Incontri di discernimento e solidarietà
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05 aprile 2016

Libro di Tobia - terza parte

La gloria di Dio porta a compimento la sua intenzione d'amore per la vita degli uomini

Quinto incontro del ciclo 2015-2016



Riprendiamo la lettura del Libro di Tobia. Abbiamo letto fino alla fine del capitolo 6. Tobia è in viaggio, insieme a quel fratello sconosciuto che è stato identificato come l’accompagnatore necessario che svolge la sua funzione di guida, di suggeritore, di consigliere. Tobia lo conosce come Azaria, suo lontano parente, ma, in realtà, è l’angelo Raffaele. È un racconto didattico che rientra nella letteratura sapienziale intesa in modo piuttosto ampio così da comprendere anche testi che sviluppano insegnamenti non esattamente nel senso tradizionale di una sequenza di sentenze, proverbi, immagini. È un racconto che riguarda il percorso con il quale si svolge l’apprendistato alla vita che viene collocato nel contesto di una vicenda che riguarda coloro che appartengono al popolo dei credenti, ma che sono in diaspora, alle prese con le cose del mondo in contesti sempre più variabili. Due personaggi sono già stati presentati nella prima parte del racconto: il vecchio Tobi e la giovane Sara. Tobi racconta, in termini autobiografici la sua esistenza tutta segnata dal riferimento al dono ricevuto dal passato, una responsabilità nei confronti di questa eredità che ha custodito col massimo fervore, anche in situazioni impervie, attraverso contrarietà micidiali: l’esilio forzato, situazioni di debolezza istituzionale nel rapporto con l’organizzazione del potere nel contesto di uno dei grandi imperi del mondo antico che gli impongono nientemeno, come unica soluzione possibile, quella di fuggire da una condanna a morte. Tutto questo perché Tobi è fedele nel custodire la memoria del passato. Gli eventi prendono una piega sempre più drammatica perché Tobi si va incupendo, oscurando: diventa cieco. La memoria di un passato glorioso, l’eredità che ha conservato come il bene per eccellenza diventa l’annuncio di una condanna a morte, non per una sentenza di un tribunale, ma perché è egli stesso che, giunto al massimo della desolazione, in preghiera – Tobi rimane un uomo di preghiera – chiede di morire.

Contemporaneamente, quella giovane donna che si chiama Sara, che vive più ad oriente, vorrebbe sposarsi ma non è possibile: i fidanzati muoiono tutti uno dopo l’altro e rimane condannata alla sterilità; non c’è una prole perché non c’è un marito a meno che non si arrenda alla necessità di accettare come sposo uno di quei giovani che frequentano il suo ambiente e che sono pagani, di un altro popolo. Anche Sara, presa dalla disperazione nel momento in cui è esposta ad una contrarietà quanto mai angosciante, che la offende intimamente, chiede di morire. Alla fine del capitolo 3 il racconto ci indica qual è la svolta che gli eventi stanno prendendo in due casi così diversi ma radicalmente riconducibili ad una stessa radicale, intima, costruttiva esperienza di povertà nella memoria di un passato che non è più e nell’attesa di un avvenire che non può venire: una povertà radicale. Alla fine del capitolo 3 tutto questo compare dinanzi “alla gloria di Dio”. E ci viene illustrato come avviene che l’iniziativa provvidenziale del Dio vivente raccoglie le vicende derelitte dei poveri della terra e le ricompone all’interno di un disegno che è conferma della sua inesauribile volontà d’amore, di quella vocazione alla vita attraverso la quale il Signore vuole manifestare la sua gloria. Il seguito del racconto, dal capitolo 4, si configura come illustrazione della modalità originalissima mediante la quale Dio interviene nella storia umana. Non è un miracolo facile, non c’è alcuna bacchetta magica, non c’è una soluzione rocambolesca e immediata che mandi tutti a casa contenti. Niente affatto: è una vicenda che sta prendendo una piega che maturerà passando attraverso le vicissitudini inevitabili che man mano verranno illustrate e che, comunque, acquista in pienezza il significato di un criterio interpretativo da parte nostra che ascoltiamo il racconto e rivelativo per quanto riguarda la “gloria di Dio” che porta a compimento la sua intenzione d’amore per la vita degli uomini. Come avviene tutto questo?

Dal capitolo 4 e fino al capitolo 11 siamo alle prese con la seconda parte del Libro di Tobia che è la parte centrale più ampia: il viaggio di Tobia, figlio di Tobi. Leggevamo quello che avviene dal momento in cui Tobi ricorda di aver depositato molti anni prima una somma di denaro presso un lontano collaboratore, in una regione della Media, una zona periferica particolarmente impervia. Chiama il figlio Tobia e gli parla nel momento in cui la situazione sembrava ormai precipitata in un vicolo cieco. Oltretutto Tobi è cieco, ma è la vicenda che è sprofondata in un abisso oscuro e insuperabile. Ed ecco il viaggio di Tobia che passerà in maniera decisiva attraverso l’incontro con Sara, quella giovane donna, sua parente, che dimora a Ecbàtana. Nel capitolo 4 troviamo le istruzioni che Tobi rivolge a suo figlio Tobia, alla maniera di un testamento perché Tobi continua ad immaginare per sé una morte prossima e vuole lasciare al figlio quel patrimonio che è depositato presso il lontano collaboratore; è un patrimonio sapienziale che viene elaborato da Tobi nelle pagine che leggevamo un mese fa. Abbiamo potuto ricondurre tutto a tre temi fondamentali: le radici (“ricorda che tu sei erede di un passato da custodire”), l’elemosina (“è la tua responsabilità nei confronti del presente come apertura a un dialogo paritetico, disposto sempre a riconoscere in ogni altra creatura di questo mondo che è in viaggio come te, bisognosa come te di ospitalità, un interlocutore che ti accompagna nel cammino”. L’elemosina come capacità di vivere nel presente in un contesto dove il bisogno di ospitalità a cui necessariamente ricorre chi è viandante si specchia nel bisogno di ospitalità di ogni altro viandante che si incontra lungo il cammino); la sposa (Tobi dice a Tobia: “il tuo viaggio è mirato all’incontro con una sposa”; la sposa viene indicata come quel riferimento che lo condurrà ad affacciarsi sull’orizzonte ecumenico, l’ampiezza della famiglia umana, l’incontro con l’umanità). Dovremo necessariamente ritornare su questo tema che già nelle istruzioni rivolte da Tobi a Tobia acquista un rilievo prevalente rispetto al recupero dello stesso patrimonio consistente che è stato depositato presso l’amico di un tempo. L’incontro con la “sposa”: “ti metti in viaggio – spiega Tobi a Tobia – per andare incontro alla famiglia umana laddove man mano scoprirai come sei imparentato e coinvolto in una vicenda di famiglia che assume il valore di una relazione irrevocabile, che prescinde da condizioni di qualunque genere, come avviene tra fratello e sorella”.

Nel capitolo 5 si individua la necessità di trovare un accompagnatore per il viaggio di Tobia che viene individuato nella figura dell’angelo Raffaele che si presenta sotto il nome di Azaria. È un parente, è un fratello, ma è già un’indicazione programmatica circa il viaggio che Tobia deve affrontare e portare a compimento: “il compagno di viaggio di cui hai bisogno è un fratello sconosciuto da conoscere”.

Nel capitolo 6 la narrazione del viaggio imposta la questione fondamentale che consiste nell’impatto fin dalla prima sera con il male, il mostro. Il male fuori, dentro, come ostacolo da affrontare e da vincere. E il viaggio prosegue proprio in quanto, opportunamente istruito dall’accompagnatore, Tobia affronta l’aggressione, lo scatenamento delle situazioni negative attorno a lui, il risucchio della paura, la percezione di una negatività attorno così come, per altra via, emergente dall’intimo di se stesso. È il male che lo stringe come una morsa che vuole agguantarlo e inghiottirlo ed è il male che spunta da dentro come il grosso pesce o mostro marino che sbuca dall’acqua quando vorrebbe semplicemente lavarsi i piedi. L’angelo gli spiega come stanno le cose: il grosso pesce viene afferrato e trascinato a riva, parte della carne viene cucinata, parte viene conservata per il resto del viaggio; il fegato, il cuore e la bile serviranno come “medicine” che verranno utilizzate al momento opportuno.

Intanto, lungo il viaggio, i due viandanti parlano tra di loro; questa istruzione progressiva permette a Tobia di acquisire competenze circa il modo di stare al mondo e di intervenire laddove la strada della vita si apre sempre in rapporto a una vittoria sul male. E si apre veramente. L’angelo lo istruisce, ed ecco la maturazione interiore circa le competenze che Tobia dovrà man mano accogliere e sapientemente custodire per poterle applicare al momento opportuno. Anche la negatività del male è resa docile e servizievole in obbedienza al cammino di chi aderisce con pazienza, puntualità, coraggio, umilmente e poveramente alla propria vocazione alla vita.

Nel corso del viaggio che prosegue (dal v. 10 del cap. 6) l’angelo fa finalmente riferimento alla presenza di Sara nella casa di Raguele presso la quale saranno ospiti quella sera. E l’angelo spiega che Sara è parente e quindi è Tobia il fidanzato promesso a Sara, perché il matrimonio viene contratto nel contesto di relazioni di parentela stretta secondo l’antica legislazione; ma già ci siamo resi conto che qui importa poco la procedura nei suoi aspetti socio-culturali; è quella parentela che è da intendere come una comunione di “chiamate” che rivelano l’iniziativa gratuita del Dio vivente. E là dove c’è una comunione nella chiamata, nell’appartenenza ad un’unica vocazione che è dono di Dio, è posto il fondamento: quella comunione nell’appartenenza a un’unica Parola, mediante la quale Dio chiama due persone che di per sé sono sconosciute e appartengono a mondi diversi, percorrono strade distinte, sono parte di famiglie spesso del tutto eterogenee, fa sì che due persone siano coinvolte nella medesima vicenda che li accomuna in virtù di una parentela che è equivalente a quella che rende indissolubile la relazione tra un fratello e una sorella; potranno litigare quanto vogliono, ma non potranno mai negare il fatto di essere fratello e sorella. “Vedi – spiega l’angelo a Tobia – è tua sorella”. Il termine fratello e sorella sono impiegati in una forma martellante. E si delinea un progetto matrimoniale che naturalmente lì per lì preoccupa assai Tobia perché gli è giunta notizia del fatto che ben sette fidanzati sono già morti. E l’angelo gli spiega come stanno le cose (tra l’altro anche Tobia è figlio unico ed è preoccupato di quella che sarebbe la sorte dei suoi genitori se venisse meno, se morisse per la strada) e aiuta Tobia ad accogliere la rivelazione sempre più precisa, penetrante, coinvolgente di quell’iniziativa del Dio vivente che chiama coloro che, in cammino sulle strade del mondo in maniera che sembra così divergente, scoprono di essere solidali nell’appartenenza ad un unico dono d’amore che viene dal Signore che sta operando nella storia umana in maniera tale che affiori e divenga criterio interpretativo di tutto, sempre e dovunque, la sua gloria. Ecco la gloria del Dio vivente che affiora, che viene. “Abbiamo visto la sua gloria” dicono i discepoli del Signore, come leggiamo nel prologo del Vangelo secondo Giovanni.

Alla fine del capitolo 6 Tobia è stato istruito dall’angelo circa l’uso delle medicine che hanno accantonato e che ora dovranno essere impiegate. Ma le medicine sono semplicemente espedienti empirici per raffigurare quella vittoria sulla paura che coincide con la scoperta di come tutto quello che sperimentiamo nella nostra condizione umana alla maniera di una negatività che ci offende si piega in obbedienza all’iniziativa sempre vittoriosa del Dio vivente. E alla fine del capitole 6 Tobia è testimone di un entusiasmo che ci ha lasciati sconcertati: v. 19: “Quando Tobia sentì le parole di Raffaele e seppe che Sara era sua consanguinea (sorella) della stirpe della famiglia di suo padre, l'amò al punto da non saper più distogliere il cuore da lei”. Non l’ha nemmeno vista ma “l'amò al punto da non saper più distogliere il cuore da lei”: un amore di tutto cuore senza nemmeno averla incontrata.


L’ospitalità

Cap. 7: “Quando fu entrato in Ecbàtana, Tobia disse: «Fratello Azaria, conducimi diritto da nostro fratello Raguele» (Tobia è animato da una urgenza precipitosa). Egli lo condusse alla casa di Raguele, che trovarono seduto presso la porta del cortile. Lo salutarono per primi ed egli rispose: «Salute fratelli, siate i benvenuti!». Li fece entrare in casa. Disse alla moglie Edna: «Quanto somiglia questo giovane a mio fratello Tobi!» Tobia viene osservato in volto e riconosciuto: “mio fratello Tobi” (“chi vede me vede il padre”, dirà poi Gesù). Edna domandò loro: «Di dove siete, fratelli?», ed essi risposero: «Siamo dei figli di Nèftali, deportati a Ninive». Disse allora: «Conoscete nostro fratello Tobi?». Le dissero: «Lo conosciamo». Riprese: «Come sta?». Risposero: «Vive e sta bene». E Tobia aggiunse: «È mio padre». Raguele allora balzò in piedi, l'abbracciò e pianse (anche la notizia della cecità di Tobi ha superato le distanze geografiche ed è giunta fino a Ecbàtana). Poi gli disse: «Sii benedetto, figliolo! Sei il figlio di un ottimo padre. Che sventura per un uomo giusto e largo di elemosine essere diventato cieco!» (la conversazione si è sviluppata nel contesto in cui i viandanti cercano ospitalità e l’ospitalità viene loro messa a disposizione con la massima disinvoltura; ed è un contesto nel quale le sventure altrui sono oggetto di una conoscenza intensa, affettuosa, carica di compassione. Raguele è informato e sa che Tobi è diventato cieco). Si gettò al collo del parente (fratello) Tobia e pianse. Pianse anche la moglie Edna e pianse anche la loro figlia Sara”. Un pianto corale che sembra l’unico linguaggio possibile per commentare questo incontro. Lo sfondo di questa e altre pagine del Libro di Tobia ricorda episodi che leggiamo nella storia dei patriarchi (Genesi, cap. 12 e seguenti; Genesi 18: Abramo seduto dinanzi alla tenda assiste al passaggio di tre viandanti e li ferma, li accoglie). Questo per dire che il narratore certamente conosce bene quei brani e le reminiscenze riguardanti la storia dei patriarchi ricorrono abbondantemente in queste pagine. Nel caso di Abramo l’ospite che è dinanzi alla sua tenda e che poi viene accolto e per il quale viene preparato un banchetto è Lui stesso, il Dio vivente, il Signore. E allora questa scena per come viene man mano elaborata dal narratore acquista una valenza sacramentale: è un segno rivelativo di quello che avviene nella storia umana laddove, attraverso l’accoglienza di ospiti di passaggio e questa comunione nel pianto che raccoglie l’esperienza di molteplici sventure, personali e comunitarie, è il Mistero stesso di Dio che viene a visitarci.

Poi egli macellò un montone del gregge e fece loro una calorosa accoglienza. Si lavarono, fecero le abluzioni e, quando si furono messi a tavola, Tobia disse a Raffaele: «Fratello Azaria, domanda a Raguele che mi dia in moglie mia cugina Sara»”. Viene allestito il banchetto, ma per Tobia è una necessità vitale chiarire l’impegno circa il matrimonio con Sara. Non è il caso di rinviare. La conversazione tra Raguele e Tobia è molto istruttiva per noi, perché Tobia insiste per accelerare la procedura e Raguele invece vorrebbe rinviare perché è passato attraverso la sventura di sette aspiranti generi che sono morti prima del matrimonio e non vorrebbe vederne uno a tavola. E quindi invita il giovane a mangiare: “adesso mangiamo”. Ma Tobia insiste: “non mangiamo finché non abbiamo chiarito come stanno le cose”.

“«Fratello Azaria, domanda a Raguele che mi dia in moglie mia cugina (sorella) Sara». Raguele udì queste parole e disse al giovane: «Mangia, bevi e sta’ allegro per questa sera, poiché nessuno all'infuori di te, mio parente, ha il diritto di prendere mia figlia Sara, come del resto neppure io ho la facoltà di darla ad un altro uomo all'infuori di te, poiché tu sei il mio parente più stretto”. Nel frattempo però ci sono stati altri sette fidanzati che si sono consumati lungo il percorso. “Mia figlia è stata promessa a te, tu sei promesso a lei, la chiamata è per te e lei insieme nel disegno di Dio, nell’obbedienza alla Sua Parola che chiama alla vita”. Questo banchetto, dal punto di vista di Raguele, è il banchetto che deve accompagnare e, in un certo modo, consacrare l’indecisione; visti i rischi che si corrono per Raguele mangiare e bere significa rinviare mentre per Tobia il banchetto può essere celebrato solo una volta che è stata presa la decisione.

Vv. 11-12: “Però, figlio, voglio dirti con franchezza la verità. L'ho data a sette mariti, scelti tra i nostri fratelli, e tutti sono morti la notte stessa delle nozze. Ora mangia e bevi, figliolo; il Signore provvederà». Ma Tobia disse: «Non mangerò affatto né berrò, prima che tu abbia preso una decisione a mio riguardo»”. Questo banchetto sta assumendo la fisionomia analoga a quella che sarà l’ultima cena del Signore con i suoi discepoli: “la decisione deve essere presa, poi sediamoci a tavola”. C’è qualcuno che non percepisce il valore di quella decisione; qualcuno – ma in realtà sono tutti i discepoli, anche se ciascuno a modo suo – vorrebbe rinviare.


Celebrazione del matrimonio

Per Tobia, però, non è così. “Ma Tobia disse: «Non mangerò affatto né berrò, prima che tu abbia preso una decisione a mio riguardo». Rispose Raguele: «Lo farò! (Raguele non può esimersi dall’accettare questa richiesta) Essa ti viene data secondo il decreto del libro di Mosè (secondo le regole) e come dal cielo è stato stabilito che ti sia data. Prendi dunque tua cugina (sorella), d'ora in poi tu sei suo fratello e lei tua sorella. Ti viene concessa da oggi per sempre. Il Signore del cielo vi assista questa notte, figlio mio, e vi conceda la sua misericordia e la sua pace» (è così che viene contratto il matrimonio, una celebrazione che ha tutti i crismi dell’ufficialità). Raguele chiamò la figlia Sara e quando essa venne la prese per mano e l'affidò a Tobia con queste parole: «Prendila; secondo la legge e il decreto scritto nel libro di Mosè ti viene concessa in moglie. Tienila e sana e salva conducila da tuo padre. Il Dio del cielo vi assista con la sua pace» (è la celebrazione del matrimonio secondo tutte le norme, ma è anche vero che la scena che il narratore ci descrive è caratterizzata da una nota di mestizia, preoccupazione, angoscia, turbamento; non è propriamente un festoso banchetto nuziale). Chiamò poi la madre di lei e le disse di portare un foglio e stese il documento di matrimonio, secondo il quale concedeva in moglie a Tobia la propria figlia, in base al decreto della legge di Mosè. Dopo di ciò cominciarono a mangiare e a bere (solo “dopo di ciò”: tutto avviene in maniera così formale ma, nello stesso tempo, per Raguele avvertiamo che la vicenda sta prendendo una piega funerea, macabra. Quale prospettiva di futuro per coloro che sono sigillati da un vincolo irrevocabile per la morte? È il clima dell’ultima cena. Finalmente adesso si mangia e si beve, ma di quale festa si tratta?). Poi Raguele chiamò la moglie Edna e le disse: «Sorella mia, prepara l'altra camera e conducila dentro». Essa andò a preparare il letto della camera, come le aveva ordinato, e vi condusse la figlia. Pianse per lei (altro che festa di nozze), poi si asciugò le lacrime e disse: «Coraggio, figlia, il Signore del cielo cambi in gioia il tuo dolore. Coraggio, figlia!». E uscì”. Gesti compiuti con animo dolente; viene allestita la camera nuziale, ma sembra una camera mortuaria. E lacrime silenziose accomunano la madre e la figlia e un augurio affidato a una provvidenza misteriosa: solo il Signore può operare il cambiamento del dolore in gioia. E sembra che un’ipotesi del genere sia incredibile; e invece proprio questo avviene.

Cap. 8: “Quando ebbero finito di mangiare e di bere, decisero di andare a dormire. Accompagnarono il giovane e lo introdussero nella camera da letto (i commensali sono molto preoccupati; sembra il corteo di chi accompagna un condannato a morte). Tobia allora si ricordò delle parole di Raffaele (le medicine. Povero ragazzo; per lui si prospetta nel corso della notte uno sprofondamento nell’abisso oscuro della morte inevitabile): prese dal suo sacco il fegato e il cuore del pesce e li pose sulla brace dell'incenso. L'odore del pesce respinse il demonio, che fuggì nelle regioni dell'alto Egitto”. L’Egitto è il luogo emblematico in cui precipitano tutte le negatività infernali; il demonio si era invaghito di Sara, voleva tenerla sotto il proprio dominio; il diavolo, il divisore per antonomasia vuole invadere la vita di ogni creatura umana per interrompere le relazioni che danno forma positiva alla risposta ad un amore ricevuto nella vocazione alla vita. Ed ecco l’esalazione di quell’odore provoca l’allontanamento dell’avversario, che viene intrappolato e incatenato. Il demonio Asmodeo fugge nelle regioni dell’alto Egitto e “Raffaele vi si recò all'istante e in quel luogo lo incatenò e lo mise in ceppi. Gli altri intanto erano usciti e avevano chiuso la porta della camera”. Tobia è solo e dinanzi a lui è il buio della notte, ma si ripropone quello che è avvenuto all’inizio del viaggio; dinanzi a lui è lo sprofondamento nell’abisso che ha tutte le caratteristiche di una morte, l’impatto con quell’altra creatura umana che è debolissima ed esposta a tutte le contraddizioni che l’avversario vorrebbe gestire a suo vantaggio per confermare che la vocazione alla vita donata da Dio agli uomini è impossibile. E dietro Tobia viene chiusa la porta della camera. Sembra di sentire il catenaccio. Questa immagine ricorda il racconto del diluvio nel cap. 7 del Genesi, v. 16: quando Noè entra nell’arca ha dinanzi il diluvio, l’abisso, il disastro, tutto quello che per lui è uno sconquasso nella dimensione visibile del creato e dell’invisibile profondità dei cuori e, alle spalle, una porta che si chiude: “il Signore chiuse la porta dietro di lui”. E Noè galleggia nell’arca sulla superficie dell’abisso mentre il mondo va a rotoli, mentre lo sfascio è generale e irreparabile; e in questo mondo sconquassato Noè non ha più uscite di sicurezza, retroterra, né alcuna possibilità di appoggiare le spalle perché dietro di lui la porta è chiusa. È la notte di Tobia. È la notte del tuffo nell’abisso infernale laddove quella che si prospettava come la fine del mondo adesso è il grembo del principio. Le pagine che stiamo leggendo sono tutte cariche di innumerevoli segnali premonitori di quello che è l’evento decisivo della storia della salvezza, l’evento di quel sepolcro che è il grembo del Vivente tanto è vero che, come adesso leggiamo, mentre Tobia è entrato in quella camera e la porta gli è stata chiusa, sbattuta dietro le spalle, Raguele trova come soluzione più opportuna e valida per evitare complicazioni ulteriori l’impegno sollecito di scavare una fossa, una tomba.


La preghiera dei due sposi

Intanto Tobia è nella camera con Sara e dal v. 4 la preghiera: “Tobia si alzò dal letto e disse a Sara: «Sorella, alzati! (anche qui le istruzioni ricevute dall’angelo sono state efficacissime) Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza». Essa si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza, dicendo: «Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri (la preghiera si sviluppa adesso con una serie di benedizioni e si giunge ad un’invocazione nel quale i due sono accomunati) e benedetto per tutte le generazioni è il tuo nome! Ti benedicano i cieli e tutte le creature per tutti i secoli! Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l'uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui. Ora non per lussuria io prendo questa mia parente (sorella), ma con rettitudine d'intenzione. Dègnati di aver misericordia (ecco l’invocazione) di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia». E dissero insieme: «Amen, amen!». Poi dormirono per tutta la notte”. È questo momento di orazione comune che inserisce le nozze di Tobia e di Sara (e la storia del loro matrimonio) nella storia dell’umanità, in quel disegno che raccoglie la partecipazione di tutte le creature. Non per niente qui fanno appello ad Adamo ed Eva. E’ questa loro preghiera l’attestato che conferisce alla loro unione matrimoniale il valore di un atto che li inserisce nella famiglia umana; inserisce la loro coppia nella famiglia umana e viceversa inserisce la famiglia umana, da Adamo ed Eva in poi, nella loro vita di coppia; il loro essere uniti come Adamo ed Eva è il loro essere coppia che appartiene alla famiglia umana dove la moltitudine delle creature sono parte di un’unica famiglia e, nello stesso tempo, la loro realtà di coppia è realizzata in maniera tale da accogliere la famiglia umana; la coppia che è parte della famiglia umana, la coppia che è luogo di accoglienza per tutta la famiglia umana. È la preghiera che fa di questo incontro tra i due sconosciuti, che obbediscono all’iniziativa gratuita di Dio, il valore di un’incondizionata e irrevocabile solidarietà tra un fratello e una sorella, tra fratelli e sorelle. È la famiglia umana che si raccoglie nella novità di questa coppia. Ed è questa coppia che trova la propria collocazione nell’ambito della storia universale dell’umanità intera, unica famiglia dai progenitori in poi. E i due dormono profondamente; è una comunione piena. Il linguaggio del sonno assorbe in sé anche l’incontro con la morte; anche la morte è addomesticata alla maniera del sazio riposo notturno.


Annuncio della serva: è vivo!

Raguele non è tranquillo. “Ma Raguele si alzò; chiamò i servi e andò con loro a scavare una fossa. Diceva infatti: «Caso mai sia morto, non abbiamo a diventare oggetto di scherno e di ribrezzo» (ha patito troppo le osservazioni sarcastiche e un po’ offensive da parte di coloro che hanno assistito alle vicende). Quando ebbero terminato di scavare la tomba, Raguele tornò in casa; chiamò la moglie e le disse: «Manda in camera una delle serve a vedere se è vivo; così, se è morto, lo seppelliremo senza che nessuno lo sappia»”. (Nella traduzione in latino san Gerolamo dice: “al canto del gallo” e dice tante cose a noi questa espressione). Raguele è preda della sua angoscia pusillanime. Gli sposi dormono profondamente laddove la morte è sconfitta e il sepolcro è il luogo in cui germoglia la vita in obbedienza alla parola del Dio vivente. Ma Raguele ha scavato una fossa in cui nascondere un cadavere. È l’imbarazzo di coloro che si agitano intorno al sepolcro del Signore, come leggevamo la settimana scorsa e in queste domeniche a più riprese: “cerchiamo un cadavere e non c’è più”. È un altro principio.

Mandano in avanscoperta una serva: “Mandarono avanti la serva, accesero la lampada e aprirono la porta (c’è una lampada, nel buio della notte, che brilla a sufficienza per consentire di aprire la porta; loro non entrano); essa entrò e li trovò che dormivano insieme, immersi in un sonno profondo. La serva uscì e riferì loro che era vivo e che non era successo nulla di male”. È un vero e proprio evangelo pasquale: “è vivo!”. Tanta fatica per scavare la fossa, al buio, con servi che si sono dedicati a questo per obbedire al comando di Raguele e l’annuncio della serva che ha osservato la scena alla luce che spunta nella notte. Tanta fatica per chiudere la vita al buio ed ecco la meraviglia di chi veglia nella notte e scopre la luce. “È vivo! è vivo!”. “…non era successo nulla di male”. E allora: “Benedissero (Raguele e la moglie fanno salti di gioia, è ben comprensibile) allora il Dio del cielo: «Tu sei benedetto, o Dio, con ogni pura benedizione. Ti benedicano per tutti i secoli! Tu sei benedetto, perché mi hai rallegrato e non è avvenuto ciò che temevo, ma ci hai trattato secondo la tua grande misericordia. Tu sei benedetto, perché hai avuto compassione dei due figli unici. Concedi loro, Signore, grazia e salvezza e falli giungere fino al termine della loro vita in mezzo alla gioia e alla grazia». Allora ordinò ai servi di riempire la fossa prima che si facesse giorno”. Una cascata di benedizioni ed è proprio Raguele che adesso dice: “è la misericordia del Signore che sconfigge la paura” ed è questo che sta chiedendo nella sua preghiera al Dio vivente perché la grazia dell’allegrezza sia la misura del respiro con cui essi affronteranno il seguito della loro vita. “«Concedi loro, Signore, grazia e salvezza e falli giungere fino al termine della loro vita in mezzo alla gioia e alla grazia»”.


La festa di nozze

E adesso un altro banchetto; soltanto che ora è la festa di nozze. Non è più l’ultima cena, è la celebrazione festosa di un evento che acquista il valore di una novità risolutiva nel caso qui considerato: una famiglia, due famiglie, diversi personaggi; ma qui è evento che il nostro racconto ci sta descrivendo come il segno rivelativo di una svolta che ci dà il senso della storia umana. “Raguele ordinò alla moglie di fare il pane in abbondanza; andò a prendere dalla mandria due vitelli e quattro montoni; li fece macellare e cominciarono così a preparare il banchetto. Poi chiamò Tobia (il risveglio di Tobia) e sotto giuramento gli disse: «Per quattordici giorni (non solo una settimana come di solito) non te ne andrai di qui, ma ti fermerai da me a mangiare e a bere e così allieterai l'anima già tanto afflitta di mia figlia. Di quanto possiedo prenditi la metà e torna sano e salvo da tuo padre. Quando io e mia moglie saremo morti, anche l'altra metà sarà vostra. Coraggio, figlio! Io sono tuo padre ed Edna è tua madre; noi apparteniamo a te come a questa tua sorella da ora per sempre. Coraggio, figlio!»”. Adesso Tobia non procede ulteriormente nel suo viaggio. Questo particolare ha un rilievo niente affatto banale perché ormai Tobia ha raggiunto la meta del viaggio; un viaggio che era orientato alla città di Rage dove vive colui che custodisce il denaro depositato. E invece per Tobia il viaggio è finito qui e giunto a questo limite ultimo del suo cammino Tobia, con accanto Sara, inseparabile da lui, è divenuto come un punto di attrazione per cui non è più lui che deve andare a cercare e reperire altre esperienze e il denaro che deve riportare a suo padre. C’è un momento in cui l’evento che si è compiuto determina una svolta così decisiva, radicale, totalizzante, definitiva per cui non è più necessario andare incontro a chicchessia perché è la realtà del mondo che viene incontro.

Cap. 9, vv. 1-3: “Allora Tobia chiamò Raffaele e gli disse: «Fratello Azaria, prendi con te quattro servi e due cammelli e mettiti in viaggio per Rage. Va’ da Gabael, consegnagli il documento, riporta il denaro e conduci anche lui con te alle feste nuziali”. Qui si compie l’evento decisivo, il passaggio dal dolore all’allegrezza, dalla morte alla vita; è il tempo della pienezza, la meta del viaggio già conseguita.

Vv. 5-6: “Partì dunque Raffaele per Rage di Media con quattro servi e due cammelli. Alloggiarono da Gabael. Raffaele gli presentò il documento e insieme lo informò che Tobia, figlio di Tobi, aveva preso moglie e lo invitava alle nozze. Gabael andò subito a prendere i sacchetti, ancora con i loro sigilli e li contò in sua presenza; poi li caricarono sui cammelli. Partirono insieme di buon mattino per andare alle nozze. Giunti da Raguele, trovarono Tobia adagiato a tavola. Egli saltò in piedi a salutarlo e Gabael pianse e lo benedisse: «Figlio ottimo di un uomo ottimo, giusto e largo di elemosine, conceda il Signore la benedizione del cielo a te, a tua moglie, al padre e alla madre di tua moglie. Benedetto Dio, poiché ho visto mio cugino Tobi, vedendo te che tanto gli somigli!»”. Tutti partecipano a questa festa nuziale. Ricordate la parola del Signore nel vangelo secondo Giovanni: “quando sarò innalzato attirerò tutto a me”. E qui ora l’evento nuziale che ha sconfitto la morte viene celebrato. Tutta la creazione fa corona, obbedisce, aderisce, celebra e partecipa ai festeggiamenti. Qui la parola di Gabael che ha abbracciato Tobia e afferma: “io ho visto mio cugino Tobi, vedendo te che tanto gli somigli!”. È una missione che Tobia ha ricevuto da parte di suo padre e l’ha portata a compimento nel momento in cui è ospite nella casa di Raguele, suo suocero; e tutto il resto, che inizialmente sembrava l’obiettivo importante da raggiungere, si trasforma in una specie di dote che fa da corredo alla celebrazione dell’evento nuziale.

E il richiamo a Tobi. Ne parleremo la prossima volta. Qui, alla fine del capitolo 9, Gabael, il vecchio amico, guarda in faccia Tobia e dice: “io riconosco il volto di tuo padre”. “Chi vede me vede il Padre”. Già abbiamo colto in un altro momento un segnale analogo a quello che ora viene esplicitato qui, alla fine del capitolo 9. Se voi, solo con un rapido sguardo, leggete la prima riga del capitolo 10 “Ogni giorno intanto Tobi” vedete che tra il capitolo 9 e il capitolo 10 c’è un cambio di scena: dalla casa di Raguele, dove vengono celebrate le nozze, a Ninive dove Tobi è in attesa di suo figlio. E tra la fine del cap. 9 e l’inizio del cap. 10: “io vedo il volto di Tobi guardando e incontrando te, Tobia”. Ed ecco Tobi che è in attesa del figlio che tornerà. È il viaggio nella sua seconda modalità; il viaggio di andata e il viaggio di ritorno, della discesa e della risalita. “Chi vede me vede il Padre”.

Lectio divina


Incontri 2015-2016 - Lettere cattoliche


  • 05 aprile 2016
    Libro di Tobia - terza parte
    La gloria di Dio porta a compimento la sua intenzione d'amore per la vita degli uomini