"Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in Lui" (Salmo 37,7)
Ho letto innumerevoli volte questo salmo e un giorno mi ci sono
fermato a riflettere.
Domandandomi sempre di che cosa c'è più bisogno nel
mondo che io possa fare, mi è parso che il silenzio davanti
al Signore e lo sperare in Lui fosse l'aiuto più urgente che
la Chiesa, in cui mi riconosco, possa offrire al mondo
contemporaneo.
Per questo, ancora una volta, mi metto a scrivere. Ma ciò
non è in contraddizione con lo stare in silenzio? Penso di
no. E' possibile stare in silenzio e parlare, se questo avviene
davanti al Signore: è la profezia.
Ci sono forze nell'universo nei cui confronti quelle che
sperimentiamo nella natura, terremoti e uragani che tanto ci
spaventano, sono un infinitesimo.
Ci sono forze di altro genere sul nostro pianeta: la storia in cui
siamo inseriti, le culture, le guerre e quella forza
incontrollabile per cui ognuno nasce, cresce e diminuisce, fino a
morire.
Ci sono i grandi poteri economici, politici e religiosi; c'è
la globalizzazione.
Tutte le forze ci appaiono positive e negative, ma prevale il segno
negativo per via del tempo che non si ferma e, tanto meno, torna
indietro.
Siamo così travolti da innumerevoli forze, anche da quelle
che per qualche tempo ci sembrano amiche.
C'è solo da sperare in una forza benevola che vinca tutte le
altre rendendole a noi favorevoli: è la forza di Dio.
"Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa
è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede"
(1Giov 5,4).
"Il Signore, pur essendo figlio, imparò tuttavia
l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne
causa di salvezza eterna" (Ebr 5,8-9).
E noi che possiamo fare?
"Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in Lui".
Il silenzio può essere la forza più grande.
Il silenzio può vincere anche le forze della globalizzazione
che, con la moltiplicazione incredibile delle parole, sembrano
ormai invincibili.
Cos'è il silenzio?
C'è un silenzio esterno quanto mai prezioso: i rumori ci
stordiscono e molti discorsi manipolano le nostre coscienze.
Ma il silenzio che più conta è quello che viene da
noi quando smettiamo di parlare non solo agli altri ma anche
interiormente dentro di noi.
Lontano dalla città si gusta il silenzio esteriore,
smettendo di parlare si fa l'esperienza forte del silenzio
interiore, condizione essenziale dell'ascolto: finché parlo
io non sento l'altro che mi parla.
Suggerisco due esperimenti: qualche ora di conversazione senza
interrompere nessuno che ci parla e accettando che gli altri
interrompano noi quando parliamo; rivolgere un'attenzione piena a
colui che ci parla e non solo a quello che ci dice, dimenticando in
qualche modo noi stessi. Sono esperimenti assai difficili che ci
aiutano a scoprire quanto scarseggino il silenzio e la
capacità di ascolto.
Un'avvertenza sottile: ascoltando il discorso di che mi parla sono
portato a fare un mio discorso parallelo che può diventare
l'oggetto principale della mia attenzione. Il cugino Pierre mi
racconta la sua esperienza di cinquanta anni nel Congo. Io ascolto
e registro, ma sono preoccupato soprattutto di come quel che lui
dice possa entrare nei miei discorsi, quelli che faccio a me stesso
confrontandomi con gli altri e quelli che rivolgo agli altri.
Forse queste sono solo complicazioni mie!
Questa sera sono a cena con un amico, una persona che conta,
anziano che ha dei problemi e a cui vorrei dare una mano.
Incontrando questo amico la mia attenzione potrà
polarizzarsi in tre direzioni:
in che cosa lui mi può essere utile, sul piano materiale e su quello spirituale.
Incontrando questo amico, lo so per esperienza, mi verranno tanti pensieri sul suo modo di sentire, in particolare riguardo alla fede e alla politica, sul suo impegno e sul suo modo di vivere. Discorrendo dentro di me sulla sua identità mi confronterò con lui, constatando ancora una volta quello che abbiamo in comune e quello che ci diversifica. E' un incontro che mi fa pensare a tante cose, anche se la conversazione con lui non mi è facile. Farò un discorso dentro di me pensando forse a come parlarne con altri.
Incontrando questo amico la mia attenzione potrà essere
pienamente, o almeno prevalentemente, rivolta a lui, a quel che
conosco e a quel che non conosco di lui, a quello che lui ora mi
dice e in qualunque modo mi comunica. E' la vera attenzione che non
strumentalizza e non si disperde nei miei discorsi.
Perché questo avvenga è necessario che io faccia
silenzio, che spenga, o almeno attenui, i miei interessi e metta a
tacere i miei discorsi. Così l'incontro con questo amico
sarà un'esperienza nuova anche se ci incontriamo da
più di cinquanta anni.
Incontrando, quindi, l'amico Pietro ho tre
possibilità:
un'attenzione strumentale.,
un mio discorso, anche solo interiore,
la vera attenzione a Pietro, quella che richiede il silenzio.
Una simile scelta si ripropone nell'incontro con qualunque altra
persona e con qualunque altra realtà da me più o meno
conosciuta. Si ripropone nel rapporto con gruppi di persone, con
comunità, con associazioni, con movimenti, di piccole o di
grandi dimensioni, con paesi, città, regioni e nazioni, con
culture, religioni e popoli diversi, con strutture ed
istituzioni.
L'incontro con tutte queste realtà può essere diretto
o diversamente mediato, dal racconto dell'amico e del testimone
alle grandi comunicazioni televisive.
Per non cadere in semplificazioni astratte va tenuto presente che
la scelta fra i tre tipi di attenzione può non essere netta:
l'attenzione di un tipo non esclude drasticamente gli altri due. I
tre tipi di attenzione possono essere diversamente collegati e
sovrapposti, specialmente il secondo e il terzo.
Mi domando: è possibile il terzo senza il secondo? E'
possibile fare attenzione a qualcuno o a qualche cosa senza
discorrerne dentro di noi e senza comunicare con altri? Posso
rivolgermi a un amico senza discorrere di lui dentro di me e senza
parlarne con comuni amici?
Comunque il silenzio è necessario per una vera attenzione
all'altro, per un vero ascolto. Devo quindi verificare con cura
quale tipo di attenzione sia prevalente in me.
E' una verifica da fare sui singoli incontri quotidiani ma che
investe evidentemente tutta la nostra vita, tutto il nostro stare
nel mondo e il nostro modo di concepire la vita cristiana.
Ho riflettuto sull'incontro con un amico e su tre modi di
rivolgere la mia attenzione a lui, per prepararmi a riflettere
sull'incontro con il Signore, incontro decisivo che dà senso
e salva tutti gli altri incontri, la nostra vita su questa terra in
attesa di "un nuovo cielo e una nuova terra" (Ap 21,1).
Nell'incontro con il Signore la differenza fra i tre tipi di
attenzione è grandissima, anche se c'è fra di essi un
legame profondo; la nostra scelta responsabile è
importantissima per ognuno di noi, nella Chiesa e nel mondo.
L'incontro con il Signore avviene in mille modi diversi e
l'iniziativa è sempre sua, anche se non è facile
ricordarsene.
Ecco tre modi di rivolgersi al Signore:
la mia attenzione prevalente può essere rivolta a qualche
mio bisogno materiale o spirituale e alla possibilità di
ricevere dal Signore quello che mi è necessario. E' la
preghiera di domanda raccomandata dal Signore stesso: "Chiedete e
vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà
aperto; perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a
chi bussa sarà aperto" (Mt 7,7-8). Sono anche le domande
della seconda parte del Padre Nostro, che seguono e vanno
inquadrate nella prima parte.
Non è tuttavia quel che il salmo suggerisce: "sta' in
silenzio davanti al Signore".
Stando davanti al Signore posso essere portato a fare mille
discorsi su di Lui, da "sapiente e intelligente" e non da
"piccolo", con il risultato di non capire (cfr. Mt 11,25-27). Parlo
dell'esperienza mia e di qualche amico che credo di conoscere
bene.
Discorrere di Dio dentro di sé, per poi comunicare ad altri,
è un'inclinazione frequente in chi, sacerdote o laico, ha un
ruolo pastorale. E' una cosa bella e sensata. Può anche
essere considerata come l'attività più elevata delle
nostre facoltà intellettive ed estetiche. E' gratificante e
rassicurante: ci si sente buoni parlando sempre di Dio, anche solo
dentro di sé. Ma il ragionare su Dio può essere anche
causa di profondi turbamenti: ci credo o non ci credo? Faccio o
meno la sua volontà? Mi salvo?
Il salmo suggerisce: "sta' in silenzio davanti al Signore e
spera in Lui".
E' un atteggiamento semplice, il più semplice e naturale.
Dio è tutto per me ed io sono tutto per Lui, non c'è
nulla da aggiungere e nulla da togliere, non ci sono alternative
che orientino a scelte radicali in altre direzioni. Sto in
silenzio, nudo e libero davanti al Signore.
Eppure questo atteggiamento semplice mi risulta difficile
perché io sono diventato complicato. Mi sono allontanato dal
Signore andando in mille direzioni diverse, dove ho incontrato
tante realtà, e mi sono impegnato in innumerevoli discorsi.
Parlo, per lo meno dentro di me, in continuazione: parlare mi
è diventato necessario come il respirare.
Per i piccoli non è così, ma io sono diventato grande
(cfr. Mt11, 25-27).
Ogni tanto qualche fatto mi spaventa e mi azzittisce, ma poi mi
rimetto a parlare.
Per ritrovare il silenzio davanti al Signore devo interrompere il
fluire continuo dei miei pensieri, dei timori e delle speranze.
Così trovo un po' di serenità interiore che
può però essere subito contrastata da un angoscioso
senso di vuoto; ben presto si addensano le nubi e le
oscurità; non è escluso che tutto si concluda con il
sonno.
Ma il silenzio va cercato "davanti al Signore". Libero dai miei
pensieri e dai miei sentimenti cerco di rimanere aperto a Lui,
attento a Lui che c'è, davanti a me, ma anche alle mie
spalle, al di sopra e al di sotto, nel più intimo di me
stesso: "in Lui viviamo, ci muoviamo e siamo" (At 17,28). L'impegno
per chiudere ad altri pensieri e sentimenti diventa sforzo di
rimanere aperti al Signore.
Quello che poteva sembrare un momento passivo e negativo si rivela
positivo e massimamente attivo.
Non mi metto ad elaborare un mio discorso su Dio, ricercando
affannosamente nella mia teologia, ma lascio che emerga in me il
ricordo di quanto ho conosciuto della rivelazione di Dio, in tutti
i miei studi ma soprattutto nelle più diverse esperienze
della mia vita.
Tornano le nozioni apprese fin dall'inizio e quelle a cui sono
arrivato nei momenti di più intensa riflessione, tornano
intuizioni dei giorni più sofferti della vita spirituale,
trovano spazio soprattutto la Parola e la preghiera
liturgica.
Ma ecco che si ripresenta la tentazione di rimettermi a parlare,
con un mio discorso di cui mi compiaccio e che penso di poter
comunicare con qualche successo. Il salmo mi ripete: "sta' in
silenzio davanti al Signore".
Dio c'è ed è il Vivente.
Io ci sono in un mondo che pure c'è; ma tutto passa.
Dio c'è e non passa.
Io sono con sei miliardi di sorelle e fratelli su questa terra che
è un puntino dell'immenso universo in evoluzione.
Tutto è creato da Dio: siamo nelle sue mani, sotto il suo
sguardo, nel suo amore. Egli è nel più intimo di
ognuno di noi.
Tutto è suo dono, anche i miei anni e la mia
identità, la mia vicenda che è parte della grande
storia passata presente e futura.
Dio è presente e operante in tutto l'universo, tuttavia
è raccolto davanti a me incomparabilmente di più di
quanto io cerchi di raccogliermi in silenzio davanti a Lui.
Dio è Padre, è Figlio ed è Santo
Spirito.
Il Figlio si è fatto uomo nel seno di Maria, è stato
ucciso, è risorto e asceso al cielo.
Il Mistero Pasquale si è compiuto in un luogo e in un tempo
determinato, ma riempie tutti i tempi e tutto l'universo, dà
senso a tutta la storia, alla vita e alla morte di ogni donna e di
ogni uomo, nessuno escluso.
Cresce la coscienza dei miei limiti, della mia inconsistenza, dei
miei peccati. Non mi salvo da solo, ma il Signore è il mio
salvatore. La mia negatività porterebbe alla disperazione,
ma il salmo dice: "spera in Lui".
Con tutta la storia passata, presente e futura sto in silenzio
davanti al Signore.
Ricordo il Prologo del vangelo di Giovanni, il Credo, il Padre
Nostro.
In silenzio davanti al Signore si scopre il silenzio davanti al
mondo, perché Dio si è rivelato creatore e salvatore
universale.
Ecco allora il silenzio davanti agli amici e a chiunque altro ci
sia dato di incontrare direttamente o indirettamente. Ecco il
silenzio davanti a ogni evento lieto o triste. Ecco il silenzio
davanti ai popoli e alle culture, ai piccoli e ai poveri, ai
potenti e ai giochi di potere, alla vita e alla morte, al passato,
al presente e al futuro.
C'è chi parla molto di Dio e poco del mondo, perché
non pratica il silenzio davanti al Signore.
C'è chi si rivolge al "suo" Dio, quello dei suoi interessi e
dei suoi cari, e si allontana così dal mondo a motivo della
"sua" religiosità.
Anche di fronte al mondo sono possibili tre atteggiamenti:
il primo è quello di chi cerca in tutto i propri interessi.
Il secondo è quello di chi parla del mondo. Un numero
ristretto di persone ne parla con il linguaggio serio, e sempre
più necessario, delle scienze. Molti ne parlano con la
superficialità di chi è disimpegnato, una gran massa
non ne parla ma ne è "parlata" dai media. Evidentemente non
mancano quelli che ne parlano perché hanno sinceramente a
cuore il bene dell'umanità.
Il rapporto con il mondo tende a intasarsi di parole mentre le
coscienze si svuotano di responsabilità. Il parlare del
mondo, specialmente delle ingiustizie e delle violenze, è
per alcuni un modo di deresponsabilizzarsi. C'è un
verbalismo per cui quando uno ha parlato di una cosa si sente a
posto con la coscienza e non percepisce più il richiamo che
da questa realtà viene per la conversione della propria
vita.
Nel silenzio davanti al mondo tutto si staglia nitidamente e ovunque si percepisce il mistero. Si risveglia la coscienza, si riaccende la speranza, cambia la vita e nasce l'azione.
Sto mangiando e davanti a me, dall'altra parte del tavolo, siede
un povero affamato.
Condivido il mio pasto: lo faccio per rispetto dell'altro e
perché altrimenti il cibo mi andrebbe di traverso. Potrei
mettere uno schermo che impedisca di vedere e di essere veduto,
oppure potrei invitare il povero a sedersi a un altro tavolo o ad
andare in un'altra stanza. Probabilmente la cosa non funzionerebbe
ed io mi sentirei a disagio e proverei vergogna.
Stando in silenzio davanti al mondo mi accorgo che io mangio
perché sono ricco e che ci sono tantissimi poveri affamati.
Le mie ricchezze mi vanno di traverso e non c'è schermo che
tenga, provo vergogna.
Una soluzione c'è: mi metto a parlare anche solo dentro di
me, domandandomi perché i poveri sono poveri, di chi
è la responsabilità, che cosa si può fare per
aiutarli e per cambiare il sistema che genera la povertà. E
soprattutto mi domando che cosa io ci posso fare. La risposta
è: niente. L'importante è che così io possa
continuare a vivere come vivo e che non debba provare vergogna.
Stà in silenzio davanti a te stesso.
Incontriamo continuamente noi stessi: non possiamo uscire dalla
nostra pelle, e, anche sul piano psicologico, è difficile, e
forse impossibile, scordarsi completamente di sè.
Anche nell’incontrare noi stessi possiamo individuare tre
tipi di attenzione.
Il primo è quello rivolto a ciò di cui abbiamo
bisogno, il secondo è il discorrere tra di noi, il terzo lo
stare in silenzio.
L’attenzione a ciò di cui ho bisogno è del
tutto naturale, necessaria per la sopravvivenza fisica e
spirituale. Questa attenzione può essere insufficiente o
eccessiva, in questo o quell’aspetto del nostro essere
personale.
Anche il parlare di noi agli altri può essere insufficiente
per un eccesso di riservatezza che può avere le più
diverse motivazioni, o eccessivo. E’ un’esperienza
abbastanza frequente quella di incontrare persone che parlano tanto
di se, impegnando la nostra pazienza.
Ma quello su cui dovremmo fermarci a riflettere è il parlare
di noi dentro di noi: il discorrere interiormente sulla nostra
identità, chi sono e chi non sono, sui nostri meriti e sulle
nostre colpe. Anche questa è una cosa buona e in qualche
modo inevitabile. Anche in questo ci può essere
trascuratezza ed eccesso di riflessione. Ci può essere il
pericolo di pensarci in continuazione, come in una immensa
mediazione culturale, senza arrivare a un contatto più
diretto, più pieno, più concreto con noi stessi.
Rimaniamo come sospesi nell’astrattezza del nostro discorrere
senza riuscire a mettere radici nella realtà del nostro
esistere.
Ecco allora la necessità di stare in silenzio davanti a noi
stessi, o meglio in noi stessi. E’ il rientrare in se stessi
di cui parla S. Agostino nelle Confessioni. E’
l’attenzione silente e contemplativa. La cosa più
semplice per chi conserva uno spirito semplice, quasi impossibile
per chi si è evoluto complicandosi, e quindi si è
involuto.
Stando in silenzio dentro di noi, si dirada la nebbia e si scorge
nitidamente quel che realmente siamo: grandezza, miseria,
mistero.
Nel ritorno in noi stessi scopriamo l’esigenza di una vita
che non ci è data, o meglio che ci è data e ci
è tolta, un bisogno di un’altra vita, non solo dopo ma
già adesso, un bisogno della vita di un altro a cui la vita
non sia data perchè è lui stesso la pienezza della
vita.
Il silenzio in noi stessi diventa il silenzio davanti al Signore e
al mondo.
Il silenzio davanti al Signore comporta il silenzio davanti al mondo e a noi stessi. Questo unico e triplice silenzio porta innumerevoli frutti.
La
Trasfigurazione. "Il sole
di giustizia (Gesù Cristo)
trasfigura ed accende
l'universo in attesa" (Inno di lodi).
In questo testo liturgico si può anche ritrovare una
mirabile sintesi dell'esperienza mistica di Teilhard de
Chardin.
Alla luce del Mistero Pasquale cambia il senso di tutte le
esperienze umane: la sofferenza è estensione della passione
redentrice del Figlio di Dio, la gioia e l'amore sono
partecipazione alla sua redenzione, i peccati prolungano il peccato
supremo: l'uccisione del Giusto, del Figlio di Dio. La vita terrena
è preparazione della vita eterna e la morte è nascita
alla pienezza della vita.
Il successo e i segni del Regno si rivelano ben diversi da quelli
che il mondo apprezza: "guai quando tutti diranno bene di voi. Allo
stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti" (Lc
6,26).
La
fede esperienza del Mistero. La speranza fondamentale
è che la Chiesa cresca nell'esperienza del Mistero di Dio, e
che quell'esperienza di mistero che fanno tutti i piccoli e i
poveri nel mondo sia sempre più evangelizzata.
E' l'opera dello Spirito Santo che dobbiamo invocare dal profondo,
accettando l'umiliazione totale di fronte al mistero.
La fede è luce nelle tenebre ed è tenebra che si fa
luce.
La fede, al di là di quello che possono la nostra ragione e
la nostra volontà, trasforma tutto il nostro essere,
diveniamo realmente figli di Dio.
La
carità per il mondo. La fede vive nell'amore.
In silenzio davanti al Signore e al mondo trasfigurato cresce
l'amore per il mondo, per tutte le donne e per tutti gli uomini
nella loro concretezza creaturale, con tutti i loro valori e le
loro miserie. E' la carità di Gesù Cristo che lo
Spirito effonde nei cuori.
Il
discernimento. Dalla trasfigurazione del mondo, dalla fede
come esperienza del Mistero di Dio e dal cuore riempito dalla
carità di Gesù Cristo, nasce la capacità di
discernere quel che è bene, conforme alla volontà di
Dio, e quel che è male.
Siamo abituali a un gran parlare di tutto quello che succede nel
mondo, che sembra talvolta rispondere solo a un nostro bisogno di
esprimerci e di sfuggire un silenzio che ci appare insopportabile.
Il parlare a cui siamo maggiormente inclini è il giudizio,
per lo più negativo, su tutto e tutti, anche se in
realtà si tratta del piccolissimo mondo di cui abbiamo
qualche conoscenza.
C'è poi il discernimento serio delle scienze che cercano di
capire le persone umane nella loro vita individuale e sociale. Un
guaio grave, che ho constatato in molti casi, è quando i
dati delle scienze vengono proposti nella Chiesa come "profezia",
proponendo come profeti pensatori che non lo sono in alcun
modo.
Molto praticato nella Chiesa è il discernimento etico in
base a una sapienza solamente umana. Tale discernimento è
oggi apprezzato anche da chi non si ritiene credente. Si è
così incoraggiati a coltivare i valori condivisi e ci si
impegna nelle mediazioni culturali. Cessa però il
riferimento alla Parola di Dio e al Mistero Pasquale che servono
allora solo a sostenere la spiritualità di discorsi che non
sono manifestazione dello Spirito.
Paolo ci esorta al vero discernimento: "vi esorto dunque, fratelli,
per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il
vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di
questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per
poter discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a lui gradito e perfetto" (Rom 12,1-2).
La profezia. Nasce dall'ascolto silente di Dio e muore nell'istante in cui cominciano i nostri discorsi.
Politica
nuova. Organizzarsi per vivere insieme non è solo una
necessità, è anche il compito più bello che ci
sia dato nella nostra vita.
L'impegno politico si impone, con la massima urgenza e una
grandissima speranza, a partire dal discernimento evangelico.
Sembra che per questo la cosa più importante sia saper
parlare: per proporre se stessi e battere i rivali, per elaborare
progetti e raccogliere consensi, per rianimare, confortare e
guidare il popolo, per formare le coscienze alla
responsabilità verso il prossimo e verso la società.
Saper parlare per ottenere ed esercitare il potere. Così la
politica diventa il luogo in cui il parlare viene esaltato e si
moltiplica con rapidità crescente, approfittando anche dei
nuovi straordinari mezzi di comunicazione. Il parlare riempie tutti
gli spazi nelle singole persone, nei gruppi, nelle culture, e tutto
rischia di rimanere soffocato.
Molto più importante, anche per la politica, è il
saper tacere, anche interiormente. Il silenzio è resistenza,
è possibilità di continuare ad esistere. Se la
politica è azione, questa presuppone l'essere (agere
sequitur esse) che, a sua volta, presuppone il silenzio.
Il silenzio davanti al Signore è ascolto della sua Parola,
è apertura alla sua forza di giustizia, di pace, di
composizione della convivenza umana. Lo Spirito di Dio rende
possibile vivere come fratelli.
Il
silenzio, la memoria e il dovere di parlare. La via
più praticata per non ricordare è quella di parlare
d'altro, evitando accuratamente che il silenzio riproponga
ciò che è passato.
Un amico, uno psicologo, un sacerdote, mi dicono: non pensarci
più. Può essere un consiglio prezioso specialmente
per chi è portato allo scrupolo e alla depressione.
Ma se questo è applicato alla politica è un pessimo
consiglio: tagliare con la storia, lasciando libero il potere di
crescere, coltivando se stesso, senza responsabilità.
Per questo molti detentori di grandi poteri economici, politici,
culturali e religiosi, parlano, parlano tanto di altro. Occorre
loro sradicarsi e sradicare gli altri dalla realtà per poter
governare a piacere.
Per non dimenticare è necessario praticare il silenzio,
quello che dà spazio alla memoria, la quale una volta
salvata va coltivata anche con le parole.
Il parlare del passato, come del presente, presuppone la memoria e
questa presuppone il silenzio.
Dal silenzio nasce il parlare con verità. Occorre liberarsi
dal parlare a vuoto, dal parlarsi addosso, dal parlare per evadere
dall'impatto con la realtà.
La
laicità. Da tanto tempo, con amici molto preparati,
andiamo riflettendo sulla necessità che chi crede in
Gesù Cristo rifondi il concetto di laicità sulla
Parola di Dio. Abbiamo incontrato teologi, come Severino Dianich e
Bruno Forte, che sentivano la stessa esigenza. Eppure il concetto
corrente nella Chiesa di laicità è quello che
rivendica una autonomia, senza chiarire a fondo nei confronti di
chi e senza ricorrere in modo adeguato alla Parola di Dio.
Le conseguenze dell'insufficiente rapporto con la Parola sono
innumerevoli e non di rado devastanti. Ora mi viene da pensare, e
da precisare, che la mancanza di rapporto con la Parola sia
mancanza di silenzio davanti al Signore e quindi di ascolto pieno e
di apertura al Mistero infinito che illumina e infuoca le vie del
Regno.
Non c'è silenzio senza Chiesa
Non c'è Chiesa senza silenzio
La Chiesa del silenzio
Una premessa purtroppo ancora necessaria: per Chiesa si intende
tutto il popolo di Dio e non la sola gerarchia, come tanti,
credenti e non, continuano a fare, nonostante il Concilio.
Senza Chiesa non è possibile il silenzio davanti al Signore.
Per opera dello Spirito Santo, nella Chiesa, ci è trasmessa,
donata e confortata la fede nel Signore Gesù Cristo. Non si
potrebbe stare in silenzio davanti a Dio e al mondo, senza la
compagnia di altri, specialmente dei piccoli e dei poveri, anche di
quelli che non sono visibilmente appartenenti alla Chiesa.
Non c'è Chiesa senza silenzio davanti a Dio e al mondo. Le
troppe parole degli uomini bloccano la corsa della Parola,
costitutiva della Chiesa, assemblea raccolta nell'ascolto di
essa.
Questa mancanza di silenzio e di ascolto può accadere nella
teologia, nella pratica della liturgia, nella pastorale, nelle
manifestazioni religiose - dalla processione del santo protettore
del paese alle giornate mondiali dei giovani -, nell'impegno
sociale e politico e in ogni forma di autoreferenzialità
ecclesiale.
La Chiesa del silenzio ricorda esperienze del passato che non si
possono davvero rimpiangere. Ma se la Chiesa sarà fedele al
suo Signore incontrerà sempre molteplici forze che
cercheranno di ridurla al silenzio.
Il Papa ai giovani ha parlato a sorpresa del "chiasso" e non
certo per rimproverarlo. Comunque non è possibile
identificare il chiasso con il silenzio.
I commenti al giubileo, e in particolare allo straordinario evento
del GMG, sono stati e saranno ancora innumerevoli e molto diversi
fra di loro.
Si faranno ancora bilanci in chiave pastorale, sociale, culturale,
economica e politica.
Mi permetto di suggerire ai credenti di cercare in primo luogo il
discernimento evangelico alla luce del Mistero Pasquale. In
silenzio davanti al Signore, morto e risorto, e al mondo, che Dio
ha tanto amato, scopriremo i veri segni dell'infinita potenza di
Dio e i limiti ambigui della potenza umana.
In una conversazione sul GMG un amico disse: chissà cosa
dice il Signore di quel che è accaduto e dei tanti commenti
che vengono fatti da credenti e non. Allora ho detto che quel che
ne pensa, il Signore ce lo ha già manifestato nel Vangelo.
La mia provocazione non è stata raccolta.
Ho scritto in proposito in una lettera a Padre Benedetto con cui
cercavo di comunicare agli amici la mia speranza: l'ultima
speranza.
Ora, dopo aver cercato a lungo di stare in silenzio davanti al
Signore e al mondo, mi sembra di percepire in modo netto, anche se
in una fitta nebbia, che c'è una speranza in tutto e per
tutti: è il Signore.
Anche se tutto passa, anche se l'umanità avanza distruggendo
se stessa, anche se la Chiesa sembra affogare nelle sue parole ed
è tarda nell'ascolto della Parola, anche se il potere
continua a sedurre, la speranza non muore perché è
già risorta da morte: è il Signore che ha inviato il
suo Spirito, che riempie l'universo.
P.S. La meditazione sul silenzio è il punto a cui sono arrivato nella mia ricerca di Dio, nella quale si sono susseguite tante tappe; provo a ricordarne qualcuna.
La ricerca della centralità di Gesù Cristo quando, all'inizio della vita religiosa, mi veniva proposto il primato dell'osservanza.
Il desiderio di essere totalmente al servizio della Compagnia di Gesù e della Chiesa, lasciando in secondo piano la mia realizzazione personale, quando percorrevo il lungo itinerario formativo, in attesa di un pieno impegno apostolico.
La riflessione sul "sentire ac gustare res interne", centrale negli esercizi spirituali di S. Ignazio, per andare oltre l'impegno dell'intelletto e della volontà, durante l'ultimo anno di noviziato al termine della formazione.
L'assunzione della teologale della realtà, per stare nel mondo vivendo con fede, quando sperimentavo il primo impatto pieno con la realtà, specialmente nella dimensione sociale.
Il rapporto fra spirito e strutture, fra azione sullo spirito e azione sulle strutture, quando l'impegno pastorale come cappellano dell'università "La Sapienza" di Roma, mi spingeva a capire più in profondità quel che succedeva nella politica, nella Chiesa e nella crescita culturale dei giovani universitari.
La laicità come profezia del popolo di Dio sul mondo, in una ricerca durata quasi vent'anni con Mario Castelli, Saverio Corradino Pino Stancari ed altri amici.
Convertirsi al Vangelo. Vie nuove per la politica. La Parola ai piccoli, nell'accompagnamento spirituale delle Acli.
La vita cristiana come esperienza del Mistero. La forza del silenzio e la globalizzazione: al centro della mia ricerca attuale.