Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Amnesty International di fronte ai conflitti

di Roberto Fantini


Alle radici di Amnesty International c’è un “ grande sogno “. Il sogno di creare un vasto movimento di pensiero e di azione civile capace di porre un argine alla violenza del potere nei confronti della dignità della persona umana. Il sogno di poter aprire tutte le prigioni in cui sono incarcerati i perseguitati per motivi di opinione, di poter fermare la mano agli aguzzini che infieriscono sul corpo e sull’anima di tutti i prigionieri.

C’è, soprattutto, il sogno di contribuire a travasare nella realtà dei fatti i princìpi e i propositi espressi nel testo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dic.1948. Di far sì che quanto asserito in quel testo non restasse una sorta di ingenua speranza, bensì si tramutasse in universale codice di comportamento.

La filosofia di fondo che ha dato sostanza a questo “grande sogno” AI la riceve da quanto scritto proprio nel Preambolo della stessa DUDU. In esso si afferma, infatti, che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”, e che il “disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”.

In questo documento, quindi, certamente sotto l’influsso di quanto di orribile era accaduto nel corso del II Conflitto mondiale appena concluso, si instaura una relazione inscindibile fra i seguenti concetti:

  • GIUSTIZIA

  • LIBERTA’

DIRITTI UMANI ---- > PACE.



Il che significa che ogni discorso sul tema della costruzione della pace e del superamento della guerra avrebbe dovuto necessariamente partire dal presupposto che soltanto il pieno riconoscimento del valore dei diritti umani ci avrebbe potuto condurre alla prima, mentre il perdurare del disconoscimento di essi non avrebbe potuto che condurci nelle braccia insanguinate dell’altra. E che, di conseguenza, solo edificando un mondo in cui tutti gli esseri umani, senza distinzione alcuna, potessero davvero godere di libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno sarebbe stato possibile pensare alla pace come ad un obiettivo realisticamente raggiungibile e alla guerra come ad una malattia storica estirpabile e non più come una insanabile fatalità.

Ma le cose sono andate e continuano ad andare assai diversamente.

Ancora in tante parti del mondo è negato il diritto alla vita e all’integrità fisica, si pratica la tortura, avvengono “sparizioni”, ci sono prigionieri di coscienza, processi iniqui e condizioni disumane di detenzione. Ancora in tante parti del mondo vengono negati i più elementari diritti economici e sociali, si pratica la discriminazione, si rifiuta il diritto di asilo, ecc… E, non certo in maniera imprevedibile e inevitabile, sorgono e si sviluppano conflitti armati: di minore o maggiore entità, noti o meno noti o del tutto ignorati, ma tutti terribili e non certo quantificabili sotto il profilo dei danni umani.

Di tutte queste violazioni dei diritti umani i rapporti di A.I. sono un resoconto fedele ed imparziale, seppure ovviamente incompleto. Quando ci si interroga in merito allo scoppio di un determinato conflitto, la loro lettura può risultare di grande utilità e riservare non poche sorprese. E’spesso possibile scoprire, infatti, che quella che, a partire da un certo momento, viene considerata un’”emergenza umanitaria” era una situazione da tempo fotografata e denunciata nella quasi totale indifferenza generale (anche di chi, improvvisamente, dichiara improcrastinabile un intervento armato per porre fine a tanta ingiustizia)… Oppure che fra i soggetti belligeranti ci sono stati, in passato, stretti rapporti di complicità, rapporti di assistenza militare, rifornimento di armi, ecc ... E che certe realtà su cui, come d’incanto, si focalizza l’attenzione dell’opinione pubblica non sono molto più inquietanti di quelle registrabili altrove.



Ora, nel succitato Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, al fine di realizzare tale disegno di costruzione della pace e di superamento della guerra vengono indicate due strade chiaramente complementari:


  1. l’affermazione e la protezione dei diritti umani attraverso norme giuridiche;

  2. la promozione di rapporti amichevoli fra i popoli della grande famiglia umana.


A mio avviso, in queste due convergenti strategie è possibile percepire gli echi dei concetti-chiave formulati nel noto carteggio fra A.Einstein e S.Freud sul tema del “Perché la guerra?”.

Nella sua lettera del luglio 1932 Einstein scriveva, infatti:



Essendo immune da sentimenti nazionalistici, vedo personalmente una maniera semplice di affrontare l’aspetto esteriore, cioè organizzativo, del problema: gli Stati creino un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre tutti i conflitti che sorgano tra loro. Ogni Stato si assuma l’obbligo di rispettare i decreti di questa autorità, di invocarne la decisione in ogni disputa, di accettarne senza riserve il giudizio e di attuare tutti i provvedimenti che essa ritenesse necessari per far applicare le proprie ingiunzioni.” (S.Freud-A.Einstein „Perché la guerra?“, Biblioteca Boringhieri, Torino,1981, pag.64)



E nel settembre dello stesso anno, Freud rispondeva sostenendo che anche per lui una prevenzione sicura della guerra sarebbe stata possibile solo se gli uomini si fossero accordati “per costituire un’autorità centrale, al cui verdetto vengano deferiti tutti i conflitti di interessi”, creando, a tal fine, una Corte suprema a cui venga assicurato il potere necessario. Ma, dopo una lunga disamina relativa al fenomeno della violenza, nelle sue radici e nelle sue manifestazioni, arrivava a suggerire l’opportunità di vie indirette di lotta contro la guerra, non aspirando illusoriamente ad “abolire completamente l’aggressività umana”, bensì tentando di arginarla e controbilanciarla grazie al potenziamento della sua naturale pulsione antagonista: l’Eros. E ciò in maniera tale da favorire la costruzione fra gli uomini di una fitta rete di legami emotivi di carattere empatico, di identificazioni e di solidarietà significative ( “Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra.”) ( ivi.pag82)



E’ interessante notare come, concluso il Preambolo della DUDU, al momento di proclamare i trenta articoli, si anteponga addirittura lo sforzo di promozione dei diritti umani attraverso l’insegnamento e l’educazione alle pur necessarie misure normative progressive di carattere nazionale e internazionale.

Da ciò traspare, a mio avviso, la convinzione secondo la quale solo a partire da un profondo rinnovamento delle coscienze sia possibile sperare in un cocreto rinnovamento del mondo. Rinnovamento che dovrebbe partire, come recita l’art.26 della stessa DUDU, dalla comprensione per approdare alla tolleranza e all’amicizia fra tutte le Nazioni, i popoli e i gruppi religiosi.

Comprensione che significa tante cose:

rimozione-distruzione di pregiudizi e rappresentazioni stereotipate;

percezione della complessità e della problematicità delle vicende umane;

consapevolezza della ricchezza delle varie esperienze storico-culturali dell’umanità;

elasticizzazione delle proprie coordinate interpretative;

acquisizione di un atteggiamento autenticamente interessato e rispettoso nei confronti delle diversità;

capacità di esame rigoroso e critico nei confronti di ogni esperienza umana, nonché reale disponibilità all’autocritica.

Solo sulla base di questo genere di comprensione, sarà possibile, credo, parlare di una tolleranza che non sia soltanto effimera “sopportazione” e di una amicizia che non sia soltanto ipocrisia o interessata occasionale complicità.

A tale scopo, AI ha fatto diventare, in questi ultimi decenni, il lavoro di Educazione ai Diritti Umani sempre più il centro delle proprie campagne, investendo in esso sempre più risorse, entrando nelle scuole, elaborando progetti, producendo materiali didattici, costituendo gruppi di studenti attivisti, arrivando, talvolta, ad inserirsi anche nella formazione di polizia e militari.


Di fronte al problema dei conflitti armati, quindi, AI si schiera decisamente a favore del lavoro preventivo.


Il lavoro preventivo-ha scritto Pierre Sané, allora Segretario Generale di AI, nella prefazione al “Rapporto Annuale 2000”- è in genere meno spettacolare e viene quindi scarsamente considerato dai media ed è anche più difficile da giustificare agli occhi del pubblico, rispetto a un intervento in un momento di crisi. Richiede un notevole investimento di risorse, senza l’impatto emotivo dei media di immagini di miseria e sofferenza. Significa prestare attenzione al lavoro giornaliero della protezione dei diritti umani. Significa usare le misure diplomatiche e altri metodi di pressione per persuadere i governi a ratificare i trattati sui diritti umani, a emendare la loro legislazione in linea con quei trattati e a mettere in atto quanto questi trattati prescrivono. Significa assicurarsi che non vi sia impunità verso le violazioni dei diritti umani e che tutte le volte che i diritti di qualcuno vengono violati, il fatto sia indagato, la verità stabilita e i responsabili siano portati di fronte alla giustizia. Significa ratificare e rendere operativo in fretta il Tribunale penale internazionale. Significa finirla con la discriminazione e lavorare per assicurare che sia mantenuta la promessa contenuta nella Dichiarazione universale dei diritti umani, e cioè che i governi lavorino per la costruzione di un mondo senza crudeltà e ingiustizia, un mondo senza fame e ignoranza.”


Ma, di fronte all’esserci di fatto di un conflitto, come si configura la posizione di AI?


AI, pur non prendendo posizione sui conflitti armati in sé, chiede con fermezza che i diritti umani siano centrali in tutti gli stadi del conflitto e che tutte le parti coinvolte rispettino quanto previsto dalla regolamentazione internazionale relativa.

In particolare chiede:


  • rispetto della normativa sui diritti umani e del diritto umanitario (vedi in particolare le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i due Protocolli addizionali del 1977);

  • esercizio efficace di un controllo da parte dei dirigenti politici nella prevenzione delle violazioni dei diritti umani (direttive severe alle proprie forze di attenersi ai diritti umani, soprattutto per quanto concerne la tutela dei civili e di tutti coloro che non prendano parte alle ostilità; rimozione e perseguibilità di coloro che saranno ritenuti violatori);

  • evitare le detenzioni arbitrarie;

  • evitare tortura e trattamenti e punizioni crudeli, inumani o degradanti (garantendo ai prigionieri, tra l’altro, un’adeguata disponibilità di acqua, cibo, vestiario, ricoveri, presidi igienici e assistenza medica);

  • evitare, sempre e in ogni caso, il ricorso alla pena capitale;

  • fornire immediatamente informazioni ai parenti delle vittime e alle organizzazioni internazionali, particolarmente al Comitato Internazionale della Croce Rossa, sul luogo e sul destino di coloro che sono scomparsi dopo essere stati catturati dalle forze militari, paramilitari o della polizia;

  • assicurare il raggiungimento della verità e perseguire i responsabili di eventuali violazioni;

  • garantire l’accesso alle zone di guerra alle organizzazioni internazionali;

  • tutelare i rifugiati;

  • garantire i diritti degli obiettori di coscienza al servizio militare;

  • tutelare massimamente l’infanzia.



In merito a quest’ultimo problema AI si trova particolarmente impegnata, insieme alla Coalizione internazionale “Stop all’uso dei bambini soldato!”. Si adopera, in particolare, affinché tutti i paesi provvedano al più presto a ratificare e a rispettare il Protocollo Facoltativo alla Convenzione sui diritti dell’infanzia sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati.

Per avere un’idea della gravità delle conseguenze dei conflitti nei confronti dell’infanzia può essere sufficiente dare uno sguardo ai dati raccolti dall’Unicef sugli ultimi 10 anni:


2 milioni uccisi

6 milioni mutilati o gravemente feriti a causa di bombe, mine, proiettili e torture

5 milioni sfollati o rifugiati

12 milioni senza tetto

1 milione rimasti orfani o separati dai genitori

10 milioni traumatizzati a livello psicologico.


I ragazzi e i bambini (anche di età inferiore ai dieci anni) impiegati direttamente nelle guerre in tutto il mondo risultano essere circa 300.000.


In conclusione, possiamo dire che per AI la strada per sconfiggere la guerra è quella della prevenzione delle crisi umanitarie. Che il problema non sta tanto nella mancanza di avvertimenti precoci, ma nella mancanza di vero interesse e di vera volontà per interventi precoci. Che soltanto proteggendo tutti i diritti umani di tutti, dappertutto ed ogni giorno, si potrà mettere fuori gioco il problema del cosa fare di fronte a situazioni di conflitto.


Maria Montessori ebbe a dire che i popoli che dichiarano di volere la pace dovrebbero prendere esempio, sotto il profilo dell’impegno, delle risorse spirituali e materiali da investire, da quelli che si adoperano a creare la guerra e che “la vera difesa dei popoli non può poggiare sulle armi: giacchè le guerre si succederanno sempre l’una all’altra e non potranno mai assicurare la pace e la prosperità di nessun popolo, finché non si ricorrerà a questo grande “armamento per la pace” che è l’educazione”.


Se non vogliamo rinunciare a sognare un futuro liberato dall’incubo delle guerre, sempre più occorrerà, da parte di tutte le Nazioni, favorire l’opera di Educazione ai diritti umani, di un’educazione,cioè, capace di costruire comprensione, desiderio di conoscenza reciproca, sensibilità rispettosa delle diversità, volontà di solidarietà e cooperazione, capacità di dialogo e di empatia.