Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Incontro 13 giugno 20091


Il rapporto laici – gerarchia


Mons. Giuseppe Casale


1° parte - Introduzione


Il problema del laicato nella Chiesa, che si pone ancora molto spesso in termini dialettici, quasi conflittuali, può essere superato recuperando il senso autentico del laico come appartenente al “laos”, il popolo di Dio. La Chiesa nasce come “popolo radunato nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Così dice il Concilio Vaticano II. Nasce non da una urgenza dal basso, anche se risponde al profondo bisogno dell’uomo di essere guidato alla Verità; nasce come risposta all’amore di Cristo che si cala in mezzo agli uomini per condurli a una verità che non sia astratta ma realizzazione in pienezza della vita umana personale e comunitaria.

All’inizio della vita della Chiesa sotto la guida degli apostoli non c’erano problemi di rapporto fra gerarchia e laici; tutti collaboravano. In S. Paolo vediamo che c’è una ricchezza di carismi, di funzioni per il bene della comunità. Il problema si pone con l’epoca, chiamiamola, costantiniana; si accentua la distinzione fra quelli che nella Chiesa hanno il potere e quelli che debbono soltanto obbedire, cosa che non è nella natura della Chiesa. Si accentua prima di tutto nei secoli del medio evo quando la gerarchia diventa anche un potere civile, politico ed economico e aumenta la distanza fra chi guida e chi è guidato. Il momento molto più difficile si ha quando addirittura viene contestata l’origine divina della gerarchia, di coloro che hanno un compito di guida nella Chiesa. Si giunge fino al punto di distinguere la Chiesa docente e Chiesa discente in due categorie: Chiese

Questo contrasto, specialmente con il protestantesimo, pone la Chiesa cattolica sulla difensiva, stabilendo bene i confini e tenendo i fedeli laici sotto buona custodia. C’è tutto un cammino per giungere al Concilio Vaticano II, che rilancia il tema di fondo della Chiesa popolo di Dio, che scaturisce dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, in cui tutti i fedeli hanno la medesima dignità col battesimo, per il quale si partecipa a tutta la missione della Chiesa. Il ministero è un servizio al popolo di Dio. La visione precedente era piramidale: Papa, Vescovi, preti, laici. Il Concilio Vaticano II mette al primo posto il popolo di Dio che cammina nella storia per realizzare il progetto di Dio. Il ministero è un servizio. C’è una discussione se ci sia una distinzione solo di grado o di natura. Il Concilio Vaticano II dice che sono due modi distinti di partecipare al “munus” di Cristo, sacerdotale, profetico e regale. Il ministero è diverso perché implica il servizio alla comunità, servizio che non nasce dal basso ma viene come dono di Dio. Si intersecano molti problemi. Dopo il Concilio ci fu una tendenza cosiddetta democratica che ha due aspetti: uno, chiede che si scelgano coloro che debbono guidare, l’altro afferma che l’autorità viene dalla base. Il primo si può benissimo accettare. La paura ha portato la gerarchia a restringere le modalità di partecipazione alle scelte. Oggi un grosso problema è la scelta dei vescovi. Nei primi tempi si avevano scelte dei vescovi per acclamazione del popolo. Mano a mano la delicatezza del problema e motivazioni teologiche hanno portato a restringere, a controllare in maniera molto severa le nomine dei vescovi.


La partecipazione dei laici alla vita della Chiesa ha avuto varie stagioni.


Durante il secolo XX c’è stato il risveglio del laicato e della sua partecipazione alla vita della Chiesa. Questa richiesta è venuta anzitutto per un motivo pratico: finita l’alleanza trono-altare sotto la spinta del positivismo e del liberalismo, tesa a ricacciare la Chiesa nelle sacrestie, la Chiesa ha sentito il bisogno dell’appoggio dei laici. Sono cominciate le organizzazioni laicali che all’inizio difendevano soprattutto il potere della Chiesa, in particolare il potere del Papa sullo stato pontificio. Questo movimento, di natura quasi politica fu appoggiato dall’autorità ecclesiale, per fronteggiare l’anticlericalismo liberale risorgimentale. Però questo movimento cominciò a far riemergere la partecipazione dei laici alla vita della Chiesa. Il che faceva problema. La gerarchia difendeva la sua prerogativa di essere Chiesa docente. Se concedeva ai laici di partecipare all’apostolato; si trattava di una concessione di un compito che non rientrava, secondo la visione di allora, tra i diritti. Interessante notare che ancora all’epoca di Pio X si diceva che l’Azione Cattolica esercitava un apostolato partecipando all’apostolato gerarchico, non in virtù di una missione derivante dalla sua natura laicale. Nell’enciclica “Vehementer nos” di Pio X (1906) la Chiesa viene presentata come società per sua natura “ineguale”, comprendente due categorie: i pastori e il gregge; solo nella gerarchia c’è l’autorità di guidare e dirigere i membri. Il dovere della massa è di accettare di essere governata (gubernari se pati), sopportare ed eseguire con sottomissione gli ordini di chi la dirige.

Nel 1906 l’Azione Cattolica e altri movimenti avevano fatto molto cammino, ma teologicamente la Chiesa era concepita come società di ineguali: la gerarchia depositaria del potere e i laici per natura fedeli e obbedienti, potevano essere chiamati a collaborare o partecipare (termine poi messo da parte). Si è arrivati così alla “collaborazione all’apostolato gerarchico”.

Il Concilio Vaticano II ha fatto piazza pulita di questa concezione. Checché se ne dica, non si è trattato solo di un aggiornamento. E’ stata una svolta radicale, anticipata già nella ricerca teologica precedente, ma autenticata e proclamata nella Lumen Gentium. La Chiesa popolo di Dio la cui dignità fondamentale risiede nel battesimo che rende tutti uguali. Certo, c’è un servizio ministeriale della gerarchia, ma il laico come tale ha il compito di partecipare alla vita della Chiesa, alla sua missione, all’apostolato. E’ la svolta che ha portato il rapporto laici-gerarchia su una posizione nuova, ripristino della natura originaria del popolo di Dio.

L’affermazione più importante secondo la Lumen Gentium e la Dei Verbumsta nel riconoscimento della partecipazione di tutto il popolo di Dio all’approfondimento della fede. “Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio.

Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. È questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture. Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Col 3,16)”.

Da una Chiesa distinta in parti ineguali, teologia che si difendeva da un protestantesimo che aveva negato l’origine divina della gerarchia (mettendo poi la Chiesa invece che sotto il Papa sotto i re) passiamo a una Chiesa con un fondamento di uguaglianza nella natura, nei compiti, nella missione, in cui ad alcuni, secondo la volontà di Gesù, spetta il compito di guidare e dirigere, non di essere l’esclusiva della verità, ma i garanti di un cammino nella fedeltà alla Scrittura e alla Tradizione.

Questo è il primo punto fondamentale da tener presente: la Chiesa cresce, matura se c’è un popolo di Dio che vive e approfondisce la fede, che partecipa all’approfondimento delle verità nel corso dei tempi.

E’ importante notare che non sono affermazioni dell’ultima ora; il Concilio ha ripreso importanti affermazioni che sono nella vita della Chiesa. Da ricordare in modo particolare le grandi affermazioni del Cardinale Newman che insisteva su come i fedeli vivono in risposta alla verità rivelata, partecipando a pieno titolo alla vita della Chiesa. Egli ricordava che al momento della crisi ariana il popolo di Dio si salvò non per la difesa dei vescovi, la maggior parte dei quali erano diventati ariani per le beghe politiche, ma per la fedeltà dei semplici fedeli i quali avevano fortemente difeso la dottrina tradizionale. Il corpo della fede, diceva il Cardinale, non è semplicemente un derivato delle formulazioni del magistero, del corpo della dottrina, piuttosto è fondato immediatamente e interiormente sulla grazia del battesimo. Lo Spirito Santo fa la sua comparsa nella vita della Chiesa credente con più forza che non nell’attività del corpo della dottrina, cioè nell’attività dei teologi e nel magistero della Chiesa. E aggiungeva una lunga serie di esempi su come l’autenticità della fede cristiana si fosse conservata molto più per la tenacia e la fedeltà dei fedeli comuni che non per l’impegno incerto e vacillante del magistero, del clero, del corpo episcopale e della stessa sede petrina, cioè del Papa.

Un teologo non certo progressista come Scheeben sentiva il bisogno di citare un passo di una lettera dei patriarchi ortodossi al Vescovo di Roma in cui si affermava: “Presso di noi la salvaguardia della verità appartiene al corpo intero della Chiesa, cioè al popolo stesso difensore, custode della pietà e della fede di tutto il popolo di Dio”.

Mi preme fermare l’attenzione su questo primo punto. Nella Chiesa i fedeli laici battezzati sono partecipi dell’approfondimento della fede, non solo ricettori chiamati a dire sempre “si”. Sono chiamati a portare il loro apporto nella vita di fede quotidiana, perché ciò che il Signore ci ha detto e vi viene tramandato sia rispondente sempre più alle esigenze dello Spirito e non soltanto alle speculazioni filosofico-teologiche che dobbiamo rispettare ma che non sono l’essenza della fede.

Qui è doveroso richiamare una importante riflessione del P. Mongillo: “Più si situa la fede nella storia e la si fa valere nella sua radicalità, più essa emerge nel suo aspetto di realtà non ancora rivelata”.

A che punto ci troviamo noi oggi in questa partecipazione profonda e intensa del popolo di Dio alla trasmissione dell’insegnamento apostolico nella vita della Chiesa? E’ una domanda su cui siamo chiamati a riflettere. C’è nel popolo di Dio consapevolezza di questo compito, di questo diritto-dovere, oppure il popolo di Dio tace, chissà se ascolta, sopporta, talvolta va avanti per conto proprio, per cui mancando la partecipazione avviene una specie di divorzio tacito: la Chiesa dice tante cose ma i cristiani fedeli ne pensano e ne vivono altre.

Il rischio di una accentuazione del ruolo quasi unico del magistero porta, secondo me, di conseguenza il distacco del popolo di Dio dalla vita della Chiesa.

Questo è il laico nella partecipazione alla vita della Chiesa.

Altri problemi sono pure importanti; per esempio, come i laici partecipano sul piano pastorale, organizzativo di una parrocchia. Dopo il Concilio ci fu un grande fervore di creazione di organismi di partecipazione, consigli pastorali, per gli affari economici, ecc. Che ne è di tutto questo?

Come il popolo di Dio partecipa non solo a ciò che è da credere ma anche a ciò che è da vivere come risposta alle esigenze del tempo?


Un secondo aspetto che desidero sottolineare e che credo interessi tutti noi è quello della responsabilità del laico battezzato nella vita della società, l’impegno in quello che il Concilio chiamava le realtà temporali. Nella Gaudium et Spes e negli altri documenti si stabilisce la legittima autonomia dei laici nelle scelte temporali. Che ne è oggi? Come il rapporto dei cristiani laici con il temporale viene vissuto? E’ un’altra domanda a cui penso si debba dare risposta.

Io mi fermerei qui. Aspetto dal dialogo la risposta. A me preme ribadire che il Concilio, superando i secoli che si sono chiamati della cristianità, cioè l’epoca costantiniana che si è protratta fino ai tempi moderni, ha rilanciato nel mondo una Chiesa che è popolo di Dio che deve dialogare con il mondo, non deve stare chiusa a difendersi. Che ne è oggi della Chiesa lanciata dal Concilio sulle frontiere del mondo? Dell’incontro con le attese e le speranze dell’umanità? Oggi corriamo il rischio di difenderci nella cittadella europea, falsamente etichettata cristiana, perché tale non è, in un occidente che ci lega con un legame iniquo alle forme deviat6e del capitalismo globalizzato e quindi che chiude la Chiesa in difesa anche sul piano economico e sociale, nonostante la beneficienza che facciamo. Si tratta di combattere un sistema iniquo fondato essenzialmente sul profitto per realizzare una società giusta e solidale fondata sul rispetto delle persone e sulla promozione di una comunità più giusta e solidale. Non basta rinchiuderci nelle trincee di un occidente opulento, ignorando o pensando solo teoricamente agli altri mondi; è una cosa che deve farci riflettere.

La Chiesa o è lanciata sulle vie del mondo a condividere la povertà con i poveri, o viene condizionata dai legami di questa società opulenta che ci dà qualche piccolo beneficio per impedirci di parlare il linguaggio della libertà evangelica. Il Concilio Vaticano II si è chiuso con la richiesta urgente di molti vescovi per una Chiesa povera tra i poveri, non una Chiesa che parli ai poveri, ma povera essa stessa, che non faccia leva sul potere, nemmeno su quello spirituale, ma che faccia leva sulla libertà del Vangelo.

Suquesti due punti ci potrebbe ora essere il dialogo, se sono riuscito a mettere a fuoco che


la Chiesa è il popolo di Dio

che si inserisce nel mondo

non per comandare; e che in essa

i laici, vivendo

con professionalità

la vita quotidiana,

sono chiamati a trasformare il mondo

operando in esso,

come insegnò Gesù: sale, lievito, luce del mondo.


Una Chiesa di servizio, lievito, sale, luce del messaggio evangelico attraverso la testimonianza dei cristiani in dialogo con gli altri, che porta tutti gli uomini a vivere quelle verità che Gesù ha portato.

Ci sono poi tanti altri punti che non è ora possibile sviluppare.


2° parte


Dobbiamo vederequella che è la realtà che ci fa certamente soffrire. Ogni giorno verifichiamo un arretramento difensivo. Che possiamo fare? Non ammainare le bandiere. Io ho cercato di dire la verità pur sapendo di dispiacere ad alcuni miei capi. Interventi, interviste, una lettera al “Regno” e a Micromega, deplorando chi accusava Beppino Englaro di essere addirittura un assassino, cercando di capire le ragioni e di aprire il cuore della carità che è l’unico atteggiamento cristiano. Non mi hanno detto niente ed io vado avanti con serenità, cercando di non fare rinunce. Che cosa fare perché si tenga accesa la fiammella che il Concilio ha lanciato al mondo? Ci sono molte difficoltà soprattutto in una situazione italiana che ha visto un periodo di assolutismo, non dico episcopale perché i poveri vescovi non ne sanno niente. Nelle assemblee della CEI ho fatto una serie di interventi che sono rimasti lettera morta. Non ci arrendiamo prima di aver tentato la via della fedeltà ecclesiale: amare la Chiesa nel silenzio, nella preghiera, nella fedeltà quotidiana, creando al di là degli organismi ufficiali o ufficiosi, una rete di persone che credono veramente, che si sacrificano, che si donano al Signore. Ci sono stati momenti ben peggiori nella storia della Chiesa. Essenziale è tenere viva la fedeltà.


Il Concilio dice chiaramente che tutti appartengono al popolo di Dio: i cattolici in maniera piena e perfetta, ma anche gli altri, i credenti in Cristo, tutti i credenti in Dio (ebrei, musulmani), tutti gli uomini di buona volontà. La visione della Chiesa è aperta, piena, non ristretta negli angusti confini della Chiesa cattolica, è il grande culto. Il Concilio ha aperto gli orizzonti, ha avviato non solo il dialogo ecumenico ma anche quello interreligioso, anche con il mondo dell’ateismo, con i non credenti. Sono stati creati appositi organismi: il Consiglio per l’ecumenismo, il dialogo con gli ebrei, con i musulmani, con i non credenti. Il Concilio ha lanciato queste prospettive. E’ l’attuazione che ci vede in difficoltà, un po’ per ragioni teoriche, un po’ per le interferenze politiche.

La prospettiva conciliare vede Cristo capace di racchiudere in sé l’umanità intera, anche quelli che non credono in Lui o credono ad altre vie di salvezza. C’è in corso un dibattito teologico ancora molto difficile da portare avanti. Dal punto di vista pratico, poi, il dialogo si è intersecato con la vicenda politica dell’urto fra l’occidente cristiano e l’oriente musulmano e con la teoria dello scontro delle civiltà che ha annebbiato la vista di molti.

Il Concilio si è mosso e la Chiesa deve muoversi su questa linea di dialogo con tutti, di accoglienza di tutti, di ritenere che tutti sono sulla via della salvezza quando ascoltano la loro coscienza. Le dichiarazioni ufficiali della Chiesa e anche del Papa, salvo qualche piccolo inconveniente, come la faccenda di Magonza, sono di apertura. Il problema è di portare avanti questo dialogo senza cedere alla tentazione dell’autodifesa, con il dialogo e l’accoglienza della verità che ci supera tutti, il dialogo di carità. Questo trova difficoltà perché si è inserita la vicenda politica dello scontro oriente-occidente. Oggi sembra attenuato, speriamo! Nella Chiesa poi sono risorte e tornate ad essere vivaci delle forze conservatrici, sia dal punto di vista teologico, dietro le bandiere di Lefevre e compagni, sia per la presenza dei nuovi movimenti ecclesiali: oggi gran parte dei nuovi movimenti ecclesiali sono di difesa, di ritorno a prima del Concilio, strumentalizzano il Papa, si schierano sotto il suo sguardo con le bandiere, ma trascurano il cammino della Chiesa, soprattutto nelle chiese locali. Il discorso è complesso, riguarda il rapporto fra primato del Papa e chiese locali. E’ uno dei punti più delicati.

Il papato di Giovanni Paolo II con la sua lunga durata, con l’emergere della sua fortissima personalità, ha portato ad accentuare l’attenzione dei fedeli al Papa. Il mercoledì è diventato “del Papa”, la domenica “l’Angelus del Papa”. Questa è una falsa cattolicità; ci si dimentica che la vita cattolica si svolge, si compie nelle chiese locali, sotto lo sguardo dei Vescovi uniti al Papa. Il Papa non deve annullare gli altri. Il forte presenzialismo di Giovanni Paolo II, amplificato dai media, ha portato quasi a identificare la Chiesa con il Papa. In Italia, poi, dal 1985 al Convegno di Loreto, quando il Papa ha parlato dell’episcopato come di una forza sociale, sull’esempio polacco applicato in Italia, la CEI è diventata protagonista della vita sociale e politica e il laicato è andato pian pianino indebolendosi, venendo meno un laicato veramente tale e dando il passo a questi movimenti che laicali non sono perché hanno dentro laici, preti, frati, suore. L’Azione Cattolica era un movimento di laici in cui c’era come aiuto e guida l’assistente. Questi movimenti abbracciano tutti, hanno visioni diverse – sarebbe interessante farne un’analisi – sono stati assunti, valorizzati, approvati da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI perché sono la grande difesa del papato nel governo della Chiesa a livello universale. Abbiamo così un grosso guaio che attenua la vivacità, la creatività, l’originalità delle chiese locali.

Dal momento in cui si è lanciata l’idea del ruolo sociale dell’episcopato le cose in Italia sono cambiate. Perché oggi non abbiamo personaggi tipo De Gasperi o Lazzati? C’è qualcosa che lo impedisce, c’è mancanza di formazione alla base? Ci sono uomini e donne capaci di sacrificarsi, di accettare come fede De Gasperi il rifiuto dell’udienza da parte di Pio XII? Dobbiamo porci queste domande e la risposta, almeno da parte mia, è di continuare con fiducia a credere in questa Chiesache è di Cristo pur con tutti i suoi limiti. Occorre preparare momenti in cui sia possibile uscire da questa unità mortificante. Un giornale cattolico, l’Avvenire (quest’anno compie 40 anni) può contribuire a favorire il dialogo nella Chiesa?

Credo di no. Se io scrivo all’Avvenire non mi pubblicano perché faccio parte delle persone che dicono quello che pensano. Questa mattina abbiamo letto il Vangelo: il vostro linguaggio sia quando è si è sì, quando è no è no. Ci siamo abituati a lasciare la profezia per scegliere la politica, o meglio la diplomazia, che è ben altro.

Viviamo un momento difficile. Se leggete la prolusione del Cardinale presidente della CEI vi accorgete che sono discorsi politici, come quelli di Ruini (Orfei dice: molto peggio) in cui si tratta di tutto. Per esempio, circa il referendum dissi che bisogna andare a votare. Alcuni vescovi mi hanno scritto: lei ha disobbedito. Anzitutto non c’era e non poteva esserci un comando ma una indicazione. La mia coscienza mi diceva che era bene votare per vedere cosa pensa il popolo. Il voto di minoranza è un’espressione di una opinione del popolo. L’astensione è paura. Non andiamo alla ricerca della verità ma di una situazione che ci fa comodo, che ci piace prolungare. Il cristiano deve avere il coraggio di dire la verità. Io cerco di farlo perchè sono libero di testimoniare la verità nella libertà. Invece invade il conformismo. Alcuni i problemi non li capiscono; per loro il cristianesimo è ancora la religiosità popolare; altri vorrebbero continuare su posizioni di retroguardia. Fino a quando è possibile evitare il dialogo con la cultura di oggi? Altri hanno interesse a mantenere certe posizioni. Non voglio fare allusioni.


Alle assemblee della CEI (in qualità di vescovi emeriti) possiamo partecipare e parlare ma non abbiamo diritto di voto. Quando ero vescovo responsabile di una diocesi ho parlato continuamente in assemblea. Nel 1985-6 ho fatto due interventi scritti in cui dissentivo dall’appello di Ruini all’unità politica, dicendo che era un tempo superato e bisognava lasciare un dialogo libero. Non fui ascoltato. Poi c’è stato un cambiamento a 360 gradi per cui non siamo più stati i sostenitori della DC che, con tutti i suoi difetti, aveva dentro qualcosa, ma i difensori di partiti politici che di questo nome forse non sono degni. Sono un’accolita di persone che mirano, sotto la guida di un organizzatore molto bravo, al potere.


Laici e laicità. La Chiesa non deve porre una cappa sul mondo con i suoi divieti. La Chiesa è nel mondo come fermento. Il primo impegno è di essere nel mondo accanto agli altri realizzatori di una convivenza di giustizia, di pace, di amore.

Non siamo chiamati ad essere un esercito in battaglia contro nessuno, né dobbiamo difendere, penso io, delle posizioni. Recuperando il senso sacro della vita come nasce dalla creazione nella quale si è inserito Gesù, Verbo fatto carne, che ha preso l’umanità e la storia e l’ha inserita nella sua vita di Figlio di Dio. Seguendo l’esempio di Gesù dobbiamo recuperare la laicità nel senso di una presenza ai momenti della vita della comunità, cominciando dal piccolo. In una comunità parrocchiale, invece di essere coloro che organizzano, rendersi conto dei bisogni che ci sono e mettersi insieme agli altri per risolverli, creando insieme non solo una risposta che possa provocare gelosia o rivalità, ma creando insieme un servizio di amicizia, di comunanza che metta in evidenza le esigenze della convivenza di amore, di pace e di giustizia, al di là delle appartenenze.

Questo mi pare il problema fondamentale. La laicità della Chiesa che P. Pio richiama più volte e che io condivido è che la Chiesa non sia un aspersorio di acque sante su tutto, ma una presenza vivificante per recuperare, in dialogo con gli altri, la città dell’uomo (ricordate Lazzati), non la città cristiana; la città dell’uomo in cui, intorno ai grandi valori, pian pianino costruiamo una città diversa che non sia la società dell’immagine e del potere, ma della fraternità.


In questa direzione non credo che debba essere impossibile, anche se difficile, uscire dagli schemi in cui siamo intrappolati: i preti nella nostra casta, i movimenti di laici nelle loro vicende con il prestigio dei loro capi, con appartenenze nelle quali si ritrovano e si smarriscono; il vero senso della Chiesa è l’uomo che dobbiamo amare e accompagnare superando i limiti che vengono da pregiudizi, cercando di recuperare l’uomo e la sua dignità fondamentale.

Questo è il problema.

Si supera anche la distinzione fra la Chiesa come Mistero e la Chiesa come organizzazione. Il Concilio ha chiarito con molta forza che la Chiesa è unica, che lo strumento esterno, storico è la manifestazione del Mistero di Dio e non è solo un’esigenza di efficienza. Gesù ha voluto una comunità presente nella storia, che assume la storia nella quale deve passare questo lievito evangelico. Quindi un impegno continuo di far presente nella struttura l’elemento misterico, divino, lo Spirito Santo. Non è un’impresa facile; è un cammino che abbiamo davanti che dobbiamo cercare di compiere, non chiedendo riforme, ma cercando di vivere dal basso, nell’umiltà, nella fraternità questa vera, profonda, irrinunciabile dimensione della Chiesa che è colei che restaura, ripristina la dignità dell’uomo, insieme con gli altri.

Nel mondo ci sono tanti pagani; nel mondo c’è gente che attende, che ha respinto una cerca concezione di Dio, del Dio tappabuchi, che cerca una presenza nuova di Dio presente nella vita degli uomini, nel cuore degli uomini, nelle loro esigenze. Non un Dio severo e riservato, ma Dio amore, presente. Cosa è la Trinità: è l’amore di Dio che pervade il mondo, che si dona fino a immolare il Suo Figlio per la salvezza del mondo.

Oserei dire questo – non è risolutivo, ma è un cammino, evitando il dualismo. Non dobbiamo organizzarci per essere più forti e più bravi, ma dobbiamo cercare di agire alimentando quelle comunioni, quelle convivenze, quelle con naturalità che ci sono. Senza partire contro qualcuno per qualcosa, incontrare l’uomo nei suoi bisogni; non ridurci a distribuzione di pacchi di beneficenza, ma aiutando gli uomini a riscoprire la loro dignità, la libertà. I problemi sono enormi, sono tantissimi. Cominciare un cammino per ritrovarci in questo mondo non ad essere i partigiani di uno o dell’altro. In questa Italia divisa, che si accapiglia, trovare la via evangelica della povertà. Non sono un gesuita ma sto studiando attentamente gli esercizi spirituali di S. Ignazio. Mi colpiscono due cose: S. Ignazio diche che il Satana, il capo delle milizie del male, comincia a tentare l’uomo con l’amore al danaro. Questo avviene. Ecco la necessità di riscoprire la libertà del cuore dal possesso che ci porta all’impegno con Gesù. Scoprire la povertà è importante. L’altro elemento è la “contemplatio ad obtinendum amorem” in cui S. Ignazio scopre Dio in tutte le creature, Dio presente, operante. Questo deve farci sentire la gioia di operare, perché tutti sentano la gioia di Dio presente.

Noi siamo ancora legati all’idea di un Dio sacrale. Lo vediamo lontano perché abbiamo il timore dell’immanentismo. Invece dobbiamo sentire Dio presente, che opera, si affatica in tutte le cose. Riscoprire questo senso cosmico della presenza di Dio.

Non ho risposto a tutte le domande che sono tante. La via pratica è riscoprire questa nostra apertura, questa nostra convivialità, questo nostro stare con gli altri, non per affermare o difendere una tesi, ma per servire l’uomo e riportare la nostra società a questa misura piena del Vangelo che è fraternità, che è spirito di povertà, affermazione dei valori veri.





1 Presenti: Pino Baldassari, Paolo Bonfanti, Mons. Giuseppe Casale, Giulio Cascino, Riccardo Chieppa, Roberto Giordani, Laura Marini, Maria Luisa Matera con due amici, Gianfranco Nicolais, Salvatore Nocera e signora, Ruggero Orfei, Massimo Panvini, Pio Parisi, Anna Maria Polverari, Claudio Stirpe, Giuliano Tonello