Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Isaia: una luce nel presente travaglio del mondo



Quinto incontro del ciclo 2005-2006

Martedì 4 aprile 20061



Dopo l'esilio: la delusione corrode gli animi


Questa sera iniziamo ad affrontare la lettura dei capitoli da 56 in poi, che costituiscono la terza parte del nostro Libro, quella che viene solitamente attribuita a un profeta denominato, per convenzione, il terzo (o “trito”) Isaia: Ancora una volta un profeta anonimo; addirittura c'è chi sostiene che si tratti di diversi profeti la cui predicazione è stata raccolta in modo antologico. In ogni caso abbiamo a che fare con un profeta che, anche lui, è inserito nella storia del popolo e che, quindi, rimane anonimo non casualmente, perché dà voce a quella che è la situazione, la vicenda, l'esperienza, il dramma del popolo di Dio in un momento della storia della salvezza che è più avanzato rispetto al tempo dell'esilio nel corso del quale svolse il suo ministero profetico il “Deutero Isaia”. Dopo l'esilio, dunque. Nell'anno 538 ”“ ricorderete ”“ l'editto di Ciro, conquistatore di Babilonia, conferisce a coloro che erano stati deportati il diritto di rientrare nei loro luoghi di origine. Da quel momento si avviano le carovane degli esuli; un movimento non massiccio; sono piccoli gruppi quelli che si muovono; soprattutto avanguardie che intraprendono coraggiosamente il viaggio del ritorno, mosse da una grande speranza. La predicazione del “Deutero Isaia” ( di cui ci siamo occupati nei mesi scorsi) ha suscitato forti emozioni, uno slancio generoso, un'intraprendenza davvero appassionata. I fatti, però, assumeranno ben presto una fisionomia che è molto modesta e faticosa e, in ogni caso, assai lontana dalle attese degli esuli. La realtà è fatta di stenti, di miserie, di incertezze. Per quelli che rientrano, dopo un viaggio lungo e pericoloso, l'impatto è più complicato del previsto: la situazione che trovano è oggettivamente compromessa per le conseguenze della devastazione di alcuni decenni prima; in quei territori è presente altra gente che, nel frattempo, si è insediata; difficoltà di ordine economico; una minuscola realtà, all'interno dell'immenso impero persiano, che non è nemmeno dotata di una propria identità amministrativa” Fatto sta che la realtà dei fatti è ben lontana dalle aspettative, dai desideri, dalle speranze. E' così si tira avanti, negli anni, nei decenni. Il rientro non è di tutti ( molti non torneranno mai); è di gruppi che si succedono nel corso degli anni e ci vorranno diversi decenni perché, finalmente, la comunità di coloro che sono tornati dall'esilio assuma una sua propria consistenza e sia in grado di affrontare problemi concreti che, peraltro, si dimostreranno del tutto sproporzionati alle forze di gente così disarmata. Tanto per dire: quanto ci vorrà per ricostruire le mura di Gerusalemme? Oppure per ricostruire un tempio, o almeno una sua parvenza rispetto al grande tempio dell'epoca salomonica che era stato distrutto da Nabucodònosor? Dunque, tutto si svolge in un contesto di oggettiva precarietà. Ma il vero problema non è tanto di ordine materiale, quanto di natura spirituale, perché i fatti deludono le speranze e, in questo modo, sembra contraddetta proprio la predicazione del Deutero Isaia che aveva trovato un'eco così entusiasmante negli animi di coloro che erano esuli a Babilonia. Ricordate (cap. 40, vv. 1,2): “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù ”” ; in realtà non è così! Tra la fine del VI e l'inizio del V secolo il nostro profeta ha a che fare, nella terra di Israele raggiunta e nuovamente abitata da coloro che man mano stanno rientrando dall'esilio, con gente derelitta, avvilita, in uno stato di prostrazione che esprime una dolorosissima ferita interiore, là dove sembrano tragicamente smentite le migliori e più sacre speranze.

Leggendo il libro di Isaia ”“ partendo dal grande personaggio dell' VIII secolo ”“ ci siamo abituati a fare ricorso ad una piccola formula teologica che ci ha consentito di interpretare alcuni passaggi decisivi di tutta l'esperienza del profeta e di coloro che, nei secoli successivi, si sono impegnati nello svolgimento di una missione profetica in continuità con quella del “grande” Isaia. Questa formula teologica, come ho più volte ripetuto, suona più o meno così: “ la salvezza non è alternativa alla catastrofe ,né semplicemente successiva ad essa; la salvezza viene, verrà attraverso la catastrofe”. Catastrofe che, di per sé, è inevitabile e gli accadimenti si sono svolti in modo tale, per coloro che adesso tornano dall'esilio, da dimostrare inequivocabilmente come, davvero, la storia del popolo dell'Alleanza non abbia evitato né scavalcato la catastrofe e non si sia imposta in alternativa ad essa. Tutt'altro: ci è entrata dentro a capofitto; è sprofondata nell'abisso di un disastro tragico e sconvolgente. I fatti hanno dimostrato che esattamente così vanno le cose, ma è proprio così che il nostro profeta, da tanto tempo, sta sviluppando i temi della sua predicazione; esattamente così viene la salvezza: Dio avanza; la Santità del Dio Vivente irrompe; la gloria di Dio abita nella storia degli uomini. Ed è esattamente attraverso quella catastrofe ”“ alla quale il popolo va incontro per un insieme di situazioni su cui il profeta ha riflettuto e gli altri profeti, dopo di lui, hanno confermato con puntuale lucidità ermeneutica, una lucidità pastorale e teologica insieme ”“ che l'opera di Dio si compie; opera redentiva, di liberazione, di salvezza, di ricostruzione; opera di rieducazione del cuore. E, adesso, ci siamo ancora una volta; ci siamo in pieno, anche se la catastrofe con cui abbiamo a che fare in questo frangente non è più riconducibile a fatti di portata storica come l'incursione di eserciti stranieri, l'assedio di Gerusalemme, la profanazione del tempio, la deportazione degli abitanti. La catastrofe è, sempre più, sperimentata nella devastazione degli animi in quanto animi derelitti, avviliti; in quanto la gente è sconfortata nella speranza, delusa nelle aspettative che, nel corso delle generazioni precedenti, si erano accese con tanto fervore nell'ascolto della parola così sapiente, energica e consolante del profeta che aveva rianimato gli esuli a Babilonia. La catastrofe è, ormai, tutta interiore, anche se la situazione nei suoi dati oggettivi e visibili, è già catastrofica di per sé. A questo riguardo non c'è niente di nuovo, di originale o di sconcertante: ci si trascina giorno dopo giorno, anno dopo anno, generazione dopo generazione, per decenni, per più di un secolo, in uno stato di miseria. Ma vedete: la delusione corrode gli animi, e il nostro profeta affronta esattamente questa modalità della catastrofe, che è propriamente interiore, laddove i dati empirici della situazione di miseria sono scontati. La delusione è registrata come inquinamento che devasta l'intimo delle coscienze, uccide le speranze, offende la vocazione del popolo di Dio.



L'osservanza del sabato è aperta a tutti


Cap. 56, vv. 1-8 : un poema che possiamo considerare introduttivo a tutta la raccolta dei canti, dei poemi, degli oracoli che compongono questa terza parte del libro di Isaia.

Prima strofa, vv. 1- 2 : “Così dice il Signore: <<Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché prossima a venire è la mia salvezza; la mia giustizia sta per rivelarsi>>. Beato l'uomo che così agisce e il figlio dell'uomo che a questo si attiene, che osserva il sabato senza profanarlo, che preserva la sua mano da ogni male”. Siamo alla prese con una situazione che è certamente segnata da quella nota di delusione cui accennavo poco fa: la salvezza che era attesa come ormai attuale, realizzata, è invece una salvezza “prossima a venire”. Dunque, c'è uno slittamento in avanti, uno scivolamento, ci sono dei ritardi; le cose non sono andate come ci si attendeva. “ La mia giustizia sta per rivelarsi”. Se leggiamo attentamente queste poche righe, se ascoltiamo con animo aperto la voce del profeta, ci rendiamo conto che egli affronta la problematica di coloro che annaspano, che sprofondano nella delusione: sono alle prese con responsabilità superiori alle loro forze. Che cosa vorrà mai dire praticare la giustizia, corrispondere all'iniziativa di Dio, inserirsi nel rapporto di alleanza con Lui in modo adeguato alle sue intenzioni, quando noi in realtà siamo invischiati in situazioni così miserevoli, viviamo di stenti, siamo schiacciati nell'avvilimento? Ebbene, il Signore, attraverso il profeta, proclama : la “mia” giustizia sta per rivelarsi; e, addirittura, una beatitudine: “Beato l'uomo che così agisce ” che osserva il sabato senza profanarlo ”” . Notate questa attenzione rivolta all'osservanza del sabato: è un'evoluzione improvvisa del discorso che non può passare inosservata, perché ”“ vedete ”“ per osservare il sabato non c'è bisogno di dimorare in un luogo particolare: si può sotto qualunque cielo, in contatto con qualsiasi situazione umana, quale che sia l'urgenza della problematica, al momento, dominante. Il sabato è il sabato. Anzi, come adesso constateremo dai versetti successivi, l'osservanza sabatica è aperta a un coinvolgimento che è più universale che mai, proprio perché non comporta la permanenza in un particolare territorio, l'inserimento in uno specifico impianto organizzativo della società umana o della comunità, piccola o grande che sia, che raccoglie i fedeli del popolo di Dio: l'osservanza del sabato è di tutti e di ciascuno, qui e ovunque, vale per tutti. Il coinvolgimento, dunque, riguarda anche gli stranieri, anche “gli altri”; anche coloro che, per altra via, sembrano esclusi da tutto il complesso delle osservanze riguardanti l'Alleanza mosaica. Questo è un passaggio interessante, che ci dà già un quadro di riferimento per la lettura che affronteremo in seguito: in quella situazione di difficoltà che tratteggiavo precedentemente matura, cresce, si afferma la coscienza di un inserimento nella storia universale dell'umanità. E' una consapevolezza già presente nel “grande” Isaia e, poi, nell'esperienza dell'esilio, ma adesso si stanno stringendo i nodi: è proprio vero che questo tempo di delusione così soffocante e debilitante rappresenta l'occasione propizia per scoprire come siamo aperti a relazioni sempre più universali; siamo proiettati in una ricerca che ci consente di condividere situazioni che sono quelle degli “altri”, dei lontani che non appartengono al nostro popolo. Il tempo della delusione diventa il tempo della maturazione nella comunione ecumenica; e l'osservanza del sabato acquista, a questo proposito, un rilievo esemplare.

v. 3: “Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: <<Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!>>. Non dica l'eunuco: <<Ecco, io sono un albero secco! >>”.Lo “straniero” è chi non condivide il passato di Israele; ha un'altra storia. L' “eunuco” è colui per il quale non c'è avvenire, perché è sterile. Ebbene: entrambi non dicano di essere estranei al popolo dell'alleanza.

Vv. 4 e 5 (strofa dedicata agli eunuchi) : “Poiché così dice il Signore : <<Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, preferiscono le cose di mio gradimento e restan fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato ” >>”. Anche gli eunuchi osservano il sabato, sebbene in base alla legislazione antica fossero loro proibiti l'accesso al tempio e la partecipazione al culto. Inoltre, gli eunuchi sono coloro per i quali l'avvenire è precluso perché non ci sarà più un seguito, non ci saranno generazioni future, la storia finisce con loro. Eppure non sono esclusi; l'Alleanza coinvolge anche loro; avranno un posto nella casa e dentro le mura del Signore; sarà dato “loro un nome eterno che non sarà mai cancellato”. Parola poderosa questa: qui, nel versetto 5, in ebraico l'espressione è yàd vashèm ( un posto e un nome ). Chi è stato a Gerusalemme sa che c'è il museo dell'Olocausto ”“ oggi completamente rinnovato ”“ verso cui è rivolta la devozione dell'intero ebraismo internazionale, che ha esattamente questo nome: yàd vashèm ( che è una citazione di Isaia, 56, 5 ). Coloro che non ci sono più, si sono persi, finiti; coloro per i quali, stando all'apparenza vistosamente tragica degli eventi, non c'è futuro; ebbene, a costoro “ io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato”. Un posto e un nome: yàd vashèm.

Vv. 6 e 7 ( strofa dedicata agli stranieri ): “Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo ””. Situazione un po' paradossale: gli stranieri ” tali rimangono; invece qui sono stranieri “ che hanno aderito al Signore”. In quella situazione ”“ di cui vi parlavo ”“ di disagio, sofferenza, tribolazione, delusione che, di per sé, segna un'esperienza di sconfitta schiacciante, mortificante ” si aprono spazi nuovi, si allargano gli orizzonti, si riconoscono presenze lontane e diverse; la presenza dell'umanità che brancola sulla scena del mondo percorrendo itinerari che sembrano i più disperati, i più inconcludenti, i più inquinati che mai ” . Ebbene: “Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi ( anche gli stranieri sono in grado di fornire un servizio d'amore al Signore.), quanti si guardano dal profanare il sabato ( anche a loro è concesso di osservare il sabato ) e restano fermi nella mia alleanza ( anche loro sono coinvolti nella “mia” alleanza che, di per sé, è preclusiva, essendo stata conclusa con Israele e non con gli altri popoli; qui, quell'alleanza riguarda anche gli stranieri, i quali aderiscono ad essa per via misteriosa: l'osservanza del sabato acquista, in questo senso, un valore esemplare), li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera (notate bene che Gesù cita questo versetto ”“ Is. 56, 7 ”“ quando parla dalla della “sua casa di preghiera” divenuta una spelonca di ladri ”“ Matteo 21,13). I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare, perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli>>”. Dunque, anche gli stranieri partecipano alla vita liturgica, sebbene il tempio non sia stato ancora ricostruito. E questa situazione di fatica, sino all'amarezza di gente che sembra crepare, soffocare nella delusione, diventa una preziosa occasione per scoprire che una moltitudine di presenze, sconosciute e inimmaginabili, sono coinvolte ”“ e lo sono intimamente, radicalmente, nella profondità degli eventi e nell'interiorità dei significati ”“ nella storia di questo popolo che ” è il nostro!



L'opera di Dio spalanca il cuore umano


Il poema si conclude con il v. 8 : “Oracolo del Signore Dio che raduna i dispersi di Israele : <<Io ancora radunerò i suoi prigionieri, oltre quelli già radunati>>”. Qui si accenna al rientro di “altri” esuli, di altri prigionieri, di altri deportati ” altri ancora ritorneranno dei dispersi di Israele e non per registrare il trionfo ”“ perché sappiamo che le cose non sono andate, e non vanno, in questo modo: ci sono pochi trionfi da celebrare! ”“ ma rientreranno percorrendo quella strada che, nella loro avventura interiore, si illuminerà come lo spazio di un incontro universale che si allarga sempre di più. Vedete: è il tempo della catastrofe?” E' il tempo della salvezza! Ed è salvezza che assume una fisionomia nuova: proprio là dove la catastrofe è, ormai, tutta interiore, la salvezza è l'opera di Dio che spalanca il cuore umano.



Questo poema introduttivo ha un valore, per così dire, programmatico. Adesso leggeremo altre pagine che hanno un loro particolare significato più circoscritto.



Capi inetti e corrotti


Dal v. 9 del cap. 56 al v. 2 del cap. 57: un poema che rievoca eventi del passato, situazioni negative che hanno segnato la storia antica del popolo di Dio. Noi conosciamo bene quanti disastri, quanti fallimenti, quanti misfatti si sono accumulati nel corso di quella storia passata. E' la storia di ieri ed è, poi, sempre e ancora la storia di oggi. Qui viene denunciato l'operato dei capi; di coloro che, comunque, svolgono ruoli di responsabilità. “ Voi tutte, bestie dei campi, venite a mangiare; voi tutte, bestie della foresta, venite ( le “bestie” sono i capi: mangiano a quattro ganasce, si approfittano, devastano). I suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi ( non servono a niente; mancano totalmente alle loro responsabilità pubbliche; ricercano esclusivamente il loro interesse privato ). Ma tali cani avidi, che non sanno saziarsi, sono i pastori incapaci di comprendere ( i cani “avidi” sono i pastori inetti ). Ognuno segue la sua via, ognuno bada al proprio interesse, senza eccezione ””. Adesso, dal v. 12, le conseguenze di questi comportamenti così infami, di abusi e di irresponsabilità civile e politica, che vengono registrati nell'attualità, perfettamente omogenea alle malefatte delle generazioni passate.

“<< Venite, io prenderò vino e ci ubriacheremo di bevande inebrianti ( è il modo di presentarsi di chi fa della corruzione il suo strumento di potere; la corruzione dilagante è la garanzia della sua vittoria!). Domani sarà come oggi; ce n'è una riserva molto grande>>. Perisce il giusto ( di tale gravità sono le conseguenze), nessuno ci bada ( gli innocenti sono vittime della situazione, senza che nessuno si prenda cura di loro). I pii sono tolti di mezzo, nessuno ci fa caso (qui sono in questione proprio le coscienze che sono devastate, inquinate, offese, là dove sono custoditi i sentimenti più preziosi , più puri, più santi: i “pii” sono spazzati via, e ancora ” ) il giusto è tolto di mezzo a causa del male ””. E' interessante questo: il giusto viene eliminato perché, nientemeno, gli viene imputata la colpa di non essere informato, di non essersi fatto “educare”, di essere estraneo ai programmi che i capi del momento impongono spudoratamente; la colpa di rappresentare una presenza provocatoria, fastidiosa, dissonante dal modello dominante; in sostanza, “a causa del male”, gli viene imputata la colpa di essere giusto! Siamo veramente all'arrembaggio da parte di chi detiene il potere, in un momento di confusione in cui, tra l'altro, le istituzioni sono fragilissime. Il nostro profeta constata come nella fase del rientro ”“ che, sappiamo, si prolunga per decenni ”“ l'eventualità che i più prepotenti facciano valere le loro ragioni in maniera indiscriminata e, addirittura, spietata, è purtroppo un'ipotesi che viene già registrata come attualità, a dir poco, desolante. Tutto questo avviene in un momento in cui, effettivamente, ci sarebbe di che lamentarsi, visto che le cose non sono andate come erano state preannunciate. Sì, però ” noi siamo ancora quelli di una volta. E ciò nonostante il giusto, lui che è tolto di mezzo, “ ” entra nella pace, riposa sul suo giaciglio che cammina per la via diritta”. Il poema si conclude con questa incrollabile fiducia nella pace alla quale il giusto è votato.



Nel tempo della grande delusione il Signore è vicino


Cap. 57, vv. 14-21, un oracolo di consolazione, in quattro strofe.

Prima strofa, vv. 14 e 15 “Si dirà <<spianate, spianate, preparate la via, rimuovete gli ostacoli sulla via del mio popolo>>(sullo sfondo c'è sempre l'immagine di coloro che tornano da Babilonia; si dirà così” è il messaggio che il Deutero Isaia aveva proclamato a più riprese). Poiché così parla l'Alto e l'Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo: in luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi”. Si apre, dunque, una strada per coloro che sono ancora in esilio e il motivo per cui il rientro è diventato possibile e, adesso, viene sperimentato da chi si mette in cammino dipende dal fatto che l'altezza di Dio ”“ “ l'Alto e l'Eccelso” ”“ si è piegata per essere vicina agli uomini schiacciati. La possibilità del ritorno sta in questa novità, in questa scoperta che supera, di per sé, ogni dimostrabilità empirica, eppure è così ed è, esattamente, il motivo per cui ancora tanti derelitti, che sono dispersi nelle estreme periferie del mondo, si incamminano, si trascinano, affrontano le situazioni più impervie, giungendo fino alla terra di Israele che è ancora in preda al disordine più drammatico. Colui che è altissimo, al di sopra di tutto e di tutti nella sua santità irraggiungibile, è Colui che si è piegato per essere vicino ai derelitti, “ per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi”, per rieducare il cuore dei delusi, degli avviliti, di coloro che sono in dominio della desolazione e della depressione (andando avanti nella lettura di questa terza parte del Libro di Isaia vedremo come i grandi poemi che incontreremo riprendano potentemente questo messaggio).

Seconda strofa, vv. 16 e 17: “Poiché io non voglio discutere sempre né per sempre essere adirato (il Signore dice la sua : non ho voglia di discutere) altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito e l'alito vitale che ho creato ( se volessi discutere sareste tutti spazzati via). Per l'iniquità dei suoi guadagni mi sono adirato, l'ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure egli, voltandosi, se ne è andato per le strade del suo cuore”. Tutto quel che è successo in passato qui viene ricapitolato con un'immagine sola, ma efficacissima: il popolo ha seguito le strade del proprio cuore. Il Signore dice: io non sono qui per prolungare la discussione, la disputa; per intervenire in modo repressivo; per imporre un regime di mortificazioni esigentissime ” ; io sono qui per dimostrare che sono vicino ai derelitti. E là dove le strade che tu hai scelto ”“ corrispondenti alle tue aspettative, alle tue inclinazioni, alle tue volontà ”“ ti hanno ridotto a creatura immonda, derelitta e, ormai, incapace di provvedere a sé stessa ”“ là io sono vicino a te. Il tempo della grande delusione è il tempo della massima vicinanza.

Terza strofa, vv. 18 e 19 : “Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo ( un annuncio di guarigione), guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti io pongo sulle labbra: <<Pace, pace ai lontani e ai vicini>>, dice il Signore, <<io li guarirò>>”.Il Signore pone sulle labbra degli afflitti un canto delicato e dolcissimo. L'espressione “pongo sulle labbra” andrebbe tradotta, letteralmente: “gli creerò un germoglio di labbra” ( in italiano l'espressione è un po' sconnessa; il suo significato è: “farò di quelle labbra un germoglio”). Un germoglio che sboccia e si esprime con il linguaggio sereno di un canto che consentirà loro di celebrare la pace, la pienezza di doni da cui dipende la vita, quella pace che fa tutt'uno con la scoperta di essere alle prese con la vicinanza del Dio vivente nello stato di prostrazione derelitta che segna la storia di “quel” popolo ma ” non è possibile, comunque, fraintendere i dati oggettivi anche della nostra realtà contemporanea. “Pace, ai lontani e ai vicini”: versetto citato alla lettera da S. Paolo ( in Efesini 2, 17). Le barriere tra i “nostri” e i pagani sono eliminate; oramai, proprio attraverso l'esperienza dell'avvilimento più profondo, noi siamo sempre più consapevoli di essere parte di un'unica storia, dove il Dio Vivente ”“ Santo ed Eccelso ”“ è vicinissimo ai derelitti della terra.



Non c'è pace per gli empi


Quarta strofa, vv. 20 e 21: “ Gli empi sono come un mare agitato che non può calmarsi e le cui acque portan su melma e fango. Non v'è pace per gli empi, dice il mio Dio”. Nell'epilogo, in contrasto con il messaggio di consolazione contenuto nei versetti precedenti, si fa cenno agli “empi” che resistono, si chiudono, si disperano, si affannano ” ma senza frutti; e, comunque, sprofondano sempre più tragicamente in quella situazione di sconfitta che diventa l'abisso della loro stessa condanna: si agitano tanto, ottenendo come risultato soltanto la diffusione dell'inquinamento, il venire a galla di fango e melma. Non c'è pace per gli empi!



Il vero digiuno voluto da Dio: la misericordia verso i deboli


Andiamo al capitolo 58 che costituisce ( insieme a Gioele) una delle letture tipiche dell'avvio del tempo quaresimale. Nei vv. 1-14 troviamo un poema che ha le caratteristiche di una requisitoria d'accusa del Signore verso il suo popolo. Fino al v. 12, il tema è il digiuno; nei vv. 13 e 14 torna il tema del sabato. Notate bene che sia il digiuno che il sabato sono comportamenti possibili a tutti, sempre e dovunque.

Vv. 1-12. Abbiamo a che fare con gente che sta praticando il digiuno e il Signore, tramite il profeta, interviene: “Grida a squarciagola (è il profeta che deve farlo), non aver riguardo; come una tromba alza la voce ( un urlo che rompa il silenzio del giorno di digiuno) ; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati ( dunque, una querela che dev'essere indirizzata al “mio” popolo per chiarire come stanno le cose, benché sia tempo di digiuno e il popolo, per quanto ne sappiamo, sta osservando il precetto relativo; notate che “mio popolo” è espressione che allude, in maniera evidentissima, alla speciale relazione di alleanza che intercorre tra Dio e la comunità destinataria del grido del profeta. E adesso ”“ v. 2 e prima metà del v. 3 ”“ la descrizione dei fatti). Mi ricercano ogni giorno ( frequentano il luogo del culto, dove si svolgono i rituali ) , bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio ( attenzione adesso): <<Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci se tu non lo sai?>>( mentre la loro osservanza cultuale è perseguita in modo continuo e con esplicite dichiarazioni di obbedienza alla volontà di Dio ”“ e tutto questo è ricapitolato nel digiuno, anche perché, in queste circostanze, più del digiuno non si può fare ”“ nello stesso tempo affiora nei loro animi un sentimento di annoiata contestazione, di insofferenza pretenziosa, indispettita: noi siamo così bravi che digiuniamo ” ma tu non te ne accorgi, non lo sai; perché dovremmo mortificarci? Intanto lo facciamo lo stesso; anzi: siamo rigorosissimi, intrasigenti, meritevoli quindi di un plauso incondizionato; eppure tu non vedi, tu non sai!). Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai ( il Signore, attraverso il profeta, avanza e scopre il segreto così tristemente custodito negli animi, dove si agita quel tumulto di lamenti, di pretese, di recriminazioni cui accennava il versetto precedente: il digiuno è una maschera; nel tempo del digiuno voi curate i vostri interessi privati e operate soprusi nei confronti dei deboli). Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui ( dunque, l'assuefazione alle risse, alle violenze più spudorate e spietate; e tutto questo ” digiunando e, per di più, lamentandovi pure che Dio non vede e non si accorge della vostra bravura! In realtà è proprio giunto il momento di smetterla). Non digiunate più come fate oggi, così da far udire in alto il vostro chiasso ( questo vostro digiuno è rumore, protervia, presunzione; è sonorità invadente e offensiva; è “chiasso”). E' forse questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica? ( questo digiuno è una messa in scena, una mascheratura teatrale).Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore?”. Ci rendiamo conto che non è il Signore ad essere distante, a non vedere, a non accorgersi, è, piuttosto, il popolo che si nasconde, e lo fa dietro l'apparenza dell'osservanza. Ogni anno la nostra Quaresima si apre all'insegna di questa antica parola profetica. Adesso, nei vv. 6 e 7, il Signore spiega qual è il vero digiuno: “ Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?

( il digiuno che io voglio si esprime nei gesti della misericordia, negli impegni dedicati alla liberazione di chi è in difficoltà). Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?”. Il vero digiuno, quello che il Signore si attende dal suo popolo, è impostato non già in riferimento alla mortificazione di sé stessi (proposito, di per sé, quanto mai ambiguo), bensì in riferimento alla compassione per i deboli. Quel digiuno che ha per baricentro la pretesa di mortificare sé stessi diventa la maschera spudorata per cui intanto, mentre digiuni, coccoli in te stesso la convinzione di essere una vittima incompresa, di essere in grado di insegnare a Dio qualcosa; di potere pretendere da Lui quel che, a tuo avviso, ti deve e che Egli in modo davvero riprovevole ancora non ti ha concesso. Ma il digiuno che il Signore vuole è un altro e, quindi, vengono indicate le conseguenze del “vero” digiuno, vv. 8-10: “Allora la tua luce sorgerà come l'aurora ( l'esercizio della misericordia ti renderà luminoso, e non è una facoltà riservata a specialisti; è aperta a tutti coloro che “digiunano”; a chi, nello stato di miseria, derelitti come sono, avviliti, prostrati ”“ è la situazione che conosciamo ”“ sono in grado di esercitare misericordia) , la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà (c'è come un corteo cosmico che accompagna il cammino nella vita di coloro che digiunano nel modo voluto dal Signore; e la Sua presenza si esprime con tutta la sua potenza gloriosa e con tutta la sua dolcezza pacificante ). Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà <<Eccomi!>>(sono qui io). Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà tra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”. (Nel v. 8 abbiamo letto: “ la tua luce sorgerà come l'aurora”; qui, nel v. 10: “la tua luce brillerà fra le tenebre”. Si va dall'alba al crepuscolo; tutta la giornata si svolge nella luce; è il tempo della vita; della storia umana, del nostro e di tutti i popoli; è sempre il tempo della luce che dilaga in tutte le direzioni e che raccoglie la scena del mondo all'interno di un unico disegno, là dove il cuore umano si esprime con l'autenticità della misericordia; nella povertà delle cose ”“ perché la misericordia non ha mica bisogno della ricchezza! ”“ e la gloria di Dio è vicinissima: “sono qui”.



La salvezza, come la catastrofe, è nell'intimo del cuore


Ultima strofa, vv. 11 e 12. Così il digiuno comporterà, davvero, una trasformazione interiore dell'animo umano. E' la questione di fondo che ”“ come già abbiamo potuto cogliere ”“ il profeta ha ben individuato: la catastrofe è interiore, ma ” la salvezza è interiore! Le situazioni concrete prenderanno la loro piega: la ricostruzione della città si svilupperà; la comunità assumerà, nel tempo, una sua fisionomia organica, e così via. Ma lo snodo è determinato da una messa a punto dell'evento decisivo della salvezza: il cuore umano è stato smentito! Ricordate il cantico di Maria: “ ” ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore ”” ( Luca, 1, 51); è esattamente in quella direzione che procede la predicazione del nostro profeta.

Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono ””. Abbiamo a che fare con gente che digiuna, eppure lui dice “gente sazia”. Com'è possibile che il digiuno sia esperienza di sazietà? E' possibile e come! Così come avviene che il deserto sia abitato al modo di un giardino. Là dove tu sei arido e secco come un deserto; là dove tu sei derelitto e affamato per il digiuno a cui sei costretto, ebbene: sarai sazio; le tue ossa saranno rinvigorite; “ sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono”. Tutto l'ambiente circostante assume una fisionomia straordinariamente ospitale. “La tua gente riedificherà le antiche rovine, riedificherai le fondamenta di epoche lontane ( certo, si arriverà anche a questo). Ti chiameranno riparatore di brecce, restauratore di case in rovine per abitarvi”. Sì, perché nella tua fame sarai saziato (è la beatitudine degli “affamati” nella predicazione di Gesù. Cfr. Luca, 6, 21); e in quella tua fame, laddove sarai saziato, tu diventerai motivo di sazietà per tutti coloro che avranno a che fare con te, allo stesso modo del deserto che diventa giardino , da cui scaturiscono acque di sorgente che irrigano tutto il territorio circostante.



Anche il sabato non è una messa in scena


Cap. 58, vv. 13 e 14: “Se tratterrai il piede dal violare il sabato, dallo sbrigare affari nel giorno a me sacro, se chiamerai il sabato delizia e venerando il giorno sacro al Signore, se lo onorerari evitando di metterti in cammino, di sbrigare affari e di negoziare, allora troverai la delizia del Signore ””. Anche qui viene constatata la menzogna che si nasconde sotto l'osservanza del sabato, quando si approfitta del giorno sacro per sbrigare affari. Quando tu, invece, chiamerai il sabato “delizia” (non come una condanna, un guaio, una perdita, in quanto giorno improduttivo) e se lo onorerai, “ allora troverai la delizia del Signore. Io ti farò gustare l'eredità di Giacobbe tuo padre, poiché la bocca del Signore ha parlato”. Notate bene che “eredità di Giacobbe” è la terra di Israele. Il ritorno alla terra, il superamento dell'esodo, il rientro nel territorio promesso ai Patriarchi, dipende dal riposo sabatico: è in quanto tu troverai delizia nel sabato che, allora, potrai “calcare le alture della terra e gustare l'eredità di Giacobbe tuo padre”; là dove tu avrai imparato a scoprire come quella che sperimenti essere una perdita pericolosa, in realtà diventerà la tua ricchezza più prestigiosa, più benefica, più rassicurante. C'è di mezzo ”“ come ben capiamo ”“ la rieducazione radicale del cuore umano.



L'accusa: un cammino deviato


Diamo rapidamente uno sguardo al capitolo 59 dove troviamo lo svolgimento di una liturgia penitenziale in quattro tempi.

Primo tempo, vv. 1-8; il capo d'imputazione: “Ecco non è troppo corta la mano del Signore da non poter salvare; né tanto duro è il suo orecchio, da non poter udire ( evidentemente il popolo si lamenta: Dio è lontano, ha la mano corta; il suo orecchio è duro e non ascolta le nostre invocazioni). Ma le vostre iniquità hanno scavato un abisso fra voi e il vostro Dio ( il Signore spiega che lo stato di cose non dipende dal fatto che Lui è lontano e sordo, ma dall'abisso che il popolo ha scavato); i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto così che non vi ascolta. Le vostre palme sono macchiate di sangue ( la denuncia si fa sempre più incalzante) e le vostre dita di iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogne, la vostra lingua sussurra perversità. Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con lealtà. Si confida nel nulla e si dice il falso, si concepisce malizia e si genera iniquità (è, proprio, un dissesto complessivo; un vissuto umano in totale contrasto con l'iniziativa di Dio; un abisso tra l'esperienza del popolo e le intenzioni del Dio Vivente, dovuto non alla sordità o al disinteresse del Signore, ma al comportamento del popolo, impantanato in un'avventura disastrosa). Dischiudono uova di serpenti velenosi, tessono tele di ragno; chi mangia quelle uova morirà, e dall'uovo schiacciato esce una vipera. Le loro tele non servono per vesti, essi non si possono coprire con i loro manufatti ( due immagini che ci aiutano a capire la gravità della situazione: uova che vengono covate con tanto impegno, ma ” che sono uova di serpenti, veleno; tanta attività per produrre ” ragnatele, che sono inutili, per quanto la fattura sia faticosissima, se ci si voglia rivestire di esse ); le loro opere sono opere inique, il frutto di oppressioni è nelle loro mani. I loro piedi corrono al male, si affrettano a spargere sangue innocente; i loro pensieri sono pensieri iniqui, desolazione e distruzione sono sulle loro strade (un peccato antico, ma sempre attuale; un cammino deviato: questa è l'accusa che il Signore sta rivolgendo al suo popolo). Non conoscono la via della pace, non c'è giustizia nel loro procedere; rendono tortuosi i loro sentieri, chiunque vi cammina non conosce la pace”. E chi procede

In questo modo, lungo una strada così franosa, così trasversale al retto cammino, provoca un disturbo che è massimamente deleterio per il resto del mondo.



Il riconoscimento della colpa


Secondo tempo dal v. 9 sino alla metà del v. 15; la confessione del popolo: “ Per questo il diritto si è allontanato da noi ( il soggetto cambia: “noi” ) e non ci raggiunge la giustizia. Speravamo la luce ed ecco le tenebre (ricordate i discepoli di Emmaus: “ noi speravamo ””, cfr. Luca 24, 21), lo splendore, ma dobbiamo camminare nel buio. Tastiamo come ciechi la parete, come privi di occhi camminiamo a tastoni; inciampiamo a mezzogiorno come al crepuscolo ( siamo in tempi bui; le nostre speranze sono state brutalizzate ); tra i vivi e i vegeti siamo come morti. Noi tutti urliamo come orsi, andiamo gemendo come colombe; speravamo nel diritto ma non c'è, nella salvezza ma essa è lontana da noi ( ancora un tentativo di protestare e in qualche modo di autogiustificarsi ). Poiché sono molti davanti a te i nostri delitti (in realtà non siamo scusabili! E qui il vero e proprio riconoscimento di colpa), i nostri peccati testimoniano contro di noi; poiché i nostri delitti ci stanno davanti e noi conosciamo le nostre iniquità: prevaricare e rinnegare il Signore, cessare di seguire il nostro Dio, parlare di oppressione e di ribellione, concepire con il cuore e pronunciare parole false (peccati contro Dio e contro il prossimo, che vengono rigorosamente puntualizzati). Così è trascurato il diritto e la giustizia se ne sta lontana, la verità incespica in piazza, la rettitudine non può entrarvi. Così la verità è abbandonata, chi disapprova il male viene spogliato ( fin qui la confessione da parte del popolo).

 


Interviene il Signore


Terzo tempo, dalla seconda metà del v. 15 al v. 20, l'intervento del Signore: “Ha visto questo il Signore ed è male ai suoi occhi che non ci sia più diritto ( il Signore guarda, osserva, è attento, è presente; ed è, per così dire, sconcertato). Egli ha visto che non c'era alcuno, si è meravigliato perché nessuno intercedeva ( si rende conto che la situazione in cui si trova il popolo è irreparabile, se non fosse vero che adesso è proprio Lui che interviene con il suo gesto energico, risolutivo): Ma lo ha soccorso il suo braccio, la sua giustizia lo ha sostenuto. Egli si è rivestito di giustizia come di una corazza, e sul suo capo ha posto l'elmo della salvezza ( l'immagine del Dio “guerriero”, rivestito di corazza, ritorna altrove, anche nel N.T.). Ha indossato le vesti della vendetta, si è avvolto di zelo (è l'amore geloso) come di un manto. Il retributore ripagherà le azioni come si deve ( è proprio Lui che si fa presente per affrontare quella situazione che era irreparabile; il popolo prostrato e sconfitto ”“ quel popolo che, pure, è rientrato dall'esilio ”“ fa esperienza, nel modo più tragico che mai, della propria impotenza in ordine alla salvezza e al ritorno alla vita: per entrambe le cose è il Signore il protagonista decisivo): con sdegno ai suoi avversari, con vergogna ai suoi nemici. In occidente vedranno il nome del Signore e in oriente la sua gloria (ancora una volta l'orizzonte si allarga enormemente: così com'è vero che si scende fino alla radice del cuore umano, così lo scenario diventa amplissimo), perché egli verrà come un fiume irruente, sospinto dal vento del Signore. Come redentore verrà per Sion, per quelli di Giacobbe convertiti dall'apostasia. Oracolo del Signore”. Questa è la condizione in cui si trova quel popolo di gente avvilita e derelitta: l'apostasia può essere registrata nei suoi elementi essenziali. E' la catastrofe ma, ecco: è l'opera del Signore che si compie, opera che traccia le strade della vera conversione per il cuore umano, che è visitato dal soffio del Dio Vivente.

Oracolo conclusivo: l'Alleanza è ristabilita per sempre


Quarto tempo, v. 21, l'Alleanza è ristabilita: “Quanto a me, ecco la mia alleanza con essi, dice il Signore: il mio spirito (eccolo qui, il Suo “soffio”) che è sopra di te e le parole che ti ho messo in bocca non si allontaneranno dalla tua bocca, né dalla bocca della tua discendenza, né dalla bocca dei discendenti dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre”. L'alleanza è ristabilita e confermata, in modo imperituro, passando attraverso questa rieducazione del cuore umano affidata alla parola dei profeti.


1 Gli incontri con il P. Pino Stancari s.j. si svolgono nel primo martedì di ogni mese al Centro culturale della Parrocchia romana di San Roberto Bellarmino, in via Panama, n. 13. Hanno inizio alle ore 19.30 e termine alle 21. Il ciclo 2005/2006 ”“ dedicato alla seconda parte (capp. 40-55) e alla terza parte (capp. 56-66) del Libro di Isaia ”“ è iniziato martedì 4 ottobre 2005. Il prossimo incontro si terrà martedì 2 maggio 2006. I testi delle conversazioni ”“ ricavati da registrazione su nastro ”“ sono disponibili sul sito Internet dell'Associazione “Maurizio Polverari” all'indirizzo www.indes. Info.