Incontri di discernimento e solidarietà
 
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François Heisbourg, Fondation pour la Recherche Stratégique

Iperterrorismo. La nuova guerra,  “Una nuova regola del gioco?”

Meltemi Editore, Roma, 2002, pp. 110-147.




Le conseguenze degli attentati sulla società e sull'economia:

primi spunti interpretativi

Misure antiterroristiche dirette del tipo che abbiamo illustrato non sono che una delle conseguenze degli attentati dell’11 settembre sulla vita delle società umane; a essere messo in crisi dall'attacco e dalle condizioni che guidano l'organizzazione della risposta, infatti, è il funzionamento stesso delle società aperte.

All'indomani degli attentati, negli Stati Uniti la vita economica e politica ha ripreso il proprio corso in un clima di relativa fiducia, dimostrando così a priori la capacità di resistenza e coesione delle democrazie. Tuttavia questi eventi hanno reso più fragile, o quantomeno hanno rimesso in discussione, la validità di alcuni fatti ormai dati per scontati tanto nella vita delle società occidentali quanto in alcune visioni del mondo - intese nel senso proprio del termine. Solo sul lungo periodo sarà possibile misurare la vera e propria portata di simili trasformazioni, qualora si verifichino: è infatti legittimo chiedersi se esse preannunciano rotture destinate a contrassegnare profondamente i nostri sistemi di valori in relazione tanto alla vita politica, quanto alla vita economica o sociale, o se invece si limiteranno a svolgere il ruolo di nuove guide di comportamento, senza esercitare alcun effetto di fondo sugli equilibri e le attività della nostra società. Si tratta senza alcun dubbio della questione fondamentale che oggi rimane ancora aperta, sollevando molteplici interrogativi al di là delle riflessioni di carattere maggiormente congiunturale sui "difetti" (di analisi, di strategie e nei mezzi d'azione) riscontrati nella "corazza" occidentale.

L'analisi del trauma subìto, dunque, va fatta anzitutto ponendolo in relazione con gli equilibri su cui si fondano le nostre società occidentali in generale, dedicando naturalmente un'attenzione particolare a una società come quella americana - emblematica per molti aspetti. A questo proposito è utile operare una scelta fra le moltissime riflessioni, discorsi e commenti sull'argomento susseguitisi sui media in questi mesi, anche se a questo stadio della vicenda qualunque tentativo in tal senso può solo condurci ad abbozzare alcuni spunti interpretativi e di riflessione che non aspirano all'esaustività né tanto meno intendono assumere carattere teorico.

Ci si può domandare anzitutto quali aspetti della percezione che gli Stati Uniti hanno di sé sono stati modificati dagli attentati, chiedendosi poi in cosa è cambiata la percezione che il mondo ha degli USA.

Fine della "eccezionalità" americana?

Come hanno dimostrato i moltissimi articoli e reportages realizzati in seguito agli attentati, la presa di coscienza dell'irruzione di fenomeni pericolosi e incontrollabili in grado di colpire il nucleo stesso della società nordamericana è causa di una latente inquietudine fra la maggior parte dei cittadini intervistati. Ma al di là della paura per la sicurezza immediata, le reazioni potrebbero anche essere espressione di interrogativi più profondi sui limiti - o addirittura sul carattere illusorio – di quel senso di "eccezionalità" da cui è pervasa quasi tutta la società americana e che l'ha resa ancor più impreparata dinanzi alla "sorpresa" emersa dal dramma dell'11 settembre. In effetti da molto tempo la società americana - osservata tanto dall'interno del paese, quanto dall'esterno - si distingue per una particolare caratteristica: quella di attribuire grande valore all'idea, da essa stessa coltivata, di un suo primato naturale che - si dice - sarebbe alimentato dal senso di superiorità, dallo spirito di innovazione, da un gusto per il rischio e per l’“impresa” (nel senso più vasto del termine) esteso a ogni aspetto dell’esistenza – tutti fattori che condurrebbero a una forma di invulnerabilità. Nulla di strano che gli attentati abbiano compromesso quest'immagine, colpendo direttamente un vero e proprio modello di società. L'intento dei primi sforzi politici destinati a fornire una risposta ai molteplici interrogativi seguiti agli attentati è stato allora di ricreare la fiducia che gli Stati Uniti hanno in se stessi e nel proprio sistema. Quegli sforzi sono una spia dello shock subito da un'intera società, che è stata presa alla sprovvista dagli attacchi e deve ormai proteggere la propria integrità e i propri valori. La creazione di un nuovo Homeland Security Council da parte di George Bush non è che il naturale esito di questo processo: come suggerisce il termine stesso homeland, l'accento è posto non solo sulla protezione del territorio americano ma anche sulla salvaguardia della società, della patria americana. Le scelte semantiche insomma non sono mai neutre: al di là di una logica funzionale volta al coordinamento dei servizi, questo provvedimento dipende innanzitutto da un percorso che intende assumere un valore fortemente simbolico. Il nuovo Consiglio, che potrà contare su circa un centinaio di funzionari diretti da un responsabile politico, avrà uno status di organismo alle dirette dipendenze del Presidente equivalente a quello del National Security Council - come molti funzionari governativi si sono premurati di rammentare. Lo stretto controllo del presidente sull'NSC non punta tanto a garantire una nuova forma di autorità sancita legalmente sui ministri e gli organismi coinvolti quanto piuttosto a mostrare l'atteggiamento determinato del governo, pronto a proteggere la patria americana dal possibile ripetersi di attentati3. Il percorso intrapreso fa dunque piazza pulita del segreto che avvolgeva le attività di Richard Clarke, responsabile della lotta antiterroristica sotto la presidenza Clinton. Le prime misure prese a Washington denotano dunque una certa inquietudine dinanzi alla lenta erosione della fiducia quale caratteristica inalterabile della società americana. In effetti gli autori degli attentati hanno anche voluto distruggere uno stereotipo: quello di una società che per il solo fatto di esistere e grazie alle sue qualità intrinseche - cioè in virtù dell'ipotetico consenso sociale, dell'efficace politica pubblica e della capacità di difendere il cittadino da qualunque pericolo - garantiva il benessere dell'individuo chiamato a farne parte. È sufficiente tener conto del carattere altamente simbolico degli obiettivi colpiti per rendersi conto di tutto questo: infatti a essere stati colpiti sono stati i simboli della potenza economica e militare del primo paese del mondo, mentre a essere messa in discussione è stata la capacità degli Stati Uniti di esercitare un controllo totale sul proprio territorio. Per il governo americano è necessario adoperarsi con ogni mezzo per lottare contro gli insidiosi effetti di sfide che a lungo termine possono indurre forme di debolezza destinate a colpire tanto la società americana nel suo complesso, quanto l'immagine di sé che essa proietta all'esterno.

A questo proposito se in occasione degli attentati si è già istituito un paragone con Pearl Harbor non ci si può esimere dal ricordare un'altra data fondamentale: quella del 4 ottobre 1957, giorno in cui gli Stati Uniti avevano dovuto constatare la loro vulnerabilità con un'angoscia pari a quella odierna. Quella data infatti, simbolo degli esordi dell'era spaziale, aveva visto il lancio del satellite Sputnik da parte dell'Unione Sovietica che rivendicava al tempo stesso il possesso di nuovi missili balistici intercontinentali: era l'esordio della psicosi detta del Missile Gap, che indusse a credere (a torto) nella possibile esistenza di migliaia di missili sovietici sin dall'inizio degli anni Sessanta. Un solo episodio basterà perciò a giustificare lo schieramento dei primi mezzi spaziali di allerta, d'osservazione e d'ascolto, vera e propria assicurazione sulla vita che tutte le amministrazioni USA senza eccezione alcuna si affretteranno a rinnovare e a promuovere.

Al di là di tutto questo, peraltro, la nuova presa di coscienza della vulnerabilità americana risultante da questo "primato" sovietico aveva avuto effetti duraturi nella vita pubblica americana, sia sul piano interno che nei rapporti con l'esterno. In primo luogo vi furono conseguenze sul dibattito politico interno: infatti se esso si è incentrato per molti anni sui problemi della sicurezza militare, si può affermare che già dieci anni prima dell'episodio Sputnik - con l'elaborazione della dottrina Truman detta di containment e le politiche che l'hanno proseguita - le problematiche relative alla sicurezza nazionale erano state promosse se non proprio al rango di argomento elettorale principale almeno a quello di un vero e proprio meccanismo di potere, accettato come tale dalla quasi totalità della società politica. D'altro canto se il trauma dello Sputnik aveva avuto un effetto altrettanto profondo sull'organizzazione stessa dei rapporti fra Stato federale e società americana, un gran numero di responsabili militari e scientifici vedevano nel settore della sicurezza nazionale una vera e propria butter economy - cioè la "parte molle, di burro" dell'economia americana, per usare le parole di Edward Teller - imputando a tale situazione l'umiliazione dello Sputnik: si apriva in tal modo una nuova epoca, caratterizzata da un intenso interventismo dello Stato nella vita economica. In seguito, per ragioni legate a percezioni provenienti dall'esterno - visto che le numerose indagini realizzate sollecitamente dal Dipartimento di Stato avevano messo in luce la diffusa incertezza espressa in alcuni paesi alleati riguardo alle effettive capacità tecnologiche e organizzative americane - al governo era stato chiesto di dimostrare rapidamente il proprio potere in ambito tecnologico e militare, soprattutto dinanzi alle solide convinzioni espresse dai paesi non allineati e al rafforzarsi del prestigio sovietico.

Naturalmente l'analogia si ferma qui, ed è anzi opportuno distinguere il contesto degli attentati dell'11 settembre 2001 da quel confronto diretto fra blocchi che caratterizzava la Guerra fredda. Con l’11 settembre, un sistema politico e militare che dalla fine della Guerra fredda era ritenuto quasi invulnerabile - se non addirittura intoccabile - ha davvero subito un evidente processo di erosione, tanto più che il solo argomento di reale peso politico dibattuto pubblicamente circa le necessità di difesa concerneva la possibile utilizzazione contro gli USA, negli anni a venire, di missili balistici da parte di "Stati canaglia". Ma proprio questa situazione può essere il segno della voglia di ritrovare la fiducia perduta, una voglia simile a quella che quarant'anni prima spinse gli Stati Uniti a opporsi ai sovietici. Sul piano interno, in effetti, un atteggiamento così determinato a reagire preannuncia forse proprio la rapida trasformazione di un'intera società costituitasi attorno alla Guerra fredda e che ancor oggi fatica a liberarsi dei vecchi schemi. Ci si può chiedere inoltre se la situazione prodotta dagli attentati condurrà gli Stati Uniti, in materia di politica estera, a ridefinire sin dalle fondamenta non soltanto le reti di alleanze e i grandi equilibri ma addirittura l'immagine di sé che intendono mostrare al mondo - preoccupati, proprio come nel 1958, di riconquistare il proprio ruolo di modello di sviluppo politico e sociale. In ogni caso sembra possibile affermare che oggi, al di là di una ridefinizione dei rapporti politici, in gioco c'è anche il carattere unico, "eccezionale" del destino americano e il suo rapporto col resto del mondo. Infatti, la percezione del "crollo della fiducia", proprio perché tanto il governo quanto la società americana in tutte le sue componenti - oltre ai governi stranieri e in particolare quelli "amici" - sono riusciti a cogliere l'entità dei "danni" subiti in tale ambito, non potrà che influire direttamente sulla stessa azione politica. A questo proposito le numerosissime testimonianze raccolte dagli Stati Uniti sulla scia di slogan come il "Nous sommes tous Américains" lanciato all'indomani degli attentati dal direttore del quotidiano francese «Le Monde»6 sono altrettanti segni di fiducia e amicizia verso la società americana e la western way of life da essa incarnata.

Così il trauma potrebbe apparire soltanto superficiale e dunque non dar vita a vere e proprie fratture, né rimettere in causa sin dalle fondamenta società politiche che sono giudicate anche alla luce della capacità - manifestata dalla più potente di esse - di "incassare" il colpo senza essere messe in reale difficoltà. Persino negli Stati Uniti, i sondaggi d'opinione realizzati il giorno dopo gli attentati sembravano confermare questa impressione: ne emerge infatti una rinnovata fiducia per i responsabili decisionali e le istituzioni pubbliche in vista della necessità di far fronte alla situazione, oltre a una fiducia nella prosperità economica a lungo termine cui crede il 91% del campione e che contribuisce a rafforzare questo clima di generale ottimismo. Nondimeno lo scenario su cui si muove un'economia in affanno ha il suo peso sulle valutazioni riferibili al breve termine, delineando il periodo attuale come uno dei più neri mai registrati da quando negli Stati Uniti esistono i sondaggi d'opinione, stando almeno alle indicazioni degli istituti specializzati.

Gli attentati dell'11 settembre svolgeranno perciò il ruolo di evento fondante, di importanza paragonabile a quella della Guerra fredda per l'impatto esercitato sulla società americana nel suo complesso? Solo la storia potrà rispondere. Ci si può tuttavia chiedere quale sarà il futuro di quel complesso ideale che fa del destino nordamericano qualcosa di speciale, elevandolo e sottraendolo a ogni confronto terreno o in virtù della politica estera, o di una organizzazione della società ritenuta unica: stavolta infatti a essere messa in questione è anche l'inesauribile voglia di considerare il destino della società americana un fatto "unico", perché quel che si vuole è un assoluto controllo del suo stesso avvenire. Vi sono elementi nuovi al riguardo? A dire il vero, una profonda e dolorosa ferita lacera ormai la coscienza di individui inquieti, disorientati; quasi la metà di loro è convinta che dovrà cambiare stile di vita6, e in tal modo essi esprimono un più vasto problema di comunicazione relativo ai valori che costituiscono l'identità stessa dell'America.

I valori fondanti dell'America sono davvero rimessi in discussione?

Il senso di "eccezionalità" americano si fonda anche su una miscela tra spirito repubblicano quasi militante e carattere autenticamente religioso del percorso dei primi pellegrini che nel secolo XVII sbarcarono lungo le coste del continente, non molto lontano dai luoghi del dramma attuale; tracce di queste origini, del resto, sono ancora presenti un po' ovunque negli Stati Uniti. Quello dei puritani giunti sulla costa orientale degli Stati Uniti - e insediatisi nel territorio che sarebbe divenuto in seguito la Confederazione della Nuova Inghilterra - era per lo più un percorso giustificato anzitutto dalla volontà di creare un nuovo regno di Dio. La speranza di arricchirsi con la creazione di libere imprese non era insomma il solo né il più importante impulso che aveva indotto quegli uomini a stabilirsi su quelle terre ignote; a esso si aggiungeva la volontà di realizzare una società nuova, basata non su valori democratici - non a caso John Winthrop senior, primo presidente della Confederazione, pensava che la democrazia era "la più vile e la più cattiva forma di governo" -, ma sui valori collettivi di rispetto della fede: fu questa prospettiva a svolgere il ruolo di vero e proprio programma politico per i primi coloni. Sin da quell'epoca il richiamo a Dio come unico sovrano ha contribuito a dar forma a un sistema politico e sociale ben presto in grado di coltivare e salvaguardare la propria autonomia di pensiero e indipendenza, simbolizzata all'occorrenza da quella dei suoi magistrati - eretta a vero e proprio principio fondante. In pratica il sistema politico americano poteva giustificare la propria emancipazione e il successivo sviluppo facendo appello alla protezione e persino alla missione che Dio in persona gli aveva assegnato. Naturalmente il movimento inaugurato dalla Massachusetts Bay Company ebbe carattere frammentario; e non era solo questo l'atteggiamento di tutti gli insediamenti del XVII secolo - ad esempio non in quelli fioriti in Virginia o nel Rhode Island. Al tempo stesso è impossibile ridurre il percorso dei "Padri fondatori" della Costituzione a quello dei "Padri pellegrini", come evidenzia peraltro il carattere ben definito del repubblicanesimo americano. Al tempo stesso però la giustificazione religiosa continuerà a restare un principio su cui fondare l'espansione territoriale e costituirà l'ossatura del Manifest Destiny, testo politico formulato da John O'Sullivan nel XIX secolo. Il rinnovamento delle ricerche storiche americane sul puritanesimo e l'idea, difesa da queste ultime, di una vera e propria filiazione dai valori religiosi primari della storia politica degli Stati Uniti sono del resto un chiaro indizio di una particolare sensibilità americana in quest'ambito.


L'estremismo islamico, per quanto concerne l'idea del destino di una "Terra eletta", sembra perciò contraddire direttamente gli impulsi più profondi della società americana. Da questo punto di vista in definitiva non è stato poi così sorprendente udire - nelle parole pronunciate oltre Atlantico - gli appelli a una vera e propria "crociata" nella "lotta titanica che oppone il bene al male": anche se George Bush ha in seguito precisato in che senso aveva usato la parola "crociata" - spiegando che non era a conoscenza del suo valore religioso quando lo si utilizzava in riferimento all'Islam - il suo stesso modo di esprimersi e i riferimenti espliciti o impliciti a una sorta di sacra missione che lasciano stupefatti gli europei si inscrivono proprio nel solco di questa storia particolare. E senza dubbio non bisogna ascrivere al talento di oratore di Bill Clinton il riferimento - in occasione di un discorso pronunciato dall'ex presidente a New York dopo gli attentati alla "libertà di espressione e alla diversità religiosa" come alle virtù cardinali americane, "l'esatto opposto dei valori dei terroristi" (2001). Come se non bastasse, alcune tra le reazioni più immediate mostrano che negli Stati Uniti l'equilibrio fra la tradizione di nutrita presenza di religioni differenti e la presenza di principi repubblicani nel funzionamento del sistema politico può essere colpito direttamente da questo tipo di crisi, naturalmente nel senso di un rafforzamento della presenza della religione nella vita sociale e politica cui fanno appello le posizioni più estremiste7.

Se non si può parlare di vero e proprio scontro religioso, a questo punto è comunque necessario valutare il peso che questi miti di fondazione hanno avuto nelle reazioni americane - tanto più che anch'essi inducono a difendere un'identità particolare ed "eccezionale". In effetti negli Stati Uniti questa convinzione profonda, così radicata nella cultura e nella società americane, non potrà che esercitare il proprio influsso sul dibattito relativo allo Stato e alle carenze del sistema democratico; tale dibattito peraltro - è bene ricordarlo - ha già fatto la sua comparsa anche in seno a tutte le altre democrazie occidentali, sia pure in condizioni del tutto diverse.


Torna il dibattito sulla democrazia?

Eppure è possibile che lo sforzo per mantenere in vita il delicato equilibrio di una società sempre più composita riesca a far fronte alla minaccia in atto: la società americana - e chissà, forse tutte le democrazie - potrà così raggiungere un nuovo equilibrio, sia pure ancora incerto, tra i suoi principi più cari8. Sulla scia degli attacchi dell'11 settembre e dei successivi attentati con uso di antrace, a dire il vero, in molti si sono interrogati circa la possibilità di rimettere in discussione alcune libertà civili in nome di una maggior sicurezza. Dopo il primo momento di shock, alcune associazioni americane per la difesa dei diritti civili hanno prudentemente tentato di mettere in guardia da ogni forma di deriva restrittiva delle libertà; ma in quel contesto di vero e proprio sconvolgimento, il loro margine d'azione era ridotto a poca cosa9. In una situazione dominata dalla necessità di garantire maggior sicurezza, il problema della salvaguardia delle libertà fondamentali si pone in tutte le democrazie - soprattutto se queste, come oggigiorno ritengono quasi tutti i responsabili politici, dovranno dedicare i loro sforzi sul lungo periodo alla lotta contro il terrorismo. Così la Francia, che pure è considerata dalla stampa internazionale un paese all'avanguardia in quest'ambito, si interroga nuovamente riguardo alla possibilità di aumentare i controlli nel settore della cybercriminalità; a questo proposito anzi sta preparando un documento che vedrà la luce nel corso del 2002, allo scopo di riuscire a trovare un equilibrio fra sicurezza e libertà di utilizzo dei nuovi mezzi d'informazione. È probabile però che il più incisivo effetto degli attentati sul funzionamento delle democrazie sarà visibile a livello europeo: basti ricordare ad esempio la brusca accelerazione subita dal progetto di istituzione del mandato di arresto europeo, presentato come un decisivo passo in avanti sul piano giudiziario. Ma l'argomento di gran lunga più discusso fra i paesi membri dell'Unione - e anche il più problematico - è soprattutto quello inerente la modifica delle funzioni di polizia e dei testi giuridici. A tale proposito il caso britannico - con la ripresa, da parte del Ministro degli Interni David BIuknett, del dibattito relativo all'introduzione nel Regno Unito della carta d'identità obbligatoria - assume un ruolo davvero esemplare. Abolita nel 1953 da Winston Churchill, la carta d'identità obbligatoria è tradizionalmente considerata in Gran Bretagna come il simbolo di un attentato alla libertà dei sudditi di Sua Maestà: non a caso l'argomento, reintrodotto con estrema prudenza da John Major nel 1995, era stato ben presto abbandonato perché privo di un adeguato sostegno politico. Ma gli attentati hanno dato vita a una situazione nuova, tenuto conto in particolare delle accuse di cui sono stati oggetto gli inglesi, rei di nutrire un'eccessiva tolleranza nei confronti di comunità considerate "a rischio". Le prime reazioni negative in risposta a queste accuse non hanno tardato a manifestarsi: a farsene interpreti sono state tanto alcune associazioni di difesa dei diritti del cittadino quanto alcuni partiti politici - come il partito liberaldemocratico che ha ufficialmente chiesto a Tony Blair di vegliare affinché "la legislazione si armonizzi col rispetto dei diritti civili all'interno del paese"10. Anche in Germania del resto ha ripreso vigore il dibattito sulla necessità di intensificare le misure di sicurezza interne; ma il cancelliere Schroeder ha sottolineato che nel far ciò non bisogna andar oltre il limite "oltrepassato il quale finiremo per sacrificare i nostri diritti fondamentali alla lotta contro il terrorismo. Andar oltre quel limite significherebbe rimettere in discussione proprio quei valori contro i quali si scagliano i terroristi". L'argomento è particolarmente sentito al di là del Reno, dove il ricordo delle polizie politiche nazista e comunista è ancora nella memoria di tutti; in ottobre anzi il dibattito aveva raggiunto un punto di crisi e il governo era stato costretto a smentire le voci riguardanti un rafforzamento dei controlli su particolari enclave etniche, in seguito alle quali i Verdi" erano stati indotti a paventare un possibile ritiro dalla coalizione governativa. Negli Stati Uniti il dibattito si allarga a macchia d'olio. Un gran numero di giornali continuano a ricordare come in Europa esistano misure antiterroristiche di polizia e di natura giuridica del tutto sconosciute negli USA, interrogandosi sull'effettiva applicabilità di simili provvedimenti in terra americana; e la polemica del resto potrebbe essere soltanto agli inizi. Così John Ashcroft, ministro della Giustizia, ha annunciato meno di una settimana dopo gli attentati l'adozione di un pacchetto di misure giudiziarie per rafforzare la lotta contro il terrorismo. Queste misure prevedono fra ['altro un'estensione del Foreign Intelligence Security Act (FISA), per consentire la detenzione senza limiti di tempo di stranieri che siano anche soltanto sospettati di aver compiuto azioni terroristi- che, oltre a una semplificazione nella richiesta e utilizzo dei procedimenti di intercettazione e ascolto - in particolare prevedendo che tutte le amministrazioni di polizia e giudiziarie interessate possano condividere le informazioni tratte da un'intercettazione.

Le principati misure contro il terrorismo (Anti-Terrorism Act) proposte dall'Amministrazione Bush in seguito agli attentati

- Possibilità di detenzione, per un periodo di tempo indefinito, di cittadini stranieri sospettati di essere terroristi.

- Facoltà di registrare e utilizzare i messaggi telefonici anche senza autorizzazione del giudice.

- Utilizzazione delle informazioni raccolte all'estero su cittadini americani, anche se le tecniche di raccolta dei dati contravvengono al quarto emendamento della Costituzione*

- Obbligo per qualunque operatore Internet di far conoscere informazioni confidenziali (come ad esempio il numero di carte di credito bancarie) a seguito di una semplice richiesta, senza il previo consenso del giudice.

- Facoltà concessa a tutti gli agenti dei servizi segreti e di sicurezza di scambiarsi e condividere le informazioni, comprese le registrazioni telefoniche, senza il previo consenso del giudice.

- Obbligo per ogni sospetto di sottoporsi ai test del dna nel caso di atti legati direttamente o indirettamente al terrorismo.

- Possibile utilizzo di Intercettazioni telefoniche nelle indagini per un periodo di un anno, senza autorizzazione del giudice (invece dei novanta giorni attualmente previsti dalla legge).

- Soppressione dell'obbligatorietà di dichiarare lo svolgimento di intercettazioni per tutti i sospetti soggetti a intercettazioni "di sicurezza nazionale" (a differenza di quanto accade per le intercettazioni giudiziarie).

* Il quarto emendamento, che fa parte della Dichiarazione dei diritti (Bill of Rights), stabilisce il principio secondo cui qualunque indagine intrapresa sui cittadini americani debba esser soggetta a una rigida normativa tecnica e giudiziaria.



Queste misure hanno scatenato l'ira di più di centocinquanta associazioni per la difesa del cittadino di ogni credo politico - si va dall'iperconservatrice Gun Owners of America all'iperliberale American Civil Liberties Union: tutte vedono in questo provvedimento un attentato ai diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Già circola per tutto il paese una petizione che unisce in una coalizione eteroclita i principali movimenti o associazioni, invitando a lottare contro il progressivo annullamento di quelle libertà che sono alla base del “modo di vita americano": l'obiettivo dichiarato è far convergere su un unico fronte di lotta i movimenti di difesa del cittadino e i gruppi che combattono contro l'estensione dei poteri federali. In America infatti il contesto federale non fa che aumentare la sensibilità nei confronti di questo argomento: il dibattito di conseguenza finisce per essere condizionato proprio dall'atteggiamento antifederale in crescita negli Stati Uniti da alcuni anni. Ma le paure suscitate dal progetto di George Bush - che pure ha dichiarato di voler far sì che "gli uomini e donne incaricati di garantire il rispetto della legge possano disporre degli strumenti necessari a sconfiggere il nemico nel quadro della Costituzione" -non hanno contagiato soltanto queste associazioni ma si sono ulteriormente estese sino a trovare una loro eco al Congresso: in quella sede infatti, nonostante non sia mai venuto a mancare il sostegno finanziario ai provvedimenti, sono state espresse su di essi riserve in numero crescente. È il caso ad esempio del senatore Patrick J. Leahy, democratico del Vermont e presidente della commissione per gli Affari giudiziari, il quale ha affermato di temere un'utilizzazione indebita di misure che a suo parere dovevano mantenere carattere eccezionale. Ma molte altre voci, non solo di democratici ma anche di repubblicani, si sono espresse in tal senso: tutte hanno messo in dubbio che il rafforzamento delle misure di polizia fosse davvero un provvedimento innocuo per le libertà pubbliche. I parlamentari, ben consci del fatto che l'esecutivo poteva approfittare degli eventi per accrescere il proprio margine di manovra, hanno accolto con una certa inquietudine il rafforzamento dei poteri dell'Amministrazione prodotto dall'adozione di un pacchetto di misure di sorveglianza difficilmente controllabili da parte del Congresso. Così Robert Barr, leader iperconservatore della Georgia, ha espresso con più irritazione il proprio disappunto per la premura con cui il governo stava affrontando l'argomento in occasione dell'audizione di John Aschcroft innanzi alla commissione Affari giudiziari della Camera. Secondo Barr - come per la maggior parte dei suoi colleghi - l'amministrazione ha tentato di far passare in blocco un insieme di disposizioni, senza dar tempo ai legislatori di "assimilare" proposte che avrebbero potuto avere gravi conseguenze per diritti che ormai gli americani considerano acquisiti. Nell'adempiere al proprio dovere di rappresentante del popolo, la commissione Affari giudiziari finiva così per difendere implicitamente anche il ruolo stesso dell'istituzione legislativa. Il risultato era un testo che avrebbe sensibilmente ridotto le aspettative presidenziali: la versione della legge presentata dalla Camera dei rappresentanti" propone ad esempio di limitare la detenzione dei sospetti stranieri a sette giorni, di applicare una rigida regolamentazione delle procedure di sorveglianza e duplicazione su Internet con esplicito riferimento ad attività che mettano a rischio la sicurezza nazionale, di istituire un regime di condivisione delle informazioni molto controllato impedendo che gli scambi avvengano direttamente fra gli organismi coinvolti e prevedendoli soltanto nell'ambito di un quadro giuridico. Tutte queste misure insomma, al pari della scelta del Senato di preparare una propria versione della legge, sono un chiaro indice di come gli Stati Uniti continuino a manifestare una particolare sensibilità nei confronti di questo argomento. Bisogna infine notare come il dibattito sia tornato ad affrontare un tema che potrebbe essere definito in poche parole come "delitto di razza" o racial profìling, cioè "profilo etnico": si tratta di un dibattito che potrebbe sconvolgere sin dalle fondamenta una società in cui il carattere multirazziale e multiculturale costituisce un tratto sociologico profondo. In effetti gli attentati hanno costituito l'occasione propizia per la ricomparsa della controversia relativa alla pratica dell'arresto indiscriminato in base all'appartenenza a una razza o comunità - misura che nessun tribunale degli Stati Uniti (neppure la Corte suprema) ha mai reputato contraria alla Costituzione. Di recente numerose dichiarazioni hanno messo in luce come l'adozione di pratiche simili andrebbe ormai incontro a un'adesione senza riserve e generalizzata da parte dei giudici, desiderosi di mostrare in questo modo la loro attiva partecipazione alla lotta nazionale contro il terrorismo mettendo addirittura da parte, ove ce ne fosse stato bisogno, le sporadiche riserve che pure avevano avanzato in precedenti occasioni. Così mentre oggi alcuni magistrati invitano a fare attenzione a una possibile deriva del sistema altri, fattisi interpreti della necessità di accrescere la capacità di intervento della polizia negli ambienti arabi o arabo- musulmani, ritengono che nella Costituzione non vi sia alcun ostacolo all'adozione di tali misure. Dal canto loro i difensori delle minoranze affermano che tutte le speranze di veder coronati da successo i loro sforzi di far dichiarare anticostituzionale il "delitto di razza" sembrano ormai svanite in seguito alla formale identificazione dell'origine araba degli autori degli attentati; a loro giudizio anzi questo fatto finirà addirittura col sancire il diritto a svolgere indagini su un cittadino americano adducendo quale unica motivazione la sua origine araba. Altri osservatori ritengono una prospettiva simile alquanto incerta, tenuto conto del fatto che l'appartenenza a una comunità non è mai considerata in sé come un motivo sufficiente a giustificare l'arresto. Secondo la giurisprudenza, peraltro, la tendenza della polizia alla pratica di interventi discriminatori non è mai condannata proprio perché simili interventi sarebbero giustificati non tanto dall'appartenenza razziale in sé, quanto piuttosto dal fatto che alcune appartenenze razziali dimostrano una propensione alla realizzazione di azioni delittuose nei casi considerati. Il limite fra l'arresto motivato e il ricorso sistematico a questa misura, comunque, secondo i detrattori di questa giurisprudenza rimane alquanto incerto: l'applicazione sistematica e generalizzata di questa norma insomma potrebbe trasformarla in una vera e propria legittimazione del "delitto di razza".

Ma al di là di queste battaglie giuridiche, la particolare dimensione legata al carattere multiculturale e comunitario della società americana può trasformare il riemergere di pratiche simili in un vero e proprio nucleo di future tensioni. Si può scommettere anzi che alcune prese di posizione degli intellettuali non passeranno inosservate: è il caso ad esempio delle affermazioni del sociologo Amita T. Etzioni, caposcuola del comunitarismo e consigliere dei coniugi Clinton e di Tony Blair che seguono entrambi le sue indicazioni. Etzioni infatti ha dichiarato a chiare lettere il proprio sostegno alle misure presidenziali di rafforzamento della sicurezza, e una simile dichiarazione non fa che sottolineare la grande importanza di un dibattito di natura sociale destinato a riemergere al di là dell'Atlantico, se proprio uno dei più ardenti difensori di una teoria assoluta del multiculturalismo mostra di essere al tempo stesso uno dei più convinti fautori di una riduzione dei diritti civili nell'attuale situazione di crisi. In questo contesto peraltro trova una nuova legittimazione l'antica controversia relativa al comunitarismo, sospettato talvolta di nascondere dietro a un discorso progressista - con cui invita le comunità ad assumere il proprio ruolo nella società senza però rinnegare se stesse - un repubblicanesimo intransigente e così poco attento alla diversità da confondere - almeno agli occhi dei critici del pensiero comunitario - qualunque chiaro riferimento politico, che consenta di identificare i suoi stessi orientamenti ideologici (Lowie 1995). Perciò, man mano che il senso di emergenza assoluta va attenuandosi, il progressivo aumento degli ostacoli giuridici, istituzionali e più specificamente politici fa del rafforzamento della sicurezza pubblica un progetto il cui avvenire rimane incerto, tanto più che la sua adozione potrebbe rendere ancor più fragili i fondamentali equilibri costruiti con difficoltà dopo decenni di scontri. In tal modo una delle conseguenze più importanti degli attentati sarebbe proprio quella di far rinascere lo spettro di una molteplicità di scontri interni, che vanno dalla reazione antifederalista stimolata dalla Guerra fredda e arginata soltanto con estrema difficoltà dall'Amministrazione Clinton (con il fondamentale aiuto di un contesto economico estremamente favorevole) al confronto fra potere legislativo ed esecutivo sfociando in un dibattito placatosi ormai da più di vent'anni. Non a caso da un recente sondaggio emerge che la maggioranza degli americani approverebbe un rafforzamento delle misure di sicurezza presso gli edifici pubblici e di sorveglianza sugli stranieri che vivono negli Stati Uniti, solo una percentuale minoritaria (il 37%) ritiene che anche la sorveglianza sui cittadini americani debba aumentare13.



Un "iperterrorismo" che rende più fragili le società "ipersviluppate"

Gli attentati infine lasceranno senza dubbio tracce nelle certezze date per scontate dal mondo occidentale in campo economico e tecnologico, in particolare richiamando l'attenzione sui fondamenti estremamente fragili di queste ultime. Proprio questo è l'aspetto simbolico degli attentati: il fatto di essere riusciti a "rimaterializzare" una società e una potenza occidentali che assumevano essenzialmente forma immateriale - sia attraverso attività finanziarie o addirittura speculative le cui concrete ripercussioni si sottraggono a ogni valutazione, sia mediante l'avvento dell'era dell'informazione nella quale il dato essenziale è divenuto ormai il dominio delle reti piuttosto che dei territori.

Per un certo periodo è parso che le società occidentali avessero "staccato la spina", incapaci di capire in che modo un attentato terroristico potesse produrre effetti tanto profondi e traumatici nel mondo dell'economia liberale14. Così la chiusura di Wall Street per cinque giorni è stata accolta con sorpresa e inquietudine, mentre gli investitori continuavano a dare segnali di una scarsa fiducia generalizzata su tutti i mercati internazionali. Solo l'intervento delle Banche centrali è riuscito a mantenere i tassi di cambio entro limiti ragionevoli.

A fronte di quest'indebolimento dei mercati, l'attività industriale che sta attraversando un periodo difficile è oggetto di serie preoccupazioni da parte della popolazione: non a caso alla fine di settembre il 46% degli americani pensava che la società presso cui lavorava avrebbe subito ripercussioni in seguito agli attentati. Queste conseguenze concrete sull'attività delle imprese potranno forse dar vita alla ricostruzione di una economia dal carattere più accentuatamente "domestico"; negli Stati Uniti, una tendenza simile è manifestata dalla volontà di sostenere l'attività produttiva incentivando i consumi, che sembra contraddire le previsioni pessimistiche in quel campo dell'economia. Bisogna notare peraltro che non sono mancati gli inviti, da parte dei politici, a sostenere la produttività con queste misure; persino in Francia si è assistito a un appello da parte del governo lanciato alla fine di settembre prima da Elisabeth Guigou e poi dallo stesso Lionel Jospin.

Corollario essenziale di qualsiasi periodo di "depressione" economica, il ricorso al consumo quale mezzo per sostenere la produttività è presentato come un atto di patriottismo e in un certo senso rappresenta forse l'altra faccia di quel "ritorno sulla terra", di quella rimaterializzazione dell'economia che indubbiamente è una delle conseguenze più inattese degli attentati. Le incertezze tuttavia sono ancora moltissime, stando almeno a quanto ha affermato la Banca mondiale: in un rapporto datato primo ottobre 2001 tale organismo esprime tutta la propria inquietudine per il livello di dipendenza delle economie da una ripresa dei consumi, e descrive una situazione catastrofica per i paesi del Sud. Il crollo delle attività legate al turismo o allo sfruttamento di materie prime nonché l'aumento della distanza economica fra paesi - cui fra l'altro ha contribuito, da parte degli grandi organismi finanziari su scala mondiale, una politica dei prestiti favorevole ai paesi che aderivano alla lotta contro il terrorismo - potrebbero rapidamente condurre a un ulteriore deterioramento della situazione dei paesi più poveri. Il sostegno pubblico che giunge dai paesi più sviluppati, pur con tutte le incertezze politiche da cui è avvolto, si rivelerà di fatto un elemento determinante dell'evoluzione in atto15. L'insieme di questi fenomeni investe con assoluta precisione il nucleo del processo di mondializzazione dell'economia e delle società. I governi occidentali sono indotti a rimettere in discussione in particolare il principio del liberalismo applicato ai flussi finanziari, nel tentativo di lottare contro il riciclaggio del denaro sporco o di isolare le fonti di finanziamento degli autori degli attentati. Si tratti dell'abolizione dell'anonimato nelle transazioni - provvedimento di cui si attende con ansia l'adozione - o delle frequenti tentazioni di applicare un giro di vite che renda più difficile l'immigrazione, tutte le misure previste nei principali paesi occidentali fanno riemergere i regolamenti nazionali come fattore destinato a svolgere forse un ruolo più determinante di quanto avrebbero immaginato i gruppi decisionali incaricati di regolare la vita economica internazionale. A dispetto della cooperazione nelle attività di polizia e della necessaria armonizzazione sul piano giuridico - provvedimenti annunciati da tutti i governi coinvolti - le misure che vanno affermandosi in ambito statale si inseriscono prima di tutto in contesti economici e sociali molto diversi fra loro, e riflettono proprio per questo approcci diversificati ai problemi. In questo senso è probabile che gli attentati dell'11 settembre eserciteranno un effetto di lungo termine sull'iter dei progetti di armonizzazione economica e sociale, e forse influiranno a più lungo termine anche sul fenomeno noto come "mondializzazione", sino a ora apparso inarrestabile. Nel caso in cui si verifichi un nuovo atto d'iperterrorismo, è verosimile che quest'ipotesi possa trovare una decisiva conferma.

Ritorno alla normalità?

In effetti tutti gli schemi di cui facciamo uso per capire il mondo sono stati presi quasi alla sprovvista dagli attentati, sia per la loro forza d'urto dal punto di vista puramente tecnico sia per la loro dimensione politica. Da questo punto di vista gli eventi hanno assunto il valore di un tragico "richiamo alla realtà", nel senso drammaticamente più materiale del termine. Questo richiamo all'ordine del resto non è scattato soltanto per la comunità dei servizi di sicurezza, accusati di fare eccessivo affidamento sui mezzi tecnici; ma anche verso la fiducia generalizzata nelle nostre società colpite in gran parte delle loro attività dallo shock dell'11 settembre 2001 - e l'effetto tocca non solo gli scambi internazionali d'informazioni o i flussi finanziari e la circolazione di persone e beni, ma anche il funzionamento delle collettività. È probabile che i rapporti interetnici saranno i primi a risentire degli eventi, e si scateni una serie di confronti interni più profondi e più gravi16. Ma gli interrogativi investono anche gli aspetti urbanistici, i nostri modi di lavoro, la gestione dei trasporti e dei rischi, lo stesso immaginario collettivo17... Le conseguenze degli attentati sono dunque quasi del tutto imprevedibili, poiché è ancora difficile valutarne l'impatto profondo sia sugli individui che sulle strutture sociali. E dietro gli attentati dell'11 settembre si profila la paura che un gruppo terroristico possa essere indotto a fare un uso efficace di armi di distruzione di massa, una paura tornata a crescere in seguito ai successivi attacchi con l'antrace.


Le armi del terrorismo chimico e biologico

Le armi chimiche

Le armi chimiche sono classificate a seconda detta loro modalità di aggressione. In tal modo è possibile distinguere:

- Agenti vescicanti, che producono vescicazioni e bruciature sulla pelle e in corrispondenza delle mucose distruggendo i tessuti. La più nota è il gas mostarda, utilizzato nel corso della guerra 1915-18.

- Agenti soffocanti, come il cloro, che agiscono sulle vie respiratorie.

- Agenti tossici dell'ossigenazione che conducono alla morte per inalazione, come l'acido cianidrico.

- Agenti neurotossici organofosforatati che agiscono per via respiratoria e cutanea, come il Soman, il Tabun (utilizzato durante la guerra fra Iran e Iraq), il sarìn (utilizzato dalla setta Aum nella metro di Tokyo) o il più pericoloso di tutti, il VX.

- Le tossine, che, sebbene siano organismi viventi, vengono collocate al limite estremo della categoria delle armi chimiche e le armi biologiche perché le si può produrre per sintesi chimica. La più comune è la tossina botulinica, ma altrettanto note sono la ricina e l'enterotossina stafilococcica B.

Le armi biologiche

Si tratta di organismi viventi che si sviluppano in modo naturale. È possibile distinguere fra agenti contagiosi e non contagiosi; inoltre, alcuni di questi organismi possono essere utilizzati per scopi militari:

- I batteri, organismi più grandi dei virus. I più comuni batteri patogeni sono quelli responsabili della malattia del carbonchio (noto con il nome di antrace), della peste, della tularemia, della melioidosi, della febbre Q, della brucellosi e del colera.

- Le rickettsie, che sono forme intermedie tra i batteri e i virus.

- I virus propriamente detti, che possono riprodursi in una cellula ospite e diffondere una malattia come l'influenza, il vaiolo, l'encefalite equina del Venezuela e altre forme di encefalite, ecc.


Il terrorismo non convenzionale: da rischio a realtà

Bin Laden mostra di avere una totale padronanza dell'uso dei media (Lesser, Hoffman, Arquila, Ronfeldt, Zanini 1999, p. 56), e le sue reiterate dichiarazioni circa il possibile impiego di armi chimiche o biologiche hanno fatto scorrere fiumi d'inchiostro18. D'ora in poi il rischio del terrorismo non convenzionale (chimico, biologico, nucleare e radiologico) costituisce l'aspetto centrale di ogni preoccupazione.

Il terrorismo classico a fini politici metteva in atto una forma di dialogo fra aggressore e aggredito, in cui il differente grado di aggressione era un elemento essenziale della contrattazione. Il terrorista insomma deve capire sino a che punto può spingersi senza rischiare di mettere in pericolo la causa per cui lotta ma realizzando, al tempo stesso, i suoi obiettivi; lo Stato colpito invece cerca un precario equilibrio fra il dar la caccia al terrorista per annientarlo e il negoziato. Dopo l'11 settembre, con l'iperterrorismo, la distruzione di massa non è più un tabù: da quel giorno l'impiego di armi biologiche o nucleari non è più impensabile ed è diventato una possibilità reale.

Il fattore tecnologico

Quasi tutti i mezzi necessari all'utilizzo di armi cosiddette di distruzione di massa erano disponibili già da molti anni, ma armi simili erano esclusivamente in possesso degli Stati. La possibilità di accedere alle relative conoscenze e tecniche di realizzazione fa sì che gruppi non statuali possano trarre profitto da un sapere ormai a loro disposizione, spesso del tutto squalificato e addirittura presentato nei minimi dettagli su siti Internet specializzati.

La diffusione delle conoscenze e l'aumento del livello d'istruzione in molte aree della popolazione mondiale hanno giocato un ruolo estremamente importante, ma accanto a questi fattori occorre aggiungere anche la mondializzazione. Insomma la natura bivalente di quasi tutte queste tecniche (in particolare di quelle chimiche e biologiche), la possibilità di accedere a potenti mezzi di calcolo e a una manodopera tecnica mercenaria a volte disposta a tutto hanno fatto esplodere il monopolio sino a ora riservato allo Stato; eppure non tutti i mezzi di distruzione di massa si possono conseguire con facilità, per la loro natura e per i differenti ambiti di volta in volta coinvolti. Per un gran numero di ricercatori, ad esempio, il terrorismo nucleare è considerato attualmente come la possibilità meno facilmente realizzabile: è necessario infatti superare gli ostacoli tecnologici e quelli legati alla miniaturizzazione degli ordigni. Al contrario la semplice diffusione di sostanze radioattive sembra essere, a priori, un obiettivo di più facile realizzazione - naturalmente a condizione che sia possibile procurarsi tali sostanze, cosa meno facile di quel che sembri. Anche il campo biologico del resto è sottoposto a limitazioni tecnologiche e presenta incerte probabilità di successo; la soluzione chimica perciò sembra essere la più accessibile, garantendo una possibilità di impiego relativamente più estesa.

Le possibilità di azione del terrorismo non convenzionale

1- Le armi chimiche e biologiche

Una volta presa la decisione di utilizzare agenti chimici e/o biologici un gruppo terroristico deve decidere l'obiettivo o gli obiettivi da colpire, il tipo di agente tossico da utilizzare e le modalità operative; in seguito dovrà costruire un'infrastruttura destinata a produrre il materiale necessario. Il principale ostacolo tecnico è costituito proprio da quest'ultima fase della programmazione: se infatti il gruppo terroristico non dispone di mezzi di produzione e di un certo quantitativo dell'agente tossico da utilizzare, è impossibilitato ad agire. In generale, per compiere un attentato chimico o biologico è necessario non solo un agente (un composto tossico o dei microrganismi, ad esempio), ma anche un metodo per assicurarne la dispersione. La scelta del primo elemento è determinata dalla disponibilità di prodotti cui si può avere accesso; quanto al metodo di dispersione, è legato alla modalità operativa delineata dagli stessi terroristi.

In caso di ricorso a mezzi chimici, i terroristi possono decidere di utilizzare sostanze esistenti in campo industriale e agroalimentare (insetticidi, erbicidi...) o di produrre essi stessi agenti chimici di natura militare. Quest'ultima possibilità è quella percorsa con parziale successo dalla setta giapponese Aum che aveva prodotto in proprio il gas sarin, un neurotossico inventato dal Terzo Reich. Non si può escludere tuttavia che un gruppo terroristico cerchi di impadronirsi di un agente tossico militare puro (di tipo VX ad esempio); in quest'ultima circostanza, l'utilizzo ne risulta facilitato.

In caso di ricorso a mezzi biologici, gli agenti impiegati saranno scelti in base agli effetti voluti dai terroristi e alla facilità di acquisirli. I terroristi perciò possono cercare di provocare un'epidemia, e questo implica l'utilizzazione di un agente trasmissibile da un uomo all'altro (ad esempio il vaiolo) o da un animale all'uomo (ad esempio la psittacosi). Nel caso i terroristi decidano di limitare geograficamente gli effetti del contagio pur andando in cerca del massimo di distruzione possibile in una determinata località - nella misura in cui mezzi a disposizione glielo consentano -, sarà preferibile far uso di un agente come il carbonchio (Bacillus anthracis) o di una tossina. Vi sono molti modi per garantire la dispersione degli agenti chimici o biologici. Alcuni terroristi ad esempio potranno decidere di disperdere una nube tossica sotto forma di aerosol, o sfruttare sistemi di disseminazione in uso nell'agricoltura19. È possibile far uso di esplosivo, in particolare per gli agenti chimici e a condizione che l'esplosione non distrugga in toto la quantità di agenti utilizzati. Un'altra possibilità è di disperdere gli agenti chimici o biologici in uno spazio chiuso come una stazione della metropolitana: ancora una volta, si tratta proprio di ciò che ha fatto a Tokyo la setta Aum col suo gas sarin semiraffinato. Infine, come ha dimostrato la psicosi antrace, alcuni microbi possono essere recapitati per posta. Se per l'esecuzione dell'attentato non è richiesta alcuna competenza tecnica particolare, le cose non vanno allo stesso modo per quanto concerne la concezione dei mezzi: così, sia in campo chimico che biologico il livello d'istruzione minimo per realizzare e produrre un agente tossico è quello universitario20 . Inoltre sono indispensabili mezzi finanziari per acquistare tutti i prodotti e gli strumenti necessari alla produzione di agenti chimici e/o biologici e gli strumenti per procedere alla loro disseminazione. Infine i terroristi dovrebbero disporre di locali che consentano l'installazione di una vera e propria catena di produzione; la dimensione dei luoghi potrà variare: si va da un appartamento con più camere per la fabbricazione di sostanze chimiche, a un appartamento di meno di cinque locali, per la produzione di agenti biologici. Non è difficile rendersi conto che il terrorismo biologico, a confronto col terrorismo che fa uso di mezzi chimici, ha bisogno di minor spazio; a prima vista dunque rappresenta una soluzione maggiormente attraente; tuttavia non bisogna neppure dimenticare che lo specialista biologo della setta Aum non è stato in grado di tenere completamente sotto controllo il processo produttivo di questo tipo di agenti.

2. Il nucleare e la dispersione radioattiva

In campo nucleare, pur ammettendo che un gruppo di terroristi riesca a procurarsi il materiale fissile necessario (vale a dire almeno una decina di chili di plutonio di qualità militare o di uranio notevolmente arricchito), esso dovrà comunque compiere un lungo percorso per riuscire a portare a termine l'attentato. In effetti la produzione di una bomba, sia pure rudimentale, pone il problema della sua progettazione: più l'ordigno è rudimentale, più materiale fissile è necessario acquisire e a tutto questo si aggiungono le difficoltà del meccanismo di detonazione. La concezione dell'ordigno riconduce inoltre al problema di come trasportarlo. Viste le sue dimensioni e il suo peso, un'arma rudimentale potrà essere trasportata soltanto in nave, in un aereo da trasporto o in un camion e, se le dimensioni lo permettono, dovrà essere sganciata. Se l'ordigno raggiunge un certo livello di miniaturizzazione consentito solo dall'acquisizione di caratteristiche militari, l'arma potrà essere esplosa da un cannone o sotto forma di missile balistico, quando non addirittura trasportata in una valigia. Ma in casi eccezionali l'ordigno non è trasportabile.

Infine, il possesso del materiale fissile non ha nessun valore se non si possiedono le abilità convenzionali necessarie a comprimerlo e a dar vita alla reazione a catena. Per quanto riguarda l'uranio altamente arricchito si può mettere a punto un detonatore relativamente semplice, ma solo se si utilizza un quantitativo notevole di materiale; per quanto concerne il plutonio, il meccanismo di detonazione è assai più complesso e richiede sia il possesso di strumenti tecnici che l'abilità pratica per scatenare un insieme di detonazioni simultanee in una frazione di tempo dell'ordine del nanosecondo. Una simile barriera tecnica lascia ben poche prospettive a un gruppo eversivo, anche se dispone di notevoli mezzi tecnici e finanziari21. In conclusione si può affermare che il percorso da compiere per realizzare un attentato atomico è molto complesso, oneroso e aleatorio; non a caso l'opzione atomica è stata studiata ma poi respinta dalla stessa setta nipponica Aum, e la si può classificare come una possibilità estremamente improbabile. L'ipotesi di un attentato realizzato mediante l'uso di sostanze radioattive, al contrario, rappresenta un grande pericolo: alla sua realizzazione infatti concorrono facilità d'ideazione, di preparazione e di esecuzione, e il forte impatto mediatico e psicologico. L'idea alla base dell'ordigno è semplice: si tratta di diffondere, di solito entro un'area urbana, materiale radioattivo in quantità sufficiente da nuocere alla popolazione. A tale scopo è possibile utilizzare moltissimi prodotti radioattivi la cui gamma comprende combustibili irradiati, cobalto, scorie nucleari, cesio 137, altri isotopi dello stronzio, ecc. Si tratta di prodotti di cui si può entrare in possesso in molti modi, poiché molti di essi sono normalmente usati in ambito industriale o medico. Inoltre li si può disperdere mediante esplosione classica - fenomeno che ci riporta a tutto un "immaginario" legato all'uso delle armi nucleari - ma è anche possibile utilizzare una forma di dispersione per via aerea, o mediante contaminazione delle riserve d'acqua potabile; in quest'ultimo caso tuttavia per raggiungere un livello di contaminazione davvero pericoloso sono necessari notevoli quantitativi di materiale radioattivo. Durante la preparazione, il solo vero rischio corso dal terrorista è quello della contaminazione per contatto con il materiale o il suo contenitore - che spesso presenta un'elevata radioattività; si tratta del resto di una prospettiva messa in atto da gruppi di terroristi ceceni a Mosca dove - con una campagna mediatica che voleva accreditare la capacità della resistenza cecena di distruggere la città - nel 1995 sono stati effettivamente scoperti alcuni elementi di cesio 137 presso il parco Izmailovsky. Bisogna tuttavia notare che ogni materiale radioattivo può essere individuato a distanza senza che i terroristi se ne rendano necessariamente conto, e ciò introduce un elemento ulteriore di attenzione verso le forme di aggressione classiche o di tipo chimico. La nebulosa Bin Laden ha mostrato di saper operare nel lungo periodo e soprattutto di rivendicare una vera e propria volontà di distruzione di massa, di natura non soltanto simbolica. Per questo era davvero difficile non prender sul serio gli "studi di fattibilità" compiuti dagli organizzatori degli attentati dell'11 settembre che hanno mostrato un particolare interesse per gli aerei destinati allo spargimento di sostanze in agricoltura; subito dopo del resto vi sono state le raccomandazioni fatte il 26 settembre 2001 all'indirizzo degli Stati occidentali da parte della direttrice generale dell'OMS, il dottor Gro Harlem Bruntland, con cui si ammoniva ciascun paese a intensificare la sorveglianza contro i rischi biologici e a rafforzare le misure di protezione. L'approvazione pubblica del programma BIOTOX da parte del governo francese resa nota con estrema rapidità (soltanto due settimane dopo gli attentati) sembra costituire un'applicazione tangibile di quelle direttive. D'altro canto la nevrosi prodotta dalle spedizioni di lettere all'antrace ha mostrato come l'attacco biologico potesse costituire un metodo estremamente vantaggioso in relazione al rapporto fra investimento tecnico e risonanza politica e sociale delle azioni terroristiche.

3. Terrorismo nella cybersfera

II terrorismo on line rappresenta una forma del tutto diversa di terrorismo non convenzionale.

Un rapporto recente della Rand Corporation sul new terrorism sosteneva che le nuove tecnologie avessero rafforzato le capacità di Bin Laden in un duplice senso: da una parte rendendo più sicure le comunicazioni fra le sue reti, dall'altra facilitando le azioni offensive a danno degli interessi informatici occidentali (Lesser, Hoffman, Arquila, Ronfeldt, Zanini 1999). Sulla miglior sicurezza delle reti di Bin Laden, è opportuno sottolineare come il boom dei mezzi informatici e del web abbiano consentito di creare reti internazionali "virtuali". L'internazionalizzazione di organismi tenuti assieme da un legame ideologico o religioso è insomma facilitata dal tipo di comunicazione capillare e ramificata offerta da Internet: su server anarchici come Anarchy o Chaos si moltiplicano le ricette per confezionare esplosivi ed è possibile di conseguenza dare vita a organizzazioni flessibili, poco gerarchizzate e poco strutturate, in grado di organizzare sia la difesa mediatica della causa cui sono votate - è il caso del server Taliban, ad esempio - sia delle stesse azioni terroristiche - mediante la suddivisione dei compiti in occasione dell'organizzazione di attentati o dell'attività logistica, l'uso di caselle di posta elettronica, la capacità di "ripulire" il denaro proveniente da fondi illegali ecc. Sulla più facile operatività del terrorismo "informatico", va detto che la padronanza delle tecniche informatiche consente di realizzare offensive sui mezzi informatici di un qualunque paese intasandone i server: si va dall'utilizzo del meccanismo più facile - il virus - alla vera e propria penetrazione nei sistemi strategici, militari o finanziari. Non è inverosimile che organizzazioni molto ricche dispongano anche di mezzi di intercettazione elettronici, e in casi eccezionali di mezzi satellitari e di disturbo. Le "zone grigie" dell'Asia centrale potrebbero facilmente dar ricovero a installazioni di questo genere, per ragioni ideologiche o religiose ma soprattutto in virtù dei possibili introiti finanziari. Del resto simile capacità di adattarsi ai mezzi moderni non è affatto un fenomeno aberrante, visto che il livello da essa raggiunto è determinato prevalentemente dai mezzi finanziari di cui dispongono le organizzazioni. Va subito ricordato però che per creare una rete terroristica "virtuale" pericolosa bastano alcuni computer e Internet, soprattutto quando le legislazioni essenzialmente tolleranti di alcuni paesi assegnano un ruolo importantissimo alla libertà di espressione e la proteggono - basti pensare che in Europa, in paesi come Gran Bretagna e Svezia, sono nati server islamici a sostegno del GIÀ -, o semplicemente a causa dell'assenza di regolamentazione da parte dello Stato - è il caso dell'Italia, ma anche della Francia.

È chiaro che la rete tecnologica è sfruttata sia dalle organizzazioni politiche e terroristiche mediorientali, sia da altre organizzazioni. Perciò il gruppo di analisi sul nuovo terrorismo della Rand Corporation ha messo in luce il massiccio utilizzo della rete da parte di Hamas o degli Hezbollah tanto con finalità "pubblicitarie" quanto al fine di garantire la comunicazione fra le unità di questi movimenti disperse sul territorio (Lesser, Hoffman, Arquila, Ronfeldt, Zanini 1999, pp. 64-67). Si può dunque ritenere - sulla scia di quanto ha affermato Bruce Hoffman (2000, p. 222) - che lo sfruttamento dei moderni mezzi d'informazione e di comunicazione ben si concilia con la capacità dei gruppi di adattarsi al mondo entro il quale evolvono: il terrorismo infatti è alla costante ricerca di un vantaggio qualitativo su forze di sicurezza spesso in ritardo.

La repressione del terrorismo

II terrorismo moderno si configura dunque come una minaccia diffusa, presente con regolarità ma fugace; a comporne le file è una popolazione molto mobile, che alterna periodi di clandestinità a improvvise ricomparse in un paese diverso da quello nel quale era localizzata. Non a caso per meglio descrivere i terroristi d'oggi Ghassan Salame, ministro libanese della Cultura, dopo l'11 settembre 2001 ha utilizzato l'espressione "musulmano errante".

Non è dunque possibile ridurre la lotta contro il terrorismo a un'unica formula. Un primo imperativo è costituito dalla ricerca attenta e minuziosa del responsabile dell'attentato e delle condizioni locali che hanno consentito l'azione (in particolare il modus operandi). In effetti a volte i terroristi non rivendicano espressamente il loro atto; di conseguenza è necessario andare in cerca di rivendicazioni indirette o implicite nei dettagli della fabbricazione di un ordigno esplosivo - vagliando attentamente il tipo di esplosivo utilizzato, l'innesco o il detonatore - o sulla base del modo in cui il gruppo ha colpito. Il terrorismo attuale è un terrorismo ad hoc: si tratta di piccoli gruppi che si riuniscono per realizzare un attentato, ed è dunque particolarmente difficile seguire le tracce e identificarli. Come ogni organizzazione, tuttavia, anche quella dei gruppi terroristici ha bisogno di risorse finanziarie e logistiche per funzionare; agire contro i loro canali di approvvigionamento, pertanto, costituisce una delle necessarie strade da percorrere in vista della risposta.

Le risorse del terrorismo

Nel XIX secolo, i gruppi terroristici avevano bisogno di poco denaro per funzionare. A Narodnaya Volya, che combatteva l'autocrazia zarista, bastavano tranquillamente gli aiuti finanziari dei suoi membri o dei suoi sostenitori più agiati. Quanto ai gruppi anarchici europei, erano quasi privi di mezzi. In seguito, a poco a poco, la ricerca di fondi divenne un bisogno vitale e i mezzi di finanziamento si diversificarono. L'aiuto da parte degli Stati è evidentemente la strada maestra cui qualunque gruppo terroristico potrebbe far ricorso per finanziarsi, ma ormai è un fatto raro poiché il terrorismo non è più sponsorizzato. La Libia, la Corea del Nord, la Siria sono alcuni fra i molti paesi che hanno finanziato questo "terrorismo di Stato" nel corso degli anni Settanta e Ottanta; quanto al gruppo Hezbollah, è ancora sostenuto dall'Iran da cui nel corso degli anni Ottanta riceveva approssimativamente cento milioni di dollari l'anno attraverso l'intermediazione di banche svizzere o austriache. L'aiuto diretto da parte dei militanti e simpatizzanti e il ricorso alla diaspora per i membri delle organizzazioni costituiscono altre due alternative dall'efficacia alquanto diseguale. Quel tipo d'aiuto infatti è possibile soltanto per i movimenti basati su cellule locali, fortemente radicati nel tessuto sociale e accettati come rappresentanti dei loro interessi o delle loro rivendicazioni politico-sociali da un numero sufficientemente grande di persone. All'inizio degli anni Settanta, ad esempio, la maggior parte dei sussidi di cui fruiva il Fronte popolare di liberazione della Palestina proveniva da palestinesi cristiani che vivevano al di fuori della zona del conflitto; quanto all'OLP, deduceva d'autorità il 5% degli aiuti dal salario dei palestinesi che lavoravano per i governi arabi - una prassi del resto praticamente identica alla ritenuta sul salario dei palestinesi che vivevano sul loro territorio operata da moltissimi governi arabi. Oggi invece un uomo d'affari come Osama Bin Laden è a poco a poco divenuto il principale finanziatore delle attività dei terroristi fondamentalisti. Le comunità presso cui si sono stabiliti i gruppi terroristici - qualora ne abbiano una - sono spesso soggette al pagamento di una sorta di "imposta rivoluzionaria", riscossa direttamente dal racket o mediante estorsione: in Spagna l'ETA è un esempio di pratiche simili.

Il nazionalismo tamil ha solide basi nel Sud-Est asiatico (Malaysia e Singapore), nell'oceano Indiano (isola Maurizio), lungo la costa orientale dell'Africa e nel Pacifico (isole Figi). Fuori dall'Asia, si ritiene che la diaspora tamil ammonti a più di 500.000 persone, di cui 300.000 in Europa. L'LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam), organizzazione nata nel 1972 al fine di creare uno Stato tamil indipendente nello Sri Lanka mediante il ricorso alla lotta armata, ordina e controlla con rigore le popolazioni che contribuiscono, volontariamente o meno, a finanziare la sua causa. Secondo fonti turche, negli anni Novanta il PKK (partito dei lavoratori del Kurdistan) avrebbe chiesto ad alcuni lavoratori che risiedevano nel Sud-Est del paese e riuscivano a guadagnare mille dollari netti al mese di versarne sino a 700 nelle casse dell'organizzazione22. Varie organizzazioni curde del Nord iracheno beneficiavano ancora, dopo la guerra del Golfo e approfittando dell'embargo esistente contro l'Iraq, di un traffico clandestino di petrolio che coinvolgeva la regione al confine con la Turchia: per ogni camion che transitava intascavano dal 5 al 10% degli introiti derivanti dalla vendita del carico. Anche le imprese di import-export possono spesso servire a nascondere l'invio di materiale a gruppi terroristici: così alcune società specializzate nell'importazione, l'esportazione, la vendita di ogni sorta di prodotti non regolamentari svolgevano, almeno sino al novembre 1994, attività di spedizione del materiale destinato alle organizzazioni islamiche algerine che operavano in clandestinità (ad esempio è questo il caso della società Impexor di Umran Tekuk, con sede a Parigi). Infine è possibile addirittura che i gruppi terroristici si infiltrino all'interno di alcune imprese o ne creino di proprie. Per far fronte agli ostacoli sempre più grandi che la Siria, messa sotto pressione dagli Stati Uniti, ha opposto allo svolgimento della sua attività pare che il gruppo libanese Hezbollah abbia dato vita a una rete di imprese-paravento, utilizzate come basi logistiche per le attività dell'organizzazione. Cipro è un paese che viene di solito utilizzato per ripulire il denaro sporco convogliandovi i circuiti finanziari dei terroristi, e il suo nome è ricomparso oggi proprio in relazione ai circuiti finanziari dei salafisti vicini a Bin Laden. Le attività terroristiche e/o di grande banditismo - come i rapimenti, i dirottamenti aerei con relativa richiesta di riscatto, la vendita di droga, il racket, la fabbricazione di monete false o l'organizzazione e lo sfruttamento della prostituzione - rappresentano un'ulteriore forma di finanziamento che a partire dagli anni Ottanta si è imposta come una caratteristica saliente del terrorismo. Se in effetti nel corso degli anni Sessanta o Settanta i terroristi non facevano uso di così tanti mezzi di finanziamento di natura criminale o addirittura mafiosa, presso alcune organizzazioni attuali la commistione è tale da farne degli organismi a un tempo criminali e terroristici: così ad esempio l'LTTE possiede moltissime società di copertura (imprese di trasporti, industrie tessili, agenzie di viaggi) con sede nello Sri Lanka e nel Sud-Est asiatico, destinate a consentire lo sviluppo delle sue attività politico-mafiose (riciclaggio di denaro sporco, traffico di droga e d'armi, immigrazione clandestina). Allo stesso modo in Perù il gruppo di Sendero Luminoso utilizza già dalla metà degli anni Ottanta quella vera e propria manna che è il traffico di droga: al pari dell'ELN in Colombia, anche quest'organizzazione peruviana ha approfittato dei suoi rapporti coi narcotrafficanti per attingere ai loro fondi e migliorare il proprio armamento.

Sebbene sia rara, anche la fabbricazione di monete false costituisce un mezzo di finanziamento: così ad esempio il gruppo francese Action directe tentò di far circolare in tutta Europa travellers cheques falsi.

Quanto al rapimento, si tratta di un metodo utilizzato in passato e di tanto in tanto ancor oggi dai gruppi eversivi che lo considerano al tempo stesso atto terroristico con finalità ideologiche e mezzo di finanziamento: anche in questo caso, i baschi dell'ETA hanno davvero fatto scuola. Un ulteriore mezzo di finanziamento è rappresentato dalla rapina a mano armata, utilizzata già da tempo dai terroristi. In Egitto, dopo la guerra del Golfo, gruppi come la Djamaa islamiya o la Jihad videro diminuire in misura notevole i sussidi provenienti dalle potenze petrolifere della penisola araba; poiché l'eliminazione del segreto su tutte le operazioni bancarie egiziane aveva ridotto praticamente a zero i finanziamenti destinati a tali gruppi islamici egiziani, Reffat Zeyadn, capo del braccio militare della Djamaa in Alto Egitto, decise di far ricorso a una serie di rapine, spesso violente, a danno delle gioiellerie dei cristiani copti. La fatwa diffusa nel corso degli anni Settanta dallo sceicco Rahman, oggi detenuto negli Stati Uniti, ha favorito del resto queste aggressive azioni anticristiane, che si spingevano sino all'omicidio. Così nell'agosto 1996 sei terroristi islamici attaccarono tre gioiellerie di copti, uccidendo due persone e ferendone altre quattro; ma nei mesi di giugno e luglio si erano già verificati altri attacchi. All'inizio degli anni Settanta la Rote Arme Fraktion (RAF), al pari dei gruppi di orientamento politico simile nati in Europa occidentale, ha intensificato la pratica della "rapina politica" o dell'esproprio proletario. Ad esempio nel settembre del 1970, in soli dieci minuti, tre commandos mascherati e armati hanno svaligiato una banca lasciando dietro di sé un messaggio dal contenuto davvero emblematico: "Confiscato ai nemici del popolo"; in seguito, nel gennaio 1971, due casse di risparmio di Kassel furono attaccate con le stesse tecniche e dalle stesse persone.

Quanto alle azioni terroristiche che hanno colpito gli Stati Uniti, il problema è capire quali siano le modalità di finanziamento cui hanno fatto ricorso le reti salafìste di Al Qaeda. A questo riguardo, due tipi di organizzazioni hanno giocato un ruolo di primo piano: le banche e le ONG islamiche. Il numero delle banche islamiche, cioè degli istituti di credito che nella loro gestione finanziaria rispettano i precetti del Corano, si va in questi anni moltiplicando. Alcune banche occidentali, del resto, hanno creato prodotti finanziari con un'etichetta "islamica" per soddisfare le esigenze della loro clientela: "[...] il giorno del Giudizio, quanti si nutrono di usura si alzeranno come coloro che sono stati violentemente colpiti dal Demonio. Sarà così, perché costoro dicono: 'la vendita è simile all'usura'. Eppure Dio ha permesso la vendita e vietato l'usura" (sura de la Vacca, versetto 275).

Si calcola che nel complesso queste banche gestiscano oggi una quindicina di miliardi di dollari, tutti provenienti dal mondo arabo-musulmano. La loro prima comparsa si può far risalire alla metà degli anni Sessanta in Egitto, quando il modello di riferimento era quello delle casse di risparmio tedesche (Mayer 1985, p. i). Oggi la finanza islamica opera attraverso istituzioni internazionali come la Banca islamica di sviluppo (BID), che fornisce fondi puliti e prestiti senza interessi. Lo zakat inoltre è un contributo volontario del 2,5% dei redditi di una persona, e rappresenta uno dei comandamenti religiosi dell'Islam. Questa tassa si applica tanto ai beni di scambio quanto ai redditi personali, e i musulmani possono versarla direttamente a un beneficiario privato (una persona fisica o morale, una ONG ecc.) o a istituzioni specializzate nella redistribuzione - come ad esempio i fondi islamici di carità. Il salafismo è stato finanziato da banche che rientravano proprio in questa logica del credito: istituzioni finanziarie come Al Baraka o Dar al-Mal-al-lslami posseggono numerose filiali in tutto il mondo, incluso l'Occidente, che tentano con vari stratagemmi di aggirare i divieti posti dall'Islam nei riguardi degli alti tassi di interesse indirizzandosi piuttosto verso operazioni di diversa natura - come l'investimento in capitate-rischio o il trasferimento di donazioni sotto forma di zakat a organizzazioni caritative o ONG (ad esempio Islamic Relief, Rasheed Fund, Wafaa, AI-Akhtar ecc.); queste ultime a loro volta fungono da tramite, trasferendo denaro legale alle organizzazioni politiche radicali che ne hanno bisogno.

Le misure contro il finanziamento del terrorismo

In seguito agli attentati dell'11 settembre si è sviluppato un unanime consenso in vista del rafforzamento della lotta contro i circuiti finanziari cui fa capo il terrorismo internazionale. Il presidente Bush ha perciò potuto annunciare: "Abbiamo dato inizio alla lotta destinata colpire le fondazioni finanziarie della rete del terrore su scala mondiale", e l'Amministrazione americana ha già reso nota una prima lista di persone fisiche o morali di cui solcata il congelamento dei beni.

Le organizzazioni terroristiche coinvolte sono undici: Al Qaeda in Afghanistan, Abu Sayyaf nelle Filippine, il GIÀ in Algeria, Harakat a.-Mujahidin in Kashmir, Al jihad in Egitto, il gruppo di lotta islamico -libico, Al Itihad al Islamiya in Somalia e l'Esercito islamico ; Aden in Yemen. Si può notare fra l'altro che l'elenco non menziona alcune fondazioni benefiche islamiche (a volte vicine all'Arabia Saudita) sospettate di contribuire al finanziamento dei fiancheggiatori di Al Qaeda.

Nel mirino degli Stati Uniti inoltre sono finiti dodici individui, tra Osama Bin Laden, Mohammed Atef, Sayf al-AdI, lo sceicco Said, Abu Hafs, Ibn al-Cheikh al-Libi e altri. La lista è stata accolta dai partner europei degli Stati Uniti tra cui la Francia, mentre numerosi Stati del Medio Oriente - come l'Arabia Saudita e l'Egitto - non hanno dato immediatamente il loro assenso a queste azioni di ritorsione. La lotta contro il riciclaggio di denaro sporco è tuttavia molto difficile. Gli Stati Uniti infatti vogliono estendere il sistema americano del congelamento dei beni legati al traffico di droga, ma sul piano europeo la misura risulta estremamente delicata da un punto di vista tecnico poiché implica innanzitutto la necessità di identificare questi beni, ricondurli al loro proprietario e provare l'eventuale infrazione o crimine a essi legati. Inoltre George Bush ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero ratificato la Convenzione internazionale contro il terrorismo negoziata su iniziativa della Francia e firmata nel 1998. Nell'ottobre 2001 solo quarantadue paesi avevano firmato il documento e tre l'avevano ratificato: fra questi ultimi figurava la Gran Bretagna, ma non ancora la Francia..

Moltissime piste portano al finanziamento che ha reso possibili gli attentati americani del settembre 2001... Un ex braccio destro di Bin Laden, Jamal Ahmed al-Fadh, ascoltato come testimone a carico nel quadro del processo legato agli attentati contro le ambasciate americane in Africa orientale, aveva indicato l'esistenza di conti bancari - intestati o meno a singole persone - a Londra, Vienna, in Sudan e a Dubai. I fondi presenti nei conti transitavano per la Svizzera, Malta o le Bahamas. La filiera più sospetta sembra quella che passa per la Svizzera: pare infatti che una società finanziaria di nome AI-Taqwa ("il timore di Dio"), ribattezzata ormai su richiesta della polizia svizzera Nada Management Organization, sia legata alle reti islamiche e alle loro sedi presso le Bahamas. Allo stesso modo un'altra banca islamica - AI-Shamal Islamic -, con cui Bin Laden avrebbe personalmente operato, svolgerebbe il ruolo di vera e propria base operativa del finanziamento internazionale islamico. Il 28 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza ha adottato la Risoluzione 1373 che inasprisce da un punto di vista politico la lotta contro il finanziamento dei gruppi terroristici. Rimane da sapere se i paradisi fiscali, il segreto bancario e i meccanismi di riciclaggio del denaro derivante da attività criminali saranno effettivamente rimessi in discussione. Misure simili implicherebbero non solo un rinnovato controllo delle località britanniche (il jersey, Guernsey, Gibilterra...), francesi (Monaco...) o di altri Stati sinora considerati offshore, ma anche profondi cambiamenti persino all'interno delle più grandi piazze bancarie (Londra, New York, Zurigo).

L'anti-terrorismo coercitivo

Nella lotta contro il terrorismo, anche l'uso della forza ha un proprio ruolo. Dopo gli attentati di Nairobi e Dar es Salaam (1988), la CIA aveva tentato di organizzare l'assassinio o la cattura di Osama Bin Laden servendosi delle forze di opposizione al regime talebano. I giuristi del presidente Clinton, in effetti, avevano stabilito che era legittimo e legale cercare di abbattere Bin Laden, nonostante vi fosse una legislazione presidenziale che vietava a membri dei servizi di sicurezza di assassinare direttamente qualcuno e a dispetto delle disposizioni del diritto internazionale in materia. Inoltre l'Amministrazione Clinton aveva progettato di rubare o trasferire altrove i milioni di dollari in possesso di Bin Laden, ma aveva dovuto scontrarsi con il Dipartimento del Tesoro che aveva mosso obiezioni decisive su tale punto facendo appello all'integrità del sistema finanziario internazionale. Sempre nel 1998, gli Stati Uniti hanno lanciato decine di missili da crociera contro i campi salafisti in Afghanistan con la speranza di riuscire a colpire Bin Laden. Il 20 agosto 1998 il vice di Bin Laden, Ayman al Zawairi, aveva chiamato dal cellulare del suo capo un giornalista pakistano per un'intervista, e la conversazione si era protratta per circa quaranta minuti. Venti minuti dopo, i missili americani avevano raggiunto i campi da cui era partita la telefonata ma Bin Laden, che presiedeva una riunione, era già andato via; in quell'occasione furono uccisi fra i venti e i trenta membri di Al Qaeda.

Quanto al sostegno dato dagli americani all'Alleanza del Nord del defunto comandante Massud, esso risale a un periodo anteriore ai tragici eventi del settembre 2001: alcune tracce suggeriscono che potrebbe aver avuto inizio già nel 1998, data in cui la CIA chiese a Massud di fornirle informazioni operative su Bin Laden. È ovvio pertanto che le misure coercitive rappresentano il vero e proprio nucleo della risposta americana contro gli organizzatori degli attentati dell'11 settembre.



1 Tom Ridge, governatore della Pennsylvania, nominato l' 8 ottobre 2001.


2 L'organo esecutivo del consiglio strategico, istituito assieme al Dipartimento della Difesa dal National Security Act del 1947.



3 Numerose personalità di entrambi i partiti non hanno nascosto un certo scetticismo riguardo ai poteri reali di questo organismo, privo di autorità istituzionale e autonomia di bilancio («New York Times», 28 settembre 2001). È peraltro opportuno notare come accanto all'Homeland Security Council in seno al Pentagono sia nato anche un Homeland Defense Command: un nuovo attore tra le organizzazioni (46 in tutto) incaricate direttamente o indirettamente di proteggere gli Stati Uniti da attacchi come quelli dell'11 settembre.

4 Lo stesso Clarke beneficia del resto di una nuova ondata di popolarità poiché è diventato responsabile - stavolta a seguito di una nomina ufficiale e pubblica - di un nuovo servizio, incaricato in particolare delle intercettazioni.

5 In un editoriale del 13 settembre 2001.



6 In base ai dati emersi da un sondaggio Gallup effettuato il giorno dopo gli attentati.

7 Come quelle di cui sono espressione Jerry Falwell o Pat Robertson; cfr. il «Los Angeles Times» del 25 settembre 2001.



8 II 15 settembre, un sondaggio ABC News/«Washington Post» aveva messo in luce come il 71% degli americani si dichiarasse disposto ad appoggiare un rafforzamento delle misure di sicurezza, "anche se ciò voleva dire che gli americani avrebbero dovuto rinunciare ad alcune delle proprie libertà personali e private".


9 Anti-terror push stirs fears for liberty (Le misure antiterrorismo fanno crescere le inquietudini per la libertà), «Washington Post», 18 settembre 2001; Groups fault = pian to listen, search and seize (Alcuni gruppi criticano i progetti di spionaggio, ricerca e cattura), «New York Times», 21 settembre 2001; Le renforcement de la lutte antiterroriste inquiète les défenseurs de la liberté (Il rafforzamento della lotta antiterroristica crea inquietudini fra i difensori della libertà), «Le Monde», 21 settembre 2001. 5.


10 «Financial Times», 24 settembre 2001.

11  - II portavoce dei Verdi per gli Affari interni, Cem Ozdemir, è infatti di origine turca.


12 - " II cui titolo peraltro - PATRIOT Act of 2001, vale a dire Provide Appropriate Toois Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act of 2001 ("Legge per fornire i mezzi appropriati a intercettare e ostacolare il terrorismo") - basta a dissolvere qualunque ambiguità circa la sincerità dell'impegno dei parlamentari.


13 Si tratta di cifre di un sondaggio Gallup. Un altro sondaggio realizzato il 25 settembre 2001 per conto del «New York Times» mostra che per la maggioranza degli americani il principale aspetto critico è rappresentato dalla diffusione generalizzata delle intercettazioni telefoniche (51%), mentre lo stesso campione afferma di essere disposto a sostenere il principio del porto obbligatorio di una carta d'identità elettronica.



14 Tutto questo non vale per Francis Fukuyama, autore di impostazione decisamente liberale che ha scritto La fine della storia o l'ultimo uomo e oggi constata: "Si è detto che lo Stato-nazione è obsoleto: la tecnologia e i capitali, per loro stessa natura senza frontiere, si sottraggono ai tentativi di trattenerli messi in atto dalle singole giurisdizioni nazionali. Per gli apostoli della new economy tutto quello che era stato inventato prima di Internet era ormai fuori luogo, al pari di tutte le competenze diverse dalle loro [...]. Ma la leggerezza della new economy non basterà a proteggerci dalla realtà ...”Gli Stati Uniti diverranno forse un paese più normale, che ha interessi concreti e una vulnerabilità reale; gli americani la smetteranno di pensare di poter decidere unilateralmente circa la natura del mondo in cui vivono”, tradotto e citato in «Le Monde», 20 settembre 2001.


15 Banca mondiale, Comunicato 2002/0938 del 1° ottobre 2001, La povertà in aumento all'indomani degli attentati terroristici negli Stati Uniti. Milioni d'esseri umani in più condannati alta povertà nel corso del 2002.


16 In base al sondaggio citato alla nota 15, il 43% degli americani intervistati pensa che in futuro diverrà "più sospettoso nei riguardi delle persone di origine araba".


17 A questo proposito si può far riferimento all'autocensura cui si è volontariamente sottoposta l'industria cinematografica americana; per questo settore in effetti gli attentati hanno già significato un crollo di tutta l'attività nel suo complesso, a cominciare dalla definizione dei suoi stessi contenuti: Hollywood expurge ses scénarìos des scènes trop proches de l'actualité, «Le Monde», 21 settembre 2001.



18 Bin Laden ha fatto velate allusioni al possesso di armi simili in un'intervista al «Time Magazine» del gennaio 1999. Secondo alcune informazioni diffuse dalla stampa ma non ufficialmente confermate, inoltre, avrebbe anche annunciato di aver acquistato fabbriche chimiche in Jugoslavia e di aver reperito materiali chimici e biologici e reclutato esperti in Ucraina («Corriere della Sera»), o addirittura di aver acquistato venti testate nucleari russe («Al Wattan el Arabi»). Cfr. lo studio inedito di Ganor, Karmon e dell'International Policy Institute for Countering Terrorism (1999, pp. 62-63); cfr. anche le notizie di agenzia Reuters dell'11 settembre 2001.


19 Tuttavia lo shock meccanico causato dall'espulsione degli agenti tossici racchiusi in un serbatoio può causare la morte dei microrganismi, e dunque rendere inefficace il processo di contagio.


20 Fra le competenze previste, in campo chimico, deve essere almeno la chimica e la sintesi organica (per la realizzazione dell'agente), nonché dei principi della detonazione e della nebulizzazione a mezzo aerosol (per quanto concerne la realizzazione del mezzo di dispersione).

In campo biologico le competenze si estendono quanto meno sino alle biotecnologie in generale e all'epidemiologia (per ciò che riguarda la scelta dell'agente), nonché alla nebulizzazione a mezzo aerosol, ai principi della detonazione e alla microincapsulazione (per quanto concerne la realizzazione del mezzo di dispersione dell'agente tossico).


21 Mark, Taylor, Eyster, Maraman, Wechsler, Can Terrorists Build Nuclear Weapons?, http://www.nci.org/nic/makeab.htm.



22 «Milliyet», 4 novembre 1993.