Le opinioni pubbliche occidentali, per far breve, sembrano
impaurite ed affascinate, nello stesso tempo, davanti al fenomeno
dell'integralismo islamico e alle sue molteplici espressioni a
scala mondiale, integralismo che tende, tramite generalizzazioni
ingiuste o semplificazioni inadeguate, ad essere identificato con
l'Islàm di oggi nella grande varietà delle sue
correnti culturali e spirituali. Le caricature sono ormai di moda:
c'è il barbuto algerino in gallâbiya, del
Fronte Islamico di Salvezza (FIS) con il mitra in mano, che grida
"Allâhu akbar", oppure ci sono le donne iraniane, vestite dal
grande tchador nero, con il kalachnikov in pugno, che sfilano a
nome della rivoluzione islamica.
Altrettante rappresentazioni sbagliate, certo, che però
danno all' Islàm "radicale" un'impostazione "tra miti e
realtà". Allora, dove sta il mito,inventato o ricostruito
dagli occidentali, oppure elaborato ed esaltato dai musulmani
stessi? E qual è la realtà, tale quale
drammaticamente vissuta dai fedeli dell'Islàm che si
contestano oggi, tra di loro, il diritto di interpretare il Corano,
di modellare la loro società, di assimilare la
modernità o di criticare l'Occidente? Non è facile,
d'altra parte, distinguere tra integralismo, fondamentalismo e
islamismo: il riformismo
musulmano ed il risveglio religioso vi si esprimono mediante tante
forme intellettuali, politiche e spirituali! E infatti difficile
dare alle cose il loro nome proprio senza riferimento alla lunga
storia che le ha generate ed al contesto socio-culturale in cui
vengono vissute oggi.
Forse ci conviene ascoltare in proposito un intellettuale
marocchino del nostro tempo, il prof. Abdel Hadi Boutaleb, il quale
ci confida, nel suo ultimo libro pubblicato in francese a
Parigi,Le monde islamique et le project du nouvel ordre
mondial 1 le sue ultime riflessioni: "In conclusione
- dice il nostro Autore -, si può dire che il mondo islamico
ed il mondo occidentale si trovano oggi a un pericoloso 'tornante'.
A causa di un abuso di razionalismo e di laicità,
l'Occidente ha svuotato il progresso dal suo contenuto spirituale
che gli doveva garantire la promozione dell'uomo. Quest'ultimo
sembra non aver più importanza e si vede sacrificato a
favore della capitalizzazionc economica, del plus-value dei
mercati. Quanto al mondo islamico, esso aveva tentato nella sua
grande maggioranza di adottare lo stile di vita del Nord, liberale
o socialista, ma si è infine reso conto del fallimento di
entrambi i modelli per ritrovarsi allora davanti ad una
'implosione' di tipo religioso. E poiché era sprovvisto di
un progetto sociale ben definito, questo mondo islamico è
entrato in conflitto con i suoi 'contestatori', conflitto che
genera a casa sua instabilità ed anarchia, riportando tutti
quanti all'era - che si credeva superata - della
jâhiliyya (la barbarie) anti-islamica".
Tale osservazione non manca di perspicace oggettività e
costituisce per noi, cristiani e musulmani, una sfida intellettuale
e spirituale. Infatti per quali cause si sono moltiplicate le
manifestazioni dell'integralismo islamico da quasi trenta anni, che
siano violente o pacifiche, organizzate o spontanee, e questo
dappertutto nel mondo musulmano? E come ne possiamo apprezzare le
varie espressioni per tentare qualche discernimento e valutare
positivamente le possibilità future di dialogo e di
collaborazione, tanto più che il Mediterraneo è
chiamato a diventare un luogo di scambio e di arricchimenti
reciproci per il bene dei popoli della sponda del Sud come della
sponda Nord?
Le cause dell'integralismo islamico
Francois Burgat, all'inizio del suo libro recentemente tradotto
in italiano. II fondamentalismo islamico (Algeria, Tunisia,
Marocco, Libia), ci dice che "comprendere la spinta islamica
significa senza dubbio essere capaci, in primis, di calcolare i
possibili effetti, non potendo evitarle, delle trappole insite in
tutti i tipi del percorso orientalista. Il relativo inventario, da
Edward Saìd a Bernard Lewis e da Hasan Hanafi a Fu'âd
Zakariyâ, si è considerevolmente arricchito nel corso
dell'ultimo decennio, anche se le sue imprevedibili varietà
continuano a dar filo da torcere. Comprendere l'islamismo
implicherebbe soprattutto, nell'intreccio dei discorsi e delle
rappresentazioni, essere capaci, in mancanza di una soddisfacente
dissociazione tra \'io e l'altro, di rimanere
consapevoli dei limiti di un tentativo di
oggettivazione"2. Ed e proprio per questo che ci
accontenteremo in questa sede di proporre alcune chiavi
interpretative ipotetiche, lasciando al lettore o allo spettatore
il compito di privilegiare l'una o l'altra. Ma tutti dobbiamo
essere consapevoli, anzitutto, di una "costante" della storia
dell'Islàm: la sua lunga e travagliata storia (quattordici
secoli e tanti califfati, sultanati, emirati e repubbliche!)
testimonia che, tra i musulmani, ci furono sempre dei gruppi di
contestazione politica, spesso violenta, che hanno addirittura
frantumato l'unità primordiale dell'Islàm dei
"califfi ben guidati" (furono quattro, ma tre furono uccisi!):
Khârigiti, Shî'iti, Qarmatî, Fâtimidi,
Drusi, ecc., si sono opposti ai poteri "centrali" a nome di un
Islàm intransigente. Se le maggioranze sunnite sono sempre
riuscite a trovare le soluzioni di compromesso, con grande realismo
umano e religioso, tra gli imperativi dell'ideale islamico e la
complessità delle realtà cconomiche, culturali e
politiche, ci sono state sempre delle minoranze esigenti e
contestatrici a nome di un Islàm rigido che sarebbe
più fedele al Corano, alla sunna e alla legge o
Sharî’a. E proprio in questa tradizione di
rivendicazione che si collocano le varie espressioni odierne
dell'integralismo islamico.
Alle soglie dell'altro secolo, il mondo islamico nei suoi vari
"Stati" indipendenti è stato invitato o costretto ad
assumere la modernità, i cui modelli si trovavano allora
nell'Occidente europeo, e poi americano. Ed è vero che
l'assumere tali modelli (per uno sviluppo autonomo, politico ed
economico), dopo reinterpretazioni faticose i cui leaders furono
al-Afghânî, Muhammad 'Abduh e Rashîd Ridâ,
nel mondo arabo-turco, costituiva una forma di occidentalizzazione.
Pian piano l'economia, la cultura e la politica, soprattutto quando
tutti i Paesi musulmani si ritrovarono sotto amministrazione
europea, direttamente o indirettamente, costituirono i settori
principali di una modernizzazione "all'occidentale" i cui valori
fondamentali erano considerati corrispondenti all'ideale musulmano.
È anche vero che lo sfacimento dell'Impero Ottomano (1918) e
la soppressione del Califfato,nel 1924, da parte di Mustafâ
Kamâl, fondatore della Turchia moderna, nazionalista e laica,
hanno segnato una tappa importante nella storia recente: la Turchia
era forse un nuovo modello da seguire? Come è ancora vero
che gran parte delle élites nazionali, nella loro
lotta a favore dell'indipendenza politica dei loro Paesi, non
esitarono ad assumere le forme occidentali dell'affermarsi
nazionale e culturale, senza dare troppo spazio all'Islàm
dei loro connazionali. Chi potrebbeimmaginare Tâhâ
Husayn pubblicare oggi il suo Mustaqbal al-thaqâfa fi
Misr dove nel 1938, egli vantava la stretta corrispondenza
della cultura arabo-egiziana con la civiltà
greco-ellenistica? Ma si potevano anche segnalare allora, fin dalla
fine del secolo XVIII, delle zone di prima contestazione religiosa,
come quella del movimento Wahhâbita nel cuore della penisola
araba, a favore di un Islàm puritano e conservatore. Il
fatto sta che, modernizzati più o meno, e diventati
indipendenti dopo la prima o la seconda guerra mondiale (e talvolta
dopo una lunga guerra d'indipendenza, come per l'Algeria), i Paesi
islamici hanno dovuto fronteggiare un insieme di sfide quasi
insuperabili.
Cosa è successo nei Paesi islamici nel corso degli ultimi
trenta o cinquant'anni? Da una parte, l'indipendenza politica non
ha automaticamente generato quella economica, né quella
culturale, tanto più che la "guerra fredda" tra l'Occidente
ed il mondo sovietico, per quasi cinquant'anni, a causa della
concorrenza tra le due super-potcnze, ha paradossalmente rafforzato
le indipendenze politiche formalmente e le dipendenze economiche
realmente (si veda la "gara" internazionale per "aiutare" il Terzo
mondo in materia tecnologica!). D'altra parte, questi Paesi hanno
visto la loro popolazione raddoppiarsi in cifre assolute (la
popolazione del Marocco passa da 9 milioni nel 1958 a 23 milioni
nel 1985, quella dell'Algeria da 10 milioni nel 1963 a 21 milioni
nel 1985 e quella della Tunisia da 4 milioni nel 1959 a 7,5 milioni
nel 1985), sì che a causa di tale pressione demografica si
sono susseguiti tanti problemi collegati tra di loro:
urbanizzazione accelerata e disorganizzata (a scapito delle
campagne) con l'emergenza di megalopoli incontrollabili (II Cairo,
Casablanca, Istanbul, ecc.), dove lo Stato si rivela incapace di
assicurare i servizi di prima necessità, scolarizzazione
massiccia e mal preparata con cambiamenti continui di programmi e
di manuali, femminizzazione del personale insegnante e tante
bocciature agli esami (senza parlare dei problemi che risultano dal
bilinguismo a scuola e dalla diglossia nella società),
disoccupazione generalizzata dei giovani in una economia dove le
pianificazioni centralizzate non lasciano spazio alle iniziative
private, strumentalizzazione della religione (e del suo
"personale") a favore di un ideale nazionalista e rilettura della
storia del Paese in chiave ideologica, sì che la religione e
la storia legittimano lo Stato ed il suo governo (tanto
più che spesso la politica sta nelle mani del "partito
unico", espressione trascendentalizzata dell'unanimità
nazionale!), relazioni più o meno privilegiate
(economicamente e culturalmente) con l'ex Stato europeo
amministratore coloniale e tanti altri "dati socio-politici" le cui
conseguenze si riassumono in conflitti tra classi sociali, modelli
culturali ed interpretazioni religiose.
Parallelamente, tutti i Paesi arabo-musulmani sono stati coinvolti
nel dramma palestinese e nei molteplici conflitti israelo-arabi
(con il "trauma" della disfatta del 1967), mentre l'Afghanistan
accoglieva migliaia di volontari, mujâhidûn, per
lottare contro l'Armata Rossa con l'appoggio del Pakistan e degli
Stati Uniti d'America, per non parlare della lunga guerra Iraq-Iran
e della strana "guerra del Golfo" in cui la Santa Alleanza dei
governi conservatori (e integralisti) della penisola con gli Stati
occidentali ha rivelato quanto gli interessi economici sono
più importanti dei diritti dell'uomo. Si può allora
capire che, davanti al fallimento delle borghesie nazionaliste, di
stampo tradizionale (Marocco) o modernizzato (Tunisia), e poi dei
socialismi rivoluzionari alla Jamâl 'Abd al-Nâsir e dei
sogni unitaristi laici tra Paesi arabi,per non parlare ancora della
loro incapacità a risolvere il "problema palestinese", nuove
leve di musulmani, colte in arabo e a loro agio con le tecniche
moderne, abbiano voluto riconsiderare i modelli di sviluppo
più loro proposti per trovarne altri che coinciderebbero
più da vicino con le loro tradizioni storiche e culturali e
con le richieste della loro religione, reinterpretate a modo loro,
tanto più che, nel frattempo, i cosiddetti modelli
occidentali di società si erano rivelati limitati,
contraddittori ed anche "decadenti" (false democrazie, applicazione
selettiva dei diritti dell'uomo, lassismo individualistico
sfrenato, egoismo di gruppi e civiltà del consumismo) e
venivano dunque percepiti come una "aggressione culturale".
Le espressioni dell'integralismo islamico
Quando la stampa o la televisione, in Occidente, trattano dell'
integralismo islamico, si parla ben presto dei Fratelli Musulmani
in Egitto, della Rivoluzione di Khumaynî nell'Iran, del suo
fidato alleato libanese, il Hizb Allâh, del Fronte Islamico
di Salvezza in Algeria e del Hamas palestinese, ed a questi partiti
o correnti vengono paragonati gruppi simili in Siria, in Giordania,
in Libia, in Sudan, in Tunisia e in Marocco, ma tutti hanno una
storia specifica e la loro importanza relativa dipende direttamente
dal contesto nazionale dove sono cresciuti, senza che si possa
parlare di una "internazionale organizzata dell' integralismo
islamico", nonostante le pretese dei recenti Congressi di Turabi a
Khartoum su iniziativa del governo sudanese. Però, stampa e
televisione non parlano mai dell'integralismo wahhâbita
dell'Arabia Saudita o delle sue forme più o meno vicine
degli Stati del Golfo, integralismo che propone e impone il suo
modello di rigorismo
islamico (le donne non possono guidare le macchine ed ogni anno
centinaia di condanne alla pena capitale sono attuate!) sia ai
pellegrini che soggiornano alla Mecca ogni anno sia a tutti i
musulmani che collaborano con la Lega del mondo islamico che ha
sede alla Mecca ed è controllata dal governo saudita.
Nel Marocco, società molto tradizionalista, dove il Re
Hassan è "emiro dei credenti" e garante dell'Islàm
nazionale, un integralismo pacifico ma critico si è espresso
tramite l'impertinente lettera di 'Abd as-Salâm
Yâsîn al sovrano "dimentico degli obblighi dell'
Islàm", ed investe socialmente e politicamente una
società che rimane pluralista.
L'Algeria, sfortunatamente, a causa del duplice trauma della lunga
presenza francese e dell'autoritarismo socialista di Bumediene, ha
visto dopo il 1988 la vittoria delle opposizioni il cui portavoce
era e rimane tuttora quel Fronte Islamico di Salvezza, messo fuori
legge nel 1992 e diviso ormai in tanti gruppi, quasi tutti
impegnati nella lotta armata contro lo Stato, in mano ai militari
volentieri "eradicatori": nonostante la vittoria del presidente
Zeroual alle elezioni del novembre scorso, la società civile
algerina rimane nell'aspettativa, pur soffrendo ogni giorno di una
guerra civile che ha fatto, finora, più di 50.000 vittime.
Il Movimento della Tendenza Islamica di Rashîd
Ghannûshi, in Tunisia, diventato il partito della Nahda, ha
praticato la contestazione, ha conosciuto la repressione, ha
accettato l'ipotesi legalista ed ha perso il verdetto delle urne,
ma alcuni gruppi radicali criticano le "false speranze" del regime
e sognano un jihâd islamico.
In Libia, il colonnello Qadhdhâfî, a nome di un
nazionalismo specifico, rifiuta e combatte la contestazione dei
Fratelli Musulmani e degli altri gruppi radicali. Ma nell'Egitto
vicino, dove i Fratelli Musulmani sono nati con Hasan
al-Bannâ nel 1929 e si sono divisi in tante tendenze (le une
pacifiche, inserendosi nel tessuto sindacale ed universitario del
Paese, e le altre, belliche - le gamâ'ât -,
moltiplicando attentati e sabotaggi), il governo si vede costretto
a compromessi quotidiani con l'Università di al-Azhar e le
sue esigenze, rischiando così di favorire
contraddittoriamente l'integralismo diffuso nelle masse musulmane
impoverite. Nel Medio Oriente, i Fratelli Musulmani, costituitisi
in partito, sono rappresentati legalmente al Parlamento in
Giordania, ma nella Siria vicina la loro ribellione di Hama
è stata domata nel sangue nel 1982. I loro "cugini" del
Hamas palestinese e del Hizb Allâh libanese non esitano a
ricorrere alla violenza a nome della liberazione della Palestina,
parte integrante della "Dimora dell' Islàm" secondo loro. E
della Repubblica Islamica d'Iran della rivoluzione di
Khumaynî, nell'Iran shî'ita, si è troppo
parlato: si sa bene che l'impresa dei Mollâh tende,
dall'inizio, ad imporre al Paese l'islamizzazione ad oltranza di
tutte le sue istituzioni. La Turchia stessa, il cui nuovo primo
ministro Erbakan è a capo del Partito Islamico, sembra dover
tener conto ormai delle contestazioni dei suoi integralisti
musulmani.
Quanto al Sudan, le sue popolazioni si vedono, da anni, sottomesse
ad una applicazione rigorosa della legge islamica, la cui
teorizzazione ed idealizzazione viene ripetutamente celebrata da
Turabi e dai suoi fedeli. E al di là del mondo arabo, si
potrebbero anche delineare le presenze e le esigenze di
integralismi islamici che si affermano in Pakistan, in India, in
Bangladesh, in Malaisia e in Indonesia in modo meno violento, ma
forse più efficace perché influisce particolarmente
sull'ordinamento politico dei Paesi.
Così, come ricorda Paolo Branca nel suo libro intitolato
La strategia della moschea (l'Islàm radicale tra miti e
realtà)3, "i movimenti islamici radicali non
costituiscono un blocco monolitico e compatto, ma presentano
caratteristiche diverse e articolazioni sulle quali la storia e gli
orientamenti dei singoli Paesi hanno un peso determinante e
intrattengono con le istituzioni rapporti di natura variabile".
Però, come è stato
sottolineato prima, anche se "le cause del fenomeno risiedono
piuttosto nel contraddittorio rapporto delle società arabe e
musulmane con i modelli di vita e di pensiero di stampo occidentale
che la fine dell'epoca coloniale non ha risolto, ma semplicemente
trasferito su altri piani e che si sono per di più aggravati
a causa della situazione sociale ed economica molto precaria",
l'affermazione recente, rinnovata e generalizzata, del radicalismo
musulmano può anche essere considerata conseguenza diretta
di un ricupero di alcuni princìpi islamici classici.
Infatti, se i vari integralismi islamici parlano ben poco di Dio e
piuttosto poco di Muhammad, essi insistono ad oltranza
sull'applicazione della legge islamica (al-Sharî'a),
identificata con l'attuazione perfetta dell' Islàm,
dîn wa-dawla (religione e Stato). Il tunisino Rashid
Ghannûshî ha scoperto, nella sua "famosa notte", che
"finora egli non era musulmano, che egli era fuori
dall'Islàm": scoperta improvvisa, metamorfosi inaspettata,
retrouvailles strane di molti con un "essere musulmano" che
richiede un mutamento culturale ed un ritorno ai valori oppure alle
regole dell'Islàm in quanto è legge che regge tutto
l'ordinamento della società, il che esige il rifiuto della
dominazione culturale occidentale e la lotta contro "i principi
musulmani miscredenti".
Tutto sta dunque nell'ampiezza interpretativa delle parole
Islàm e Sharî'a. Infatti da vent'anni circa il
verbo aslama, islamizzare, viene spesso utilizzato dalle
riviste e dai predicatori: bisogna islamizzare l'insegnamento e la
cultura, bisogna islamizzare i costumi ed i comportamenti, bisogna
islamizzare le banche e l'economia, bisogna soprattutto islamizzare
la legislazione, essendo l'applicazione integrale dello Statuto
Personale (diritto della famiglia e delle successioni) e del Codice
penale coranico il criterio ultimo dell'islamizzazione di una
società. Per gli integralisti, il contenuto della suddetta
legge islamica non si discute, benché non sia mai stata
"codificata" precisamente. "È il primo ed ultimo parametro"
secondo 'Abd al-Qâdir 'Ûda, come "essa è
l'espressione della legge cosmica di Dio" secondo Sayyid Qutb. Si
può allora capire che poligamia e ripudio, divieto degli
alcoolici e condanna dell'apostasia, la barba per gli uomini ed il
velo per le donne, diventino i criteri del carattere islamico di
una società.
Molti dotti ed intellettuali musulmani, di cultura religiosa, hanno
dimostrato il contrario, insistendo sul carattere evolutivo delle
prescrizioni giuridiche della legge islamica, ma sono considerati
come traditori o miscredenti, ed è proprio questo
assolutismo ideologico dei movimenti integralisti che lascia poco
spazio a un primo pluralismo tra i musulmani stessi: essi
costituiscono, come dice un hadîth, , la "setta
salyata" {al-firqa al-nâjiya), ed avrebbero il diritto
di giudicare l'Islàm degli altri e di condannarlo anche
quando questi ultimi compiono i cinque riti del culto ed aderiscono
agli articoli del credo.
Dove sta dunque la "specificità islamica" delle persone e
delle società? È un vecchio dibattito che dotti colti
e credenti semplici hanno molto spesso concluso, nella storia, a
favore del rispetto delle coscienze dei singoli e del pluralismo
delle interpretazioni. Bisogna però lamentare una certa
debolezza da parte dei rappresentanti dell' "Islàm
ufficiale", più o meno strettamente legati ai governi dei
loro Paesi, oppure prendere atto di un loro silenzio complice o di
un loro intervento interessato affinché "l'ordine pubblico
islamico" venga rispettato da tutti, anche dai governi più o
meno "laici". L'ultima espressione di tale strano comportamento
ambiguo si è manifestata in Egitto: all'inizio di agosto la
Corte di Cassazione ha confermato la sentenza emessa dalla Corte
d'Appello che condannava il prof. Nasr Hâmid Abû Zayd
per apostasia (egli è sempre musulmano) e decideva dunque
del divorzio tra lui e sua moglie, su richiesta d'al-shaykh
al-Badrî a nome della cosiddetta hisba e cioè
il rispetto dei regolamenti dell'Islàm da parte della
società civile. Si deve sapere che, di conseguenza, il
professore e sua moglie hanno dovuto scegliere l'esilio per
salvaguardare la loro incolumità. Il dibattito delle idee o
la reinterpretazione della Sharî'a appaiono
così come vietati per tutti. "L'Islàm ufficiale" tace
e gli integralisti islamici intendono così rendere gloria a
Dio costringendo tutti a rispettare la sua volontà, e
cioè la sua legge positiva divina, dimenticando che sovente
le sue disposizioni giuridiche sono semplicemente il frutto di
elaborazioni scolastiche, del tutto umane!
Conclusione
L'Islàm odierno si vede così ineluttabilmente chiamato e costretto a risolvere tanti problemi economici, culturali, politici e teologici. La situazione internazionale e la storia locale hanno fatto sì che, dappertutto, i musulmani tendono a cancellare il cosiddetto "ritardo tecnologico", ricorrendo per questo a modelli di società avanzata del tutto contraddittori. Accanto a coloro che assumo la modernità con tutti i suoi valori di democrazia, di scienza e di tecnologia (includendovi i diritti dell'uomo del 1948), ce ne sono altri che rifiutano "l'aggressione culturale" e pensano di trovare nel patrimonio a loro trasmesso dagli antenati i modelli più adatti che permetterebbero di assimilare le esigenze scientifiche e le "comodità" della modernità, senza dover abbracciarne i presupposti culturali e filosofici. L'avvenire dirà chi, tra di loro, aveva ragione. Bisogna però auspicare che tale dibattito si sviluppi pacificamente nella "dimora dell'Islàm" per il bene di tutti e trovi dei modi adeguati di inserimento nella cooperazione internazionale, perché molti osservatori riconoscono che esiste, più che mai, il pericolo di uno "scontro delle civiltà" (si veda il libro di Huntington in materia: The Flash of Civilisations), scontro che molti pessimisti considerano come ineluttabile. E urgente dunque per ogni società, e forse per ogni civiltà, interrogarsi sui valori che ne garantiscono l'umanizzazione e sulle immagini che dà di se stessa agli altri. Se tocca ai musulmani autentici dare un'immagine rassicurante ed attraente del loro Islàm, lungi dalle varie espressioni talvolta oppressive degli integralismi islamici, tocca anche ai veri cristiani riformare le loro società occidentali, rivalorizzarne i princìpi fondatori e correggere instancabilmente le immagini che ne danno la loro stampa e le loro televisioni. Al di là del possibile "scontro delle civiltà", tutti i credenti sinceri dovrebbero impegnarsi generosamente per facilitare "l'incontro delle civiltà". Il Mediterraneo ne ha bisogno più che mai, malgrado i malintesi della storia passata e recente.
NOTE
1 - boutaleb A.H., Le monde isìamiquc et le projct du nouveì ordre mondial,, PUF, Paris, 1995,p.159.
2 - burgat F., Il fondamentalismo islamico (Algeria, Tunisia, Marocco, Libia) , Società Editrice Internazionale, Torino, 1995, p. 367.
3 - branca P., Ln strategia della moschea (l'Islàm radicale tra miti e realtà), I.S.U. - Università Cattolica, Milano, 1996, p. 135.
Africa del Nord non sono soltanto i tre Paesi che una volta
erano -direttamente o indirettamente - sotto il dominio francese
(Marocco,Algeria e Tunisia), ma vanno presi in considerazione anche
i Paesi che vanno dalla Mauritania all'Egitto'. Questa è la
cosiddetta Africa bianca, per cui, quando si parla di Africa al
singolare si commette un errore in quanto esiste, anzitutto,
un'Africa settentrionale bianca2, tra l'altro l'unica
conosciuta dai cartografi arabi dell'alto Medioevo. Quando dunque
si parla di fardello dell'uomo bianco, bisogna precisare se si
tratta dell'uomo bianco europeo o di quello arabo, senza
generalizzare le formule e introducendo sempre le necessarie
distinzioni. Troppo spesso, infatti, si parla di modelli
occidentali; tuttavia, dal Marocco all' Egitto, dopo le
indipendenze, abbiamo avuto modelli occidentali ma anche
orientali-europei (in Algeria e Libia).
Due anni fa è stato pubblicato un libro, in francese, ad
Algeri, dal titolo Tradizione e rivoluzione, scritto da uno
dei candidati alla presidenza della Repubblica algerina per le
elezioni del novembre 1995, Reda Malek. Il titolo sintetizza
magistralmente la problematica: tradizione «e»
rivoluzione, non è stato usato «o». Si afferma
nel libro che bisogna ritrovare e ricuperare il passato, in modo
che la storia di ieri, assunta, purificata e trasformata, possa
essere un programma per domani. Ciò è esatto,
tuttavia bisogna osservare come nei manuali scolastici la storia
venga proposta, vedere come alle nuove generazioni viene presentato
il passato coloniale e pre-coloniale. Si pone, qui, il problema
della conoscenza della società: chi ha scritto, dove si
trovano le fonti scritte, gli archivi, ecc.. L'epoca coloniale
fortunatamente è estremamente ricca di documenti, di archivi
e di studi linguistici; spesso sono stati i missionari i promotori
della salvaguardia delle culture locali. I Padri Bianchi
nell'Africa del Nord hanno pubblicato riviste, documenti e
dizionari sulla lingua berbera. L'Africa del Nord, infatti,
etnicamente non è araba, anche se oggi la lingua araba
è quella ufficiale; i copti dell'Egitto erano copti e lo
sono tuttora, sono stati arabizzati subito dopo la conquista
arabo-islamica. E lo stesso è stato per i berberi
dell'Africa del Nord: in Algeria, attualmente, il 30% della
popolazione parla il berbero, in Marocco il 50%, tanto è
vero che, recentemente, il Re del Marocco, forse per contrastare le
pretese culturali arabo-islamiche, ha permesso alla
radiotelevisione di Stato di utilizzare il berbero in molte
province del Paese.
Tradizione e rivoluzione: ecco il problema. Quando si studia la
storia dei Paesi dell'Africa settentrionale si devono fare delle
distinzioni. La città de II Cairo è stata sempre un
polo fondamentale della cultura arabo-islamica e di un quasi-Stato
egiziano. La Tunisia, dalla sua fondazione araba, e soprattutto da
quando è stata eretta a Tunisi l'Università
arabo-islamica, dieci secoli fa, è sempre stata
centralizzata culturalmente, e anche politicamente. Da quando Fez
nell' 801 è stata creata da un discendente di Maometto,
Idris, anche il Marocco ha conosciuto una forma di centralismo
politico, dinastico e culturale-religioso. L'Algeria e la Libia,
invece, sono sempre stati dei territori ad identità
variabile, non nettamente caratterizzata, talvolta seguendo la
Tunisia o il Marocco o l'Egitto. La rilettura del passato è
pertanto molto difficile per quanto riguarda Algeria e Libia,
mentre è più agevole per quanto riguarda Tunisia,
Marocco ed Egitto.
Le presenze dell'epoca coloniale hanno generato sul posto dei modi
diversi di ricevere la modernità e soprattutto la creazione,
più o meno autoctona o straniera, dello Stato moderno con
tutte le sue strutture. L'Egitto ha conosciuto un
quasi-protettorato inglese dal 1882 fino al primo dopoguerra. La
Tunisia e il Marocco sono stati protettorati francesi, la Tunisia
dal 1881, il Marocco dal 1911. Con il protettorato tutta
l'amministrazione locale rimane invariata e c'è un controllo
esterno da parte di un Paese straniero. Si sono generate dunque
delle situazioni molto diverse da Paese a Paese, che, forse,
spiegano perché oggi abbiamo in Marocco un integralismo
islamico rampante ma domato, controllato e non del tutto in grado
di mettere in pericolo la struttura portante dello Stato. In Egitto
e in Tunisia, al contrario, l'integralismo islamico si fa sentire,
pretende, forse perché le strutture dello Stato hanno
conosciuto dei mutamenti. Per secoli la Tunisia3 era
stata guidata da ex governatori ottomani, ma Burghiba, appena il
Paese nel 1957 è diventato indipendente, ne ha fatto una
Repubblica e, per quasi 31 anni, da leader autoritario ma
illuminato, ha potuto condurre la società civile tunisina a
fare molti passi in avanti, in particolare per quanto riguarda la
promozione della donna e della famiglia e dell'intelligenza. Anche
l'Egitto si era staccato dall'Impero ottomano e aveva realizzato
molti progressi, al punto che, nel corso dell'800, era divenuto
più progredito dell'Impero ottomano per il suo sviluppo
economico e per la sua modernizzazione. In seguito tuttavia, a
causa dei problemi della finanza internazionale e della bancarotta
della banca egiziana dell'epoca, si verificarono mutamenti nelle
strutture socio-economiche che, naturalmente, diedero vita al
contrasto fra la voglia dei governi di fare entrare il Paese nei
processi di modernizzazione in forma più o meno accelerata e
la resistenza del polo tradizionale delle Università
arabo-islamiche, che si appoggiavano sui ceti medio-bassi.
Integralismo islamico
L'Algeria e la Libia si presentano
invece diversamente. L'Algeria4 ha raggiunto
l'indipendenza, in primo luogo, dopo sette anni di guerra, e, in
secondo luogo, grazie ad una rivoluzione e non per una guerra di
liberazione. Inoltre è stato il ceto dei contadini, e non la
borghesia nazionale, a dare inizio a questa rivoluzione. In
Marocco5, Tunisia ed Egitto sono stati invece i ceti
borghesi a portare avanti il processo per la conquista
dell'indipendenza. In Libia poi dal 1 settembre 1969 Gheddafi ha
portato avanti un discorso di leadership personalizzata contro
tutti gli altri modelli, sulle orme di Al Nasser, il grande
radunatore dell'arabismo laico socializzante.
Tutto questo per dire che trattare dell'integralismo islamico
nell'Africa Settentrionale richiede una grande capacità di
avviare un discorso settorializzato per i vari Paesi, cercando di
capire le differenze. L'Africa settentrionale, infatti, non
è una serra chiusa e dobbiamo poi ricordare che nel Medio
Oriente in passato sono nati o apparsi dei movimenti integralistici
musulmani. Tra la prima e la seconda guerra mondiale, in Egitto,
una nuova ondata di giovani ritenne utile richiamare il governo ad
islamizzare le sue strutture e a cambiare modelli di sviluppo: si
tratta dei Fratelli Musulmani che si sono diffusi in frutti i Paesi
arabi e rappresentano un fenomeno arabo. Nel 1979 ci fu il ritorno
di Khomeini nell'Iran dello Shàh e da allora si ha la
presenza di una Repubblica islamica intransigente che porta la
sfida sciita nel mondo sunnita dei musulmani: è una storia
vecchia di quattordici secoli. Non si deve dimenticare poi che
nella penisola araba da un secolo e mezzo, anche se riapparso in
forma politica definitivamente stabilizzata dopo la conquista della
Mecca nel 1924-25, abbiamo la forma intransigente del sunnismo
hanbalita wahhàbita dell'Arabia Saudita, il primo movimento
fondamentalistico del mondo odierno tra i musulmani.
Di questo, tuttavia, non si parla mai, in quanto l'Arabia Saudita
politicamente non viene criticata: è un mercato troppo utile
per tutte le superpotenze economiche. A questi fatti va aggiunto
anche il problema palestinese, mai risolto dal 1948, con tutte le
sue drammatiche conseguenze, a partire dalla guerra
arabo-israeliana "dei sei giorni" persa dagli arabi nel giugno 1967
(Sinai, Cisgiordania, Golan occupati dall'esercito ebraico), che ha
visto emergere ovunque la chiara rivendicazione fondamentalistica
musulmana: dato che i nazionalismi arabi avevano fallito, i
panislamisti si sarebbero impegnati affinché tutto il
territorio tra il Mediterraneo e Giordania ritornasse sotto il
dominio dell' Islam, eliminando lo Stato ebraico.
Per tre anni sono stato nel Golfo Arabo, come assistente
parrocchiale a Bahraim, dove ogni giorno ascoltavo la radio e la
televisione in arabo; al di fuori del mondo musulmano, soltanto tre
categorie di esseri umani erano prese in considerazione: i sionisti
furbissimi, i comunisti atei e i crociati anche loro nemici dei
musulmani. In questo clima va visto l'emergere delle forze del
fondamentalismo islamistico nell'Africa del Nord.
Nel periodo storico post-coloniale sono emerse nuove forze nei vari Paesi arabo-islamici per risolvere i problemi della vita politico-orientale (giustizia per il popolo palestinese a nome del nazionalismo arabo e, poi, a nome della jihad islamica) e i tanti problemi della vita politica nazionale in ogni Paese, nel contesto della sua specifica storia recente. Dopo le indipendenze, le borghesie nazionalistiche (di stile occidentale) e poi i socialismi pan-arabi filo-marxisti, soprattutto Algeria e Libia, non sono stati capaci di risolvere tutti i problemi dei loro popoli:
- crescita demografica non controllata nonostante le politiche di birth-control (il Marocco ha 9 milioni di abitanti nel 1951, 14,5 nel 1968, 25 nel 1994; l'Algeria e la Tunisia hanno conosciuto lo stesso raddoppiamento della loro popolazione in trent'anni, ed è lo stesso per l'Egitto e gli altri Paesi del Medio Oriente);
- urbanizzazione accelerata (consumismo moderno desiderato) senza le strutture socio-culturali adeguate;
- scolarizzazione generalizzata non del tutto pedagogicamente in- quadrata (basso livello6, bocciature, problemi della diglossia, del bilinguismo);
- mancata libertà democratica e onnipresenza dello Stato-nazione- partito unico, controllo di tutti i mezzi di comunicazione7;
- emigrazione dei cervelli e della mano d'opera all'estero (verso il Golfo, l'Europa, l'America);
- rapporto ambiguo tra uomini del governo e uomini della religione8;
- mancato sviluppo economico, il quale genera delle classi sociali iscriminate (mondo urbano e mondo rurale, nomenclatura e laissés pour compte).
In tale contesto, la critica dei modelli di sviluppo
(occidentali o moderni) appare facile, tanto più che gli
uomini di governo sembrano approfittare della "situazione" di
contraddizione in cui si trovano le loro società. La
dimensione religiosa ("islamica") viene allora sfruttata dalle
opposizioni politiche, il fattore religioso viene sopravvalutato in
tutti i settori. Dal golpe bianco del 1987 il presidente Ben Ali va
a pregare nelle moschee, anche a Tunisi e per le feste di ramadan
sta in mezzo agli olamah, ha fatto il pellegrinaggio alla Mecca.
Bùrghiba non l'aveva mai fatto, si era sempre comportato da
laico. Si riscontrano, quindi, tanti aspetti di un recupero dei
valori religiosi a fini politici e, in mezzo a tutto questo, una
forma di ricatto reciproco che fa alzare la temperatura
filo-islamica. Inoltre si assiste alle concorrenze ideologiche tra
la Repubblica iraniana (ed i suoi supporters, i Hizb Allàh),
il Regno dell'Arabia Saudita (con la sua ideologia hanbalita
wahhàbita) e le varie forme dei Fratelli Musulmani. Donde la
nascita dei movimenti d'integralismo islamico in tutti i Paesi
arabo-islamici, con delle "varianti" locali.
Il sentimento comune a tali movimenti è la paura dei
pericoli e delle tentazioni di secolarizzazione derivati dalla
modernità. Nel mondo tradizionale -dove non esisteva la
scuola ma solo il catechismo musulmano- il Corano si imparava a
memoria; oggi nelle scuole se ne imparano alcuni versetti: ecco una
forma di secolarizzazione nell'ambito dell'intero sistema
scolastico. Davanti a questa disislamizzazione rampante del sistema
di vita moderno, alcuni leaders musulmani, animati da buona fede o
da intenzioni politiche, ritengono importante e doveroso
riislamizzare l'insieme. Ma fino a che punto, con quale definizione
dell'Islam? Solo religione o anche ordinamento giuridico, sistema
politico? Alcuni tendono a un semplice "risveglio religioso"
(sahwa) della società tramite un "apostolato"
capillare e pacifico, che parta dalla base, richiamando i fedeli
alla pratica religiosa, all'onestà, alle virtù
dell'Islam tradizionale. Pensano, così facendo, di
ricostruire la struttura precedente, ma in forma modernizzata.
Molti vogliono impadronirsi delle redini dello Stato per imporre
dal vertice una "islamizzazione" di tutte le componenti della
società9.
Le minoranze non musulmane, nell'Africa Settentrionale, sono oggi
in situazione di persecuzione o di pre-persecuzione. Il Fronte
Islamico di Salvezza, con gli estremisti del gruppo armato
islamico, non esita ad affermare che bisogna purificare la terra
d'Islam dall'impurità dei non musulmani: così
è stato detto quando quattro sacerdoti cattolici, il 27
dicembre 1994, sono stati assassinati. Questi movimenti sono tutti
la manifestazione della difficile accoglienza della
"modernità" e della "società pluralistica" in un
contesto internazionale in cui i Paesi islamici si trovano
costretti ad entrare in contatto ed amicizia con tutti i Paesi del
mondo e le loro "regole" (tra le quali ci sono i "diritti
dell'uomo"). Saranno capaci i musulmani, tramite le loro
istituzioni, a definire di nuovo quale deve essere la
società musulmana e la loro "comunità religiosa"
(umma)?
Problemi di ermeneutica
Quindi sorgono difficoltà di sopravvivenza per le comunità cristiane. In Egitto il governo è costretto a mettere soldati egiziani all'entrata delle chiese per proteggere religiosi e fedeli. La difficoltà, per noi cristiani e per i musulmani, sta nel modo di leggere il testo d'origine, il Corano; è un problema di ermeneutica. Abbiamo, infatti, dei musulmani tradizionalisti (i più amici), dei riformisti (i più difficili), dei modernisti (sono al potere governativo solitamente e seguono una politica prammatica di cultura musulmana, ma niente altro) e abbiamo dei fondamentalisti che più che mai oggi esigono, a nome del panislamismo internazionale, un ritorno a una purificazione della società da tutti gli elementi e da tutte le influenze che non provengono dal Corano, dalla Sunna e dalle scuole canoniche classiche. Essi affermano che i modelli stranieri hanno fallito, per cui si deve ritornare ai modelli islamici di una volta. Di solito tutti questi movimenti non hanno un programma economico, hanno soltanto rivendicazioni emblematiche. È certo che per chi legge il Corano in chiave fondamentalistica la lettura può essere terribile. Molte volte, infatti, si trova il verbo uccidere o combattere all'imperativo. Si legge, nel famoso versetto della Sura IX: "Combattete coloro che non credono in Dio e nel giorno estremo, perché non ritengono illecito quel che Dio e il suo messaggero hanno dichiarato illecito e coloro fra quelli cui fu data la Scrittura che non si attengono alla religione della verità. Combatteteli finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati". Chi legge questo versetto in chiave politica, come programma moderno di governo, rischia di essere intransigente. Fortunatamente la maggioranza dei musulmani non la pensa in questo modo. L'integralismo islamico è una delle correnti attuali dell'Islam; dipende dunque dal nostro dialogo quotidiano approfondito e seriamente sviluppato sui diritti dell'uomo, della donna e della famiglia la possibilità che un domani questo integralismo possa capire che una vera fede deve lasciare a tutti una libertà di scelta, in quanto Dio accetta da noi solo un'adorazione ed un servizio di persone libere.
NOTE
1 - Dalla Mauritania, proclamatasi Repubblica Islamica appena nata dall'indipendenza (1958), all'Egitto, repubblica araba dove è nata la Lega degli Stati Arabi (1945), l'Islam conosce tante forme di interpretazione nazionale e tante vie di rielaborazione ideologica, essendo sempre questo Islam - nello stesso tempo – esperienza religiosa (personale e comunitaria) ed organizzazione della società (sociologica e politica).
2 - Per capire le
recenti manifestazioni dell'integralismo islamico nella vita
politica dell'Africa settentrionale, bisogna ricordare un insieme
di date importanti che, dall'inizio di questo secolo, sottolineano
le tappe decisive di una storia travagliata dell'Islam
contemporaneo e permettono di capire l'emergenza di forze
contestatrici in ogni Paese dell'area politica che ci
interessa.
1918: disfatta e scomparsa dell'impero ottomano;
1919-1923: nascita della Repubblica turca con Mustafa Kemal;
3 marzo 1924: abolizione del califfato; 1924-1935:
modernizzazione e laicizzazione della Turchia con Kemal Ataturk;
1926: 'Abd al-'Aziz Ibn Sa'ûd, Re del Najd e dello
Hijâz, e poi Re del Regno d'Arabia Saudita (1932), trionfo
del riformismo rigorista hanbalita wahhâbita;
1939-1945: seconda guerra mondiale (Medio Oriente, Egitto,
Libia, Tunisia); 14 maggio 1948: fine del mandato britannico
sulla Palestina, nascita dello Stato di Israele, prima guerra
israelo-araba, armistizio di Rodi (febbraio-aprile 1949); 21
novembre 1949: indipendenza della Libia (Re Idris); 23
luglio1952-29 marzo 1954: in Egitto, golpe degli
Ufficiali Liberi, Repubblica Regia d'Egitto, Gamâl 'Abd
al-Nâsir presidente; 1 novembre 1954-5 luglio
1962: guerra d'indipendenza in Algeria, trionfo del F.L.N.,
repubblica; 1954-1971: in Egitto, la "grande persecuzione"
contro i Fratelli Musulmani; 1 gennaio 1956: indipendenza
del Sudan; 2 marzo 1956: indipendenza del Marocco
(riunificato, con Re Muhammad V); 20 marzo 1956:
indipendenza della Tunisia, con Habîb Bûrghiba
(repubblica il 25/7/1957); 23 ottobre 1956: crisi di Suez
dopo la nazionalizzazione egiziana; 28 novembre 1958:
indipendenza della Mauritania; 1962-1965: guerra civile
nello Yemen del Nord (l'Egitto con i repubblicani); 1962: in
Arabia Saudita, creazione della Lega del Mondo Islamico;
1963: il partito Ba'th (arabo laico) al potere a Damasco;
giugno 1967: guerra israelo-araba dei "sei giorni" (Sinai,
Cisgiordania, Golan occupati); 17 luglio 1968: il partito
Ba'th (arabo laico) al potere a Bagdad; 1 settembre 1969: in
Libia, rivoluzione del colonnello Qadhdhâfì (il
Libro Verde); settembre 1969: a Rabat (Marocco),
creazione dell'Organizzazione della Conferenza islamica; 28
settembre 1970: morte di Gamâl 'Abd al-Nâsir,
Anuar as-Sadat presidente ("apertura" a tutti); 10 luglio
1971 e 16 agosto 1972: in Marocco, fallimento di due
golpe (Ufkir) militari; ottobre 1973. guerra israelo-araba
di Ramadân-Kippur; 25 marzo 1975: il Re Faysal (Arabia
Saudita) è assassinato; 13 aprile 1975: inizio della
guerra civile nel Libano (intervento truppe siriane, ecc.);
1975: in Marocco, la "marcia verde", l'ex Rio del Oro
(spagnolo) diventa marocchino; 1976: in Tunisia, nasce il
Movimento della Tendenza islamica (Ghannûshi); 29
dicembre 1978: in Algeria, morte di Bûmediène,
Chadii Benjedid presidente (Md al-Ghazâli); settembre
1978-marzo 1979: trattative di "Camp David" e trattato di pace
tra Israele ed Egitto (il Sinai viene restituito all'Egitto); 16
gennaio 1979-1 febbraio 1979: caduta dello Shâh in Iran e
ritorno di Khumainî dal suo "esilio"; 31 marzo
1979: proclamazione della Repubblica
islamica dell'Iran; 17 settembre 1980-20-25
agosto1988: guerra tra Iraq e Iran; 6 ottobre 1981: in
Egitto, Anuar as-Sadat viene assassinato, Husni Mubârak
presidente (il gruppo "Anatema e Emigrazione", i "radicali" dei
Fratelli Musulmani"); 2 febbraio 1982: in Siria, la
ribellione dei Fratelli Musulmani a Hama viene domata
dall'esercito; estale 1982: l'esercito israeliano a
Beirût, l'Olp parte per Tunisi; 8 settembre 1983: in
Sudan, il presidente Nimciri fa applicare integralmente la
sharî’a (legge islamica); 19 agosto 1985: visita
di Giovanni Paolo II a Casablanca, sull'invito del Re Hasan II
(Marocco); 7 novembre 1987: in Tunisia, "golpe bianco",
Bûrghiba destituito. Ben Ali presidente ("promesse"); 31
luglio 1988: la Giordania rinuncia alla Cisgiordania (a favore
dell'Olp); ottobre 1988: in Algeria, manifestazioni
popolari, tante vittime, riforme, libertà ritrovate, nascita
del Fronte di Salvezza Islamica (Fis) ed altri movimenti;
febbraio 1989: in Tunisia, il Mti diventa il partito
an-Nahda, ma i suoi leaders sono all'estero; 30 giugno 1989:
in Sudan, il generale Bashir presidente (golpe), sostenuto da Hasan
al-Turâbî; 22 ottobre 1989: accordo di
Tâ'if per il Libano (nuova costituzione, pace precaria
ritrovata); giugno 1990: in Algeria, successo del Fis alle
elezioni per le giunte comunali; 2 agosto 1990-2 marzo
1991: crisi e "guerra del Golfo", Iraq sotto embargo,
manifestazioni popolari; 30 novembre 1990: unificazione dei
due Yemen, non senza problemi nuovi; 25-28 aprile 1991: a
Khartum (Sudan), Congresso popolare arabo e islamico (Hasan
al-Turâbî); 26 dicembre 1991: in Algeria,
trionfo del Fis al primo turno delle elezioni legislative; 1
gennaio 1992: l'egiziano Butrus Ghâli, segretario
generale delle Nazioni Unite; 11 gennaio 1992: sospensione
del processo democratico, golpe militare, Chadli Benjedid
destituito, Muhammad Bûdiaf presidente dell'Alto comitato di
Stato; 21 gennaio 1992: embargo sulla Libia (vie aeree);
29 giugno 1992: in Algeria, ancora, Bûdiaf è
assassinato, repressioni, lotte armate tra esercito e Gruppi
islamici armati (Già), il Fis nella clandestinità o
all'estero; 10 febbraio 1993: visita di Giovanni Paolo II a
Khartum; 13 settembre 1993: dopo le trattative di Madrid,
Washington e Oslo, "dichiarazione di principio sull'autonomia dei
territori occupati", autorità palestinese a Gaza-Jerico
(ritorno di 'Arafat e dell'Olp in Palestina); .31 gennaio 1994: in
Algeria, il generale Liamine Zéroual, presidente
(trattative...).
3 - Dal 1934, con la creazione del parttlo neo-Destour, la lotta si intensifica e prsegue durante la guerra mondiale, quando la Tunisia viene occupata per alcuni mesi dalle truppe tedesche. Il ritorno dei francesi nel 1943 provoca una nuova ondata di arresti e di repressioni: Habib Bourghiba, leader della resistenza e capo del Destour, è costretto all'esilio. La lotta armata, animata dai contadini, si inasprisce. Il 31 luglio 1954 il govemo francese è costretto ad accordare al Paese l'autonomia interna. 20 marzo 1956: dopo un travagliato processo negoziale viene proclamata la piena indipendenza. Habib Bourghiba rientra dall'esilio e indice le elezioni per l'assemblea costituente; 25 aprile 1956: lo stesso Bourghiba, dopo la vittoria a larga maggioranza del suo partito, forma il primo governo; 25 luglio 1957: l'assemblea vota la fine dell'ordinamento monarchico (deposizione del bey Sidi el-Amin) e l'instaurazione di un regime repubblicano. Bourghiba viene eletto presidente della repubblica; 1 giugno 1959: la nuova costituzione attribuisce al presidente della repubblica l'esercizio del potere esecutivo e sancisce il principio di monopartitismo. Tuttavia, fino al gennaio 1963, il partito comunista potrà continuare ufficialmente la propria attività. Vengono avviate ampie riforme sociali, soprattutto nel settore dell'istruzione e del diritto matrimoniale; giugno 1961: la pianificazione economica viene orientata in senso socialista; luglio 1961: tensione con la Francia in seguito alla richiesta tunisina di evacuare la base di Bizerta. Combattimenti con morti e feriti per l'intervento dei paracadutisti francesi. L'Onu riesce a bloccare il conflitto e riconosce la sovranità tunisina, maggio 1964: la legge di riforma agraria stabilisce la confisca delle proprietà agricole straniere. Viene decisa una radicale ristrutturazione agricola e industriale con l'obiettivo di formare un sistema produttivo di tipo cooperativistico. Il progetto, osteggiato dalla borghesia locale, dai latifondisti e in parte dalla stessa popolazione rurale, fallisce. La politica economica si indirizza allora verso un marcato liberalismo; 2 gennaio 1974: proclamazione della Repubblica araba islamica (unione tra Tunisia e Libia) che dura solo due giorni. Il ministro degli esteri Mohammad Masmoudi, fautore dell'unione, viene sconfessato dal partito ed esiliato;18 marzo 1974: Bourghiba è proclamato presidente a vita; 1975-1978: conflitti sindacali con scioperi di massa che culminano (26 gennaio 1978) in uno scontro violento tra lavoratori e governo. La polizia e l'esercito reprimono i disordini che si concludono con oltre cento morti e con l'arresto di Habib Achour, segretario generale della potente centrale sindacale (Ugtt: Union general des travailleurs tunisiens) e di altri leader sindacali; 1979: la Lega degli Stati arabi si riferisce a Tunisi in seguito al boicottaggio nei confronti dell'Egitto dopo gli accordi di Camp David. Segretario generale della Lega diviene il tunisino Chadli al-Klibi; 8 settembre 1979: al X Congresso del partito socialista neo-Destour, Hedi Nouira, primo ministro in carica, viene designato da Bourghiba come suo successore, ma, qualche mese dopo si ammala e abbandona gli impegni politici; 27 gennaio 1980: scoppiano tumulti a Cafsa (circa 350 km. a sud-ovest di Tunisi) che causano venti morti e una decina di feriti. L'esercito piega la resistenza dei guerriglieri che si sono impadroniti della città; 30 gennaio 198O: il governo accusa Gheddafi di complicità nei disordini di Gafsa, rompe le relazioni diplomatiche con Tripoli e richiama i tecnici tunisini che operano in Libia; 27 marzo 1980: la Corte per la sicurezza dello Stato condanna a morte 15 (2 in contumacia) dei 59 imputati per i fatti di Gafsa: il 17 aprile hanno luogo le esecuzioni (n.d.r.).
4 - Dopo la prima guerra mondiale anche in Algeria cominciano a manifestarsi i primi tentativi di organizzare un movimento di liberazione: Messali Hadj fonda in Francia il primo giornale nazionalista (1925) e l'organizzazione filocomunista Stella nordafricana (1926). Negli anni successivi il movimento nazionalista si articolerà in tre correnti: quella radicale di Messali Hadj, che si batterà per l'indipendenza totale trasformando nel 1937 la Stella nordafricana nel Partito popolare algerino (Ppa); quella più moderata degli intellettuali, riuniti nei Giovani algerini e nella Federation des élus indigènes, capeggiata da Ferhat Abbas e da Mohammed Bendjellul, che lotterà per un'integrazione egualitaria con in Francia; quella di rinnovamento religioso e culturale promossa dallo sceicco Abd al-Hamid ben Badis (1889-1940) e dagli ulama sostenitori della rinascita araba e della separazione dalla Francia (a loro si deve, nel 1931, la nascita dell'Associazione degli ulama riformisti). Questi movimenti si scontreranno con l'irriducibile intransigenza di Parigi e dei francesi d'Algeria: costoro, dopo la seconda guerra mondiale, minacciano di attuare una secessione, qualora sia alterato lo status sociale privilegiato dei coloni. A partire dal 1943, quando lo richieste avanzate dal moderato Ferhat Abbas con il Manifesto del popolo algerino - che chiede tra l'altro il recupero dell'arabo come lingua ufficiale – vengono respinte, tutte le forze nazionaliste algerine si schierano in favore della lotta per l'indipendenza; nel 1945 esplode a Setif e a Guelma una rivolta, repressa nel sangue (45.000morti), e il Ppa viene sciolto. Nel 1946 Ferhat Abbas costituisce l'Unione democratica del manifesto algerino (Udma) e nel 1947 i militanti del Ppa creano il Movimento per il trionfo delle libertà democratiche (Mtida), sotto la guida di Messali Hadj; il 20 settembre1947, su pressione di Parigi, l'Algeria adotta un nuovo statuto che prevede l'elezione di un'assemblea. I coloni oltranzisti (ultras) respingono anche questa iniziativa; nel 1954, da una scissione del Mtllda, nasce al Cairo il Fronte di liberazione nazionale (Fin), che l'1 novembre chiama tutti i cittadini alla lotta armata. L'intransigenza degli ultras, sostenitori dell'Algeria francese, provocherà una guerra destinata a durare sette anni. I francesi ricorreranno a bombardamenti al napalm, torture, deportazioni di massa e massacreranno un milione e mezzo di algerini; 1 agosto 1956: primo congresso del Fin nella valle della Soummam, in Kabylia. Si delineano i tratti socialisti della futura repubblica e si costituisce un Consiglio nazionale della rivoluzione algerina (Cnra). I contadini sono l'asse portante della lotta di liberazione; gli operai sono chiamati a sostenere la rivoluzione appoggiando il nuovo sindacato, l'Ugta (Union generale des travailleurs algériens); si ribadisce il rifiuto dei partiti tradizionali, compreso quello comunista; gennaio-settembre 1957: battaglia di Algeri. La casbah è teatro di violenti combattimenti; maggio 1958: uno sciopero generale proclamato dal Fin provoca una feroce repressione da parte delle autorità militari. Formazione, in esilio, del primo Governo provvisorio della Repubblica algerina (Gpra),presieduto da Ferhat Abbas, sostituito poi da Ben Khcdda nell'agosto 1961; settembre1959: il presidente francese De Gaulle appoggia il diritto degli algerini all' autodeterminazione e avvia segreti negoziati con i rappresentanti del Gpra; gennaio 1960: Houari Boumediène assume il comando dell'"Armée de Libération national" (ALN), l'esercito rivoluzionario; 8 settembre 1963: viene approvata la costituzione; 15 settembre 1963: Ben Bella è eletto presidente della Repubblica; ottobre 1963: "guerra delle sabbie" con il Marocco sul problema delle frontiere a Tinduf e Hasci Beida, risolto con la mediazione dcll'Oua. È l'inizio di uno stato quasi permanente di frizione fra i due Paesi; 16-21 aprile 1964: primo congresso del Fin ad Algeri. Adozione della Carta di Algeri, che conferma le scelte socialiste del governo; 19 giugno 1965: colpo di stato incruento. Ben Bella viene destituito e imprigionato da un Consiglio della rivoluzione di 26 mèmbri, presieduto dal ministro della difesa Boumediène che diviene capo del governo. Viene abolita la prima costituzione. Si rafforza la politica estera di non allineamento e, all'intemo, la strutturazione economica socialista; maggio 1966: avvio della politica di nazionalizzazione per recuperare le risorse economiche necessarie allo sviluppo del Paese. I primi provvedimenti riguardano le miniere e le compagnie di assicurazioni; giugno 1967: rottura delle relazioni diplomatiche con gli Usa in seguito alla Guerra dei sei giorni; 10-25 dicembre 1967: conferenza, ad Algeri, dei 77 Paesi in via di sviluppo; 15 dicembre 1967: viene sventato un colpo di stalo delcolonnello Tahar Zbiri; maggio 1970: dopo sette anni migliorano i rapporti con il Marocco. Firma di un impegno di mutua cooperazione sulla questione della presenza spagnola in Nord Africa, seguito, nel giugno 1972, da un accordo per la definizione dei confini; 24 febbraio 1971: nazionalizzazione di tutte le società petrolifere francesi (al 51%) e del gas (al 100%); maggio 1974: in un discorso davanti all'assemblea dell'Onu, Boumediène propone la revisione radicale dell'ordine economico intemazionale sostenendo che il vero conflitto del XX secolo non è più quello fra Est e Ovest ma quello fra Nord e Sud, fra Paesi ricchi e Paesi poveri; 1975: si propone a livello intemazionale il problema del Sahara spagnolo,una questione che deteriora nuovamente i rapporti tra Algeria e Marocco. Il 14 novembre 1975 il Marocco si annette i due terzi del territorio conteso. Algeri sostiene apertamente i guerriglieri del Polisario (Fronte per la liberazione del Saguia el-Hamra e del Rio de Oro) che si battono per l'indipendenza e la costituzione di uno Stato nell'ex colonia spagnola; dicembre 1975: rottura delle relazioni diplomatiche con il Marocco; 27 febbraio 1976: Algeri riconosce la Repubblica araba sabrani democratica (Rasd); 22 giugno 1976: è approvata con referendum una Carta nazionale; 19 novembre 1976: con un secondo referendum viene approvata una nuova costituzione che conferma e amplia la scelta socialista della Carta di Algeri e ne consolida le basi istituzionali completando il processo ideologico avviato vent'anni prima nella valle della Soummam; 10 dicembre 1976: Boumediène è eletto presidente della Repubblica. Alla legittimità rivoluzionaria si sostituisce, con il voto popolare, quella costituzionale; 25 febbraio 1977: viene eletto un nuovo organo: l'Assemblea popolare nazionale; dicembre 1977: l'Algeria si schiera con i Paesi del Fronte della fermezza (Iraq, Libia, Siria, Olp, Yemen del Sud) nel condannare l'iniziativa di pace bilaterale di Sadat nei confronti di Israele; 27 dicembre 1978: Boumediène muore; 7 febbraio 1979: il colonnello Bcndjedid Chadii viene eletto presidente della Repubblica dopo essere stato nominato segretario generale del Fin e si impegna a rinforzare le nuove strutture politiche ed economiche; aprile 1980: scoppiano in Kabylia incidenti tra le forze dell'ordine e la popolazione che rivendica il diritto a un più ampio riconoscimento dei valori etnici e culturali della regione; ottobre 1980-gennaio 1981: mediazione algerina tra Iran e Usa sulla questione degli ostaggi americani; 3 maggio 1982: muore in un incidente aereo il ministro degli esteri Mohamed ben Yhaia che stava trattando una soluzione pacifica del conflitto fra Iraq e Iran; 26 febbraio 1983: Bendjedid Chadii incontra Hassan II del Marocco e si riallacciano relazioni diplomatiche (n.d.r.).
5 - 16 novmbre 1955: Mohammed ben Yussuf rientra dall'esilio e due giorni dopo sale al trono con il nome di Mohammed V; 2 marzo 1956: la Francia riconosce l'indipendenza del Marocco dopo 44 anni di protettorato; 7 aprile 1956: anche la Spagna riconosce l'indipendenza, pur mantenendo l'enclave di Ifni, il Sahara occidentale e le città di Ceuta e Melilla; 1957-1960: la ricostruzione sociale ed economica del Paese è resa precaria dall'incapacità del partito di governo, l'Istiqlal, di rappresentare le istanze riformistiche del popolo marocchino e dall'assenza di una costituzione; 1959: l'Istiqlal subisce una scissione a sinistra. Nasce l'Unione nazionale forze popolari (Unfp) diretta da Mehdi ben Barka e Abderrahim Bouabid; 1960: il partito comunista di Ali Yata viene dichiarato illegale; 26 febbraio 1961: muore Mohammed V, gli succede il figlio Hassan II. La morte del Re è all'origine di una serie di contrasti intemi, accentuati dalle tendenze assolutistiche del nuovo sovrano; dicembre 1962: è approvata la costituzione; 1963: scontri armati alle frontiere con l'Algeria. Le divergenze tra i due Paesi verranno sanate nel 1969 in seno all'Oua, ma l'antagonismo con Algeri resterà una costante della politica marocchina. Si radicalizza intanto l'opposizione alla monarchia: aumenta lo scontento fra le masse urbane e rurali e fra gli intellettuali; marzo 1965: insurrezione popolare a Rabat e a Casablanca; 7 giugno 1965: viene abrogata la costituzione e dichiarato lo stato di emergenza; ottobre 1965: viene rapito e ucciso Mehdi ben Barka, prestigioso leader dell'opposizione; 1969: la Spagna restituisce al Marocco l'enclave di Ifni; luglio 1971: il sovrano sfugge a un attacco sferrato durante una festa nella reggia estiva di Skhirat. Il generale Medbuh e il colonnello Ababu, organizzatori del complotto, vengono giustiziati; agosto 1972: l'aereo di Hassan II viene mitragliato nel cieclo del Marocco. Ancora una volta il sovrano riesce a salvarsi. Il ministro della difesa, generale Oufkir, responsabile del fallito colpo di stato,si suicida. 1 due attentati costringono il sovrano a rivedere la sua politica: procede a una nuova distribuzione di terre ai contadini, approva il ritorno a un sistema costituzionale e consente una cauta apertura ai partiti dell'opposizione. In politica estera promuove più stretti legami con i Paesi arabi, islamici e africani; 6 ottobre 1973: durante il conflitto arabo-israeliano, il Marocco invia alcuni reggimenti che combattono sul Golan; 1974: il partito comunista marocchino, disciolto una prima volta, nel 1960 e una seconda nel968, torna alla legalità come Partito del progresso e del socialismo (Pps). Nello stesso anno Abderrahim Bouabid si dissocia dall'Unfp e costituisce l'Usfp (Unione socialista delle forze popolari) che si situa più a sinistra. Dopo lunghe trattativc con la Spagna il Marocco ripropone alle Nazioni Unite Ir sue rivendicazioni nazionali sul Sahara occidentale; 31 ottobre 1975: Hassan II organizza una spettacolare manifestazione popolare per costringere Madrid ad abbandonare il Sahara: la Marcia verde, cui partecipano oltre 350.000 marocchini disarmati, varca i confini meridionali del Paese; 14 novembre 1975: accordo a Madrid tra la Spagna, che si impegna a lasciare il Sahara conservando alcuni privilegi economici, il Marocco, che si annette due terzi della regione (ricca di fosfati), e la Mauritania, che occupa il sud (ricco di ferro); 26 febbraio 1976: alla data stabilita gli spagnoli si ritirano. La spartizione dell'ex Sahara spagnolo non è riconosciuta dalle Nazioni Unite e dall'Oua; novembre 1976: il Polisario (Fronte popolare di liberazione della Saguia el-Hamra e del Rio de Oro), fondato nel maggio del 1973 e appoggiato dall'Algeria e dalla Libia, rivendica l'indipendenza dell'ex Sahara spagnolo e proclama la Rasd (Repubblica araba sahraui democratica). La guerriglia si trasforma ben presto in un conflitto di vaste proporzioni, sul quale Hassan II fa leva per ricomporre le divisioni interne e guadagnare consensi. Nello stesso anno il consiglio dei ministri dell'Oua riconosce il Fronte Polisario; novembre 1976: elezioni comunali; giugno 1977: elezioni politiche per la costituzione di un nuovo parlamento. I risultati premiano il partito filo-monarchico degli indipendenti, che conquista 141 seggi su 264; 49 seggi vanno all'Istiqlal, 44 al Movimento popolare (sostenuto dai berberi), 16 all'Usfp, 1 ai comunisti e 13 ad altri gruppi. La guerra nel Sahara si fa sempre più aspra e tiene impegnato l'esercito marocchino. Le spese militari assorbono percentuali sempre più elevate del bilancio dello Stato; 12 luglio 1978: la Mauritania, in seguito a una crisi politica internazionale, firma una tregua con il Polisario; 5 agosto 1979: accordo ad Algeri tra la Mauritania e il Polisario; 11 agosto 1979; il Marocco assume l'amministrazione della parte meridionale del Sahara occidentale. La regione diviene la quarantesima provincia del regno; 1980: Hassan II propone un vertice dei capi di stato e di governo di tutti i Paesi sahariani al fine di elaborare una politica e una gestione comune delle risorse umane e materiali del territorio; 23 marzo 1980: incontro in Vaticano tra Giovanni Paolo II e Re Hassan in qualità di presidente del Comitato per al-Qods (Gerusalemme); settembre 1982: Hassan II svolge un ruolo di primo piano, con Re Hussein di Giordania e Re Fahd d'Arabia Saudita, nell'elaborazione del piano di pace per il Medio Oriente approvato al vertice di Fes. Liberatosi del pesante giogo coloniale, il Marocco ha tuttavia mantenuto legami privilegiati con l'Europa occidentale e ha sviluppato negli ultimi anni rapporti di amicizia e di cooperazione con gli Stati Uniti, solo in parte bilanciati da un accordo commerciale trentennale siglato con l'Urss nel dicembre 1977. Gli Usa rappresentano per Rabat la principale fonte di finanziamenti e di forniture militari, indispensabili per sostenere lo sforzo bellico nel Sahara e per far fronte alle difficoltà economiche. Il Marocco, viceversa, per la sua posizione strategica sullo stretto di Gibilterra, costituisce un anello di fondamentale importanza nel sistema difensivo occidentale. Paese a un tempo arabo e africano, il regno marocchino è diventato un centro nodale dell'interscambio economico e culturale tra le due aree geografiche. Schierato con i Paesi arabi moderati o filo-occidentali, ha spesso svolto un ruolo decisivo nel risolvere i conflitti tra gli Stati della regione, anche se non è mai riuscito a risolvere lo stato di tensione con l'Algeria e la Libia, alleate del Fronte Polisario. Rabat sostiene attivamente la causa palestinese. In politica intern, il lento e contraddittorio processo di democratizzazione delle istituzioni si scontra con la difficile realtà economica e sociale e con il permanente stato di conflittualità nelle regioni sahariane (n.d.r.).
6 - In Algeria, negli ultimi anni, le bocciature all'esame di maturità sono state dell'80%; i giovani pertanto vanno allo stadio a vedere le partite di calcio o a bere birra o nelle moschee nuove dove si prepara il Fronte Islamico di Salvezza.
7 - Nel 1988 in Algeria la società civile si è ribellata, vi sono stati centinaia di morti nelle strade, ma si è ottenuta la libertà di stampa e di associazionismo. Ciò tuttavia ha generato anche l'assoluta emergenza del movimento fondamentalistico musulmano.
8 - Nei Paesi musulmani l'Islàm è la religione di Stato e tutta la struttura di trasmissione dell'Islàm come religione, cultura e sistema socio-politico, alle nuove generazioni passa tramite il sistema scolastico, i mass-media e i tribunali.
9 - In particolare operano per rendere le leggi conformi alla Sharî'a (Corano, Sunna,scuola hanbalita wahhâbita), esigendo soprattutto che venga applicata nei settori più emblematici: quello dello statuto personale (diritto della famiglia) poligamia, ripudio, discriminazione religiosa, sociale (velo); quello del codice penale islamico (taglione, lapidazione dell'adultero, ripudio, morte dell'apostata, ecc.).