Incontri di discernimento e solidarietà
 
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COME UN LADRO

Non un’altra vita, ma questa

Paolo ringrazia Dio per la presenza a Tessalonica di una comunità di cristiani. La presenza della vita cristiana tra gli uomini è una sorpresa che lo lascia meravigliato e commosso. La seconda parte della lettera, dal cap. 4 in poi, è caratterizzata da una intonazione parenetica. Paolo sviluppa considerazioni che sono mirate ad ammonire e ad incoraggiare. La novità della vita cristiana non è un’altra vita, è questa nostra vita che ha acquistato una fecondità teologale nella fede, nella speranza, nella carità. La nostra vita esprime una capacità di stare al mondo, di stare bene con la storia umana, di stare in relazione con gli eventi, con tutte le creature di Dio in modo da esprimere capacità di accoglienza e di servizio. Non è un’altra vita, è questa vita potenziata, anzi è questa vita realizzata, è questa nostra vita che giunge a esprimere con una pienezza straordinaria le proprie prerogative, la propria apertura al mondo, la propria capacità di coinvolgimento nelle relazioni.

Il testo continua articolandosi in due paragrafi: il primo ci porta fino alla fine del capitolo 4, v. 18; il secondo negli altri 11 versetti che dobbiamo leggere successivamente nel cap. 5.

Il problema

Si propone una questione che Paolo vuole affrontare: sono pochi mesi da quando Paolo è passato da Tessalonica e ha svolto il suo primo ministero di evangelizzazione, ma già si è formata una comunità di cristiani che sta confermando la propria singolare qualità teologale. E’ successo che nell’ambiente di questa comunità è stata registra la morte di qualcuno. Come metterla con il caso di costoro che già sono morti, dal momento che la predicazione evangelica, stando alla interpretazione corrente in molti ambienti, ed evidentemente anche a Tessalonica, comporta la promessa di un prossimo incontro con il Signore Gesù Cristo che ritorna nella gloria per portare a compimento tutto il disegno della salvezza? Come metterla con costoro che già sono morti, che dunque, essendosi addormentati prima del tempo, sono di fatto esclusi dalla possibilità di incontrare il Signore che ritorna nella sua gloria?

Naturalmente un’impostazione del genere presuppone il convincimento che tale ritorno debba aver luogo a breve scadenza. L’evangelo ricevuto a Tessalonica è stato recepito come annuncio di una manifestazione ormai prossima nel tempo, anche se la scadenza di essa non è stata precisata in nessun modo. Comunque così prossima da essere coinvolti in questa definitiva manifestazione gloriosa del Signore. Si tratta dunque di essere pronti per incontrare il Signore che ritorna nella sua gloria. Ora, se qualcuno muore prima, è escluso da questo incontro. Una disdetta; gli animi sono turbati, c’è qualcosa che non funziona. Come è possibile che avendo ricevuto l’evangelo, avendo aderito a quell’annuncio, essendo ormai stati coinvolti in questa nuova prospettiva di salvezza, non si può essere presenti quando la salvezza finalmente dovrà manifestarsi con il ritorno glorioso del Signore? E’ lui che è morto, è risorto, è asceso al cielo, è stato annunciato il suo ritorno. Ma se qualcuno muore prima?

Paolo si rende conto che ci sono dei fraintendimenti che probabilmente la sua stessa predicazione ha favorito. Lo stesso Paolo è mosso, nel primo periodo della sua predicazione evangelica, dalla previsione che il ritorno glorioso del Signore, la sua parusia, debba aver luogo a breve termine, anche se, come lo stesso Paolo ribadirà espressamente, nessuno può precisare la data, nessuno può determinare la scadenza. Il Signore tornerà tra poco: questa è, tuttavia, la convinzione originaria di Paolo. Nel corso degli anni Paolo si renderà conto che in realtà le prospettive assumono delle dimensioni temporali molto più articolate, molto più prolungate di quanto non era prevedibile inizialmente. Se ne renderà conto nella fase successiva della sua predicazione, ma in questo primo periodo, anche lui, dimostra di attendere il ritorno glorioso del Signore in un prossimo avvenire. Fatto sta che nel frattempo a Tessalonica qualcuno è morto. Come la mettiamo ? Paolo interviene. «13Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti». In greco leggiamo : perì ton koimomenon, "a riguardo di quelli che si sono addormentati". La nostra Bibbia traduce: "quelli che sono morti". Quelli che si sono addormentati, i dormienti.

«Non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza». Paolo si rivolge ormai a coloro che hanno aderito all'evangelo, ai cristiani. Si rivolge a loro che non sono più come pagani. Ci sono gli altri. Gli altri sono dei disperati. Paolo ribadisce la necessità di chiarire come stanno le cose a riguardo di quelli che sono addormentati, perché i cristiani di Tessalonica in nessun modo debbono ricadere nella disperazione, che è propria di quella esistenza umana condizionata, appesantita, imbrigliata dentro alla logica dell'antico paganesimo. La minaccia di una ricaduta nel paganesimo non è remota, anzi è più che mai incombente. Non si tratta soltanto di una questione di opinioni che potrebbero discordare, di criteri ermeneutici che potrebbero essere aggiustati variamente a seconda delle sensibilità; qui è in questione niente meno che il passaggio dal paganesimo alla vita cristiana. Qui è in questione, niente meno, che l'ipotesi, drammatica più che mai, di una regressione allo stato del paganesimo antecedente, esattamente il capovolgimento della conversione avvenuta nella vita di costoro che, essendo stati evangelizzati, adesso sono entrati nella vita nuova. Essi potrebbero ripiombare nella disperazione di coloro che non hanno ancora accolto l'evangelo. «Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti,(coloro che si sono addormentati) Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui». Paolo è chiarissimo, perentorio, nella sua precisazione, così essenziale e rigorosa.

Nel Cristo morto e resuscitato

Noi non abbiamo più nulla a che fare con la disperazione dei pagani, perché crediamo che Gesù è morto ed è risuscitato. E' in questione la fede nella Pasqua di Gesù, la fede nel varco che Gesù ha aperto passando attraverso la morte, così da trionfare e manifestare nella sua carne gloriosa la potenza di una vita che non muore più: «Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato».

Questa fede nella morte e resurrezione di Gesù ci illumina in modo inconfondibile per quanto riguarda la sorte riservata a coloro che già sono morti, a coloro che si sono addormentati. << per il fatto che Gesù è morto e resuscitato, anche quelli che sono morti Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui.>> A riguardo di coloro che si sono addormentati, l'opera di Dio è programmata in modo irrevocabile in due forme: prima un risveglio, per mezzo di Gesù, poi un raduno insieme con lui. Coloro che già sono morti o si sono addormentati, già appartengono alla resurrezione di Gesù che costituisce una promessa irrevocabile di risveglio. Non solo: coloro che sono morti, o si sono addormentati, già sono convocati nella parusia del Signore. Sono morti, ma il fatto di essere morti non toglie nulla alla relazione che già li coinvolge nella resurrezione di Gesù. Questo è implicito nel credere che Gesù è morto e resuscitato. Credere in Gesù, che è morto e resuscitato, significa appartenere, per coloro che già sono defunti, alla resurrezione di Gesù, alla parusia del Signore, quando ritornerà nella sua gloria.

Paolo non sta solo affrontando la questione riguardante la sorte di coloro che già sono morti, ma la questione riguardante la qualità della vita cristiana.

Coloro che già sono morti in nessun modo sono esclusi dalla relazione con il Signore risorto. «Questo vi diciamo sulla parola del Signore» (v. 15). C'è un logos, c'è una parola del Kurios, del Signore. Quale sia la parola che Paolo qui stia citando non è esplicitato, è tutto il complesso della predicazione evangelica che fa appello a quanto il Signore ha testimoniato da parte sua con il suo insegnamento e con la sua Pasqua di morte e di resurrezione.

Paolo sta insistendo con una forza veramente straordinaria nel sottolineare il valore del messaggio che sta illustrando ai cristiani di Tessalonica. Non è qualche ghiribizzo teologico, una fantasia pastorale, una parenesi sentimentale per momenti di turbamento o di crisi: questa è la parola del Signore, è la parola che fluisce nel corso della storia umana attraverso la predicazione evangelica dei discepoli e così di generazione in generazione per tutti i secoli che verranno fino a noi. «Questo vi diciamo sulla parola del Signore». Non c'è un'altra caratteristica costitutiva della vita cristiana, se non questa. «Noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti», che sono addormentati. Paolo è convinto che il ritorno del Signore avrà luogo prossimamente, quando il Signore tornerà noi, dice, vivremo. Negli anni successivi, come abbiamo visto, Paolo dovrà ridefinire le misure di questi programmi. In ogni caso il punto è un altro: non fatevi imbrogliare dai richiami tentatori che vorrebbero risucchiarvi nella tristezza disperata del paganesimo da cui siete usciti. Coloro che già sono morti, non per questo sono esclusi.

Morti in Cristo

E’ proprio la novità cristiana, instaurata mediante l'evangelizzazione e mediante il battesimo, che per tutti, anche per coloro che fisicamente vivi, ha determinato una partecipazione alla morte del Signore, che è risorto. La morte, per i cristiani, non è un evento che si tratta di prevedere con qualche precisione. I cristiani sono morti. La morte non è uno spauracchio che sta davanti a noi, ma un evento che si è compiuto: il battesimo fa di noi dei redenti che stanno oltre la morte. Il problema non è quello di spiegare come mai quei tali più sfortunati degli altri muoiono prima della parusia; il problema è renderci conto che noi già ci troviamo oltre la morte per il fatto di essere inseriti nella comunione con il Signore Gesù Cristo, che è morto e che è resuscitato. Noi che saremo ancora vivi nel momento della parusia, noi non avremo alcun vantaggio su quelli che già sono morti. La novità è essere entrati in comunione con il vivente, che non muore più. Per questo siamo stati battezzati. Questa comunione con il vivente non è cancellata per coloro che sono morti, il loro essere morti non contraddice minimamente la loro vocazione cristiana, anzi, ne è una ulteriore esplicitazione. Fin da quando siamo stati evangelizzati, battezzati noi siamo stati sigillati in una relazione di vita con il Signore che è morto ed è risorto. Noi moriamo e risorgiamo con lui. Il segno battesimale a questo riguardo è esplicito: una immersione, un tuffo, un affogamento. Il battesimo comporta un affondamento per morire con Cristo e risorgere con lui; là dove noi moriamo incontriamo la potenza vittoriosa di Cristo che risorge dai morti. Questo è il segno che è stato messo all'inizio. All'inizio non ci è stata data una qualche consolante promessa riguardante la possibilità di evitare la morte; all'inizio siamo stati già intimamente, radicalmente segnati da una esperienza di morte, che costituisce l'incontro decisivo con il Signore. All'inizio l'evangelo che abbiamo ricevuto non ci ha promesso di non morire, ma a constatare che proprio morendo incontriamo il Vivente. Se questi già sono morti, non sono ingannati dall'evangelo, sono confermati nella prospettiva di una vita nuova che, comunque, fa già di tutti noi, anche di quelli tra di noi che saranno ancora vivi quando lui ritornerà, dei morti in attesa di resurrezione.

Qui non è in questione il come mai alcuni sono morti prima del tempo, qui è in questione una sempre più matura e consapevole esperienza di quella novità che ormai segna la nostra vita, una vita non più prigioniera della morte, della tristezza, della disperazione.

Paolo insiste : «perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore».

Paolo annuncia qui la anastasis di coloro che già sono morti. Risorgeranno i morti in Cristo, e anche noi, i vivi, quelli di noi che non saranno ancora morti. Paolo si mette in questa schiera, crede, forse desidera anche lui di esserci, ma ci ha già informati: nessun vantaggio. Anche noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole per andare incontro al Signore. Noi, i vivi, non saremo i premiati per il fatto di essere vivi, ma per il fatto di essere di Cristo. Ciò che è determinante non è essere morti prima, essere vivi allora, ma è andare incontro al Signore, incontrare lui, il Kurios, stare sempre con lui, il Signore.

Un'espressione semplice, intensa, travolgente : "stare con il Signore" in un rapporto di comunione tra tempo ed eterno, tra cielo e terra, tra gli altri e noi, i vicini e i lontani. In questa prospettiva, l'incontro con il Signore, che ritorna nella sua gloria, cancella tutte le barriere di ordine cosmico, di ordine territoriale, tutti i privilegi del prima e del poi, del più pronti e meno pronti, dei più attrezzati e dei meno attrezzati. Vengono abbattute anche le barriere relative all'essere battezzati o al non esserlo ancora. Quel che conta è incontrare lui, che viene incontro a noi. Quel che conta è incontrarlo morendo per risorgere con lui. Chi lo incontra se non chi muore? Ed è proprio morendo che gli uomini incontrano il Signore che ritorna vivente e glorioso.

Questo vale per coloro che, battezzati, hanno acquisito il valore di questo segno, che dà tutta una nuova impostazione alla loro vita. Ma questo vale per tutti gli uomini che muoiono.

Qual è il titolo valido per entrare nella relazione con il Signore che è morto, che è risorto? Qual è il titolo valido per entrare nella comunione pasquale con lui vivente ? Il titolo valido è di morire. Quale carta di presentazione bisogna presentare per avere accesso alla parusia del Signore? Il fatto di morire. Non c'è distintivo che sia più universale di questo, più ecumenico, più inclusivo di questo.

Paolo è molto chiaro, non ci possono essere equivoci al riguardo di queste cose. L'evangelo non è annuncio di una salvezza esclusiva, è annuncio di una salvezza inclusiva e il Signore Onnipotente si è rivelato a noi attraverso l'incarnazione del Figlio, che è morto ed è risorto con la potenza dello Spirito Santo, dimostrandoci come sia aperta una strada di redenzione e di salvezza per tutti gli uomini che muoiono.

La meravigliosa novità della vita cristiana porta in sé la consapevolezza di un'opera di amore che salva il mondo, che riguarda tutti gli uomini in quanto muoiono. E' proprio capovolta la prospettiva. I cristiani non sono coloro che più fortunati degli altri ce la faranno ancora ad essere vivi, ad essere conservati in questa vita; i cristiani sono coloro che, nella loro novità battesimale, portano in sé la promessa, irrevocabile ormai, di una prospettiva di salvezza per tutti gli uomini che muoiono. Per questo siamo cristiani: non perché possiamo farcela, ad esclusione degli altri, ma perché portiamo in noi la speranza di una novità di vita che investe l'umanità che muore.

Paolo, v. 18, chiude il paragrafo : «Confortatevi dunque a vicenda con queste parole».

Come un ladro

Cap. 5: «Riguardo poi ai tempi e ai momenti». Paolo ritorna su questo aspetto dell'intera problematica, perché si è reso conto che possono essersi manifestate delle ambiguità. Quali sono i tempi, i momenti, le date, cosa è prevedibile a riguardo della parusia? «Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore Infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore». Non ci sono date. Paolo rimarca, ancora una volta, di desiderare che quando il Signore ritornerà nella sua gloria, lui possa essere ancora in vita. Ma non è questo l'elemento caratteristico della vita cristiana. Anzi: quelli che sono morti ci precedono nel corteo. E’ questa comunione tra morti e vivi che li riguarda: il cielo e la terra, il passato e l'avvenire e tutta la creazione abbatte ogni confine. Non siamo più prigionieri di tempi preferenziali, di situazioni vantaggiose. «Come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore». Non sappiamo in che giorno, non sappiamo in che ora. Tante volte nei vangeli ascoltiamo messaggi che sono espressi con questo stesso linguaggio: non sappiamo il giorno, non sappiamo l'ora. Anche questa immagine è ricorrente nella letteratura evangelica, e in altri scritti del NT. E' presente anche qui : il Signore viene come un ladro; il giorno del Signore viene per rapirci, per rapinarci, per depredarci, Come un ladro. Se noi sapessimo quando viene, ci organizzeremmo, ci difenderemmo, perché, se viene come un ladro, dobbiamo proteggere la nostra casa, il nostro ambiente, le nostre situazioni acquisite; dobbiamo difendere, per l'appunto, quel complesso di situazioni che definiscono la nostra vita, il nostro esserci adesso e qui. Ma noi non sappiamo quando viene, non sappiamo il giorno, non sappiamo l'ora. Viene. Questa incertezza circa la data e l'orario sviluppa in noi una forma di attesa che diventa sempre più ansimante, sempre più desiderosa, implorante : che venga! che venga presto! Non ne possiamo più di aspettare un ladro senza sapere il giorno e l'ora. Man mano che noi entriamo in atteggiamento di attesa, noi siamo sempre più intimamente segnati dal desiderio di ricevere presto, il più presto che è possibile, la sua visita.

E' strano ma è così. Non c'è altro desiderio se non l'incontro con lui.

Difendere quel che siamo diventa un bagaglio insostenibile, una fatica inaccettabile. Il desiderio è proteso verso di lui in una spinta travolgente. Non c'è più passione nel vivere che sia equivalente al pathos di questa attesa. Venisse, avendoci dato un appuntamento, noi non lo aspetteremmo perché ci difenderemmo; mentre invece viene i modo tale da farci essere con lui, in modo tale che noi siamo già morti. E come tutto della nostra vita dev'essere consumato, dev'essere macinato, speso purché venga lui.

«E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d'improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà ». Quando ci saranno programmi, previsioni, saranno determinate le garanzie, allora d'improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta. Un dolore che spazza via ogni illusione. Nessuno scamperà. E non nel senso di una condanna definitiva, ma nel senso che saranno comunque sbaragliate tutte quelle presunzioni, quelle false sicurezze, quelle garanzie che sembrano acquisite. «Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. 6Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii». Paolo si rivolge ai fratelli ai cristiani di Tessalonica: voi che siete battezzati in Cristo, voi siete già figli della luce e siete figli di quel giorno. Siete figli del futuro. Quel giorno, che viene senza data e con il dolore della partoriente, quel giorno è già questo giorno, è il vostro giorno di adesso, è il vostro essere discepoli del Signore. Noi non siamo della notte, non dormiamo come gli altri, ma restiamo svegli. Ormai non c'è più notte per coloro che sono stati battezzati.

Paolo insiste, v. 7 : «Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte». Di notte si dorme, di notte ci si ubriaca. Gli altri, quelli che dormono. I cristiani sono, invece, coloro che non dormono, perché ormai appartengono al giorno e non si ubriacano. Paolo qui riprende il v. 8: «Noi invece». Queste distinzioni, di cui Paolo fa uso per caratterizzare la realtà dei pagani e quella dei cristiani, non contrappongono gli uni agli altri, in modo da escludere gli uni a vantaggio degli altri. Proprio l'opposto. Paolo sta spiegando ai cristiani di Tessalonica come nel loro essere già passati attraverso la notte sono testimoni di un giorno che sorge per quelli che sono nella notte. Noi abbiamo qualcosa da testimoniare, custodiamo in noi una promessa di vita per coloro che sono morti perché noi già siamo morti.

«Noi invece, che siamo del giorno dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità». Paolo sta citando Is 59, un testo in cui le prerogative teologali della vita umana vengono descritte ricorrendo alle immagini di una armatura, dunque una vita militante. «Rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui». Dio non ci ha destinati alla sua collera, ma all'acquisto della salvezza; Dio non ha preparato la condanna, ma la salvezza. Noi siamo custodi di un disegno di salvezza che riguarda tutti gli uomini che stanno morendo, che si stanno consumando, che si stanno spendendo nei dolori della vita e che sono travolti dalle ubriacature notturne. Dio non ci ha destinati alla sua collera, ma all'acquisto della salvezza, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo arrivati al giubileo del 2000. Paolo non prevedeva un incidente così vistoso: sono passati due millenni e noi ancora siamo qua. Il punto, come sappiamo, è un altro: noi viviamo già insieme con lui.

«Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate». "Gli uni gli altri", traduce la nostra bibbia, eis ton eva, proprio per ciascuno. E’ in questione la realtà di ogni uomo, di ogni donna, oggi come ieri e come domani. Siamo cristiani non perché ce la faremo ad essere ancora in vita l'anno prossimo, ma perché portiamo nella nostra carne mortale la testimonianza di una inesauribile fecondità di amore che salva tutti coloro che già sono morti e che moriranno.