Incontri di discernimento e solidarietà
 
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LA POVERTA’ E IL REGNO

Salmi 72 e 73

nel cuore del Salterio

I salmi 72 e 73 occupano una posizione strategica nel salterio, siamo nel centro di tutta la raccolta dei 150 salmi. Ce lo conferma anche un’altra osservazione: il salterio è composto da 5 libretti; 5 sono anche i libri della Torà. Il salmo 72 chiude il secondo libretto e il salmo 73 apre il terzo libretto: siamo in una posizione strategica nel cammino della preghiera, che poi è il cammino della vita di fede.

Alla fine del salmo 72 nei vv. 18-19 leggiamo: «Benedetto il Signore, Dio di Israele, egli solo compie prodigi. 19E benedetto il suo nome glorioso per sempre, della sua gloria sia piena tutta la terra. Amen, amen». Questi due versetti, che non fanno parte del salmo 72, sono un’aggiunta e hanno un preciso significato di ordine liturgico: segnano il passaggio da un libretto al seguente, dal secondo al terzo. Si conclude una tappa, se ne apre un’altra. «Come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te, o Dio» (Sal 42,1). E’ l’anelito della cerva, il desiderio di raggiungere finalmente l’acqua che elimina l’arsura che arde nella gola di chi ha sete di Dio, del Dio vivente. Così prende avvio il salmo 42, all’inizio del secondo libretto che si conclude con il salmo 72. Quest’ultimo è uno dei grandi salmi messianici che orientano il sospiro, il gemito, l’anelito degli assetati. E più esattamente orientano la ricerca, la fatica, l’assillo della storia umana attraverso l’esperienza e la testimonianza del popolo di Dio verso il Messia che viene ad instaurare il regno.

il figlio di Davide

Salmo 72. Di Salomone, oppure: per Salomone. C’è solo un altro salmo che ha un’intestazione del genere, nel centro della raccolta dei Canti delle Ascensioni. E’ una intestazione piuttosto singolare, del tutto pertinente: è il salmo che ci invita a guardare verso il figlio di Davide. Salomone è il figlio di Davide per antonomasia, anche se non esaurisce il significato di quel personaggio che è stato promesso a Davide come figlio.In Sam 7 si trova la promessa messianica: un figlio per Davide, che regnerà per sempre. Il figlio che nella vicenda storica regna come successore di Davide sul suo trono è proprio Salomone. Ma quello che qui viene annunciato per Salomone vale in vista di quel figlio che verrà per instaurare il regno definitivo. Attraverso il popolo di Dio è tutta l’umanità che è interpellata da questa promessa. Il salmo si apre con una invocazione. È probabile che il salmo 72 sia stato composto per celebrare l’intronizzazione di uno dei discendenti di Davide. Hanno seduto sul torno di Davide figure in qualche caso prestigiose, in altri casi meschine. Ma, indipendentemente da qualunque giudizio sui personaggi, nel corso delle generazioni è andata assumendo una intensità sempre più matura la speranza che la promessa ha suscitato fin dall’inizio e che nel corso della storia della salvezza è stata rilanciata, potenziata, anche quando non regnerà più nessuno sul trono di Davide, perché il regno di Israele sarà bruscamente cancellato ad opera di Nabucodonosor. Non ci sarà più un trono, non ci sarà più una capitale, non ci sarà più un territorio, non ci sarà più un’istituzione monarchica, ma la promessa messianica continuerà ad essere più che mai attuale e ad essere custodita. Il popolo di Dio si rende conto che quella promessa portava con sé un messaggio incancellabile e decisivo per intendere lo svolgimento della storia in corso e della storia futura.

la giustizia del messia

Mentre viene intronizzato uno dei discendenti di Davide, il salmo 72 viene cantato come un orientamento al cammino della storia e al gemito di coloro che ne affrontano le vicissitudini. Sono i fedeli del popolo di Dio, ma sullo sfondo appare la partecipazione di tutta la famiglia umana: coloro che di tappa in tappa, nonostante le delusioni e i fallimenti, sono fedeli alla promessa messianica.

Il salmo 72 si apre con una serie di invocazioni. La prima, vv. 1-4. «O Dio dà al re il tuo giudizio». C’è chi sta sospirando in vista del re che deve venire per governare e per giudicare. Il verbo giudicare qui è sostanzialmente equivalente al verbo governare. Viene per regnare.

In questi pochi versetti viene declinato tutto il vocabolario relativo all’atto del regnare : giudicare, governare, esercitare la giustizia. La figura del Messia, del re atteso, viene invocata come colui che eserciterà la giustizia. Tutto è qui scandito da un ritmo serrato con un vocabolario essenziale, molto denso. Chi si esprime così è quella componente del popolo di Dio che possiamo identificare con i poveri. Proprio i poveri sono i depositari della promessa, proprio loro sono in attesa del Messia, proprio loro invocano la venuta del re, proprio da parte loro è testimoniata questa fiducia incrollabile nella giustizia che il Messia instaurerà. In questi pochi versetti è proposto tutto il vocabolario della povertà, che ha una concretezza precisa e drammatica, interpretando gli atteggiamenti più profondi del cuore umano. I poveri, coloro per i quali non ci sono più soluzioni, che sono inermi, che sono schiacciati, che sono svuotati, invocano il Messia! Proprio loro attendono la venuta del re, proprio loro sono i testimoni di questa incrollabile speranza nel figlio di Davide che verrà per esercitare la giustizia.

«Dio, dà al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia; regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine» (vv. 1-2). Il re invocato e desiderato è colui che eserciterà la giustizia. Sono i poveri che invocano l’avvento del Messia. Loro e non altri che loro. Chi ha interiorizzato l’esperienza del fallimento se non chi ha sperimentato il fallimento? I poveri con cui abbiamo a che fare sono coloro che sono stati coinvolti in una situazione disastrosa, mortificante. Ci sarà un momento in cui il disastro coinvolgerà l’intero popolo di Dio, senza esclusione di nessuno, sarà il momento dell’esilio, per tutti. Ormai l’esperienza del fallimento diventa costitutiva di un’identità.

I poveri invocano: "vieni e regna, vieni e instaura la giustizia". La giustizia è una relazione tra soggetti per cui la persona a cui viene attribuita la giustizia è colui che si prende cura di chi è debole. La giustizia non ha a che fare con le forme di equità, del ripartire il dare e l’avere, gli utili e i danni, i crediti e i debiti; la giustizia in senso biblico è la qualità di una relazione tra soggetti per cui c’è chi in un contesto relazionale interviene promuovendo il debole, assumendosi la responsabilità della debolezza altrui. Ecco il giusto, ed è per questo che i poveri invocano il Messia: viene per occuparsi dei poveri, per assumere la loro debolezza, per schierarsi a loro vantaggio. Questa è la giustizia. In questa prospettiva l’opera di Dio si compie; è Dio stesso che interviene mediante il suo Messia e che rivela la sua giustizia mediante la giustizia del Messia. Tutta la creazione partecipa a quest’opera della giustizia divina che si compirà mediante l’avvento del Messia. «Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia» (v. 3). Tutto il cosmo e tutte le situazioni della storia umana sono coinvolte in questa prospettiva messianica. «Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore» (v. 4). Viene qui individuata la presenza di un avversario, una figura demoniaca: l’oppressore, il calunniatore, il tentatore. L’opera della giustizia si compie a vantaggio dei poveri e l’intera creazione viene restaurata per essere riconciliata nella pace.

il regno definitivo

Seconda, vv. 5-7. Viene descritto il regno del Messia. La prima dimensione che viene considerata è quella temporale: il regno instaurato dal Messia è un regno definitivo, un regno eterno. « Il suo regno durerà quanto il sole, quanto la luna, per tutti i secoli» (v.5) «Scenderà come pioggia sull'erba, come acqua che irrora la terra. Nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace, finché non si spenga la luna» (vv. 6-7). È il tempo nel quale, dopo la pioggia caduta dal cielo, dalla terra germoglia il frutto. Più che giustizia il termine ebraico indica "il giusto": nei suoi giorni fiorirà il giusto e abbonderà la pace. Il giusto in mezzo a noi, il giusto con noi, il giusto in noi: ecco il frutto maturo che si manifesterà nel tempo definitivo. La giustizia di Dio, attraverso il Messia, impregna di tutta la propria potenza redentiva la nostra condizione umana e il giusto fiorisce in noi.

il Regno universale

La terza strofa, vv. 8-11. Il regno messianico qui è considerato nella sua dimensione spaziale: un regno universale, che raccoglie la moltitudine dei popoli della terra in modo che l’unica famiglia umana sia ricomposta. «Dominerà da mare a mare, dal fiume sino a i confini della terra. A lui si piegheranno gli abitanti del deserto, lambiranno la polvere i suoi nemici. 0Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni» (vv. 8-11). Il dominio instaurato dal Messia piega tutti i popoli della terra. I popoli, piegati, si accostano, lambendo la polvere e consegnando il proprio dono. In questa prospettiva di riconciliazione universale essi scopriranno di essere riconosciuti, valorizzati. I popoli che si presentano prostrati, offriranno il proprio dono. Ogni creatura della terra. La storia umana viene svolgendosi nel corso dei tempi, di generazione in generazione, con le sue culture, i suoi linguaggi, con tutto quello che il lavoro dell’uomo ha prodotto, in equilibri di civiltà sempre in crescita e sempre in decadenza. Tutto questo portato della storia umana nel regno messianico sarà finalmente valorizzato come contributo di tutti e di ciascuno al regno universale.

l’opera del messia

Quarta strofa, vv. 12- 14. Il salmo descrive l’opera della giustizia che si compie. È uno sguardo già proiettato sull’atteso evento messianico. «Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, - viene per questo il Messia e farà così - avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri. Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso, sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue» (vv. 12-14). E’ un crescendo in tre versetti. Il Messia si prenderà cura di coloro che gridano. Nel versetto 13 i poveri considerati sono ormai sfiatati, non possono nemmeno più gridare: salverà il fiato di quei miseri che ormai hanno perso la voce. Nel versetto seguente il Messia interviene a vantaggio di coloro che non solo hanno gridato, non solo hanno perso la voce a forza di gridare, ma sono stati sterminati con violenza. Ebbene, li riscatterà. Molto importante il verbo gahal, nel v. 14, li redimerà. Il Messia è colui che paga il prezzo, che si impegna perdendoci del suo, che paga di tasca sua quel che è necessario per riscattare coloro che altrimenti sono perduti. Là dove non c’è riparo, non c’è rimedio, non c’è modo di recuperare, ecco proprio qui interviene il redentore. Normalmente il goel è un parente stretto, il più stretto tra i parenti.

venga il tuo Regno

Quinta e ultima strofa, vv. 15-17. Nell’ultima strofa siamo invitati a partecipare alla preghiera festosa del popolo che acclama nel giorno in cui uno dei discendenti di Davide è stato intronizzato: il popolo si raccoglie devotamente per rincuorarsi nella speranza protesa verso la futura venuta del Messia. Questa attesa si riempie dei colori e delle note di una festa. Il popolo dei poveri, che è in preghiera, che invoca, che sospira e che geme, assume un atteggiamento celebrativo di una irruenza travolgente: «Vivrà - è il vivente - e gli sarà dato oro di Arabia». I Padri che commentano questo salmo danno grande rilievo al versetto 15, vi leggono uno spunto ispiratore dell’invocazione con cui noi costantemente ci rivolgiamo a Dio nostro Padre, ogni giorno: «Venga il tuo regno». Mentre invochiamo siamo già testimoni del regno venuto, instaurato nel nome del Messia, il Figlio, morto, risorto, asceso al cielo, intronizzato, Signore della gloria per i secoli eterni. «Si pregherà per lui ogni giorno, sarà benedetto per sempre. Abbonderà il frumento nel paese». Alla festa partecipano tutte le creature. «Ondeggerà sulle cime dei monti il frumento, mosso dal vento". E’ una immagine entusiasmante più che mai. «Il suo frutto fiorirà come il Libano, la sua messe come l'erba della terra. Il suo nome duri in eterno». Il nome del Messia: benedetto lui, il Messia; e nel suo nome benedette tutte le creature, benedetto il popolo che lo ha atteso e tutte le stirpi umane. Assistiamo qui a un salto all’indietro rispetto alla promessa messianica che fu rivolta a Davide; si risale alla promessa con cui si apre la storia della salvezza, quella che fu rivolta ad Abramo in Gen 12. La venuta del Messia porta a compimento la promessa rivolta a Davide, ma porta a compimento quella promessa che fu rivolta fin dall’inizio ad Abramo: la benedizione per tutte le stirpi umane. E dunque «il suo nome duri in eterno, davanti al sole persista il suo nome. In lui saranno benedette tutte le stirpi della terra e tutti i popoli lo diranno beato». Beato il Messia che viene, beato il figlio che instaura il regno della giustizia, beato colui che già i poveri conoscono. Amen e benedetto.

il cuore puro

Salmo 73.

Cambia il tono, eppure questa meditazione (è uno dei grandi salmi sapienziali) si salda in modo rigoroso con quanto abbiamo potuto leggere e meditare precedentemente.

Incontriamo un personaggio anonimo, un fedele del popolo di Dio, che ci racconta una sua esperienza, qualcosa che è capitato a lui. Si passa dallo scenario largo, ricapitolativo del salmo72, a un caso personale. E’ una esperienza che si sviluppa subito in forma di preghiera e di insegnamento: ciò che ha sperimentato lui per se stesso è importante comunicarlo anche a noi per discernere le nostre situazioni.

«Quanto è buono Dio con i giusti, con gli uomini dal cuore puro!». Dio è buono, ma immediatamente siamo interpellati riguardo a questa bontà. Quale bontà è quella che deve essere attribuita a Dio? Che significa purezza di cuore? Nel vangelo secondo Matteo il proclama delle beatitudini recupera tutta questa terminologia: beati i poveri nello spirito, perché di essi è il regno; beati coloro che hanno fame e sete della giustizia; beati i puri di cuore. Sono tutte vie di accesso al nostro tema. Tutto si compie sempre e comunque nella persona del Messia. Chi sono gli uomini dal cuore puro? Il v. 1, messo a premessa del salmo 73, esprime il risultato sapienziale a cui il nostro personaggio è giunto in seguito a tutta l’esperienza vissuta da lui e di cui adesso ci dà testimonianza. Che cosa gli è capitato? Come si è reso percorribile per lui un itinerario di purificazione? Ci rendiamo conto che questo itinerario di purificazione in vista del cuore puro è strettamente connesso con l’itinerario messianico a cui alludeva il salmo 72: il regno per la giustizia che promuove i poveri. Un itinerario di purificazione.

l’invidia del cuore

Prima strofa, vv. 2-12. «Per poco non inciampavano i miei piedi, per un nulla vacillavano i miei passi, perché ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi» (vv. 2-3). Ha traballato, ha vacillato, è stato sul punto di cadere. Perché? Perché ha sperimentato la presenza degli empi, dei malvagi, dei resciahim. Questa esperienza immediatamente si è tradotta per lui in un impegno di discernimento interiore. "Io li ho invidiati". Non è soltanto il fatto oggettivo della presenza degli empi; lui li ha interiormente invidiati. Gli empi non sono solo accanto a lui, di fronte a lui, sono dentro di lui. C’è un’empietà che è andato scandagliando man mano nei fatti della sua vita e ha potuto constatare come ogni cosa si ripercuotesse nell’intimo, nella profondità del suo cuore. "Io li ho visti e li ho invidiati".

gli empi

Adesso li descrive questi empi. «Non c'è sofferenza per essi, sano e pasciuto è il loro corpo. Non conoscono l'affanno dei mortali e non sono colpiti come gli altri uomini» (vv. 4-5). La compagine psicofisica di questa gente è solidissima. Non si ammalano mai, non urtano mai, non sono mai condizionati o contrastati, non hanno bisogno di difendersi verso l’esterno, procedono senza impedimenti e per di più non sono interiormente affannati. «Dell'orgoglio si fanno una collana». Non soltanto li osserva dall’esterno, ma adesso ce li presenta nella loro aggressività. Non hanno mai a che fare con i guai della vita, guai che invece evidentemente affliggono il nostro personaggio. «Dell'orgoglio si fanno una collana e la violenza è il loro vestito» (v. 6).

Un’aggressività è nel loro stesso portamento: sguazzano dentro la loro violenza. Il loro modo di respirare, di vivere ha tutta l’armonia e la passione di chi vive in pienezza e entusiasmo la realizzazione di sè. «Dell'orgoglio si fanno una collana e la violenza è il loro vestito. Esce l'iniquità dal loro grasso».

Il testo presenta qui parecchi problemi di traduzione, ma è molto probabile che qui sia da intendere così: «Spuntano gli occhi dal loro grasso». Immaginate questo volto porcino con degli occhi puntuti, che escono fuori come degli spilli. Punge. Lui li guarda e dice: «Spuntano gli occhi dal loro grasso, dal loro cuore traboccano pensieri malvagi» (v.7). Il loro volto è omogeneo all’atteggiamento del cuore: traboccano pensieri malvagi, scherniscono, parlano con malizia, fino a diventare linguaggio, un modo di interpretare il mondo. «Scherniscono e parlano con malizia, minacciano dall'alto con prepotenza. Levano la loro bocca fino al cielo e la loro lingua percorre la terra» (vv. 8-9). Sono in una posizione che consente loro di parlare di tutto e di tutti, di dominare e schiacciare, imporre. «Perciò seggono in alto, non li raggiunge la piena delle acque» (v. 10). Anche qui è meglio tradurre: "perciò i loro seguaci li seguono e se la bevono tutta". Già, sono anche approvati, un’approvazione corale. Sembra che tutti attorno a loro non desiderino altro che di applaudire, di compiacersi, di farsi loro seguaci, di ascoltare i loro messaggi, di imitarli nei loro comportamenti. I loro seguaci li seguono e se la bevono tutta. «Dicono: "Come può saperlo Dio? C'è forse conoscenza nell'Altissimo?"». (v. 11). Più di così non si può dire. È la prima volta che compare il nome Dio nel nostro salmo. Compariva a dire il vero nel v. 1, ma questo sta, come sappiamo, per conto suo. Gli empi parlano di Dio per dire: vedete che anche Dio ci approva? Anche Dio ci applaude? Anche Dio è contento di noi? Dio sta dalla nostra parte, riconosce che noi stiamo nel giusto. Visto che le cose vanno come diciamo noi, Dio dev’essere contento o comunque non gli importa di occuparsi delle cose di cui molto meglio di Lui ci occupiamo noi. E’ contento di occuparsi d’altro e di lasciare a noi l’incarico di tenere d’occhio le cose di questo mondo e di governarle a modo nostro. E’ un successo che sembra applaudito dal mondo e benedetto da Dio. Peggio di così! «Ecco, questi sono gli empi: sempre tranquilli, ammassano ricchezze» (v. 12). C’è in questo versetto un tono di delusione, di stanchezza, di sfiatamento: non ce la fa più nel confronto con gli empi, con questa turbolenza empia che gli si è manifestata dentro il cuore. Invidia gli empi, sta inciampando. È scandalizzato.

la resistenza del giusto

Seconda strofa, vv. 13- 16. «Invano dunque ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell'innocenza le mie mani, poiché sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina» (v. 13-14). Invano ho conservato puro il mio cuore, tutto il giorno sono colpito e travolto da una marea di situazioni, di eventi, di incontri che contraddicono la mia invocazione. Il nostro amico è anche onesto: contesta se stesso, si rimprovera i suoi limiti e le sue mancanze. Ogni giorno al mattino, quando affronta i nuovi impegni della giornata si corregge: «La mia pena si rinnova ogni mattina». E tutti i giorni, uno dopo l’altro, constato di essere sconfessato nelle mie buone intenzioni. «Se avessi detto» :qui si giunge davvero al parossismo della prova. «Se avessi detto: "Parlerò come loro"». È stato scandalizzato veramente, di fuori e di dentro. «Avrei tradito la generazione dei tuoi figli. Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli occhi miei» (vv. 15-16). E’ sgomento, non sa come venire a capo di questa situazione; si rende conto che non può tradire la generazione «dei tuoi figli». E’ la prima volta che sulla bocca del nostro appare un riferimento a Dio: "i tuoi figli". E’ un riferimento molto marginale. Non riesce a dire niente di più, come se stentasse a pronunciare il nome di Dio. È come se cercasse degli appigli, dei riferimenti che lo confermino nella sua vocazione originaria. Intanto è apparsa nella sua interiorità la presenta di un Tu: "i tuoi figli. «Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli occhi miei». Riflettevo, ma si sente pesante, opaco, goffo, si sente stolto. "Non riesco a venirne a capo".

la conversione del cuore

La terza strofa, vv. 17-22. «Finché». C’è una svolta. Questa svolta non è motivata logicamente, ma è prodotta da una esperienza contemplativa. C’è un momento in cui il nodo che lo stava stritolando si scioglie è sciolto. «Finché non entrai nel santuario di Dio e compresi qual è la loro fine» (v. 17). Il Santuario di Dio è il santuario interiore: mi sono ritrovato in una zona interiore in cui ho potuto gettare uno sguardo sulla scena ed è stato come risvegliarmi da un incubo. Mi sono risvegliato. Ho potuto dare uno sguardo a ciò che sta avvenendo là dove gli empi dominano la scena. Sta avvenendo proprio la loro fine. Sono già finiti gli empi. Senza tanti ragionamenti, il nostro personaggio, che ha avvertito in se stesso tutta l’amarezza e l’acidità dell’invidia, si sente invaso da un sentimento di grande pena e di purissima pietà... per gli empi. Senza mai dimenticare che l’empietà da lui contestata è un’empietà che rieccheggia in modo intenso nel suo stesso animo. Una grande pietà. «Ecco, - gli empi - li poni in luoghi scivolosi, li fai precipitare in rovina» (v. 18). Sono già finiti, si sgretolano, se ne vanno, sono frantumati, sono dispersi, evanescenti. «Come sono distrutti in un istante, sono finiti, periscono di spavento! Come un sogno al risveglio, Signore, quando sorgi, fai svanire la loro immagine» (vv. 19-20). Si sta svegliando, si è svegliato. «Quando si agitava il mio cuore», si può tradurre. In greco diventa execauso: causticità del cuore, il cuore aspro, acido. Quando era inacidito il mio cuore «e nell'intimo mi tormentavo - le reni erano spezzate - io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia» (v. 21-22). Ero con te anche quando non lo sapevo, come una bestia, ma ero con te. L’acidità del cuore si è dileguata, si è dissolta. Resta il nostro personaggio conquistato dalla relazione con quel tu a cui appena appena aveva fatto cenno precedentemente e che adesso occupa tutto il suo spazio interiore. Tu.

Tu sei la mia roccia

Quarta strofa, vv. 23-26. «Ma io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria» (vv. 23-24). E’ una vicinanza che comporta una stretta di mano, la pazienza di un accompagnamento e di una guida, che comporta una accoglienza già favorevolmente predisposta: Mi accoglierai nella tua gloria. Tu.

«Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra» (v. 25). TU. «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre» (v. 26). È finita l’invidia. Questa frantumazione dell’invidia coincide con la purificazione del cuore. La purificazione del cuore fa del nostro personaggio un povero pronto ormai ad entrare nel regno del Messia.

Ci rendiamo conto adesso, avendo ormai concluso la lettura del salmo 73, che colui che viene per regnare e che sa prendersi cura dei poveri è esattamente colui che è Signore del cuore umano; è colui che porta nel suo cuore una pietà in grado di accogliere tutti gli empi della terra. «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre». È il pezzo di terra, la sorte. Si allude al pezzo di eredità che è riservato nella terra donata da Dio al suo popolo ad ogni tribù, ad ogni famiglia. Povero è chi ha perduto quel pezzo di terra. C’è ora chi me l’ha ricomperata, c’è il redentore che mi ha ricostituito nella mia dignità, c’è chi si è preso cura della mia povertà e mi ha purificato il cuore.

E la conclusione: «Ecco, perirà chi da te si allontana, tu distruggi chiunque ti è infedele. Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere» (vv. 27-28).

«Presso le porte della città di Sion» è presente solo nella traduzione in greco, ma non nell’originale ebraico.

Il nostro personaggio conclude la sua testimonianza con questa adesione al mistero di Dio e alla presenza di Dio che ha scoperto essere il Signore del suo cuore. La presenza di Dio riempie di amore, di misericordia e di pietà la vita umana.

Il racconto si conclude qui, proprio per tutto quello che è avvenuto. «Beati i poveri nello Spirito perché di essi è il regno. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,3.8).


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