Incontri di discernimento e solidarietà
 
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TREMORE ED ESTASI

lettura spirituale di Mc 14,1-11; 15,40-16,8

nel Santo dei Santi

Il racconto della passione costituisce il dato letterario e catechetico più antico. Tutta la costruzione catechetica di Marco si è sviluppata a partire dal nucleo originario: il racconto della passione. Queste pagine, anche se le leggiamo alla fine, precedono tutte le altre, sono al centro di tutta la costruzione.

Il vangelo secondo Marco è il più antico tra i Vangeli, e il racconto della passione è così il punto di partenza attorno al quale si viene costituendo non solo questo vangelo, ma tutta la letteratura evangelica che poi fiorirà gli altri scritti: Luca, Matteo, Giovanni. In qualche modo abbiamo a che fare con un testo che si presenta come il "Santo dei Santi", il nucleo originario. Varchiamone allora la soglia e prendiamo contatto con il sacramento evangelico nella sua pregnanza più misteriosa e più feconda.

Abbiamo a che fare con un’opera letteraria ampia, due capitoli molto lunghi. Ogni pagina ha una sua consistenza autonoma, può essere smontata ed estrapolata dal contesto; ma poi ogni pagina è inserita dentro un discorso più ampio, che esprime l’intenzionalità catechetica di Marco.

Il racconto della passione si presenta con una maturità e densità letteraria impressionante e commovente ed è sostenuto da una teologia di grande respiro. Si compone di 7 sezioni che possiamo identificare in base ad una unità di luogo a cui corrisponde anche una misura di tempo, che varia però da sezione a sezione.

Prima sezione, Betania, 14,1-11.

Seconda sezione, Cenacolo, 14,12-25.

Terza sezione, Getzemani, 14,26-52.

Quarta sezione, Sinedrio, 14,53-72.

Quinta sezione, Pretorio, 15,1-20a.

Sesta sezione, Golgota, 15,20b-39.

Settima sezione, Sepolcro, 15,40-16,8.

Anche gli 8 versetti del cap. 16 fanno parte dell’unico racconto della passione; questa pagina, che chiude il racconto e che annuncia il sepolcro vuoto, è parte integrante dell’intero vangelo.

Ognuna della sette sezioni si articola a sua volta in tre quadri e l’articolazione è costruita in modo tale che il primo e il terzo quadro fanno da corona al secondo che è quello centrale. Le sezioni sono disposte non soltanto lungo un tracciato lineare, ma l’intreccio delle relazioni tra sezione e sezione e all’interno di ogni sezione è particolarmente raffinato, esprime la presenza di tensioni e di armonie nel testo mediante richiami, accenni, immagini, personaggi, funzionali alla elaborazione del messaggio. Bisogna imparare a smontare il testo e a ricostruirlo. Pensate a una di quelle grandi pale presenti nelle nostre chiese: tanti quadri, ma la disposizione dei singoli quadri vale non solo per l’ordine logico dello sviluppo narrativo, ma per gli incroci che determina tra un quadro e l’altro. Molto importante è la cornice: cosa sta sul bordo e cosa sta nel centro; e cosa sta sul bordo e sul centro di ogni elemento.

La struttura letteraria che sorregge il racconto è concentrica: la prima sezione e la settima sono in tensione tra di loro, e così la seconda e la sesta, la terza e la quinta; la quarta è la sezione centrale. Tensioni del genere sono relativamente frequenti nella letteratura biblica e nel Nuovo Testamento.

Partiamo da una constatazione: nella prima sezione del racconto e nella settima compaiono dei personaggi femminili. Personaggi femminili non sono assenti anche altrove nel vangelo secondo Marco; ne abbiamo incontrati alcuni, anche di significativi. Il racconto della passione è incorniciato all’interno delle due sezioni (la prima e la settima) che conferiscono una qualità specifica e un ruolo insostituibile alla presenza delle donne.

Betania

Prima sezione. Betania, tre quadri: il primo (14,1-2); il quadro centrale, quello più ampio, (vv. 3-9) con l’episodio di Betania; terzo quadro (vv. 10-11).

«Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. Dicevano infatti: "Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo"».

A due giorni dalla Pasqua già le autorità di Gerusalemme hanno preso la loro decisione: Gesù dev’essere preso con inganno per essere ucciso. C’è già a Gerusalemme chi sa con certezza inappellabile, ormai, che Gesù deve morire. La decisione è stata predisposta con precisione: tutto dovrà avvenire in modo da evitare tumulti di popolo.

«Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù». Dal complotto si giunge al tradimento: consegnare Gesù. «Quelli all’udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l’occasione opportuna per consegnarlo». Adesso la preoccupazione dominante non è più quella di evitare tumulti di popolo, ma quella di trovare l’occasione opportuna perché Gesù sia consegnato. Hanno pattuito tra di loro quale somma di denaro deve essere versata.

I due quadri, primo e terzo, che fanno da cornice a questa prima sezione, ci hanno messo al corrente di alcune notizie: la morte di Gesù è stata decisa, ma rimane in sospeso a quanto ammonta il compenso che verrà pagato a Giuda. «Promisero di dargli denaro». Nel vangelo secondo Marco non è precisata l’entità della somma, come invece avviene nel vangelo secondo Matteo. Si parla di una promessa. Quanto vale? Quanto vale la vita di un uomo condannato a morte? Quanto vale la vita di un uomo che muore?

Siamo nel quadro centrale, a Betania. «Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa...». È un momento di festa. È una festa rallegrata dalla presenza di Gesù in mezzo ad altri commensali ed amici, nella casa di Simone il lebbroso. Abbiamo incontrato un lebbroso alla fine del cap.1 nel nostro vangelo e c’è un altro personaggio di nome Simone, il discepolo del Signore. A Betania Gesù si trova nella casa di un uomo che si chiama Simone, come il discepolo, e che è stato lebbroso, come quel tale che andò incontro a Gesù nel cap.1 Siamo in casa sua? Viene citato con tanta precisione il nome del padrone di casa che c’è da ritenere che alluda a un antefatto piuttosto rilevante in cui potremmo rintracciare il motivo di questo momento di festa così affettuosa e così carica di intimità.

Compare una donna, anonima, silenziosa. Non dirà nulla, né adesso, né poi; non apre bocca, compie un gesto. «Giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo». Questo gesto immediatamente viene notato e duramente rimproverato. «Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: "Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere tutto questo olio a più di trecento denari e darli ai poveri!». Trecento denari è una somma ingente. Un denaro è il salario giornaliero di un operaio, trecento denari sono più o meno quello che un uomo guadagna in un anno. Non è poco. Quello che un uomo guadagna in un anno è sprecato in un momento solo: un anno di vita finito in un rivoletto di unguento che si disperde, in una nuvola di profumo che dilaga nell’ambiente.

«Erano infuriati contro di lei». Si poteva benissimo vendere quest’olio per trecento denari e darli ai poveri. Non è soltanto uno spreco di denaro; l’unguento è stato riportato a un dato più che mai significativo per esprimere il valore della vita umana: i poveri! Il lavoro di un uomo per un anno intero. Uno spreco, uno spreco di vita, una vita sprecata. Trattare la vita umana come un puro spreco, questo è il rimprovero che tutti stanno muovendo con parole aspre o mugugni.

A questo punto prende la parola Gesù :«Allora Gesù disse: "Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona». La donna tace, non si difende; è Gesù che parla per lei e di lei. Solo Gesù può spiegare quello che quella donna ha compiuto. Lei ha compiuto quel gesto quasi senza averci pensato; non saprebbe rispondere a quelli che la stanno accusando di sprecare il necessario per i poveri. "Ha compiuto verso di me un’opera buona". Il testo greco dice: ergon kalon, un’opera bella.

Nel contesto di quella serata festosa tra amici a Betania solo Gesù sa che sta per morire. Successivamente verremo a sapere che Giuda Iscariota aderirà al complotto. A Betania Gesù è l’unico che sa di essere in cammino verso la morte. Lo ha detto a più riprese ai discepoli e nessuno ha voluto ascoltarlo, nessuno ha dimostrato di prenderlo sul serio. Ne ha parlato, lo ha dimostrato con degli esempi, ha fatto tutto un lungo discorso. Lui sa. A Betania c’è un’altra persona che sa: la donna che ha compiuto quel gesto sa qualcosa di Gesù che gli altri non sanno; ha letto più in profondità degli altri il significato degli eventi in corso. Quella donna sa che Gesù va incontro alla morte. Gesù lo sa, e quella donna se ne è resa conto. Lei queste cose non le saprebbe dire; Gesù parla per lei: ha compiuto un’opera bella nei suoi confronti. Questa donna è l’unica fra tutti che ha saputo apprezzare la bellezza dell’evento in corso, la bellezza di quella morte verso cui Gesù è ormai orientato senza alternative. Un’opera bella: la sua morte è determinata dall’amore, è la morte di un uomo che avanza, ed ora giunge alla svolta decisiva, per purissimo d’amore. Quella donna ha mostrato che la bellezza di questa morte per amore merita tutta la sua dedizione. Ha rotto il vasetto del profumo, ha versato l’unguento ed ora rimane li, quasi paralizzata, nella consapevolezza di avere compiuto un gesto inconsulto per tutti gli altri. Non ne ha potuto fare a meno e ora non sa nemmeno come spiegare. Gesù lo spiega. Quanto vale la vita di un uomo? La vita di un uomo vale un prezzo d’amore che non ha altro limite che la morte. Gesù è chiarissimo nella interpretazione del gesto compiuto dalla donna; espressamente accenna alla sua sepoltura: «i poveri li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre».

Quanto vale la vita di un uomo che muore? Un amore fino alla morte. Il personaggio femminile non è presente in modo casuale, perché è proprio della donna amare fino alla morte, per dare la vita ad un uomo; per dare la vita ad un uomo che poi muore. Un uomo che muore, come Gesù, quanto vale? Vale un atto d’amore. Gesù aggiunge: «In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto». Dovunque sarà annunciato l’evangelo si parlerà di lei, di coloro che compiono atti d’amore. È una promessa autorevolissima. L’evangelo sarà annunciato nello scorrere di eventi che manifesteranno la presenza strabiliante di una fedeltà nell’amore gratuita e intransigente. Qualcuno sarà pronto a morire per amore della vita di un uomo che muore. Perché? Per la bellezza dell’amore, per la bellezza che è nel gesto, nel dono di amore e per quella bellezza che l’amore sa contemplare nella vita di un uomo che muore.

La bellezza di un uomo che muore è la bellezza di Gesù. Quella donna che l’ha unto in vista della sepoltura, ha voluto dimostrare come splende di bellezza l’umanità che va incontro alla morte. Merita un dono di amore così paradossale, così assurdo, così sbagliato? È la prima sezione del racconto della passione.

il sepolcro

Il sepolcro: cap. 15,40. Qui di nuovo compaiono delle donne, al plurale adesso, sono cresciute nel frattempo. Sono citate per nome. Tre quadri.

Il primo quadro vv. 40-41. «C’erano anche alcune donne che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme». Dunque donne che osservano; tutto avviene sotto il loro sguardo. Queste donne hanno osservato Gesù fin dalla Galilea e sono state spettatrici degli eventi che si sono andati compiendo fino all’attuale, a Gesù che ormai pende dalla croce, cadavere, sul Golgota. Stavano ad osservare .

Il quadro centrale (15,42-47) contiene il racconto della vera e propria sepoltura di Gesù. Interviene Giuseppe di Arimatea. Ci sono di mezzo due giorni tra la sepoltura e quel che segue; come nella prima sezione gli avvenimenti accadono due giorni prima della Pasqua. Giuseppe d’Arimatea si fa coraggio, va da Pilato, si fa consegnare il cadavere, lo cala dalla croce, lo depone in un sepolcro, fa rotolare un masso contro l’entrata. «Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto». Sempre lo stesso verbo: zeorei. Hanno osservato tutto fino all’evento della morte sul Golgota; osservano ora dove viene deposto. Osservano. Per la terza volta viene usato questo verbo.

Il terzo quadro nella settima sezione è piuttosto ampio; è il vangelo della resurrezione, è l’ultimo elemento dell’intera costruzione.

«Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù». Di nuovo l’unguento: dall’unguento versato a Betania a questo unguento preparato per imbalsamare il cadavere di Gesù. Tutto il racconto della passione secondo Marco è incorniciato in questo duplice richiamo alla funzione prettamente femminile di ungere il cadavere. Quanto vale la vita di un uomo che muore? Come si unge un cadavere? Come si testimonia la bellezza di un uomo che muore?

Hanno preparato gli unguenti necessari per andare a imbalsamare Gesù. Sappiamo come vanno le cose. «Il primo giorno dopo il sabato vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: "chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?". Ma, guardando, videro.. » Ritorna il verbo vedere per la terza volta: hanno osservato ogni cosa sul Golgota, hanno osservato dove Gesù è stato deposto, quando Giuseppe d’Arimatea l’ha chiuso nel sepolcro; adesso osservano tutto quello che è avvenuto e sta avvenendo sotto i loro sguardi. E’ uno sguardo affettuoso, e insieme commosso e dolente.

«Guardando, osservarono che il masso era già stato rotolato via , benché fosse molto grande». Il sepolcro è vuoto. Questo significa che non c’è più un cadavere da ungere. Non c’è più Gesù da imbalsamare. Le donne hanno in mano i vasetti con l’unguento, l’hanno preparato, con tanta accuratezza, se lo sono portato dietro e adesso entrano nel sepolcro, per constatare che è vuoto. Un giovane, seduto sulla destra, vestito di una veste bianca, si rivolge a loro. C’è una reazione di spavento da parte delle donne, l’angelo le conforta: «"Non abbiate paura! Voi cercate Gesù di Nazaret, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto". Ed esse, uscite, fuggirono via del sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno perché avevano paura».

Avevano paura. Questo significa che sono intimamente segnate dall’evento di cui sono state testimoni, così da riconoscere la presenza potente e santissima di Dio. Il timore di cui si parla è proprio dell’adoratore. Avevano paura. Non è il terrore di chi è preda di sentimenti oscuri, ma rimangono in adorazione. È vero sono in fuga, sono in corsa. "Uscite corsero via dal sepolcro, piene di tromos e ecstasis, tremore ed estasi": è un tremito estatico, è una commozione travolgente, è un’energia che si scatena così da proiettarle in questa corsa intrattenibile; ma è come se intimamente fossero inchiodate in un atto di adorazione, che è l’unica risposta con cui possono aderire all’evento di cui sono state testimoni. Il cadavere non è più qui, sono testimoni dell’invisibile, loro che pure hanno osservato, scrutato, studiato gli eventi, con intensità, con pazienza, con determinazione. L’invisibile sfugge allo sguardo, alla presa, alla stessa unzione, perché non c’è più il cadavere. È vivo, è il vivente.

Le donne sono dinanzi alla rivelazione di un amore fino alla morte, per generare un frutto di vita che non muore più. Un amore che non si arena più là dove la morte fa da vincolo, da ultima sponda, da barriera invalicabile; un amore che affronta e apre un varco, un amore che vince la morte. "Non è più qui". Le donne restano sbalordite, e poi tremanti, prese da uno slancio incontenibile, che ormai le proietta nella corsa lungo tutte le strade per annunciare che Gesù è vivente.

Quelle donne conservano tra le loro mani i vasi dell’unguento, resta loro il profumo, ma un profumo che non hanno potuto usare per imbalsamare il cadavere; è un profumo che rimane loro come sacramento del vivente: è il suo profumo, il profumo dell’invisibile. E’ passato di qua, andate in Galilea, là lo vedrete.

E’ passato di qua. Il suo profumo impalpabile, inafferrabile, eppure inconfondibile, dimostra come ormai sempre e dappertutto la santità di Dio si è rivelata a noi attraverso la morte e la risurrezione del suo Figlio per amore; si è riversata nel mondo, su ogni creatura, in ogni luogo e in ogni tempo, perché gli uomini non muoiano più. La corsa di queste donne è la corsa della Chiesa che evangelizza in ogni luogo e in ogni tempo; è la corsa di coloro che sono esperti nel gustare, apprezzare, il valore di quel profumo; che sono in grado, nel contatto con ogni realtà di questo mondo, in ogni luogo e in ogni tempo, di riconoscere la presenza di quel profumo. E’ passato di qua il vivente, colui che è morto ed è risorto, colui che per amore ha donato la vita fino alla morte.

Le donne sono in corsa. Così si chiude il racconto evangelico. Si va da Betania al sepolcro: l’unzione per la sepoltura è quella che avviene a Betania, ma adesso il sepolcro è vuoto, rimane l’unguento inutilizzato, anzi, rimane l’unguento come segno sacramentale di lui, il vivente, che unge noi. Ogni creatura che nasce per morire è amata dal Signore Gesù in modo da non morire più. È la santità di Dio che si rivela a noi. Noi siamo dinanzi ad essa per contemplare la fiamma che arde e non si consuma. Siamo prostrati dinanzi ad essa, siamo in adorazione e siamo trascinati lungo percorsi inimmaginabili. Non altro desiderio sostiene queste donne e i discepoli del Signore, e la chiesa e tutte le chiese nel corso della storia umana, che quello di consumarsi per amore. Siamo chiamati a morire per vivere nella pienezza definitiva del Figlio, che è risorto dai morti e che regna oggi e sempre.


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