Incontri di discernimento e solidarietà
 
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1998-99 - LA VITA NUOVA

La luce, l’acqua, il tempo, il presente, la gioia

anima mia
I salmi 103 e 104 sono strettamente coordinati, entrambi si aprono e si chiudono con il medesimo ritornello : «Benedici il Signore, anima mia». Il termine "anima" traduce l’ebraico nefeš, che è uno dei termini con il quale si allude alla vita nel linguaggio biblico. La vita nel suo dato più empirico, la vita come desiderio di vivere. Nefeš di per sé significa "gola", il condotto attraverso il quale transita il respiro, ma anche cibo, bevanda, tutto quello che è confacente alla vita nel suo dato biologico. La gola come vita, come desiderio di vivere. Il salmo dice : «L’anima mia ha sete di Dio», la mia gola ha sete di Dio; l’ "anima mia" è esattamente questo termine: nefeš. E’ una gola riarsa, una gola secca: è l’anima assetata. Tutto quello che io sono come vivente viene coinvolto in una benedizione per il Signore: «Benedici il Signore anima mia». Quello che io sono in quanto vivo e desidero vivere, viene interpellato per esprimersi nella benedizione del Signore.

Al termine del salmo 104 e all’inizio del salmo 105, per la prima volta risuona l’alleluia. Bisogna attendere la conclusione del salmo 104 per udire il grido dell’esultanza. E’ proprio questa stretta finale, dopo un lungo percorso, costituita dai due salmi appaiati, 103 e 104, che ci rende maturi per il canto dell’alleluia, non prima. Bisogna avere affrontato e varcato questa soglia per cantare l’alleluia. Il vivente canta l’alleluia, il vivente che si è raccolto in sé stesso nell’esercizio della benedizione : «Benedici il Signore anima mia». Io mi realizzo come vivente in quanto benedico il Signore. Tutte le mie tensioni, tutte le mie esigenze vitali si esprimono nell’atto di benedire il Signore: benedicendo Dio, io mi realizzo come vivente.

nell’intimo del cuore

Il salmo 103 ci invita a considerare quello che avviene nel vissuto della persona umana, il salmo 104 ci invita invece a considerare quello che avviene nella realtà del mondo che raccoglie la totalità delle creature di Dio:

salmo 103, la persona umana; salmo 104, l’universo intero.

I due salmi sono strettamente coordinati: quella persona umana che benedice il Signore per quello che avviene nel suo vissuto, è in grado di benedire il Signore per quello che avviene nel mondo.

Salmo 103

I primi 2 versetti contengono gli inviti introduttivi. Per due volte risuona l’imperativo benedici.

«Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici».

L’espressione usata in ebraico, alla lettera, significa : "quanto è vicino a me, quanto è in me come intimità in me stesso". Il mio intimo, per dirla con un’espressione che qualche volta risulta un poco fumosa. Eppure è un’espressione più che mai corretta per tradurre quello che il salmo ci raccomanda. Il "mio intimo" benedica il suo nome santo. Un invito sorprendente, sconcertante : quello che sono io nel mio intimo, quel che sono io in me stesso, viene interpellato per benedire la santità di Dio, la santità, invisibile, irraggiungibile, incontenibile, onnipotente, immensa, infinita, la santità del VIVENTE. La mia vita affannata, affamata, assetata, il mio intimo, la mia solitudine, il mio vuoto, la mia angoscia, la mia realtà di creatura sfuggente, spaventata, perché nel suo abisso interiore precipita drammaticamente, tutto ciò "benedica il Signore", che è il VIVENTE. Questo v. 1 è sbalorditivo. «Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo nome santo». E come è possibile che il mio intimo sia in relazione con la santità di Dio? Come è possibile che la mia vita affannata, affamata, assetata, bisognosa di tutto, ripiegata in se stessa, sia in grado di benedire il vivente, che è Santo.

Il salmo 103 prende avvio da questa sconcertante convinzione : il mio intimo per benedire il Signore. Anzi v. 2 : «Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici». Il mio intimo è la sede della memoria e la memoria è la coscienza di una storia vissuta, l’eredità di un passato che ormai si è consumato e non può più essere trasformato. E’ la memoria di un debito contratto, è la memoria di tante occasioni perdute, è la memoria di una storia sbagliata che mi condanna. Ebbene : non dimenticare tanti suoi benefici. La memoria, nel suo intimo, custodisce i motivi della gratitudine. Il salmo ci aiuterà a scoprire come questo invito iniziale non sia vacuo, non sia ipotetico, non sia illusorio. Questo invito iniziale è del tutto adeguato alla realtà. Il mio intimo, la mia realtà di vivente, con tutti i condizionamenti che porto in me, con tutti i limiti nei quali è già incappata la mia esistenza e la memoria me ne rinfaccia brutalmente l’evidenza, è per benedire il vivente. Io vivo per benedire Dio.

Adesso il salmo 103 ci illustra il motivo per cui questo invito non cade nel vuoto. Tre strofe : la prima (vv. 3-5) illustra l’opera che il Signore compie nella mia esperienza personale. «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia; egli sazia di beni i tuoi giorni e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza». Questa è l’opera del Signore: è lui che affronta i lati negativi della mia storia; è lui che realizza i dati positivi; le scorie inquinate, che sono accumulate nel nostro intimo, vengono scandagliate, scrutate, rimosse. Il Signore si insedia nella sua creatura. Lui, il Santo, prende contatto con l’inquinamento che appesantisce, che ossessiona la mia vita. E’ lui il Signore VIVENTE che instaura la sua sovranità nell’intimo del cuore umano. Egli perdona, egli guarisce, egli salva, corona, sazia. "Tu rinnovi come aquila la mia giovinezza". E’ lui che ristabilisce una continuità nella mia vicenda esistenziale, fratturata, complicata da tante contraddizioni. Per questo motivo noi siamo in grado di benedire il Signore a partire dall’intimo, che di per sé è causa dei nostri disagi più profondi: proprio nel nostro intimo siamo visitati, siamo liberati, siamo abitati dal Signore. E’ il Signore dell’intimo, è il Signore del cuore umano. Qui, dove il v. 5 traduce : "egli sazia di beni i tuoi giorni", dovremmo tradurre "Egli sazia di beni il tuo desiderio (epithumian sou)". Così traduce la bibbia greca e la traduzione comporta una intuizione spirituale sapientissima : è il Signore che si introduce nell’intimo del cuore umano, così da restaurare dalla radice il desiderio inquinato, quel desiderio che sciupa, avvilisce, risucchia in un vortice mortale la nostra condizione umana. E’ Dio il Signore del cuore umano.

nella storia degli uomini

Nelle altre due strofe il salmo ci aiuta a considerare come l’opera del Signore, che si insedia nella sua creatura umana in modo da restaurare l’intimo che era compromesso, vale per tutti gli uomini, creature di Dio.

Nella seconda strofa, vv. 6-10, viene presa in considerazione la realtà degli uomini in quanto sono oppressi. L’oppressione non riguarda solo le singole persone, ma le generazioni, i gruppi umani, la condizione umana in generale.

Gli uomini oppressi: c’è un caso esemplare fra tutti, di cui si occupa la storia della salvezza, quello dei figli di Israele in Egitto. La storia della salvezza riguarda il popolo di Israele, ma, attraverso quel popolo, è la storia di tutta l’umanità oppressa che viene illustrata, spiegata, interpretata. Colui che è Signore dell’intimo libera gli oppressi. L’oppressione nel senso fisico, sociale, culturale del termine; un’oppressione che si esprime con il linguaggio delle istituzioni civili, amministrative, politiche. Gli ebrei in Egitto sono un caso esemplare. Una oppressione che viene considerata tenendo conto di tutte le ripercussioni tragiche che raggiungono il fondo del cuore umano: oppressi non soltanto perché sottoposti a un potere imperiale che schiaccia dall’esterno, ma oppressi nel senso di coscienze devastate, di cuori corrotti, di situazioni interiori che sono state invase dal veleno di una storia umana ossessionata, indemoniata.

«Il Signore agisce con giustizia e con diritto verso tutti gli oppressi». Questa liberazione dallo stato di schiavitù in cui si trovano gli uomini, è presa in considerazione nel salmo 103, a partire dall’intimo: colui che è Signore dell’intimo, è colui che risolleva le creature personalmente. E’ l’umanità intera, la moltitudine, sono le coscienze che si aprono a nuove potenzialità vitali. E’ lui che «ha rivelato a Mosè le sue vie, ai figli d'Israele le sue opere. Buono e pietoso è il Signore». Si assiste alla liberazione della coscienza, delle coscienze, dei cuori di tutti gli uomini, perché lui, il Signore, è buono e pietoso, «lento all'ira e grande nell'amore. Egli non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe». Tutto viene ora detto al plurale, mentre nella strofa precedente era detto al singolare: tu, adesso, noi tutti gli uomini oppressi. E oppressi nell’intimo del cuore. Il Signore è liberatore, il Signore del cuore è colui che fa di questa nostra storia umana, una storia di liberazione per la vita, per imparare a vivere, per realizzarci nella vita. Dicendo questo è come se non sapessi nemmeno io che cosa sto dicendo. Il salmo ci parla della nostra condizione umana che è dotata di una potenzialità vitale che sfugge al nostro controllo, che supera ogni nostra aspirazione, che già scardina quello che è di fatto il nostro esercizio di creature viventi. Il Signore libera gli oppressi.

coloro che temono il Signore

Nella terza strofa (vv. 11-18) gli uomini sono considerati nella loro realtà di creature fatte di polvere impastata dalla mano del creatore. Una prospettiva più universale di questa non potrebbe essere delineata: è la condizione umana intrinsecamente limitata dall’inizio e, a causa del peccato, condizionata radicalmente dalle sue conseguenze. L’uomo fatto di polvere ritorna alla polvere. L’uomo è risucchiato nel vortice della propria miseria. Questo stato di miseria coinvolge tutte le creature. Eppure l’essere polvere che ritorna alla polvere acquista la nuovissima possibilità di configurarsi come "timore" del Signore. Coloro che sono polvere e ritornano alla polvere sono interpellati come i "timorati" del Signore, come coloro che temono Dio.

Questa espressione torna tre volte nella terza strofa ed è la stessa espressione che la Madonna usa nel Magnificat : misericordia su tutti quelli che temono il Signore. La Madonna nel suo cantico sta citando il salmo 103.

«Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono; come dista l'oriente dall'occidente, così allontana da noi le nostre colpe. Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono. Perché egli sa di che siamo plasmati». E’ lui che conosce quale è la nostra origine: «ricorda che noi siamo polvere». Questo siamo noi. «Come l'erba sono i giorni dell'uomo, come il fiore del campo, così egli fiorisce. Lo investe il vento e più non esiste e il suo posto non lo riconosce. Ma la grazia del Signore è da sempre, dura in eterno per quanti lo temono». "Polvere che ritorna alla polvere", eppure proprio nell’intimo del cuore umano, noi, polvere che ritorna alla polvere, siamo in grado di esprimerci con l’atto di temere il Signore. L’atto di "temere il Signore" è l’espressione più degna, più vigorosa, più raffinata del vivente. E’ l’atto della creatura che si consegna, della creatura che appartiene al creatore. Ed è proprio in questo riferimento al creatore che la creatura acquista valore. Polvere che ritorna alla polvere, eppure in grado "di temere il Signore" : una appartenenza a lui che ci valorizza in rapporto a lui, una stabilità definitiva, una durata eterna, per coloro che vengono meno, per coloro che si sono consumati, che già sono passati, "polvere che ritorna alla polvere". Coloro che lo temono sono inseriti in una misteriosa rivelazione di grazia che dura in eterno. «La sua giustizia per i figli dei figli, per quanti custodiscono la sua alleanza e ricordano di osservare i suoi precetti». Così fino ai vv. 19-22, che concludono il salmo 103 con una sequenza di benedizioni. Al modo di una cascata si susseguono inviti alla benedizione che coinvolgono tutte le realtà di questo mondo, tutte le situazioni, le creature di Dio.

L’uomo fatto di polvere, e che ritorna alla polvere, si apre nella relazione al mistero. «Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono» (v. 11). Essere lontani da lui, schiacciati sulla terra, rispetto a colui che è altissimo nel cielo, viene percepito come una situazione non di distacco, ma di appartenenza. Colui che è lontano da noi, colui che risiede nell’alto dei cieli, è colui che ci avvolge, ci comprende, ci abbraccia in una relazione piena e armoniosa con tutte le creature dell’universo. Il v. 12 aggiunge : «come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe». L’essere polvere che ritorna alla polvere è l’esperienza di uno strappo interno, di una spaccatura nel cuore e questa situazione di spezzamento e di frantumazione diventa adesso una esperienza di pienezza: è lui che riempie la distanza tra oriente ed occidente, che riempie quella frattura che sono io nel momento stesso in cui le mie colpe sono separate da me. Dio è il Signore dell’intimo. Il Signore nell’atto di separarmi, di strapparmi dalle mie colpe, non mi abbandona a me stesso come bitorzolo rinsecchito, come una esistenza fallita, ma mi riempie. La mia polvere è intimamente educata nel "timore del Signore"; la mia realtà di vivente è aperta per la relazione con il Santo. «Benedici il Signore anima mia». «Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono e il suo regno abbraccia l'universo». L’orizzonte è sconfinato, il regno dei cieli. E quindi le benedizioni che adesso si succedono come una cascata : «Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli, potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola. Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere, suoi ministri, che fate il suo volere. Benedite il Signore, voi tutte opere sue, in ogni luogo del suo dominio. Benedici il Signore, anima mia».

nell’intimo: la luce

Salmo 104

Ed è partire da questo ritornello che inizia adesso il canto della lode del salmo 104 che ci aiuta a contemplare la realtà del mondo. E una contemplazione che nasce dall’intimo di un cuore restaurato.

«Benedici il Signore anima mia».

Ciascuna delle 5 strofe del salmo 104 ci fornisce degli affacci sul mondo. L’orizzonte è amplissimo, non ci sono limiti, confini, preclusioni. Ciascuna delle 5 strofe fa riferimento a una particolare creatura, che viene individuata come lo spiraglio per contemplare la totalità.

Prima strofa, vv. 1-4. Qui la creatura guida è la luce. E’ una creatura speciale tra tutte le altre creature: essa vela la trascendenza santissima del Dio vivente, ci abbaglia e ci impedisce di raggiungere lui che è Santo nella sua dimora superiore; e d’altra parte la luce rivela, la luce risplende, la luce penetra in tutte le direzioni, definisce i contorni, esalta i colori, esalta tutte le altre creature, che prendono significato, acquistano valore, divengono riconoscibili, si muovono in una armonia complessiva, proprio perché sono nella luce. La luce che ci abbaglia, rendendo invisibile il Santo, è quella stessa che illumina il creato. Questo modo di descrivere il mondo in relazione alla luce ci consente di sperimentare la presenza di colui che è invisibile: la luce come presenza dell’invisibile. L’essere nella luce di tutte le creature di questo mondo ci consente di accogliere nell’intimo la presenza dell’invisibile.

«Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto». Tu sei avvolto, tu sei velato, la luce è il tuo manto, ti copre, ti nasconde. Guardarti significa rimanere abbagliati. Come sei grande nella tua maestà splendida e gloriosa: «Tu stendi il cielo come una tenda, costruisci sulle acque la tua dimora». La tua dimora è al di là di questa tenda: «Fai delle nubi il tuo carro». Ma proprio quella tenda, che è il manto luminoso, riversa raggi incandescenti che invadono tutto l’universo sottostante e ogni creatura trova il suo posto, la sua misura, la sua identità, nella luce. «Cammini sulle ali del vento; fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme guizzanti i tuoi ministri». Tutte le creature nella luce rivelano a noi, nell’intimo, la presenza della tua santità invisibile.

nell’intimo: l’acqua

Seconda strofa, vv. 5-18. Qui la creatura guida è l’acqua. L’acqua viene considerata da diversi punti di vista; la creazione viene contemplata e interpretata in relazione all’acqua.

«Hai fondato la terra sulle sue basi, mai potrà vacillare. L'oceano l'avvolgeva come un manto, le acque coprivano le montagne». Sono le acque del caos primigenio, acque poderose, che avvolgono, stringono, sovrastano. Le acque coprivano le montagne. Il Creatore ha rimosso le acque, le ha dominate, le ha piegate al suo servizio, le ha addomesticate, le ha addolcite. La creazione è l’opera compiuta dal creatore per rendere docile quella forza irruente, prepotente, travolgente dell’acqua. L’acqua, nella creazione ha il significato di questo regolamento che il creatore ha imposto: la forza è dominata, la potenza è addolcita, la violenza è addomestica. L’acqua.

«Alla tua minaccia sono fuggite, al fragore del tuo tuono hanno tremato. Emergono i monti, scendono le valli al luogo che hai loro assegnato». «Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno, non torneranno a coprire la terra».

Le acque sono contenute dentro i loro argini, non torneranno a coprire la terra. La creazione è sorretta, gestita, determinata internamente da questo principio: Dio ha reso docile la forza scatenata delle potenze avverse. L'acqua è esempio di questo: così può essere guardata e interpretata e celebrata la creazione a partire dall’intimo. L’acqua, dice san Francesco di Assisi, è "umile preziosa e casta": è l’acqua di cui parla il salmo, l’acqua che da potenza scatenata è diventata creatura mite. «Fai scaturire le sorgenti nelle valli», «Scorrono tra i monti; ne bevono tutte le bestie selvatiche e gli animali estinguono la loro sete». Là dove l’acqua scorre, li la vita si afferma. Non ci sono solo gli animali: «Al di sopra dimorano gli uccelli del cielo, cantano tra le fronde», c’è la vegetazione. Là dove l’acqua scorre, c’è la verzura sempre più abbondante e le fronde degli alberi diventano luogo in cui nidificano i molti uccelli del cielo. Tutta la creazione si popola di viventi, là dove scorre l’acqua. Lo sguardo si è ora sollevato, dopo che ci siamo piegati sul corso d’acqua per assaporare la frescura e la dolcezza, siamo richiamati dal canto degli uccelli che si sono appollaiati sulle cime degli alberi e ancora più in alto.

«Dalle tue alte dimore irrighi i monti».

E’ un’altra tipologia dell’acqua: la pioggia. C’è l’acqua che zampilla come sorgente, c’è l’acqua che scende dall’alto. E’ un’acqua che cade anche là dove non ci sono ruscelli, torrenti, fiumi. Questo rende possibile la vita anche nei luoghi deserti. Piove dall’alto: «Dalle tue alte dimore irrighi i monti, con il frutto delle tue opere sazi la terra». E’ uno dei problemi degli antichi : ma perché piove in montagna ? che bisogno c’è di acqua in montagna ? Abbiamo tanto bisogno di acqua noi e invece piove sulle rocce della montagna. Perché piove nel deserto ? Acqua sprecata. Ed invece: «Fai crescere il fieno per gli armenti» e l’erba diventa pastura per gli animali al pascolo.

E’ l'erba al servizio dell'uomo. Entra in scena l’uomo in quanto alleva animali e li conduce al pascolo, l’uomo in quanto coltivatore, che sa come approfittare dell’acqua che scende dal cielo per irrigare i terreni e trarre dalla terra il necessario per la vita. Il v. 15 aggiunge : «il vino che allieta il cuore dell'uomo; l'olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore. Si saziano gli alberi del Signore, i cedri del Libano da lui piantati. Là gli uccelli fanno il loro nido». Anche nelle località più impervie, sulle montagne del Libano, anche là, «La cicogna sui cipressi ha la sua casa. Per i camosci sono le alte montagne, le rocce sono rifugio per gli iràci». Così l’intimo del cuore umano sa accogliere in sé e interpretare in sé la ragione del mondo, il senso del mondo, il valore di tutta la creazione.

nell’intimo: il tempo

Terza strofa, vv. 19-26. Qui la creatura di riferimento è il tempo. Anche il tempo è una creatura di Dio, anche il tempo è creato. Il salmo 104 dapprima considera il tempo come misura di uno svolgimento. Il tempo, misurando le fasi successive, ci aiuta a scoprire l’armonia e la comunione che è propria di un disegno voluto da Dio. Il tempo è misura di comunione nel creato. «Per segnare le stagioni hai fatto la luna e il sole che conosce il suo tramonto». Sono i cronometri dell’universo: la luna con le sue fasi, il sole che sorge e poi tramonta, i mesi, i giorni. «Stendi le tenebre e viene la notte e vagano tutte le bestie della foresta». «Ruggiscono i leoncelli in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo. Sorge il sole, si ritirano e si accovacciano nelle tane». Al sorgere del sole le bestie della foresta ritornano alle loro tane, si accovacciano.«Allora l'uomo esce al suo lavoro, per la sua fatica fino a sera». Adesso è il giorno dell’uomo: l’uomo alla luce del sole si fa avanti fino alla sera, perché questo è il tempo del suo lavoro. Nell’avvicendarsi della notte e del giorno, scandito dal tempo, siamo in grado di contemplare una singolare e consolante armonia che ricapitola la presenza delle bestie selvatiche e dell’uomo lavoratore nel tempo. Così è possibile accogliere nell’intimo del cuore umano il dono di questa creatura di Dio, che è il tempo: è il tempo restaurato da Dio, contemplato da una interiorità affidata a Dio. Il tempo diventa così in noi, nel nostro intimo, misura di comunione: c’è il tempo per l’uomo e il tempo per la bestia selvatica, c’è il giorno, c’è la notte, c’è il sorgere del sole, c’è il tramonto, c’è l’oggi, c’è il domani, c’è stato ieri. Siamo misurati dal tempo.

Sempre nel contesto della stessa strofa, vv. 24-26, si considera il tempo da un altro punto di vista: il tempo non più misura di uno svolgimento, ma il tempo come sigillo di contemporaneità. Siamo contemporanei. Dio è creatore del tempo che mi consente ora, nell’intimo, di considerare un cinese che gioca ora con il suo cane come creatura in comunione con me, che mi consente di contare su di lui come cuore umano che è capace di accogliere me in comunione con lui. Dio è creatore di questa contemporaneità, di questa capienza straordinaria del cuore umano per cui l’estraneo, lo sconosciuto, il lontano da me, in questo tempo, è mio contemporaneo, è parte di me, è in comunione con me, ed io con lui.

Dio crea il tempo: «Quanto sono grandi, Signore, le tue opere!», «Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature», «Ecco il mare spazioso e vasto: lì guizzano senza numero animali piccoli e grandi», «Lo solcano le navi, il Leviatàn che hai plasmato perché in esso si diverta». Tutto sembra un grande gioco: il tempo è sigillo di comunione, in quanto contemporaneità con tutte queste realtà diversissime.

nell’intimo: il presente

Quarta strofa, vv. 27-30, ancora una creatura di riferimento: il presente. Dio è creatore di questo presente, presente fragilissimo, che mentre viene considerato da noi già è passato. Dio è creatore di questo presente e in questo presente precario, evanescente, inconsistente tutta la creazione viene ricapitolata e donata a noi gratuitamente. Viene donata a noi nell’intimo. Nell’intimo del cuore umano riceviamo il dono di questo presente che già non c’è più. «Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno». Il tempo opportuno, questo tempo. E’ il tempo della mia fame, il tempo della nostra aspettativa, il tempo che fugge, è il tempo che finisce, è il tempo presente. «Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni». Questo presente è nella tua mano, è sotto il tuo sguardo. «Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra». Là dove il cuore umano accoglie il dono di questo presente, è la onnipotenza del tuo Spirito santificante che si manifesta : «Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra».

nell’intimo: la gioia

L’ultima strofa. Vv 31-35, ci propone una quinta creatura guida: la gioia, la gioia di chi sta cantando questo salmo. Dio è il creatore di questa gioia, la gioia che sgorga dalla contemplazione del creato. Tutto ciò è possibile a partire da un intimo restaurato. Questa gioia in noi è creatura di Dio, diventa ricapitolazione di tutto quel che è di Dio nella bellezza gratuita dell’universo. «La gloria del Signore sia per sempre; gioisca il Signore delle sue opere». E’ lui che gioisce. «Egli guarda la terra e la fa sussultare, tocca i monti ed essi fumano. Voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare al mio Dio finché esisto». Tutto diventa manifestazione della gioia di Dio creatore: il creatore che si compiace delle sue creature, che ammira la loro bellezza. Ed ecco l’eco, suscitata in noi, di un canto che si esprime attraverso la nostra bocca, ma radicato nell’intimo del notro cuore restaurato : «Voglio cantare al Signore finché ho vita». Questo è il mio vivere, la mia anima, il mio intimo, questo è il mio modo di stare al mondo : «Voglio cantare al mio Dio finché esisto. A lui sia gradito il mio canto; la mia gioia è nel Signore». «Scompaiano i peccatori dalla terra e più non esistano gli empi. Benedici il Signore, anima mia». Alleluia, conclude il salmo 104, così ripartirà il salmo che segue.


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