Incontri di discernimento e solidarietà
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06 marzo 2018

Primo Libro di Samuele - quarta parte

Il re come figura dell’opera di salvezza di Dio

Quarto incontro del ciclo 2017-2018


Abbiamo avviato la lettura del Primo Libro di Samuele e proseguiremo con il Secondo Libro di Samuele. Abbiamo a che fare con un blocco letterario piuttosto impegnativo. Siamo arrivati al cap. 12 e stasera daremo uno sguardo ai tre capitoli che seguono per arrivare alla fine del cap. 15: è un racconto di un complesso di vicende che si inseriscono nella storia del popolo di Dio tra i secoli XI e X a. C.; ma più che per la ricostruzione storiografica degli eventi il testo che leggiamo ha il valore di una riflessione profetica sul senso della storia e su come Dio si rivela nelle vicende del suo popolo che è poi storia universale; tanto è vero che nella tradizione ebraica il Primo e il Secondo Libro di Samuele, come il Libro dei Re e quello dei Giudici, sono denominati Libri profetici e non storici come siamo abituati a denominarli noi.

Siamo partiti con una situazione di crisi di identità. Il popolo dell'Alleanza è entrato nella Terra di Canaan in un contesto di evoluzione culturale che scardina le radici tradizionali di una mentalità, di un modo di stare al mondo, di lavorare; un passaggio di cultura per coloro che erano abituati all'allevamento del bestiame nelle zone steppose alla ricerca di pascoli; una civiltà agricola. E riscontriamo già un principio di organizzazione politica. Nel contesto di quella situazione di crisi di identità abbiamo avuto a che fare con i segni evidenti di un declino del sacerdozio, la struttura di mediazione nel rapporto di Alleanza tra il Signore e il suo popolo. Il racconto degli eventi concentra l'attenzione su quella novità che, sempre in maniera gratuita e dirompente, rinvia ogni cosa all'iniziativa del Signore: la parola di Dio cerca e trova ascoltatori. Questa novità è la profezia, una posizione di ascolto della Parola. Ed è in quel contesto di sterilità, come abbiamo verificato a suo tempo, che compare Samuele, il profeta, una figura determinante per quanto riguarda la svolta degli eventi che prenderanno un nuovo impulso e man mano andranno orientandosi verso soluzioni che nessuno aveva programmato e nemmeno immaginato. Abbiamo avuto a che fare con una prima parte del racconto, fino al cap. 7, che è anche una riflessione profetica sul senso della storia e su come Dio si rivela dentro la storia di un popolo - dell'umanità intera - che vi suggerivo di intitolare "Alla presenza del Santo": l'Arca Santa, il luogo del culto, il santuario, la crisi del sacerdozio, il riferimento alla presenza del Dio Vivente che ha fatto alleanza con il suo popolo. L'Arca Santa nel frattempo, in seguito a eventi che hanno comportato conflitti disastrosi col popolo confinante dei Filistei, è stata trasferita dal luogo in cui veniva celebrato il culto in una località di frontiera, Kiriat-Iearìm e lì resterà per parecchio tempo. In questo contesto nel quale la presenza sacramentale del Dio Vivente, il Santo, sembra essersi ritirata in una posizione di marginalità il profeta è presente, Samuele, con tutto quello che comporta la testimonianza che passa attraverso il suo ascolto della Parola, l'essere interlocutore e confidente del Dio Vivente, nell'intimità della relazione con il Signore; testimone di quell'inesauribile gratuità che scaturisce dal grembo del Santo e la sua incessante volontà d'amore.

Alla seconda parte di cui ci stiamo occupando, dal cap. 8 al cap. 15, suggerivo di dare il titolo di "fondazione della monarchia". Si tratta di una svolta che assume un valore decisivo per quanto riguarda l'impostazione di quello che sarà lo svolgimento successivo della storia del popolo di Dio. Samuele, interpellato, è contrario, però il Signore gli dice: "hanno bisogno di un re". Il popolo ha bisogno di un riferimento istituzionale perché non è in grado di reggere il rapporto di alleanza con il Signore nella gratuità della relazione. La monarchia fa riferimento a una figura che svolge un ruolo sacramentale in un contesto profano. È il re che garantisce l'articolazione di rapporti comunitari tra tribù all'interno dell'assemblea, raccoglie le diverse componenti spesso anche molto litigiose tra di loro, ha una rappresentanza e una dinamica operativa per quanto riguarda la relazione con gli altri popoli; una presenza istituzionale che garantisce stabilità nello spazio e nel tempo e che assume un ruolo - nel contesto in cui ci muoviamo - propriamente sacramentale, perché è il Signore che interviene tramite Samuele: "Dà loro un re"; ma il re non è propriamente un sacerdote, non è il mediatore nel senso di operatore del culto come strumento di mediazione tra il Santo e Israele; e non è nemmeno un profeta anche se ci possono essere delle commistioni tra queste diverse figure e la storia, in qualche modo, dimostrerà che ci sono sovrapposizioni; ma, di per sé, il re ha a che fare con la profanità del mondo pur essendo allo stesso tempo una figura sacramentale. È l'opera creativa di Dio, è la Sua creatività misericordiosa che interviene nella storia del suo popolo là dove la debolezza, che altrimenti non trova difesa, viene soccorsa mediante l'intervento paziente, puntuale, consolante di Dio stesso. Samuele supera le sue contrarietà e si giunge alla messa a fuoco della prima figura a cui viene imposta la consacrazione regale: Saul. Abbiamo letto tre racconti che descrivono come la figura emerge e come gli viene attribuita quella responsabilità sacramentale che è propria di colui che è consacrato per il servizio del popolo nel rapporto con il mondo. È un'immagine ancora informe, grezza che, man mano, nel corso della storia della salvezza, andrà precisandosi, perché questa figura umana in un contesto profano, nelle vicende della vita pubblica, nel rapporto con gli altri popoli e con l'organizzazione interna, è figura sacramentale che sarà interpretata nel suo itinerario interiore; il processo di conversione caratterizza il personaggio a cui viene attribuito il titolo di re il quale, però, opera su un popolo che ancora non ha acquisito una precisa e rigorosa definizione riguardante il suo servizio e la sua identità profonda.

Le pagine che dobbiamo leggere, sia nel Primo che nel Secondo Libro di Samuele, ci aiuteranno proprio a decifrare questo itinerario di conversione che conferisce a una persona umana un valore sacramentale dell'iniziativa della misericordia di Dio che si prende cura della debolezza del suo popolo.

Leggeremo le pagine che vanno dal cap. 13 al cap. 15. Abbiamo a che fare con una serie di tre racconti che mettono in scena le imprese di Saul che è stato "unto", consacrato re. Sappiamo bene che questo personaggio va incontro a un clamoroso fallimento; questo non è un modo per giudicare Saul, ma certamente la figura a cui per la prima volta viene attribuito il titolo di re nella storia della salvezza è espressione di un doloroso, drammatico disastro. Non possiamo ridurre in alcun modo quell'itinerario di conversione a qualche fenomeno devozionale, qualche buona intenzione, qualche proposito generoso... e poi Dio provvederà. Quell'itinerario di conversione comporta la rivelazione di come l'opera di Dio si compie nel vissuto di una persona che da creatura, che in questo mondo condivide tutte le debolezze della nostra realtà umana, è chiamata a svolgere un ruolo di "segno", un ruolo sacramentale. Le pagine che leggiamo vanno verso la figura di Davide che assumerà un rilievo dominante. Ma non si arriva a Davide senza passare attraverso Saul e quando avremo a che fare con Davide avremo tante cose da imparare circa questa instaurazione della regalità come valore sacramentale, che è rivelazione dell'opera di Dio nel vissuto di un essere umano. Là dove questa opera di Dio è attiva nei confronti di una creatura abbiamo a che fare non con un personaggio isolato in un contesto anacoretico, ma con il re che è in grado di svolgere responsabilità di valore pubblico, di fondamentale rilevanza per l'edificazione comunitaria, per la gestione nelle vicende interne e le relazioni con il mondo esterno. Le cose che sto dicendo sono forse un po' grezze, perché noi tutti siamo abituati a collocare nel nostro mondo catechetico e nel nostro linguaggio pastorale le tre figure "sacerdote, profeta e re". Certamente queste figure sono presenti, ma come esattamente si muovano nel contesto della storia della salvezza non sempre è del tutto chiaro. Abbiamo avuto a che fare con il sacerdozio e con la profezia - e ne avremo ancora - ma la figura che emerge, dal cap. 8 a seguire, è la figura del re in quanto sacramento di quell'opera di Dio che converte il cuore umano e, convertendolo, abilita quella persona (il sovrano è unico tra una moltitudine, ma riguarda ogni essere umano) ad assumere una responsabilità di valore comunitario e, addirittura, di valore civile, politico.

Dal cap. 13 al cap. 15 leggiamo tre racconti: le imprese di Saul e già vi annunciavo i suoi fallimenti. Nessuno ha insegnato a Saul il mestiere di re e questo rende il personaggio comprensibile nei suoi guasti, difficoltà, errori, fraintendimenti, inesperienza circa il discernimento. Saul è un pioniere; Davide imparerà il suo mestiere alla scuola di Saul. Il fallimento di Saul non è fine a se stesso, ma interno a una storia che cresce proprio per quanto riguarda i criteri di quella conversione interiore che conferisce a una persona umana una dignità regale e, quindi, una responsabilità che investe la storia di un popolo e la storia dell'umanità intera.


Il conflitto con i Filistei; il rimprovero di Samuele a Saul

Cap. 13, vv. 1-15. "Saul aveva trent'anni (ci sono alcune incertezze nella traduzione, nel passaggio dall'ebraico al greco) quando cominciò a regnare e regnò vent'anni su Israele... Egli si scelse tremila uomini da Israele: duemila stavano con Saul in Micmas e sul monte di Betel e mille stavano con Giònata (suo figlio) a Gàbaa di Beniamino; rimandò invece il resto del popolo ciascuno alla sua tenda". La situazione viene descritta in termini sobri, ma essenziali. È il principio della formazione di un esercito permanente; anche questa è competenza che riguarda la presenza di un re nella grande comunità delle tribù di Israele. Ci sono alcuni presidi militarizzati che fronteggiano le guarnigioni filistee, perché i Filistei sono i padroni del quadro politico internazionale in quell'epoca. Si sono sistemati sulla costa del mar Mediterraneo, appartengono a un ciclo di civiltà superiore, dominano le strade, i commerci e soprattutto tutte le competenze che riguardano la lavorazione dei metalli, una tecnologia che è una loro prerogativa; tengono sotto controllo l'ambiente. Non lo occupano, lo controllano attraverso presidi militari e verifiche sugli snodi del commercio internazionale. Accanto a Saul c'è suo figlio, Giònata e non è un caso che venga segnalata la presenza del figlio perché una delle caratteristiche inconfondibili dell'istituzione regale è la garanzia della stabilità non solo nell'immediato, ma in vista del futuro; e questa stabilità dipende dalla costituzione della dinastia. C'è un erede che già assume un ruolo, prerogativa inconfondibile di quella missione che spetta al re in quanto tale: il futuro è garantito, la stabilità della vita del popolo è assicurata. "Allora Giònata sconfisse la guarigione dei Filistei che era in Gàbaa (Giònata è protagonista di un'impresa che viene descritta qui e successivamente in maniera più dettagliata. Giònata è intraprendente, generoso, un giovane vivace, ben voluto dalla gente) e i Filistei lo seppero subito. Ma Saul suonò la tromba in tutta la regione gridando: «Ascoltino gli Ebrei!» (bisogna intervenire in massa e quindi convoca tutti gli uomini abili al combattimento. L'espressione "gli Ebrei", nel contesto storico e culturale in cui si inseriscono queste pagine è termine che allude a una condizione sociale deteriore: sono coloro che appartengono alla categoria sociale più squalificata, una specie di "paria" del mondo antico e tali sono considerati dai Filistei). Tutto Israele udì e corse la voce: «Saul ha battuto la guarnigione dei Filistei e ormai Israele s'è urtato con i Filistei». Il popolo si radunò dietro Saul a Gàlgala (è il luogo dell'appuntamento e lì si deve raccogliere lo schieramento militare che Saul vuole contrapporre ai Filistei). Anche i Filistei si radunarono per combattere Israele, con tremila carri e seimila cavalieri e una moltitudine numerosa come la sabbia che è sulla spiaggia del mare. Così si mossero e posero il campo a Micmas a oriente di Bet-Aven. Quando gli Israeliti si accorsero di essere in difficoltà, perché erano stretti dal nemico, cominciarono a nascondersi (si imboscano) in massa nelle grotte, nelle macchie, fra le rocce, nelle fosse e nelle cisterne. Alcuni Ebrei passarono oltre il Giordano nella terra di Gad e Gàlaad". Un fuggi-fuggi generale, lo sbando è un fatto pubblico; Saul si è dato un gran da fare per organizzare uno schieramento che non regge e non può sostenere l'impatto con una truppa organizzata e armata in maniera così micidiale come quella che i Filistei sono in grado di mettere in campo. Saul affronta questa situazione tutto solo. A Gàlgala dove (cap. 10, v. 8) Samuele aveva dato appuntamento a Saul. È accampato lì con i suoi uomini, ma la sua gente si sta disperdendo ai quattro venti. "Saul restava in Gàlgala e tutto il popolo che stava con lui era impaurito. Aspettò tuttavia sette giorni secondo il tempo fissato da Samuele. Ma Samuele non arrivava a Gàlgala e il popolo si disperdeva lontano da lui (Saul ha bisogno di essere confortato, rassicurato. Aspettava da Samuele quel sostegno che in questo momento è per lui estremamente necessario, perché deve gestire una situazione avviata al disastro più completo). Allora Saul diede ordine: «Preparatemi l'olocausto e i sacrifici di comunione» (vuole celebrare un sacrificio, cosa che non è di sua competenza perché Saul non è sacerdote. Vuole approfittare del suo ruolo in questa situazione angosciosa nella quale si trova per gestire il sacro come strumento di potere a conferma della sua posizione di comandante di questo piccolo esercito in fase di sfaldamento. Questo è un abuso di potere. Samuele non è arrivato). Quindi offrì l'olocausto. Ed ecco, appena ebbe finito di offrire l'olocausto, giunse Samuele (una disdetta clamorosa. Saul ha compiuto un atto liturgico in contraddizione con quella particolare missione che è stato affidata da Dio a lui) e Saul gli uscì incontro per salutarlo (trova sollievo per la presenza di Samuele). Samuele disse subito: «Che hai fatto?». Saul rispose: «Vedendo che il popolo si disperdeva lontano da me e tu non venivi al termine dei giorni fissati, mentre i Filistei si addensavano in Micmas, ho detto: ora scenderanno i Filistei contro di me in Gàlgala mentre io non ho ancora placato il Signore. Perciò mi sono fatto ardito e ho offerto l'olocausto»". La spiegazione di Saul sembra del tutto ragionevole: "siamo allo sfascio, tu non sei arrivato entro i limiti di giorni che avevi stabilito, tu sei venuto meno all'appuntamento". Ma Samuele risponde: "errore gravissimo, così hai già segnato il tuo fallimento con un abuso di potere, la pretesa di strumentalizzare il sacro". La sacramentalità del re non sta nella gestione del sacro, ma nel discernimento del profano. Notate il linguaggio di Saul che è un uomo molto religioso, ma di una religiosità che vede nel Signore una presenza da placare: il Signore è una minaccia, è incombente, "potrebbe avercela con noi e così dobbiamo offrire un sacrificio. Se non lo fa il sacerdote lo faccio io; debbo intervenire in maniera tale che quel Dio implacabile si rivolga verso di noi con sentimenti favorevoli". È una religiosità del rischio che sfida il capriccio divino e bisogna placarlo. "Rispose Samuele a Saul: «Hai agito da stolto, non osservando il comando che il Signore Dio tuo ti aveva imposto, perché in questa occasione il Signore avrebbe reso stabile il tuo regno su Israele per sempre (questa occasione diventa determinante per quanto riguarda tutto il seguito. Questo fallimento inquadra il futuro della missione regale come una sequenza di disastri. Non toglie niente al valore intrinseco del personaggio che, comunque, con tutte le sue disgrazie e i suoi errori, è un pioniere). Ora invece il tuo regno non durerà. Il Signore si è già scelto un uomo secondo il suo cuore e lo costituirà capo del suo popolo, perché tu non hai osservato quanto ti aveva comandato il Signore»". "Tu non hai avuto pazienza nell'ascolto, nell'obbedienza, nella pazienza della fede; non sei stato al tuo posto come obbediente al Signore che ti ha chiamato e ti ha costituito re. Hai voluto abusare di altre competenze, strumentalizzandole secondo altri criteri". La squalifica di Saul compromette la dinastia. D’altra parte, il Signore continua a ribadire la sua intenzione di dare un re al popolo (l'aveva spiegato a Samuele: "bisogna darglielo un re, ne hanno bisogno, sono debolissimi") e questa conferma dell'iniziativa del Signore che vuole dare un re al suo popolo adesso passa attraverso la denuncia del fallimento di Saul e della sua dinastia. "Samuele poi si alzò e salì da Gàlgala per andarsene per la sua strada. Il resto del popolo salì dietro a Saul incontro ai guerrieri e vennero da Gàlgala a Gàbaa di Beniamino; Saul contò la gente che era rimasta con lui: erano seicento uomini". È rimasto un minuscolo drappello da mettere in campo nel conflitto con i Filistei. Intanto Samuele si è ritirato e Saul si dà da fare per organizzare la resistenza. L'episodio non ci informa circa l'esito del conflitto; non è quello che conta. Quello che conta è il mancato appuntamento di Saul con l'esercizio della fede nel contesto della sua missione regale.


Preparativi di guerra

Vv. 16-23. Un secondo racconto: "Saul e Giònata (la figura di Giònata assume un rilievo dominante) e la gente rimasta con loro stavano a Gàbaa di Beniamino e i Filistei erano accampati in Micmas. Dall'accampamento filisteo uscì una pattuglia d'assalto divisa in tre schiere: una si diresse sulla via di Ofra verso il paese di Suàl; un'altra si diresse sulla via di Bet-Coron; la terza schiera si diresse sulla via del confine che sovrasta la valle di Zeboìm verso il deserto" (ci tengono a dimostrare che hanno sotto controllo il territorio e a dare una prova della loro potenza. Ora c'è un intermezzo, alcune notizie che ci danno il polso della situazione). Allora non si trovava un fabbro in tutto il paese d'Israele (la lavorazione dei metalli è competenza dei Filistei): «Perché - dicevano i Filistei - gli Ebrei non fabbrichino spade o lance». Così gli Israeliti dovevano sempre scendere dai Filistei per affilare chi il vomere, chi la zappa, chi la scure o la falce. L'affilatura costava due terzi di siclo per i vomeri e le zappe e un terzo l'affilatura delle scuri e dei pungoli. Nel giorno della battaglia, in tutta la gente che stava con Saul e Giònata, non si trovò in mano ad alcuno né spada né lancia. Si poté averne solo per Saul e suo figlio Giònata (è una debolezza strutturale per Israele, il predominio tecnologico è dei Filistei). Intanto una guarnigione di Filistei era uscita verso il passo di Micmas".


Giònata aggredisce i Filistei

Vv. 1-14. Adesso Giònata entra in azione ed è protagonista di una vittoria strepitosa che travolge in maniera del tutto imprevedibile lo schieramento filisteo. Leggiamo quello che succede e come si comporta Saul perché l'obiettivo di questi racconti è aiutarci a decifrare come si evolve nell'animo del re quel modo di intervenire da parte di Dio, protagonista di quella conversione che fa di un essere umano un sacramento della regalità di Dio; e l'iniziativa di Dio è mirata a promuovere la debolezza umana e a fare della fragilità di una vicenda che produce - stando alle esperienze condivise dagli uomini - dispersione, frantumazione, vanificazione, fallimento, un itinerario di crescita in corrispondenza alla comunione d'amore custodita da sempre nell'intimo del Dio Vivente. Vediamo come questa conversione avviene e come è segnata da pericolosi amarissimi fallimenti.

"Un giorno Giònata, figlio di Saul, disse al suo scudiero: «Su vieni, portiamoci fino all'appostamento dei Filistei che sta qui di fronte». Ma non disse nulla a suo padre. Saul se ne stava al limitare di Gàbaa sotto il melograno che si trova in Migròn; la sua gente era di circa seicento uomini. Achià figlio di Achitùb, fratello di Icabòd, figlio di Pìncas, figlio di Eli, sacerdote del Signore in Silo, portava l'efod e il popolo non sapeva che Giònata era andato" (l'Arca Santa è sistemata a Kiriat-Iearìm, località di periferia, ma esiste ancora una discendenza sacerdotale (Eli, i suoi figli e discendenti) e il sacerdote ha sue competenze liturgiche speciali, l'efod - con gli Urim e Tummim - che serve a interpretare la volontà di Dio). Tra i varchi per i quali Giònata cercava di passare, puntando sull'appostamento dei Filistei, vi era una sporgenza rocciosa da una parte e una sporgenza rocciosa dall'altra parte: una si chiamava Bòzez, l'altra Sène. Una delle rocce sporgenti era di fronte a Micmas a settentrione, l'altra era di fronte a Gàbaa a meridione. Giònata disse allo scudiero: «Su, vieni, passiamo all'appostamento di questi non circoncisi; forse il Signore ci aiuterà, perché non è difficile per il Signore salvare con molti o con pochi» (Giònata affida tutto all'iniziativa del Signore e organizza un'impresa lungo quella scarpata impervia. Vuol fare in modo che i Filistei, deridendolo, lo invitino a salire perché lungo quella scarpata quelli che incontrerà saranno sempre uno alla volta per come è ripido il sentiero e stretto il varco; e, uno alla volta, è sicuro di poterli eliminare. Non sarà una vittoria grandiosa come su un campo di battaglia, ma il fatto in sé acquista un valore sensazionale. "Ci penserà il Signore"). Lo scudiero gli rispose: «Fa' quanto hai in animo. Avvìati e và! Eccomi con te: come il tuo cuore, così è il mio». Allora Giònata disse: «Ecco, noi passeremo verso questi uomini e ci mostreremo loro. Se ci diranno: Fermatevi finché veniamo a raggiungervi, restiamo in basso e non saliamo da loro. Se invece ci diranno: Venite su da noi! saliamo, perché il Signore ce li ha messi nelle mani e questo sarà per noi il segno» (anche i nemici obbediscono a Dio). Quindi i due si lasciarono scorgere dall'appostamento filisteo e i Filistei dissero: «Ecco gli Ebrei che escono dalle caverne dove si erano nascosti». Poi gli uomini della guarnigione dissero a Giònata e al suo scudiero: «Salite da noi, che abbiamo qualche cosa da dirvi!». Giònata allora disse al suo scudiero: «Sali dopo di me, perché il Signore li ha messi nelle mani di Israele». Giònata saliva aiutandosi con le mani e con i piedi e lo scudiero lo seguiva; quelli cadevano davanti a Giònata e, dietro, lo scudiero li finiva. Questa fu la prima strage nella quale Giònata e il suo scudiero colpirono una ventina di uomini, entro quasi metà di un campo arabile" (l'impresa in sé e per sé è modesta, ma carica di conseguenze).


Divampa la battaglia

Vv. 15-23. "Si sparse così il terrore nell'accampamento, nella regione e in tutto il popolo. Anche la guarnigione e i suoi uomini d'assalto furono atterriti e la terra tremò e ci fu un terrore divino (un'esplosione di sgomento tra i Filistei). Le vedette di Saul che stavano in Gàbaa di Beniamino guardarono e videro la moltitudine che fuggiva qua e là (non sanno niente di Giònata). Allora Saul ordinò alla gente che era con lui: «Su, cercate e indagate chi sia partito da noi». Cercarono ed ecco non c'erano né Giònata né il suo scudiero. Saul disse ad Achia: «Avvicina l'efod!» - egli infatti allora portava l'efod davanti agli Israeliti -. Mentre Saul parlava al sacerdote, il tumulto che era sorto nel campo filisteo andava propagandosi e crescendo. Saul disse al sacerdote: «Ritira la mano» ("lascia stare, non c'è tempo". Saul è preso dal timore; bisogna subito intervenire. Sono le contraddizioni tipiche del personaggio; l'urgenza dei fatti è prevalente rispetto a quello che doveva essere l'ossequio reso a una ricerca della volontà di Dio che, in quel contesto, era affidata all'intervento del sacerdote che sa come utilizzare l'efod). A loro volta Saul e la gente che era con lui alzarono grida e mossero all'attacco, ma ecco trovarono che la spada dell'uno si rivolgeva contro l'altro (i Filistei sono in rotta) in una confusione molto grande. Anche quegli Ebrei che erano con i Filistei da qualche tempo e che erano saliti con loro all'accampamento, si voltarono, per mettersi con Israele che era là con Saul e Giònata. Inoltre, anche tutti gli Israeliti che si erano nascosti sulle montagne di Efraim, quando seppero che i Filistei erano in fuga, si unirono a inseguirli e batterli. Così il Signore in quel giorno salvò Israele e la battaglia si estese fino a Bet-Aven". È un'affermazione solenne ed è una citazione del Libro dell'Esodo dopo la traversata del mare. Intanto Saul ha rifiutato quella consultazione che il sacerdote avrebbe dovuto attivare per intendere la volontà di Dio. La realtà dei fatti, nell'immediatezza dei riscontri, è che la vittoria è stata strepitosa; e non è finita qui.


Gionata disobbedisce a Saul

Vv. 24-35. "Gli Israeliti erano sfiniti in quel giorno e Saul impose questo giuramento a tutto il popolo (questo è Saul: gli è venuto in mente di venirsene con una risoluzione di tipo ascetico. Saul è un uomo devoto): «Maledetto chiunque gusterà cibo prima di sera, prima che io mi sia vendicato dei miei nemici». E nessuno del popolo gustò cibo (una decisione del genere pregiudica poi le possibilità di inseguimento, di prosecuzione della lotta, ma intanto ha giurato e fatto giurare: un obbligo del tutto ascetico completamente fuori luogo in questo contesto). Tutta la gente passò per una selva dove c'erano favi di miele sul suolo. Il popolo passò per la selva ed ecco si vedeva colare il miele, ma nessuno stese la mano e la portò alla bocca, perché il popolo temeva il giuramento. Ma Giònata non aveva saputo che suo padre aveva fatto giurare il popolo, quindi allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono. Uno del gruppo s'affrettò a dire: «Tuo padre ha fatto fare questo solenne giuramento al popolo: Maledetto chiunque toccherà cibo quest’oggi! sebbene il popolo fosse sfinito». Rispose Giònata: «Mio padre vuol rovinare il paese! Guardate come si sono rischiarati i miei occhi, perché ho gustato un poco di questo miele. Dunque, se il popolo avesse mangiato oggi qualche cosa dei viveri presi ai nemici, quanto maggiore sarebbe stata ora la rotta dei Filistei! (Altro che mantenere l'impegno ascetico del digiuno. Giònata è inadempiente rispetto al giuramento; è disinformato, però assume un atteggiamento spavaldo nei confronti di coloro che gli dicono ciò che aveva ordinato Saul). In quel giorno percossero i Filistei da Micmas fino ad Aialon e il popolo era sfinito. Quelli del popolo si gettarono sulla preda (il giorno è finito, sono affamati) e presero pecore, buoi e vitelli e li macellarono e li mangiarono con il sangue (gravissimo, questo non si può fare, ma è una conseguenza di quel giuramento fuori luogo; è un comportamento gravemente illecito, non c'è dubbio, la macellazione deve rispettare il sangue, ma la situazione è sfuggita di mano). La cosa fu annunziata a Saul: «Ecco il popolo pecca contro il Signore, mangiando con il sangue». Rispose: «Avete prevaricato! Rotolate subito qui una grande pietra» (costruisce un altare. È un artificio liturgico, ma bisogna in qualche modo ricondurre quel comportamento illecito all'interno del regolamento). Allora Saul soggiunse: «Passate tra il popolo e dite a tutti: Ognuno conduca qua il suo bue e il suo montone e li macelli su questa pietra, poi mangiatene; così non peccherete contro il Signore, mangiando le carni con il sangue». In quella notte ogni uomo del popolo condusse a mano ciò che aveva e là lo macellò. Saul innalzò un altare al Signore. Fu questo il primo altare che egli edificò al Signore".


Nel contrasto tra Saul e Giònata il popolo si schiera con Giònata

Vv. 36-52. "Quindi Saul disse: «Scendiamo dietro i Filistei questa notte stessa e deprediamoli fino al mattino e non lasciamo scampare uno solo di loro». Gli risposero: «Fa’ quanto ti sembra bene». Ma il sacerdote disse: «Accostiamoci qui a Dio» (viene interpellato il sacerdote che constata che Dio tace). Saul dunque interrogò Dio: «Devo scendere dietro i Filistei? Li consegnerai in mano di Israele?». Ma quel giorno non gli rispose (Saul in tutti i modi cerca un consenso da parte di Dio; si è messo a celebrare un sacrificio, ha imposto un giuramento che va ben oltre le necessità di un impegno morale coerente, ha messo in piedi un altare e ora interpella tramite il sacerdote il Signore per ricevere informazioni circa la Sua volontà perché deve inseguire i Filistei. Ma Saul ha a che fare con il silenzio: "non rispose"). Allora Saul disse: «Accostatevi qui voi tutti capi del popolo. Cercate ed esaminate da chi sia stato commesso oggi il peccato (c'è di mezzo un peccato. Saul ragiona in questo modo e, dal suo punto di vista, ha ragione), perché per la vita del Signore salvatore d'Israele certamente costui morirà, anche se si tratta di Giònata mio figlio» (Saul ha imposto il giuramento e adesso c'è di mezzo una sentenza di morte). Ma nessuno del popolo gli rispose (c'è il silenzio di Dio e c'è il silenzio del popolo. La figura di Saul è tragica e lo vedremo meglio andando avanti. È solo, Dio tace e tace anche il popolo. Intanto ha emanato una sentenza di morte. È il mestiere del re). Perciò disse a tutto Israele: «Voi state da una parte: io e mio figlio Giònata staremo dall'altra». Il popolo rispose a Saul: «Fa quanto ti sembra bene». Saul parlò al Signore: «Dio d'Israele, fa’ conoscere l'innocente». Furono designati Giònata e Saul e il popolo restò libero. Saul soggiunse: «Tirate a sorte tra me e mio figlio Giònata». Fu sorteggiato Giònata. Saul disse a Giònata: «Narrami quello che hai fatto». Giònata raccontò: «Realmente ho assaggiato un po’ di miele con la punta del bastone che avevo in mano. Ecco, morirò» (il tono di Giònata è un po' sfottente. Saul rispose: "Certo!". Che imbroglio, che contraddizione!). Saul disse: «Faccia Dio a me questo e anche di peggio, se non andrai a morte, Giònata!» (una contraddizione micidiale fino a condannare a morte il figlio. Ma interviene il popolo). Ma il popolo disse a Saul: «Dovrà forse morire Giònata che ha ottenuto questa grande vittoria in Israele? Non sia mai! Per la vita del Signore, non cadrà a terra un capello del suo capo, perché in questo giorno egli ha agito con Dio». Così il popolo salvò Giònata che non fu messo a morte" (rimane il conflitto; è comprensibile l'affetto paterno di Saul e il rigore del governo a cui Saul deve attenersi. In questo contesto si inceppa tutto il progetto di Saul). Saul cessò dall'inseguire i Filistei e questi raggiunsero il loro paese" (non si può proseguire. Non viene condannato a morte Giònata, ma la vittoria nei confronti dei Filistei ha un effetto limitato perché la situazione non consente a Saul di procedere nell'impresa).

"Saul si assicurò il regno su Israele e mosse contro tutti i nemici all'intorno: contro Moab e gli Ammoniti, contro Edom e i re di Zoba e i Filistei e dovunque si volgeva aveva successo. Compì imprese brillanti, batté gli Amaleciti e liberò Israele dalle mani degli oppressori. Figli di Saul furono Giònata, Isbàal e Malkisùa; le sue due figlie si chiamavano Merab la maggiore e Mikal la più piccola. La moglie di Saul si chiamava Achinòam, figlia di Achimàaz. Il capo delle sue milizie si chiamava Abner figlio di Ner, zio di Saul. Kis padre di Saul e Ner padre di Abner erano figli di Abièl. Durante tutto il tempo di Saul vi fu guerra aperta con i Filistei; se Saul scorgeva un uomo valente o un giovane coraggioso, lo prendeva al suo seguito". Registriamo dei successi militari; Saul è colui ha dato inizio alla formazione di un esercito permanente, ma in queste poche righe ci viene data la fisionomia essenziale di un personaggio la cui vita è priva di relazioni aperte; sono relazioni bloccate, inceppate, circoscritte, senza respiro. Ha una moglie, tre figli, due figlie. Arriverà il momento il cui avremo a che fare con un personaggio che produce tutti i segni di un ammalato. È una patologia che affligge Saul: dissociato, incapace di comunicare, resta prigioniero di un suo mondo interiore di cui non riesce più a discernere il linguaggio.


Guerra contro gli Amaleciti

Cap. 15, vv. 1-9. "Samuele disse a Saul: «Il Signore ha inviato me per consacrarti re sopra Israele suo popolo. Ora ascolta la voce del Signore. Così dice il Signore degli eserciti: Ho considerato ciò che ha fatto Amalek a Israele, ciò che gli ha fatto per via, quando usciva dall'Egitto". Amalek è una popolazione di predoni del deserto. È anche, nel linguaggio antico-testamentario, uno dei nomi della potenza demoniaca; è l'avversario per antonomasia ed è colui che aggredisce la retroguardia, che interviene laddove il popolo nel suo complesso o i singoli fedeli sono alle prese con l'evidenza della propria debolezza. Il caso emblematico si trova nel cap. 17 dell'Esodo quando racconta che il popolo si trova a Refidim che vuol dire "mani fiacche, là dove ti cascano le braccia"; l'oasi di Refidim è il luogo dove interviene Amalek. Il conflitto con gli Amaleciti viene determinato dal fatto che Mosè tiene le braccia alzate. Si parla di Amalek anche nel Libro del Deuteronomio; il re si chiama Agag ed è il nome di un personaggio che viene citato nel Libro di Ester. L'incarico preciso è quello di individuare il nemico e affrontarlo. "Và dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio (lo sterminio non è l'obiettivo verso cui è mirata la passione feroce di chi ha il gusto del massacro. Lo sterminio è un fatto che esclude, in un contesto bellico, ogni possibilità di bottino; per cui non conviene a nessuno fare una guerra di sterminio. Per questo lo sterminio è riservato a Dio; per noi un'affermazione del genere diventa quasi blasfema. Ma nessuno può volere lo sterminio. Si può fare una guerra di sterminio solo per volontà di Dio. Provate a mettere a fuoco un'affermazione del genere e non scandalizzatevi. Amalek deve essere sterminato, non ci possono essere complicità, spazi di approssimazione, incertezze o ambiguità) quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini». [4] Saul convocò il popolo e passò in rassegna le truppe in Telaìm: erano duecentomila fanti e diecimila uomini di Giuda. Saul venne alla città di Amalek e tese un'imboscata nella valle. Disse inoltre Saul ai Keniti: «Andate via, ritiratevi dagli Amaleciti prima che vi travolga insieme con loro, poiché avete usato benevolenza con tutti gli Israeliti, quando uscivano dall'Egitto». I Keniti si ritirarono da Amalek. Saul colpì Amalek da Avila procedendo verso Sur, che è di fronte all'Egitto. Egli prese vivo Agag, re di Amalek, e passò a fil di spada tutto il popolo. Ma Saul e il popolo risparmiarono Agag e il meglio del bestiame minuto e grosso, gli animali grassi e gli agnelli, cioè tutto il meglio, e non vollero sterminarli; invece votarono allo sterminio tutto il bestiame scadente e patito". Vittoria nei confronti di Amalek, ma Saul ottiene suoi obiettivi di ordine politico (la vita del re che viene trattenuto in ostaggio) e di ordine economico (il bottino migliore). Lo sterminio, in questo caso, è stato riservato al bottino scadente. Ora interviene Samuele. Questo è il terzo racconto, quello che chiude la sequenza degli episodi che stiamo leggendo e sigilla in maniera ineccepibile il fallimento di Saul.


Il comportamento di Saul non è gradito al Signore

Vv. 10-21. "Allora fu rivolta a Samuele questa parola del Signore: «Mi pento di aver costituito Saul re (è il Signore che parla), perché si è allontanato da me e non ha messo in pratica la mia parola». Samuele rimase turbato e alzò grida al Signore tutta la notte". Samuele è intercessore, è uno dei grandi intercessori della storia della salvezza, ma il suo tentativo di intercessione rimane senza effetto e Samuele sospira, geme e piange. Il re è disobbediente, non ha ascoltato la Parola. È in questione l'esercizio di una missione che riguarda una responsabilità nel mondo, la gestione delle realtà profane; in quel contesto il re è chiamato ad assumere e realizzare la propria missione in obbedienza alla Parola. È un atto di fede rispetto al quale Saul si è invece distratto in maniera che qui è considerata gravemente negativa. "Al mattino presto Samuele si alzò per andare incontro a Saul, ma fu annunziato a Samuele: «Saul è andato a Carmel, ed ecco si è fatto costruire un trofeo, poi è tornato passando altrove ed è sceso a Gàlgala». Samuele raggiunse Saul e Saul gli disse: «Benedetto tu davanti al Signore; ho eseguito gli ordini del Signore» (ecco, "io ho fatto tutto quello che il Signore mi ha ordinato", e sta preparando addirittura un trofeo, una celebrazione trionfale. È l'esercizio del suo potere che così trova dimostrazione in maniera clamorosa, commovente, entusiasmante; è un successo popolare). Rispose Samuele: «Ma che è questo belar di pecore, che mi giunge all'orecchio, e questi muggiti d'armento che odo?». Disse Saul: «Li hanno condotti qui dagli Amaleciti, come il meglio del bestiame grosso e minuto, che il popolo ha risparmiato per sacrificarli al Signore, tuo Dio. Il resto l'abbiamo votato allo sterminio»". Non si capisce bene se Saul qui sia sfrontato o incosciente. Si giustifica usando verbi in terza persona plurale come per dire che rispetta la volontà del popolo. È una scelta democratica: "l'hanno voluto loro, lo faccio per farli contenti; è il popolo che ha deciso di comportarsi in questo modo". E, quindi, ora un grande sacrificio, ma non secondo la regola dello sterminio, ma della celebrazione trionfale". Dice Saul: "per sacrificarli al Signore, tuo Dio", al Signore di Samuele. Saul non dice mai "mio Dio", dice "il tuo Dio", perché il Dio di Saul è un Dio capriccioso, minaccioso, inaffidabile, implacabile. È una religiosità inquinata quella di Saul, il re, che si barcamena in maniera contraddittoria. Interviene di nuovo Samuele: "Rispose Samuele a Saul: «Basta! Lascia che ti annunzi ciò che il Signore mi ha rivelato questa notte». E Saul gli disse: «Parla!». Samuele cominciò: «Non sei tu capo delle tribù d'Israele, benché piccolo ai tuoi stessi occhi? Non ti ha forse il Signore consacrato re d'Israele? Il Signore ti aveva mandato per una spedizione e aveva detto: Và, vota allo sterminio quei peccatori di Amaleciti, combattili finché non li avrai distrutti. Perché dunque non hai ascoltato la voce del Signore e ti sei attaccato al bottino e hai fatto il male agli occhi del Signore?»". "Tu ti sei ribellato alla Parola del Signore". La Parola del Signore riguarda Saul non in rapporto devozioni liturgiche, celebrazioni di sacrifici, impegni riguardanti il mondo circoscritto delle obbedienze ai precetti della morale, ma riguarda la responsabilità pubblica, sociale, civile, politica, mondana. E Saul non ha obbedito, ma ha pensato di mettere in piedi una celebrazione trionfale grandiosa con il concorso popolare, con l'approvazione dei suoi sudditi. "Saul insisté con Samuele: «Ma io ho obbedito alla parola del Signore, ho fatto la spedizione che il Signore mi ha ordinato, ho condotto Agag re di Amalek e ho sterminato gli Amaleciti. Il popolo poi ha preso dal bottino pecore e armenti, primizie di ciò che è votato allo sterminio per sacrificare al Signore tuo Dio in Gàlgala»". Ci risiamo: "il Signore, tuo Dio". "Ho rispettato la volontà popolare e adesso finalmente celebreremo un grande sacrificio al Signore, "tuo Dio"; lo faremo contento". Ma qui si tratta di assumere la responsabilità di un cuore umano che gli è affidata dalla Parola di Dio, una responsabilità aperta a un popolo, alla storia, al mondo, all'universale, in un contesto profano.


Oracolo di condanna

Nei vv. 22-23 un oracolo di condanna che chiude la partita. È vero che Saul resta sulla scena fino al cap. 31, ma la condanna è già stata proclamata).

Samuele esclamò:

«Il Signore forse gradisce gli olocausti e i

sacrifici

come obbedire alla voce del Signore? (il Signore vuole obbedienza alla Sua voce, non un culto rituale) Ecco, obbedire è meglio del sacrificio,

essere docili è più del grasso degli arieti.

Poiché peccato di divinazione è la ribellione,

e iniquità e terafim l'insubordinazione.

Perché hai rigettato la parola del Signore,

Egli ti ha rigettato come re».


Il fallimento di Saul; Samuele piange per lui

Vv. 24-35. "Saul disse allora a Samuele: «Ho peccato (Saul è disperato) per avere trasgredito il comando del Signore e i tuoi ordini, mentre ho temuto il popolo e ho ascoltato la sua voce. Ma ora, perdona il mio peccato e ritorna con me, perché mi prostri al Signore» (anche quando confessa di essere peccatore Saul è fuori misura, perché confessa di essere peccatore ma sbaglia l'interlocutore: non ha una relazione diretta con il Signore. Quella che preme a Saul è la sua figura pubblica. "Come faccio a presentarmi in pubblico in queste condizioni se tu, Samuele, non mi accompagni?". Saul è schiacciato sotto il peso di un ruolo che non riesce ancora ad abitare con il cuore del credente). Ma Samuele rispose a Saul: «Non posso ritornare con te, perché tu stesso hai rigettato la parola del Signore e il Signore ti ha rigettato perché tu non sia più re sopra Israele». Samuele si voltò per andarsene ma Saul gli afferrò un lembo del mantello, che si strappò (è strappato il mantello di Samuele, ma è strappata la vita di Saul). Samuele gli disse: «Il Signore ha strappato da te il regno d'Israele e l'ha dato ad un altro migliore di te. D’altra parte, la Gloria di Israele non mentisce né può ricredersi, perché Egli non è uomo per ricredersi». Saul disse: «Ho peccato sì, ma onorami davanti agli anziani del mio popolo e davanti a Israele; ritorna con me perché mi prostri al Signore tuo Dio» ("Signore tuo Dio". Eppure, è un uomo religioso, vuole celebrare sacrifici, inventa soluzioni moralistiche di straordinario impegno ascetico). Samuele ritornò con Saul e questi si prostrò al Signore". Resta il sacramento della misericordia di Dio; l'intenzione di Dio di dare al suo popolo il sacramento della misericordia. È tutta la vicenda di Saul e del suo regno che acquista un significato dolorosissimo di un segno di lacerazione. E, in questo contesto, il Signore conferma l'intenzione di dare un re al suo popolo. Interviene Samuele con Agag, il re amalecita che era rimasto in vita; e poi Samuele si ritirò. Alla fine del capitolo l'ultimo versetto: "Né Samuele tornò a rivedere Saul fino al giorno della sua morte, ma Samuele piangeva per Saul, perché il Signore si era pentito di aver fatto regnare Saul su Israele". Samuele si assume una responsabilità che è prerogativa del profeta in maniera inconfondibile: è la responsabilità riguardante il ministero del pianto. In questa situazione Samuele piange ininterrottamente: "piangeva per Saul".

La volta prossima avremo a che fare con Davide. Bisognerà accompagnarlo lungo il cammino di conversione che fa di una persona umana un sacramento della misericordia di Dio.

Lectio divina


2017-2018 - Libri di Samuele


  • 06 marzo 2018
    Primo Libro di Samuele - quarta parte
    Il re come figura dell’opera di salvezza di Dio