presenti sulla scena pubblica del mondo. Dinanzi a un discepolo come Pietro che rinnega il maestro, c’è un maestro che riconosce come suoi discepoli tutti gli uomini, dovunque e sempre. Si fa avanti il maestro e si fa avanti esprimendo una singolare capacità di costruire delle relazioni. La sezione è inquadrata da quella affermazione di Caifa che aveva detto già precedentemente (Gv 11,50): «E` meglio che un uomo solo muoia per il popolo». E’ bene che l’uomo resti solo, che muoia e muoia nella solitudine. Che cosa c’è di buono da aspettarsi da un uomo? C’è da aspettarsi che nella sua solitudine muoia. Parola di Caifa. In Gen 2: Non è bene che l’uomo sia solo. E infatti il maestro non è solo. E’ rinnegato, tradito, abbandonato, tra breve sarà condannato, intanto viene insultato rifiutato, ma questo maestro avanza. Tutto proviene da quel giardino su cui si è fermata la nostra attenzione precedentemente. Nel Cantico dei Cantici il diletto introduce nel giardino la creatura amata, il diletto è nel giardino maestro per eccellenza dell’amore. Qui Gesù, maestro, riconosce i suoi discepoli. E’ un riconoscimento senza pregiudizi, senza esclusione di nessuno:

«Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto».

L’insegnamento di Gesù raggiunge il cuore umano, dovunque e sempre: è il maestro. Il maestro non rimane solo. Se è vero che morirà, morirà non per essere condannato a scomparire nella solitudine, ma morirà proprio per insegnare che quella sua solitudine è ormai attuata come sigillo di comunione. Nel suo morire non è più solo, nel suo morire è ormai maestro che parla al cuore di ogni uomo e instaura delle relazioni di vita. Da questo momento nessun uomo morirà mai più solo, ogni uomo morirà in un contesto di intimità cordiale con questo maestro.

Intanto Gesù è rifiutato. Questo fanno gli uomini di lui, lo rinnegano, ma attraverso questo maestro rinnegato è già posto il fondamento di una relazione di vita che esprimerà una intensità di comunione, una intesa di cuori, una pienezza d’amore tale da sbaragliare la morte. Anzi: la morte diventa ormai essa stessa conferma, sigillo, fondamento di comunione. Questo insegna il maestro, mentre viene rifiutato dai suoi discepoli. La morte che subirà, in quanto rifiutato dai suoi discepoli, diventa la conferma della sua intraprendenza senza limiti. Il maestro riconosce i discepoli nell’atto di morire e li lega a sé, parla al loro cuore.

Dalla luce nella luce

Siamo alla terza sezione, quella centrale. Si accennava all’attenzione che l’evangelista Giovanni dedica ai riferimenti di carattere luminoso: nella prima sezione il luccichio delle armi nella notte, nella seconda sezione il fuoco che è stato accesso nel cortile del palazzo del sommo sacerdote, là dove Pietro si scalda e alla luce di quella vampa Pietro viene riconosciuto, interrogato, e rinnega, mentre Gesù riconosce i suoi discepoli, che vanno altrove.

Terza sezione, la nostra, 18,28b-19,16: il processo di Gesù dinanzi a Pilato. Il racconto si sviluppa in sette quadri.

Era l’alba, così si apre la terza tappa del racconto. Ormai la notte finisce, c’è l’alba. Se si fa rapidamente un salto in avanti, fino a v. 19,14, troviamo che era la preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Questa sezione va dall’alba a mezzogiorno, in un crescendo della luce intrattenibile: il sole sorge, il sole si eleva, il sole splende nel cielo, fino a mezzogiorno. Mentre noi leggiamo il racconto nei suoi diversi momenti, fino a quando Gesù sarà condannato a morte, la luce sfolgora in modo sempre più dilagante, dall’alba a mezzogiorno. Gesù viene processato dinanzi a Pilato e sarà condannato a morte: è l’ora della luce.

Pilato: il potere come giustificazione della morte

Il nostro evangelista segnala il fatto che i Giudei debbono rimanere all’esterno del pretorio, è il giorno della parasceve, della preparazione della Pasqua, per cui bisogna mantenere, lo stato di purità rituale: non possono entrare nel pretorio, restano all’esterno. Pilato oscilla dall’esterno all’interno, e in base a questi movimenti di Pilato si individuano immediatamente i diversi quadri e si ricostruisce la sequenza del racconto.

Primo quadro, 18,28b-32.

«Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua».

Tutto avviene in modo ordinato, nel rispetto delle norme stabilite dalla antichità in vista della Pasqua. Entro il tramonto di questo giorno, nel tempio, sono immolati gli agnelli che saranno poi cucinati e consumati nel banchetto pasquale. Contemporaneamente Gesù è processato dinanzi a Pilato: è l’Agnello.

«Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: "Che accusa portate contro quest’uomo?"».

Pilato compare in questa narrazione come quel personaggio in cui si concentra il potere: potere civile, potere amministrativo, giudiziario, il potere politico. Pilato è l’uomo da cui dipende ogni garanzia formale: è giudice e insieme notaio, è il tecnico del potere.

«Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: "Che accusa portate contro quest'uomo?". Gli risposero: "Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato"».

Non c’è nemmeno l’accusa, c’è già una condanna a morte. Questi tali non si presentano a Pilato con una imputazione, ma chiedono a Pilato di trovare l’imputazione adatta per istruire una causa in cui Gesù sia processato e condannato a morte. E’ compito di Pilato, che è il tecnico del potere, uomo del diritto, garante della formalità. E’ compito di Pilato trovare l’imputazione adatta. Ma che Gesù dev’essere condannato a morte, questo è già stato deciso antecedentemente. Pilato entra in scena non perché deve prendere in considerazione l’accusa che altri muovono nei confronti di Gesù, ma in quanto deve organizzare le cose in modo che si giunga alla sua condanna a morte. Questo è quanto gli viene chiesto, e può farlo lui, e deve farlo lui, solo lui, perché è l’uomo del potere. Il potere serve a questo.

«"Che accusa portate contro quest'uomo?". Gli risposero: "Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato". Allora Pilato disse loro: "Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!"».

Pilato mantiene sempre un atteggiamento sprezzante, ma, come vediamo subito, vuole ergersi in una posizione di dominio in modo da affermarsi a danno dei suoi interlocutori. Nello stesso tempo è prigioniero del suo ruolo, della sua funzione, prigioniero di quel potere che costituisce tutta la sua sicurezza e insieme tutta la sua miseria di schiavo.

«Gli risposero i Giudei: "A noi non è consentito mettere a morte nessuno"».

Questa è la funzione tua: condannare a morte la gente, per questo detieni il potere. Noi non abbiamo il potere di condannare a morte nessuno. «Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire».

Morire per innalzamento, ossia per crocifissione: è il supplizio che può essere imposto soltanto dall’autorità romana. L’autorità giudaica, in questo particolare frangente storico, non ha autorità per quanto riguarda la condanna a morte e l’esecuzione della condanna. Se l’autorità giudaica avesse avuto la possibilità di condannare a morte qualcuno, l’avrebbe condannato alla lapidazione, non all’innalzamento, non alla crocifissione. Tutto questo perché «così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire».

Il Regno di Dio

Secondo quadro. «Pilato allora rientrò nel pretorio». Pilato era uscito e adesso rientra e, rientrato, si rivolge a Gesù.

«Fece chiamare Gesù e gli disse: "Tu sei il re dei Giudei?"».

Fino a questo momento nessuno ha attribuito a Gesù il titolo di re dei Giudei, nessuno ha mai nemmeno pensato a una imputazione del genere in modo così chiaro, perentorio, in modo così lucido. Pilato è un giurista e ha trovato subito l’imputazione che è più che sufficiente per istruire la causa. Sei tu il re dei Giudei? Chi glielo ha detto questo? E’ compito suo: deve trovare lui l’articolo in tutto il patrimonio giuridico tradizionale, il riferimento preciso che consenta di impostare una procedura giudiziaria mirata alla condanna a morte. E’ l’uomo del potere e sta facendo il suo dovere. Sei tu il re dei Giudei?

«Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?"». Chi te l’ha detto? «Pilato rispose: "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?"».

Loro ti hanno buttato via, ti hanno scaricato qui davanti a me, ma tu che cosa hai fatto? «Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo"».

Qui Gesù parla del regno. Nel vangelo secondo Giovanni non compare quasi mai il termine regno, solo nell’episodio di Nicodemo (3,5): se uno non rinasce di nuovo non entra nel regno. Il termine regno, in Giovanni, riappare qua. Il titolo di questa terza sezione potrebbe essere questo: il regno. Pilato ha trovato l’imputazione e in base ad essa imbastirà tutta la procedura del processo. Ma nel frattempo la regalità di Gesù si afferma in modo sempre più travolgente, come è vero che nel frattempo dall’alba giungiamo a mezzogiorno. Gesù da parte sua dice: «"Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù"». Gesù fa riferimento al regno che appartiene a Dio. La rivelazione biblica, in lungo e in largo, nell’AT, accenna alla regalità di Dio, la maestà dell’onnipotente, la gloria del Signore a cui tutto appartiene. Gesù parla del regno e «Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Pilato insiste, vuole verbalizzare, è anche cancelliere, tutto insieme. Giudice, notaio, anche cancelliere, vuole verbalizzare subito la deposizione. «Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Gesù dice io sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla regalità divina. La verità di cui si parla qui è la stabilità del trono divino. Non andate dietro a fantasie di tipo speculativo. La verità qui non ha nulla a che fare con le intuizione dei filosofi. La verità à la solidità del trono: Sal 89,11; Dan 8,12. Il trono. "Sono qui per rendere testimonianza alla verità". Tu sei convinto di avere trovato un titolo più che mai opportuno per condannare a morte un uomo, perché questa è la logica della situazione. Ed invece è la regalità di Dio che dimostra la stabilità del suo trono proprio là dove tu adesso stai organizzando le tue cose secondo le forme del tuo potere per condannarmi a morte. Tu hai trovato un buon motivo per condannare a morte un uomo, lo accusi di essere re. Hai deciso di far morire un uomo e troverai il modo per arrivare alla sentenza, l’accusa adatta: si è fatto re. E tutto questo in nome del re: questo è il tuo potere. E’ un potere che produce morte, una volontà di morte che si compiace di se stessa, che trova il buon motivo per condannare nello stesso motivo per cui si assume una prerogativa giudiziaria. E’ in nome del re, è in nome di quel potere che ricevi dal re, è in nome di quella regalità che tu attribuisci a te stesso che condanni un uomo e lo condanni perché si è fatto re.

E’ la logica del potere umano, una logica infernale di morte e di autodistruzione. In questo contesto si viene ad insediare la regalità di Dio. Tu vuoi affermare il tuo potere condannando a morte un uomo che si fa re e la regalità di Dio si afferma in modo da conferire un titolo regale a quel miserabile che tu condanni. Eserciti il potere perché hai trovato un nemico da condannare; in realtà l’imputazione in base alla quale lo condanni è la stessa ragione per cui tu eserciti il tuo potere. Hai trovato un nemico da condannare, ma dove quella vittima del tuo potere ne subisce tutti gli effetti mortiferi, là si intronizza la regalità di Dio.

Pilato è un po’ frastornato, non vuol mettersi a ragionare su queste cose, non ne ha nemmeno il linguaggio e gli strumenti. "Che cos’è la verità?", e poi se ne va. Di cosa stiamo parlando? Non gli interessa.

Un potere senza fondamento

Terzo quadro, 18,38-40: «E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: "Io non trovo in lui nessuna colpa"». Pilato ci tiene, nei confronti dei Giudei, a far valere la sua presunta libertà. Io sono libero di fare quello che voglio: io non trovo in lui nessuna colpa. «"Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?"». E così già comunica ai Giudei qual è il capo di imputazione che ha messo a fuoco per processare Gesù: re dei Giudei. Per la Pasqua la consuetudine vuole che venga liberato un prigioniero. «"volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?". 40Allora essi gridarono di nuovo: "Non costui, ma Barabba!". Barabba era un brigante». Pilato vuole far cadere dall’alto la sua decisione. In realtà il potere è autoreferenziale, il potere di Pilato non ha alcun contenuto. E’ prepotenza allo stato puro. Non ha altro fondamento che la propria capacità di imporsi. Sono pagine, queste, che raggiungono i vertici della drammaticità. E’ il racconto della passione del Signore: è passata in rassegna la realtà della storia umana considerata in tutte le sue componenti, in tutte le sue strutture e in tutti quei circuiti che sono stati man mano attivati come espressione della civiltà umana, della società umana che si organizza, e che si dà dei poteri. Qui, proprio qui, è sbugiardata la infamia radicale del potere che gli uomini attribuiscono a se stessi. E’ vuoto.

Il Re dei giudei

Quarto quadro è quello centrale, 19,1-3: «Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: "Salve, re dei Giudei!". E gli davano schiaffi». Il quarto quadro è il centro di tutto il racconto della passione secondo Giovanni, è una scena tutta da contemplare: Ecco il re dei Giudei incoronato di spine, rivestito di porpora, i soldati si inginocchiano dopo averlo flagellato. Ecco il re! Il potere condanna a morte un uomo che si fa re e Dio intronizza come re un miserabile.

Ecce homo

Quinto quadro, 19,4-7. «Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa"». Pilato continua a mantenere quella sua posizione nei confronti dei Giudei, vuol dimostrare che lui è libero e può fare come vuole, e che lui non riconosce Gesù come colpevole, ma nello stesso tempo lo ha fatto flagellare. «Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo!". Ecco Adamo, ecco il nuovo Adamo. Secondo gli uomini è il re meritevole di condanna a morte, ma, proprio là dove quest’uomo è condannato a morte, è veramente il re che si erge nella sua maestà illuminata da Dio. E’ la storia del potere umano che condanna a morte, è la storia della regalità di Dio che si manifesta là dove, per ogni condannato a morte, la pietà del cielo viene effusa sulla terra.

Ecco l’uomo, dice Pilato. «Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa"». E’ la terza volta. «Gli risposero i Giudei: "Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio"». I Giudei alludono alle loro tradizioni, alle loro convinzioni, ai loro libri. Questo loro modo di fare disturba Pilato, perché Pilato, uomo di potere, è uomo superstizioso. E’ abbastanza normale. Gli uomini cosiddetti di potere sono normalmente molto superstiziosi. Magari atei, ma molto superstiziosi. Pilato è superstizioso.

Da dove vieni?

Sesto quadro, 19,8-11. «All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: "Di dove sei?"». Gesù aveva parlato del suo regno che non è di questo mondo ed ora Gesù viene interrogato da Pilato: di dove sei? In greco sta scritto: "da dove sei tu?" C’è nel testo greco una valenza non solo anagrafica ma teologica: "da dove vieni?". «Ma Gesù non gli diede risposta». Gesù tace, prima ha parlato, adesso non dice più nulla.

«Gli disse allora Pilato: "Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?"». Adesso Pilato dice le cose come stanno: non sai che io ho il potere di ucciderti? Che Gesù sia colpevole o non sia colpevole, non interessa a nessuno, non interessa a Pilato. Non è per capire qualcosa di Gesù, di quel che ha detto, di quel che fatto, che Pilato ha il potere. Pilato ha il potere perché può mettere a morte qualcuno. Questo è i potere degli uomini.

E Gesù risponde, taceva e adesso parla: « "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande"». Gesù risponde svuotando di significato il potere di Pilato. Tu non hai il potere di condannarmi a morte; io non muoio in obbedienza al tuo potere, io muoio in obbedienza al Padre che mi ha mandato. Dall’alto. E’ una prospettiva molto più grandiosa e determinante quella che viene illuminandosi: io muoio, non perché tu mi condanni a morte, ma io muoio in obbedienza al Padre.

Tu non hai il potere di condannare a morte. Il potere degli uomini è scardinato, è proprio sbriciolato dal di dentro, è svuotato di energia. Gesù muore, certo; Pilato giungerà alla conclusione di questa sua procedura giudiziaria, giungerà alla sentenza, la farà anche eseguire, ma Gesù non muore in obbedienza al suo potere.

Siamo nel giardino, un nuovo Adamo, è il Figlio di cui il Padre si compiace, è il nuovo Adamo non è più solo, ecco è proprio il nuovo Adamo che morendo darà vita a una nuova umanità. E’ un’umanità nuova che ormai a lui è legata in forza di un vincolo nuziale indissolubile. E’ tutto quello che l’evangelista Giovanni ci inviterà a contemplare successivamente: Gesù morto pende dalla croce, viene trafitto e dal suo fianco escono sangue ed acqua.

Intanto il chiarimento con Pilato. Il potere degli uomini è sbugiardato, il potere è una menzogna. Ecco, adesso c’è un uomo nuovo, è il Figlio di cui il Padre si compiace, è Gesù che muore esercitando un atto di libertà. Tu non hai il potere di condannarmi a morte, tu non hai il potere di uccidermi, è la mia libertà che si afferma nella risposta al Padre che mi ha mandato.

Il Re crocifisso

Settimo quadro. «Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: "Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare"». Che è il re. E’ nel nome del re tu devi condannare a morte il re, nel nome del re tu devi esercitare quel potere che si afferma distruggendosi. E’ il potere del… «Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale». Dicono alcuni studiosi molto seri che si potrebbe tradurre il verbo ekathisen in senso transitivo, non è Pilato che si siede, è Gesù che è fatto sedere. E’ un gesto di scherno. Pilato fa sedere Gesù sul seggio, nel senso che adesso lo presenta: ecco il re dei Giudei, adesso lo condanno a morte. E’ un modo da parte sua per esprimere ancora disprezzo nei confronti dei Giudei. Vedete il vostro re, ecco io lo condanno a morte, l’ho intronizzato io stesso e adesso io lo condanno. Lo fece sedere in tribunale «nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà». Pilato annaspa, cerca in tutti i modi di dare lustro, vigore, genialità, duttilità al suo potere, cerca in tutti i modi di dimostrare che senza il suo potere non si gestiscono le cose del mondo. Lui, proprio in quanto è l’uomo del potere, ha le soluzioni. Condanna a morte Gesù. In realtà sta stringendo il vuoto. Nel frattempo è proprio la regalità di Dio si è impiantata ormai in modo incrollabile nella storia umana attraverso la presenza dell’innalzato, la presenta di quel crocifisso che esercita la regalità, che conferisce alla storia umana un orientamento verso la luce. Non è Pilato che esercita il potere nel nome del re, è proprio dimostrando come è vuoto quel potere che Gesù regna subendo la condanna all’innalzamento.

«Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: "Ecco il vostro re!". Ma quelli gridarono: "Via, via, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Metterò in croce il vostro re?". Risposero i sommi sacerdoti: "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare"». «Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso».

Adesso Gesù è condannato, adesso Gesù innalzato sulla croce è intronizzato, così regna Dio. La storia degli uomini svuotata di vita, spenta, distrutta, corrotta, storia di uomini che esercitano il potere diventa storia di redenzione, storia nella quale irrompe la pietà di Dio. Gesù aveva già anticipato ogni cosa: quando sarò elevato, quando sarò esaltato, quando sarò esaltato attirerò tutto a me. La regalità di Dio non domina, attrae … e converte.


Lectio divina


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Il potere 1999-00