Incontri di discernimento e solidarietà
INCONTRI

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Per un incontro su “la vita consacrata”Roma il 16/9/2004


Ci proponiamo di proseguire una comunicazione di esperienze avviate un paio di anni fa e che ha avuto un momento particolarmente intenso ad Ivrea dal 26 al 28 giugno 2003, tra Clara Gennaro, Luciano Valle, Pino Trotta, Giorgio Marcello e Pio Parisi. Pino Trotta ha terminato la sua fatica terrena il 27/7/2004.

La ricerca di un modo nuovo di concepire la vita consacrata, con maggior aderenza alla Parola di Dio e alle necessità dell’ora presente, ci appare come una grande speranza per la Chiesa e per il mondo. Pensiamo possa essere questo un passaggio rilevante nel progresso della tradizione apostolica di cui parla il n. 8 della Dei Verbum.

Una prima formulazione di quel che andiamo cercando potrebbe essere la seguente. La consacrazione universale e cosmica operata da Dio ci chiama a rispondere con una carità parimenti universale che richiede una coscienza politica frutto di un discernimento spirituale comunitario. Tale discernimento si fonda su una profonda amicizia e su un diligente impegno organizzativo, senza ulteriori istituzionalizzazioni.

Pensiamo quindi a una vita consacrata senza regole; non per negare un passato e un presente di grande valore, ma alla ricerca di un passo ulteriore nel cammino faticoso dell’umanità, una rinnovata laicità per superare le fortissime tentazioni del clericalismo.

Per questo proponiamo una serie di punti che possiamo anche chiamare “passi”.


I° passo.

Punto di partenza.

La consacrazione: da noi per lo più pensata ed attuata come una scelta nostra, sia pure in risposta ad una vocazione, è dall’inizio alla fine opera di Dio. Egli ci chiama a una corispondenza che è anche essa dono di Dio: la fede. L’opera nostra è credere in Dio e in colui che ha mandato. La nostra risposta non condiziona l’azione di Dio. Il dibattito su “chi discerne per la salvezza”, così vivo ai tempi di S. Agostino, dovrebbe tornare attualissimo in un tempo di pelagianesimo diffusissimo nella pastorale ordinaria.

In proposito, può essere di grande utilità lo scritto di Saverio Corradino “La salvezza non si lascia gestire in alcun modo”, in M. Castelli, S. Corradino, P. Parisi, P. Stancari, La laicità difficile, Morcelliana, 1991, pp. 17-39.

Fondamentale la Lettera di Paolo ai Romani.



II° passo.

L’universalità.

La consacrazione operata da Dio riguarda tutte le persone umane ed il cosmo.

“Il sole di giustizia trasfigura ed accende l’universo in attesa” (Inno di lodi del mercoledì).

Teilhard de Chardin: “La Messa sul Mondo”, in L’inno dell’Universo, Il Saggiatore, 1972, pp. 13-36. L’ambiente divino, Il Saggiatore, 1968.


III° passo.

Termini equivalenti.

Santificazione, trasfigurazione, glorificazione;

consecratio mundi;

storia della salvezza, storia universale, evoluzione cosmica;

liberazione dall’idolatria;

laicità come profezia del popolo di Dio sul mondo, in Castelli, Corradino, Parisi, Stancari, Dialoghi sulla laicità, Rubbettino, 2002.


IV° passo.

Gesù Cristo.

Rivelatore del Mistero trinitario e del disegno di Dio.

“Nessuno conosce il Padre se non il Figlio”.

Il Figlio si è fatto carne. Il Mistero Pasquale.

Lo Spirito Santo Consacratore, riempie l’universo, conosce ogni linguaggio.


V° passo.

La Chiesa.

Una, santa, cattolica, apostolica… meretrice.

C’è la Chiesa dallo Spirito Santo che opera nelle donne e negli uomini per la consacrazione.

C’è anche una falsa chiesa che è opera degli uomini, iniziativa e costruzione solamente umana. Ciò può accadere fin dall’inizio delle opere, per l’implantatio ecclesiae, o manifestarsi in corso di opera, specialmente quando queste crescono quantitativamente. La barca di Pietro con a bordo il Signore rischia di diventare un transatlantico con un grande comandante e il Signore forse nella sala macchine; il transatlantico può trasformarsi in petroliera per la spinta di una globalizzazione che parte dal mercato, e poi si va verso le corazzate e le portaerei. Per la Chiesa diffusa su tutta la terra servono innumerevoli barche di Pietro su cui è presente Gesù nella celebrazione del Mistero Pasquale. Ma anche per le innumerevoli barchette ci può essere la tentazione di schierarle per l’attacco con un’operazione lillipuziana.

La coscienza ecclesiale implica la consapevolezza di essere scelti da Dio, eletti fra gli uomini: “ego elegi vos”. Al tempo stesso la Parola ci dice che “Deus vult omnes homines salvos fieri”. Come superare questa apparente contraddizione in questo tempo in cui è fortissima la tentazione di giudicare, di confrontarsi e di considerarsi migliori degli altri.


VI° passo.

La vita consacrata sotto una regola.

Straordinaria fioritura di santità nella storia della Chiesa.

Oggi molte difficoltà nella vita comunitaria e nuove difficoltà insorgenti per la lettura di fede della storia e quindi di quello che Dio ci chiede per il presente e per il futuro. Necessità di ritrovare un discernimento evangelico della dimensione sociale e storica della nostra esistenza.


VII° passo.

La coscienza politica.

Per coscienza politica intendiamo una capacità di lettura e di discernimento degli eventi presenti e della storia, a cui segua un cambiamento della vita, una vera conversione, e un’azione rivolta a fare ciò di cui c’è più bisogno e che noi possiamo fare.

Siamo chiamati a maturare la nostra coscienza politica a partire dalla contemplazione di fede del Mistero infinito rivelato, in conclusione, nelle pagine dell’Apocalisse: il libro della speranza troppo spesso dimenticato e falsificato.

Non manca poi una letteratura, non ancorata alla parola di Dio letta nella Chiesa, che mette in luce la necessità di rifondare la convivenza umana nella presente gravissima crisi della democrazia: Serge Latouche, Marco Revelli, Ralf Dahrendorf…


VIII° passo.

Clero e laicato.

Questa distinzione su cui tanto si è scritto, va ripensata alla luce della laicità essenziale a tutta la Chiesa: “laicità come profezia del popolo di Dio sul mondo” (vedi Dialoghi sulla laicità già citato).


IX° passo.

I consigli evangelici.

Povertà

San Francesco d’Assisi;

S. Ignazio: III grado di umiltà

Oggi nella quotidianità della società del benessere e nella consapevolezza della povertà di gran parte dell’umanità e delle cause di tale situazione.

Castità

Con il valore del celibato riscoprire l’azione consacrante di Dio nel sacramento del matrimonio e nella vita familiare.

Obbedienza.

A tutte le creature (S. Francesco).

Come responsabilità verso la società nell’obbedienza alla storia.

Obbedienza ai superiori all’interno dell’obbedienza ai bisogni del prossimo, di tutta la società, e mai sostitutiva di questa. L’obbedienza ai superiori non deve essere tranquillizzante nel senso che qualcuno discerne al nostro posto quello che il mondo ci chiede. Piuttosto riscoprire l’obbedienza come aiuto al discernimento necessariamente comunitario.


X° passo.

La comunione nella fede.

L’essenza profonda dell’unità ecclesiale. La vera identità: “per me il vivere è Cristo”, che è la vera apertura universale a tutti e a tutto.

L’unione che si è cercata e si cerca nell’osservanza delle regole va oggi realizzata in un’autentica amicizia spirituale intesa come comunicazione fraterna di quello che lo Spirito opera in noi e delle resistenze che vengono da noi stessi e dal mondo in cui viviamo.


XI° passo.

L’ecumene della compassione

Un’intuizione di Johann Baptist Metz (ne Il Regno 22/2000): un appello alle tre grandi religioni monoteiste, ebraica, cristiana e musulmana, a convergere sul riconoscimento dell’autorità dei sofferenti per affrontare la globalizzazione.


XII passo°

Come procedere.

In positivo, senza giudicare, ma con piena parresia.

Comunicare le esperienze, in tutte le direzioni e in tutte le occasioni.

Con ordine, senza troppi programmi e soprattutto senza nuove istituzionalizzazioni.




Clara Gennaro - Note a margine della lettera- testo di Pio sulla vita consacrata – settembre 2004


Queste sono delle semplici note, delle riflessioni nate al margine della lettera- testo di Pio sulla vita consacrata. Come tali non hanno nessuna organicità o sistematicità. Non potendo purtroppo essere presente al vostro incontro, le trascrivo dal mio quaderno per poter condividere in questo modo il vostro lavoro di approfondimento e di riflessione.

Al passo n 1 Pio parla, con una citazione giovannea, della fede e della centralità del credere in Dio. Una volta ho sentito il carissimo padre Daru dire – con assoluta fermezza ed era assolutamente credibile – mi è parso particolarmente nella sua malattia un uomo puro- di non aver mai dubitato di Dio. Mi manca purtroppo questa granitica certezza e la mia fede è sostanziata di incertezze e di dubbi. Mi viene spesso nel cuore la umile richiesta del discepolo: “Credo, signore, accresci la mia fede”. Sento più mia perciò, rispetto al credere, l’espressione dell’affidarsi. Mi sembra significativo che in una fede provata – e come provata !- Gesù dopo aver dubitato dell’amicizia di Dio per lui, a lui affidi la sua vita. Affidarsi a Lui perché come Pietro dice: “E dove andremmo ?, tu solo hai parole di vita piena, di una vita che si dilata, che abbraccia tutto l’universo e ci faccia raggiungere l’uomo perfetto, l’uomo che ha raggiunto ciò per cui era è e sarà. Quando Pietro dice che Gesù ha parole di vita, non parla, si capisce, solo delle parole, degli orizzonti che Gesù dischiude con quello che dice, ma sa che Egli è la Parola con la vita, con tutto di sé.

Una parola chiave per il cristiano mi sembra sia quella dell’Ascensione, dell’ascendere. Gli Atti degli apostoli iniziano – non a caso, credo - con l’Ascensione. L’Ascensione conclude il cammino di Cristo sulla terra, segna la pienezza della sua tensione e della sua ricerca, ma credo che sia anche un’indicazione per la vita della comunità cristiana, che accompagnata dallo Spirito che Cristo ci ha lasciato, cammina per i difficili ed aspri sentieri della vita e della storia.”Duc in altum”, dice Gesù ai suoi che avevano le reti vuote. I padri del popolo ebraico avevano i salmi, che ci hanno tramandato, dell’ascensione. Verso il tempio per loro, per noi verso il Tempio che Cristo ha ricostruito in tre giorni . Costantemente Gesù nella benedizione “alza gli occhi al cielo”, ascende ad un’altra dimensione delle cose e di quella luce illumina e trasfigura la realtà, la restituisce ad una dimensione più piena e più vera. Stefano nella morte vede aprirsi i cieli. E’ solo dopo l’ascensione sul Tabor che i discepoli amati possono “vedere” Gesù e scoprirne il Mistero. Solo a quella luce, pur se con oscurità e con dolore agonico, possono affrontare, senza morire dentro, la morte di Gesù.

Se non ascendiamo, anche noi, pur se con brusche ricadute, rimaniamo aggrappati ad una dimensione ristretta delle cose, della realtà, della nostra piccola vita, della storia tutta.

In margine al punto V. Pur se con qualche perplessità Pio fa riferimento all’elezione dei cristiani. E’ un termine d’altronde che ricorre più che frequentemente nella Scrittura. Il popolo ebraico si è sempre considerato popolo eletto, i profeti hanno sostenuto lotte, sofferenze, resi forti dalla convinzione di essere stati eletti da Dio. E Cristo stesso sarebbe l’Eletto.

A me questa concezione ripugna- e mi sembra che ripugnasse prima e autorevolmente a Simone Weil. A me pare un concetto che non respira dell’aria alta e pura della parola di Cristo. Se vi sono degli eletti, vi sono degli esclusi. Credo che alla base di questo concetto vi sia una ricerca di potenza. Non sono come gli altri: sono stato scelto, messo da parte. Per avere forza – anche nell’umiltà (ma Nietzsche avrebbe molto da dire) – abbiamo bisogno di sentirci chiamati, altri, investiti da Dio, “in pirsona personalmente” direbbe Catarella di Camilleri (se mi posso permettere di scherzare). Ma appunto Dio investe, veste, tutti della sua luce . Quanta ne sappiamo accogliere in noi? Chi ci libererà di questo corpo di morte ?

La vita consacrata, come consapevolezza della presenza dello Spirito in noi e nell’intero universo (Romani 8) è proprio per me il superamento di ogni idea- di ogni concetto di elezione, da cui nascono tutte le regole. Oggi il credente è aperto – è spinto – a comprendere come lo Spirito del Signore si posa su ognuno .Aneddoto di Francesco e della chierica.1

La conversione è la tensione a far penetrare in noi lo spirito che cerca di far breccia in noi. “Io sto alla porta e busso…” Non c’è nessun eletto. La Chiesa è solo quel frammento dell’universo che percepisce qualcosa - nel crepuscolo che è luce tra oscurità e luminosità, tra notte e luce – del mistero di Dio che si fa strada in noi, che cerca strada in noi. Contro l’ “aggrapparsi vorace” agli angusti confini in cui ci rinchiudiamo.

In margine al passo IX Sull’obbedienza. L’obbedienza è stata considerata come uno dei tre voti della vita consacrata, intesa come vita sotto una regola. E’ tra i tre voti il più equivoco. E’ stata ritenuta- svisandone ogni connotazione cristiana – ad una sola direzione: degli inferiori rispetto ai superiori – termini orrendi, che lasciano ben trasparire di che pasta sia sostanziata tale obbedienza. L’obbedienza tra uomini liberi – e i cristiani sono chiamati a libertà – è l’ascolto amoroso ed attento della parola che l’altro porta. L’altro che non è solo l’uomo, ma ogni creatura ragionevole e non, direbbero Isacco il Siro e Francesco. E’ l’uscita dalla propria centralità, è l’amore che si fa obbediente, talora sino alla morte di croce. In ogni vita e nella vita di relazione non c’è possibilità di comunione e di amicizia se manca l’obbedienza allo spirito profondo che abita in ciascuno e che va ascoltato ed accolto.


In margine al passo X Ritengo la compassione il cardine di ogni vita cristiana. Ci abbiamo d’altronde riflettuto a lungo E’ il vivere una vita non segregata. E’ la partecipazione alla vita di Dio e di Cristo, che patisce di ogni sofferenza dell’uomo, di ogni vita strozzata.

E’ l’incontro, l’inciampare nell’altro che mi strappa dalla prigionia del mio io. Dio, come sottolineano i Musulmani, è il compassionevole, partecipare della sua vita è partecipare dell’agonia dell’uomo per aprirsi ai sentieri della vita.

La compassione libera, conduce ai pascoli della vita.




Trascrizione della lettera di Franco Battiato a P. Pio Parisi sulla vita consacrata11 settembre 2004

Penso che innanzi tutto occorra distinguere tra vita consacrata e vita sacralizzata. La vita consacrata è orientata ad un Fine che sta oltre, è proiettata verso un Aldilà che supera i confini del presente e del contingente, è una vita che trova la sua ragione ultima in una realtà che la trascende e la invera e le dà senso.

La vita sacralizzata, invece, fa della vita del singolo un assoluto in sé e a sé stante, non si apre ad un Oltre, si pone quindi come vita chiusa e conclusa in sé, non ha perciò bisogno di aprirsi alla realtà, alla storia, anzi rifugge da essa, si isola nella sua pretesa di autosufficienza e di autofinalizzazione. E perciò una vita sacralizzata non sa vivere il discernimento, anzi, per così dire, non sa che farsene del discernimento della storia, perché non ha bisogno di essa, tutta preoccupata com'è di tenersi "le mani pulite", di non sporcarsele con le brutture della storia, di garantirsi una "purezza" che di fatto è sterilità e inerte autocompiacimento.

Di contro la vita autenticamente consacrata sa che deve il suo essere ad un Altro che le dà senso e criterio operativo e perciò è costantemente protesa al discernimento del progetto dell'Altro su di sé e sul mondo, non si stanca di scrutare i segni che Dio - l'Altro - diffonde continuamente nella storia, malgrado le manifestazioni di morte che sono in questa, perché sa che solo nella storia può incontrare il Dio della storia.

E così il discernimento dei segni della storia - i segni dei tempi di cui parlava Giovanni XXIII nella sua Pacem in terris - è compito prioritario di ogni vita consacrata, se vuole essere autenticamente fedele al suo compito e a sé stessa.

Dico ogni vita consacrata, perché non esiste un unico modo di vivere la propria consacrazione a Dio: limitarla a chi vive all'interno di un ordine religioso significa non riconoscere la ricchezza dell'iniziativa di Dio che distribuisce e dona i carismi non secondo le classificazioni degli uomini ma secondo l'inesauribile inventiva del suo amore. Ecco perché è vita consacrata quella del religioso che ha pronunciato i voti e vive l'ubbidienza a un Superiore, ma è vita consacrata anche quella della donna e dell'uomo sposati che nella cura dei figli e nel dono del reciproco amore vivono la loro consacrazione al Dio della vita, attenti a fare della loro famiglia un lievito vivo di solidarietà e condivisione nella società, è vita consacrata quella del celibe e della nubile che, pur estranei a qualunque congregazione religiosa, cercano di cogliere la parola di Dio inscritta nei segni della storia e di operare in conformità ad essa.

Che poi la vita consacrata sia di ogni cristiano ci viene confermato dallo stesso rito del battesimo quando, dopo il versamento dell'acqua sul capo del battezzando, il celebrante fa sulla fronte di quest'ultimo il segno della croce con il crisma ad indicare che il battezzato è un "consacrato" a Dio, un unto, un Cristo cioè che, come l'unico Cristo, deve rispondere con pienezza al progetto del Padre. E quindi è dal Padre che viene il progetto della vita consacrata ed è al Padre che essa tende.

E se, come dice il Vaticano II nella Lumen Gentium, tutti gli uomini sono in vario modo ordinati al progetto di Dio e in esso inseriti, allora tutti gli uomini, ciascuno con la specificità del suo essere irripetibile, partecipano di questa vocazione alla vita consacrata, vocazione che non è l'uomo a darsi ma che viene da Dio.

A questa universalità della vocazione alla vita consacrata segue, a parer mio, una operatività continua nella storia, giacchè il Dio che chiama alla vita consacrata è il Dio che "fa nuove tutte le cose", come ci ricorda l'Apocalisse. Ed allora il consacrato, se da un lato è chiamato a vedere nella storia i segni dell'azione di Dio, dall'altro deve operare nella storia perché questa sempre più risponda al progetto di quel Regno per il quale Cristo si è incarnato. Ma noi sappiamo che qualunque realizzazione umana è sempre al di qua del Regno e allora l'atteggiamento dell'uomo "consacrato" deve essere proteso continuamente ad operare un cambiamento nella società e nella storia, quello che potremmo meglio definire in termini teologici una continua conversione o, se la parola non appare provocatoria, una "rivoluzione" costante.

Non ci può essere, infatti, nessuna realizzazione storica, per quanto fondata sulla giustizia, sulla pace, sull'uguaglianza, sul rispetto dei diritti di tutti, sulla condivisione, che possa identificarsi con il Regno, ed allora tocca al "consacrato" superare le conquiste di volta in volta raggiunte per tendere sempre più verso il Regno, pur nella consapevolezza che questo non potrà realizzarsi compiutamente nella storia, ma al tempo stesso nella certezza che questo proprio nella storia ha il suo inizio. E' in altri termini la riproposizione nella politica della dialettica teologica tra il già e il non ancora.

Ma tutto questo come può attuarsi quando centinaia di bambini vengono massacrati in una scuola dell'Ossezia, decine di migliaia di altri vengono costretti ad impugnare le armi in Africa, migliaia di altri ancora vengono violentati, venduti, sfruttati, schiavizzati, quando cioè assistiamo ad un crescendo senza fine di violenza, di orrore e di morte che sembra non dare più spazio alla speranza?

Io penso che, malgrado tutto, occorra porre dei semi di questa speranza che Cristo, incarnandosi, ha portato definitivamente all'uomo. Come infatti nella sua incarnazione ha assunto in sé una volta per tutte l'umanità intera perchè la sua carne è diventata il luogo della solidarietà con tutti gli uomini di ogni tempo, allo stesso modo il suo amore assoluto ha raggiunto tutti gli uomini, abitandoli, sia pure in maniera diversa.

Occorre allora aiutare a portare alla luce questo amore che - noi lo sappiamo - c'è in ogni uomo.

Occorre porre dei semi di speranza, sia pure dentro la disperazione del mondo, anzi, a maggior ragione dentro di questa: il seme d'altra parte sta sempre dentro la terra.

Ponevano dei segni di speranza Simona Torretta e Simona Pari, e mi auguro che possano continuare ancora a porli; li poneva Enzo Baldoni, li pone Gino Strada, li pongono centinaia e migliaia di altri, sconosciuti, in tutte le parti del mondo.

Non so se questi si richiamino direttamente al Vangelo per trovare ispirazione alla loro azione, so per certo che per tanti di questi non è così, ma se è vero che "qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l'avrete fatto a me", allora è Cristo che sta alla base di questi gesti ed è a Cristo che essi tendono.

E mi pare che in certo modo possiamo dire che il cerchio così si chiude: c'è una chiamata con cui Dio invita tutti gli uomini a "consacrarsi" a Lui, al suo progetto di amore e ci sono infinite strade e modi con cui l'uomo può rispondere.

L'ascolto della sua Parola, il discernimento dei segni dei tempi, il confronto con gli altri ci aiutano nella risposta.

Toccano a noi l'impegno e la vigilanza continui.

Franco Battiato




Incontro Cosenza - 20 novembre 2004

P. Pino Stancari -

Il tema del nostro incontro è ben ricapitolato nel termine “consacrazione”. Un approccio al tema che si radichi nel linguaggio biblico o anzi nel tessuto della rivelazione biblica, mi sembra piuttosto importante. Si tratta di precisare come nella Bibbia si parla del “sacro”, o del “santo”, per ridirla con due termini che noi tendiamo a distinguere. Effettuando questa distinzione mi sembra di poter evitare tutte le implicazioni, le problematiche, le incertezze, le possibili contraddizioni che sono inerenti al termine “sacro”.

Una piccola parentesi e un avvertimento. Noi dobbiamo parlare di “consacrazione”. Bisogna allora che non cediamo al suggerimento facile, peraltro banale, di risolvere la questione con giochi di parole. Per cui il termine “sacro” tende a configurarsi in un’accezione che in molti contesti assume significati negativi; “santo” è un'altra cosa: è un termine che esprime valori eminentemente positivi. In questo senso, anche nel foglio di Franco Battiato c’è una distinzione, che è accettabilissima di per sè, soltanto che, se diventa un gioco di parole, siamo punto e a capo. Non favorisce un processo di maturazione ma attiva un processo regressivo.

Bisogna intendersi. Va bene la “santificazione”, ma non la “consacrazione”; va bene il “santo”, ma non il “sacro”; va bene la “santità”, ma non va bene la “sacralità”. Se è così questo diventa davvero un espediente poco proficuo. A meno che non ci si spieghi meglio a riguardo dei contenuti in questione. In realtà, siamo qui per questo. Fatto sta che nel linguaggio biblico questa distinzione non c’è. Ciò che è “sacro” e ciò che è “santo” non sono qualità applicabili differentemente in un caso o in un altro. Bisogna partire da un’altra precisazione decisiva. Il sacro, o il santo non riguarda la qualità estetica, empirica, superficiale o accidentale delle cose, perché il sacro, o il santo riguarda la vita. Questo è fondamentale: non c’è di mezzo una livrea, una casacca, un colore, una rifinitura, uno sviluppo riservato a degli specialisti: c’è di mezzo la vita.

Questo è fondamentale nella rivelazione biblica, ed è fondamentale per noi. L’anno scorso ci fu quel convegno sul “sacrificio” nel vostro Dipartimento. “Sacrificio” è un termine interno alla nostra ricerca. Se invece di “sacrificio” diciamo “santificio”, parliamo della stessa cosa. Ma nel nostro linguaggio corrente suonerebbe male. Al fondo di tutto c’è il fatto che ci sfugge come parlare di consacrazione significhi parlare di un itinerario, o di un processo che riguarda la vita, la maturazione della vita, l’intensificazione della vita, l’attuazione della vita. Questo nel linguaggio biblico è scontato. Per questo a me sembra sempre importante partire da una constatazione che nella sua ovvietà è schiacciante: “Santo” è il protagonista della vita, Santo è il Dio vivente. E’ il Santo. Si può parlare di santità o di consacrazione, si può parlare di sacro o di santificazione, ma sempre in rapporto con la santità del Dio vivente. E’ il protagonista della santità perché è il protagonista della vita. Se prescindiamo da questa premessa fondamentale, costitutiva e determinante, siamo fuori strada, annaspiamo nell’astrattezza delle nostre elucubrazioni mentali o ideali o concettuali, di cui pure abbiamo bisogno, però, siamo fuori fase.

Il Santo è il protagonista della vita. Il Dio vivente è il protagonista di tutte le relazioni: è la sorgente della comunione ossia quell’inesauribile iniziativa che imposta gratuitamente tutte le relazioni. In questo senso già la creazione è frutto della santità del Dio vivente. Quella relazione particolare che il Creatore intrattiene con tutte le sue creature – perché sono sue – è santificante in un senso ampio, ma non generico: nel senso che la benedizione dell’universo, per il fatto stesso che l’universo è creato dal Dio vivente,lo santifica, in quanto lo predispone al servizio della vita. Dal canto loro le creature viventi sono abilitate a particolari capacità di relazione, che non competono alle creature non viventi; per cui alle creature viventi già nel racconto della Creazione è riservata la “benedizione”. Nel linguaggio biblico è normale che la benedizione abbia a che fare con la vita. Essa è quella certa procedura che riguarda la vita nell’atto di esprimersi; d’altra parte, se la vita non si esprime come capacità di comunicazione, è destinata a morire, se non è già morta. Là dove la benedizione doveva funzionare come snodo nella trasmissione, nella relazione, nella comunicazione, si insedia invece la maledizione. Tutto si blocca.

La vita funziona in forza di questa comunicazione, per cui ciò che gratuitamente è ricevuto, viene trasmesso. Lì è la benedizione: ossia quella cerniera, quel certo snodo, quel certo meccanismo, per cui le creature viventi, nell’atto stesso di vivere, sono inserite in una corrente per cui ricevono e trasmettono. La vita funziona in virtù di questo gioco di relazioni gratuite.

Lì è la santità, lì è il sacro, perché tutto è mosso, sostenuto e promosso dall’iniziativa del Creatore, dall’iniziativa del Santo, dall’iniziativa del Vivente, che è il protagonista della vita.

In questa situazione si pone la posizione unica e specialissima che compete alla persona umana. La benedizione riguarda la persona umana in quanto questa è chiamata a una relazione diretta, esplicita e frontale con il Dio vivente: “A nostra immagine, secondo la somiglianza”, come leggiamo nel racconto biblico.

Il fatto sconvolgente è che la vocazione alla vita della persona umana (nel contesto in cui le altre creature viventi sono benedette, mentre tutta la creazione è al servizio di un disegno così coerente, unitario e così articolato nell’obbedienza all’iniziativa gratuita di Dio) è compromessa. Ecco il peccato, il disordine, lo scompenso, la maledizione, la morte. E’ compromessa la vocazione alla vita. La relazione con il Dio vivente è deviata e inquinata. Quella relazione che è stata impostata nel quadro di una gratuita libertà d’amore, è stata rifiutata, in forza di quella libertà frenata e regressiva, di cui la persona umana vuole avvalersi in modo autoreferenziale. E’ tradimento della vita. E’ il vero peccato. Il peccato è sempre un rinnegamento della vita. Il peccato non è una mancanza rispetto a certe regole di comportamento o una dimenticanza rispetto a dei doveri che sono stati assunti o a dei propositi traditi, o a degli impegni disattesi: il peccato è un tradimento della vita. E’ il tradimento della vocazione alla vita. Tutto sta dentro alle conseguenze di questa rinuncia ad aderire pienamente alla relazione con il Santo, così come è stata gratuitamente impostata fin dall’inizio.

C’è, poi, la storia della salvezza; e c’è una Bibbia. La Bibbia esiste nella storia della salvezza. Questa è la storia dell’intervento di Dio, che vuole riportare gli uomini alla vita. Dio vuole rieducare gli uomini alla vita: che vuole la loro conversione affinchè ritrovino la strada che li ristabilirà nel contatto con il Vivente. La salvezza non è un’etichetta, nè un distintivo; non è categoria che serva a distinguere alcuni dagli altri, nè un lasciapassare per entrare in qualche spazio riservato ai più belli. La salvezza è la testimonianza che riceviamo da Dio della sua determinata volontà di riportare alla vita coloro che hanno perduto la vita, ed ora sono bloccati, inceppati, deviati, inquinati nelle relazioni. La relazione con il cibo, la relazione con il mondo, la relazione con gli altri, la relazione con la società umana, con le misure di tempo e di spazio, la relazione operativa con le cose, il lavoro e la organizzazione del lavoro: tutto questo è scompensato, è deviato, è attraversato dall’ombra oscura e mostruosa della maledizione.

Salvezza. C’è la Bibbia per questo. C’è una storia nella quale Dio si fa avanti e si presenta E’ lui il Santo, il Vivente che avanza per dimostrare che vuole riportare gli uomini alla vita. Questo processo di rieducazione alla vita si chiama “santificazione” o si chiama “consacrazione”. Tutta la storia della salvezza è questo. Non c’è altra salvezza che questa.

Nel convegno dell’anno scorso insistevo nel dare importanza a quel passaggio decisivo che si chiama “Alleanza”. L’Alleanza riguarda il ristabilimento di un contatto tra il Santo, che è il Dio vivente, e un popolo che rappresenta tutto l’umanità: tra il Santo e la nostra condizione umana, che è separata dal Santo e dalla vita, che anzi è prigioniera della morte, intrappolata dentro a meccanismi di maledizione.

Come avviene questo? Prima, c’è la chiamata dei patriarchi, poi, c’è tutto il tempo della rieducazione interiore nella speranza, nella povertà, nell’obbedienza alla promessa; poi si giunge all’Alleanza.

Vorrei richiamare alcuni testi da riproporre alla vostra attenzione. Tutto mi sembra davvero condensato nel tema dell’Alleanza. Dio dona la sua “legge”, per consentire a quel popolo – e quel popolo trascinerà dietro di sè tutta l’umanità – di percorrere l’itinerario che gli consentirà di accostarsi al Santo. Da questo incontro con il Santo dipende la vita, ossia il ritrovamento della vita, il recupero della vita, il ritorno alla vita, la conversione alla vita. Questo processo di santificazione, che è il processo della conversione alla vita e quindi della salvezza, è possibile in quanto nella storia della salvezza Dio ha inventato quello strumento che si chiama Alleanza, impostato in modo tale che è lui stesso a muoversi e ad avvicinarsi: lui che è il Dio vivente, che è iniziativa santa e gratuita. Nella storia degli uomini egli si rende presente mediante il dono della “legge”: altro termine che per noi o è un po’ mitico, o un po’ pericoloso. E’ il dono per eccellenza! E’ la dimostrazione da parte del Santo che egli si impegna ad aprire quelle strade di cui un popolo – e tutti gli uomini – hanno bisogno per ritornare alla pienezza della vita. Non si tratta di raccogliere quel popolo – e con quel popolo l’umanità intera – in una posizione di sudditanza. Non si tratta di imporre una regola, perché chi obbedirà meriterà un premio, quasi: “Proviamo a fargli lo sgambetto; se resteranno in piedi, vuol dire che ancora possono superare l’esame”. No. La legge è l’impegno positivo, in rapporto a quel popolo – in rapporto all’umanità intera – mediante il quale egli dimostra che sono aperte le strade della vita in tutti gli ambiti del vissuto, in tutte le dimensioni della nostra condizione umana, in ogni luogo, in ogni tempo, là dove tutte le relazioni sono sperimentate di fatto come un impatto con la maledizione. In virtù della legge tutte le relazioni sono rielaborate, in modo da funzionare come benedizione. Tutte le strade per ritornare alla vita si aprono: il rapporto con le cose, il mondo, i tempi, gli spazi, le altre persone, la società e i vari livelli di relazione sociale – dalle situazioni primarie a quelle più sofisticate – l’uso del linguaggio – che è lo strumento della comunicazione per eccellenza – il linguaggio non solo verbale ma anche gestuale, che passa attraverso il vestito, l’abitazione, il lavoro. Tutto si volge in benedizione. L’Alleanza funziona così.

Questo processo di ritorno al Santo dipende dal fatto che il dono della legge è stato gratuitamente elargito da Dio. La strada del ritorno al Santo è aperta. Percorrere quella strada significa per il popolo di Dio intraprendere il cammino della santificazione. Quella strada è la santificazione, o consacrazione.

Tenderei a intitolare tutto questo cammino di santificazione mediante un termine che è anch’esso un po’ preoccupante, che forse spesso ci lascia un po’ insospettiti. E’ il termine “culto”. Basta intendersi. In virtù della legge il cammino della santificazione – del ritorno alla vita – l’intensificazione piena delle relazioni, la benedizione ritrovata, laddove tutte le relazioni sono sottratte all’ombra della morte e sono restituite alla loro funzionalità vitale, nella gratuità della relazione con Dio.

Se poi invece di dire “santificazione” dicessimo “sacrificazione” penseremmo che c’è qualcosa che stride, e invece… Questi giochetti mentali nostri devono essere un po’ sfoltiti. Fatto sta che lungo questo itinerario di santificazione - che è il culto - ci sono degli aiuti che il Dio vivente ha predisposto proprio per rassicurarci lungo quell’itinerario, per fornirci delle opportune garanzie affinchè non corriamo il rischio di rimanere sbandati, dispersi, deviati. Elementi di garanzia, o momenti di garanzia: il culto in senso stretto allora consiste in tutto quell’insieme di indicazioni, di suggerimenti e di strumenti che è appositamente predisposto per garantire il buon andamento del cammino. Da questo orientamento verso il Santo dipende la vita! Qui non abbiamo a che fare con la fissazione di qualche sacerdote che ha costruito il tempio di Gerusalemme: questo non è il fanatismo di qualche amante della ritualità, della cerimonialità, della sontuosità liturgica, a cui poi si aggiunge il blocco mentale di qualche moralista ossessionato e fantasioso. Non è così. E’ in questione il cammino del ritorno alla vita.

Se non passiamo attraverso il discernimento del Santo non capiamo niente. Non dico che io ho capito; dico che non capiamo niente. Non capiamo niente della spianata del tempio a Gerusalemme e di cosa significhi il Santo per il popolo di Dio. Il Santo non è un’ideologia dentro al cranio di qualche fanatico.

Il Santo è il vivente: e dall’incontro con il Santo dipende la vita. Non c’è vita, se non nella risposta a lui, nella relazione con lui, nell’adesione a lui lungo quegli itinerari che si sono delineati proprio ad opera della sua iniziativa di salvezza.

Lungo quell’itinerario compaiono i “sacrifici”, o i “santifici”, che sono elementi di garanzia. “Vedi che sei sulla strada; vedi che ti avvicini; vedi che, se va così, va bene”.

Mi limito ad elencare questi testi su cui potremmo ritornare.

  • Il libro del Levitico.

  • Isaia, 6: la cosiddetta vocazione di Isaia. <“…. Proclamavano l’uno all’altro: “Santo, santo, santo, santo è il signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”>. S tratta di una presenza operosa: è la presenza del vivente, che riempie tutto, che dilaga. Qui è in questione l’universo intero, il senso della storia in corso, il passato e l’avvenire. “Tutta la terra è piena della sua gloria”. Questo termine “gloria” è strettamente legato al Santo. Sarebbero necessarie delle precisazioni su di esso che interferisce costantemente nella nostra ricerca. Prendiamo atto di questa gloria del Santo: la santificazione è anche “glorificazione”.

  • Il libro di Ezechiele. Ezechiele è un sacerdote; è un tecnico, la cui competenza segnala lo studioso dei contenuto teologici e l’esperto nella gestione dei riti. Soltanto che, quando Ezechiele compie 30 anni e dovrebbe avviare la sua attività liturgica nel tempio, si trova a Babilonia in esilio. “Si apre il cielo”, ed Ezechiele osserva come il fenomeno dell’apertura del cielo si specchi sulla superficie dell’acqua di un canale: l’acqua di una pozzanghera, direi io. Anche Ezechiele vi si specchia dentro: è preso lui personalmente dentro a questa situazione, che è così paradossale, dopo le attese ben prevedibili nell’animo di un giovane sacerdote che dovrebbe iniziare la sua attività liturgica, ma invece è a Babilonia in esilio. Si spalanca il cielo. E lui dice: “Io vidi la gloria”. Tutta la profezia di Ezechiele è interna a quella visione: la gloria del Signore a Babilonia, in giro per il mondo, tra cielo e terra; la gloria del Signore sempre e dappertutto; la gloria del Signore nella profondità del cuore umano, che si apre; la gloria del Signore in cielo, la gloria del Signore in terra; la gloria del Signore riempie, avanza, trasforma e dietro di sé gli uomini a partire dalla radice interiore e dal profondo del cuore. Essa trascina dietro di sé gli uomini, man mano che si apre il loro cuore e vengono rieducati alla vita. Ezechiele è un personaggio veramente grandioso: per un verso, è condizionato dalla sua formazione, dal suo ambiente di provenienza, dal suo quadro mentale (il tempio, il culto, i sacrifici, il sangue); per altro verso, Ezechiele vede la gloria a Babilonia, sulle strade dell’esilio, in ogni periferia e in ogni angolo più impervio, più nascosto, più sconosciuto, nel contatto con tutte le creature. La gloria: una apertura che più ecumenica di così non potrebbe essere!

Ezechiele non è una figura famosa. Alcune pagine del Libro emergono e ci risuonano abbastanza familiari.

Il cap. 37 è il capitolo delle “ossa aride che rivivono”. E’ il capitolo che celebra la vita, e la vita per i morti, non solo nel senso fisiologico del termine ma nel senso di un popolo in esilio, di una vita sbagliata e di un cuore incattivito; e ancora nel senso della storia dominata dall’odio, ossia nel senso delle relazioni bloccate, per cui, malgrado tutto il processo rieducativo che ci ha coinvolti noi ancora siamo intrappolati dentro a meccanismi di morte. Gerusalemme è una città sanguinaria; il nostro popolo è corrotto, e noi – che siamo quelli che dell’Alleanza – siamo tragicamente in ritardo e tragicamente contraddittori: noi siamo ossa aride, cuori impietriti. Ezechiele parla di sé, della sua gente, del suo popolo. E’ proprio nel contesto di questa denuncia che il Signore dice al “figlio dell’uomo” (Ezechiele è chiamato figlio dell’uomo, nel senso che è ormai incaricato di svolgere una missione profetica rivolta a tutta l’umanità: è il figlio di Adamo. Non c’è una prospettiva che sia più universale di questa).

Finalmente leggiamo in 36, 21: “Ma io ho avuto riguardo del mio nome santo che gli Israeliti avevano disonorato tra le genti presso le quali sono andati”. “Nome” è un principio di relazione. “Ho avuto riguardo del mio nome santo”. Perché loro sono dei profanatori; sono degli abominevoli cultori della morte, ma io sono santo e la mia santità è ancora pienamente attiva, dopo tutto quello che è successo. Il Signore spiega a Ezechiele: “Quella mia santità era attiva ancora prima dell’abominio, di cui si sono resi responsabili. Non l’avevano compresa, non l’avevano apprezzata. Ma adesso tu – voi, questo popolo – sei in grado di renderti conto di come fosse santo il mio nome, di come fosse santa la mia intenzione, di come io fin dall’inizio e gratuitamente mi sono mosso verso di voi, per instaurare una relazione – ecco “il mio nome” – mirata a riportarvi alla pienezza della vita: la santità”.

Il testo prosegue: “Annunzia alla casa di Israele: Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, gente d’Israele ma per il mio nome santo che voi avete disonorato fra le genti presso le quali siete andati. Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le genti sapranno che io sono il Signore – parola del Signore Dio - quando dimostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi” (36, 22-23). La “profanazione” che viene denunciata qui, altrove si chiama abominio. La santità non è concepibile nei termini di una graduatoria: il santo è il generale, poi c’è il caporale, il soldato semplice, ecc.. Qualcuno si accontenta di essere soldato semplice: non è santo, però … Scemenze del genere sono quelle per cui si dice che c’è la vita consacrata; poi c’è la vita normale, per quelli che si arrangiano, tirano avanti… L’opposto del santo è l’abominio. L’abominio è idolatria. Perché non star dentro a quel circuito è idolatria: significa morire.

  • Il Salmo 51. (Il Miserere).

“Crea in me, o Dio, un cuore puro,

rinnova in me uno spirito saldo” (v 12). Tra questo versetto e il v. 14, il termine spirito compare tre volte:

“Non respingermi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo spirito santo”. (v. 13)

E’ il soffio del Dio vivente, il suo respiro; è il suo spirito, che opera in modo tale da scardinare quella durezza che blocca il cuore umano. La famosa rieducazione, di cui c’è bisogno per poter procedere lungo la strada del ritorno alla vita, esige lo scardinamento della durezza che chiude il cuore umano. Questo è un tema collaterale al nostro: il tema della rieducazione, che apre il cuore umano, mette a fuoco la rimotivazione interiore del cammino verso l’incontro con il Santo. Questo è il cammino della la vita teologale nella speranza, nella fede, nella carità. Infatti le strade sono aperte, ma bisogna percorrerle; e per percorrerle si tratta di accogliere questa spinta che preme dal di dentro. D’altra parte, se non ci fosse questa spinta – questo soffio, questa urgenza che opera dal di dentro – non saremmo mai in grado di affrontare quelle strade. E’ già una prospettiva che acquisterà il suo pieno risalto nella rivelazione trinitaria. In quanto una strada è aperta per noi dal Figlio, che è morto e risorto, noi possiamo ritornare alla pienezza della vita. In lui, con lui, attraverso di lui la strada è aperta ma tutto questo è possibile perché il soffio è effuso in modo tale che lo spirito di Dio preme, spinge e provoca quella trasformazione interiore da cui non possiamo prescindere, perché altrimenti non percorreremmo mai quella strada.


Aggiungo tre testi del Nuovo Testamento, che cito panoramicamente.

  • Vangelo secondo Giovanni, 17: la grande preghiera di Gesù durante l’ultima cena. “Così parlò Gesù: Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te”. Nel corso della grande preghiera Gesù si rivolge al Padre e osserva i discepoli. “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità”. (vv 15, 17).

Nel v. 11, poco prima, leggiamo: “Io non sono più del mondo, essi invece sono nel mondo e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato”.

  • Seconda lettera ai Corinzi: la maturità della vita cristiana coincide con quel processo di santificazione, o di consacrazione, a cui accennavo. “Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (3, 18).

  • L’Apocalisse, 4: la grande liturgia celeste, alla quale Giovanni si affaccia.




Sr. Eugenia Lorenzi

Comunico le molteplici esperienze di 60 anni di vita consacrata fra le Suore di Carità, dette di Maria Bambina.

Superiora provinciale prima al nord e poi al sud dove in quegli anni sono nate 24 fraternità con uno stile di vita agile, sia a livello fraterno, sia a livello apostolico. Contemporaneamente davo vita all’USMI in Calabria con dodici segreteria in corrispondenza alle dodici diocesi.

Conclusioni cui sono arrivata:

- una vita in comune-a gomito a gomito-forse non è più possibile o è sempre molto difficile, per i seguenti motivi: diversità di cultura e di età – di storie alle spalle – di esperienze diverse di vita – di servizio apostolico; prima: scuole, ospedali, orfanotrofi ecc. attualmente: volontariato/emergenza – provvisorietà e precarietà;

- una grande solitudine per mancanza di comunicazione all’interno, mentre diventa sempre più ampia all’esterno

.

L’incontro con Padre Pio mi ha dato fiato e mi ha aperto altre finestre che accolgo “toto corde”

Quando invece si vive dentro una struttura, abbastanza numerosa, la comunicazione diventa difficile se non impossibile…A meno che la Responsabile sia in grado di favorirla.


Era un mio “pallino” perché ero convinta che era necessaria una “mobilità apostolica…Una casa di propria proprietà costringe a non spostarsi “là dove il bisogno è grande”.

E’ necessario siano scelte, come Responsabili delle comunità, persone che abbiano mente e cuore aperti, capaci di mediazione, di ascolto, per cogliere tutti i talenti che le suore esprimono, per armonizzare e “farli fruttare “ per il Regno, lì dove sono; persone capaci di aiutare a crescere nella libertà e responsabilità personale. Gli “abbandoni” avvengono prevalentemente là dove la libertà personale non è rispettata a sufficienza;

Ricordo che nella formazione ai miei tempi circolava, in quasi tutte le Congregazioni, l’espressione “attende tibi”…Voleva dire: “non impicciarti nelle cose altrui”, cioè all’interno della comunità.

Mi sono sempre difesa di fronte a quel non “impicciarmi” volendo sapere il più possibile di ciò che stava succedendo nel mondo, nella mia nazione.

Attualmente mi sono presa a cuore i carcerati: incontro situazioni pesantissime di cui mi faccio carico nel limite possibile, prendendo contatto con un loro parente, con l’avvocato, se sono stranieri, con il Parroco se sono credenti ecc.


Antonello Costabile

Non so se sono in tema.

Se non ho capito male P. Pino il discorso sulla consacrazione è un discorso sulla vocazione alla vita.

Per il lavoro che faccio e per essere padre, marito oggi come oggi mi pongo continuamente questo fatto: è crollata la fecondità in gran parte dell’occidente cristiano. Questo fatto riguarda la vita di cui parlava P. Pino: come facciamo a parlare di circuito della vita se non si fanno figli o se ne fa uno solo. Un mondo di figli unici è un mondo a cui bisogna spiegare in termini ideologici la fratellanza. Questo mondo mi fa terrore. Se la consacrazione è vocazione alla vita vuol dire che la questione riguarda la famiglia. Da bambino sono i famigliari poisono le altre famiglie, il mondo.

L’altro aspetto è la frantumazione della famiglia che c’è. E nelle comunità religiose mi pare che la frantumazione non sia minore che nelle comunità famigliari.



Piero Fantozzi

Esperienze con Giorgio con alcune congregazioni, poi siamo stati cacciati e abbiamo abbandonato.

C’è un uso dell’esperienza che hanno accumulato come impedimento a leggere il mondo, le cose. L’istituzionalizzazione attraversa non solo la vita all’interno delle congregazioni ma anche il loro lavoro all’esterno. Il ricorso ai fondatori può essere un modo di imbalsamare l’attenzione ai bisogni reali della gente: bambini, vecchi…

E’ un pericolo che corriamo tutti, non solo nelle congregazioni ma anche nella famiglia, come diceva Antonello; è un pericolo continuo che abbiamo in queste cose.

Dobbiamo imparare a vivere in questo mondo senza protezione; è il problema di tutti, compresa la famiglia.

La vita religiosa è possibile solo fuori, in una situazione di deistituzionalizzazione. La condizione di rischio e d’incertezza è la vocazione alla vita religiosa.


Giorgio Marcello

Il nodo su cui non ci si è trovati è stato il rapporto tra motivazioni e intervento concreto sul territorio, tra spirito e strutture. Il richiamo al fondatore evocativo ma senza riscontro nel territorio.

La difficoltà che abbiamo incontrato era quella di fermarsi per ripensare alle modalità operative, riorganizzare i servizi, le modalità concrete. L’identità del gruppo appariva appiattita su un tipo di servizio.

All’interno tante storie personali di grande dedizione, di gratuità, di servizio anche umile e nascosto. L’impostazione dei servizi però sembrava fuori dalla storia.

In sintesi mi sembra di poter dire così. Nell’arco degli ultimi quindici anni la ricerca di Dio, di entrare in qualche modo nel mistero di Dio è passata soprattutto attraverso il rapporto con persone concrete, specialmente con i piccoli: ragazzini, le loro famiglie, persone in difficoltà. Cercare la sequela del Signore ha significato concretamente entrare sempre più in contatto con situazioni di infelicità, di emarginazione sociale, di debolezza. Personalmente non sarei più in grado di scindere la ricerca di Dio e lo sforzo di stare insieme alle persone che ci è capitato d’incontrare.


Pio Parisi

L’obiezione che molti potrebbero farti non è tanto perché non hai fatto carriera universitaria ma perché mentre potresti produrre tanto su un piano sociale e culturale, con una lettura di fede, perdi tanto tempo a stare appresso ai problemi dei piccoli. Io so che non ci perdi tempo, ma è un’obiezione che potrebbero farti. Si capisce più facilmente che la ricerca di Dio vada d’accordo con l’occuparsi dei piccoli, ma questo come si accorda con l’impegno per la maturazione della coscienza politica


Giorgio Marcello

Per un discorso più articolato avrei bisogno di tempo. Al volo mi sembra di poter dire così: per quanto riguarda il lavoro di comprensione della realtà e di favorire la maturazione di coscienza politica a me sembra che questo tipo di servizio esiga proprio un retroterra di radicamento. Il contatto diretto con la vita degli altri non solo non costituisce un ostacolo ma è essenziale per capire.

La stessa cosa mi sembra dicesse P. Mario Castelli quando nei “Dialoghi sulla laicità” parlava della necessità di una conversione culturale e diceva che bisognerebbe uscire dalla cultura intesa come elaborazione di un pensiero astratto per una concezione della cultura in cui la parola sia preceduta da un fatto, spiegazione quindi e interpretazione di un fatto.

Oggi siamo travolti dalle parole, dalla convegnistica sempre più raffinata; è proprio essenziale per comunicare in profondità che ci sia sempre un riferimento ad un’esperienza.


Daniela

Il modo di vivere attuale mio è nato dalla ricerca di andare al di là di una formazione e di una fede vissuta con dei ragazzi di parrocchia nell’Azione Cattolica, anche con responsabilità di gruppo. Con loro si cresceva, si ragionava, però ho sentito il bisogno di una vita più conciliata, in cui i pezzi sono più insieme e per questo è stato provvidenziale l’incontro con l’associazione. Qualche anno fa sarebbe stato più semplice pensarlo; ora mi sembrerebbe insensato riflettere sulle politiche sociali senza un legame con la realtà viva in una relazione con le persone che vivono sulla loro pelle. E’ difficoltoso ma è il mio modo di andare incontro al Santo, come diceva P. Pino.

Mi ha molto colpito quello che diceva Piero: andare incontro ai rischi senza procurarsi un’armatura difensiva, delle garanzie che possono essere, senza sceglierle nel senso che se tu sei una mamma, una moglie hai un ruolo in un contesto, un ruolo riconosciuto. Se invece ti è capitato che non hai uno di questi ruoli sei in una posizione ancora più scoperta.


Suor Lucia

Penso al venerdì, quando finita la lectio tutti scompaiono e qui rimaniamo in 4 o 5 con P. Pino che sta ad ascoltare e non parla. A me serve molto perché per istinto io voglio una riuscita delle cose, invece mi dà l’idea che questi luoghi sono di molta perdita: si scava, si scava, si fanno i pozzi… all’occhio anche di chi sta attento. Qui sono luoghi di elaborazione delle cose e io li sento molto comuni e affini ai luoghi dei poveri, alla casetta di una povera famigliola. Non so se dire che è la stessa cosa: anche lì forse non c’è la forza di elaborazione, ma sta avvenendo qualcosa così misteriosa nella condizione di una malattia, di povertà, di piccolezza.

Io sono dell’istituzione, dentro di me ho lavorato moltissimo e continuo a lottare, però io amo questa mia storia e questa istituzione che mi fa da grembo; non è che mi protegge più di tanto perché io sfuggo da eccessive protezioni. Non è così indemoniata. Tante volte mi dico che forse è proprio la vita, anche la famiglia è una struttura, anche andare a via Massaua. E’ la famiglia, ma è proprio la vita umana che ha una struttura. Questa conflittualità è vera; certi momenti mi sembra come un discorso superficiale: finchè parliamo a livello di principi è tutto vero, a livello di concretezza ho delle obiezioni.


Totò Santoro

Ho poco da dire. I confini tra vita consacrata e vita cristiana si vanno sempre più assottigliando. Mi viene in mente P. Silvano del Monte Athos che dice che verrà il giorno in cui i monaci torneranno ad abitare nelle città. Il mondo cristiano si va assottigliando e parallelamente il confine fra vita consacrata.

E’ importante che qualcuno si chiuda in una stanza per studiare, anche il greco e il siriaco.

Il problema è che tralasciamo le cose essenziali del passato che ancora oggi permangono: ci vuole uno studio serio che richiede una vita.

Sono cose passate di moda ma non le trascurerei.


Ercolino Cannizzaro

Parlo come padre di famiglia, marito, docente a scuola. Esperienze molto concrete mi dicono che il tema della vita consacrata è centrale e concretissimo, tanto più importante quanto invece di questo valore così essenziale non ne parla nessuno. Non è facile nel mondo in cui viviamo comunicare queste cose, anche fra cristiani. Ciò è essenziale nella vita cristiana. Dialoghiamo quotidianamente con persone che pur dicendosi cristiane propongono valori che sono tutto il contrario.

Oggi prevale l’arricchirsi, l’avere successo. In TV e poi assorbiti da noi, questi pseudo valori. C’è quindi una difficoltà ma se sfuggiamo a questa responsabilità abbandoniamo la nostra vocazione radicale.


Agata

Sono anni che milito in questa associazione e mi sono posta la domanda: ma Giorgio è consacrato? Pensavo di essere al corrente di un suo mandato specifico.

Molti interrogativi.




Sintesi incontro del 5 marzo 2005 – Salerno


Relazione di Donatella Scaiola

La consacrazione del tempo dimensione fondamentale di una vita credente.

Oggi si pensa al tempo soprattutto in termini economici: il tempo è denaro.

La consapevolezza di non poter arrestare il tempo ci rende ansiosi.

Per la Bibbia il tempo inizia con la creazione che dà il senso della nostra esistenza.

Nel primo giorno Dio separa la luce dalle tenebre e sceglie la luce che segnerà tutti i momenti principali della storia della salvezza fino a Gesù che dice di se: “Io sono la luce del mondo”. Nell’Apocalisse il segno della nuova Creazione è la scomparsa delle tenebre (cfr. Ap. 21, 3).

Nel quarto giorno Dio crea il sole, la luna e le stelle che regolano il tempo dell’uomo, il culto e la liturgia in obbedienza a Dio.

Il settimo giorno è il sabato, compimento della creazione, riposo economicamente infruttuoso. Dio si ritira dal mondo e lo affida all’uomo, e contempla tutto quello che ha fatto. Anche noi nel sabato siamo chiamati a rinunciare a produrre la vita per riceverla come benedizione. E’ la festa ed è il culto che dà senso al tempo dell’uomo. Non attivismo ma santificazione del tempo.

Le religioni antiche si preoccupavano in primo luogo di spazi, luoghi sacri. La novità della Bibbia è la santificazione del tempo.

Il Salmo 90 dice: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo al cuore della sapienza”.

Santificare il tempo significa vivere con responsabilità, legata al ritiro di Dio dal mondo, che promuove l’autonomia dell’uomo.

Osservare il sabato vuol dire riconoscere che sono vitali sia il lavoro che il riposo, evitando l’autoreferenzialità idolatrica.

Il sabato fa superare la logica economica che considera la festa un danno, mentre essa è il ricordo della propria identità e della comunità come soggetto di liberazione per altri.

Il sabato è come una palestra in cui ci si esercita a introdurre la novità nel ritmo normale dell’esistenza: la gratuità, la condivisione, il riferimento a Dio e all’umanità.

Gesù guarisce il sabato come tempo di liberazione dal male.

L’anno sabatico, giubilare ricorda che la terra è di Dio, così viene messo al centro del tempo della vita del credente l’altro con la minuscola e con la maiuscola.



Le esperienze comunicate dai partecipanti sono molto ricche ed è impossibile riassumerle in breve. Ecco solo qualche spunto.


Lorenzo D’Amico

Il lavoro e il sabato nella mia vita sono realtà contemporanee nella giornata più che nella settimana.

Il lavoro di “garzone” di un falegname mi permette di conoscere gli altri con più immediatezza.

Mezz’ora di silenzio mi permette di pregare: salmi con orizzonte e respiro molto più ampi.


Paolo Romano

Mi sento come un “bignamino” della cattiva gestione del tempo: ansia della prestazione, del narcisismo. Gli incontri “Rete bambini e ragazzi del sud” mi aiutano ad allargare gli orizzonti del quotidiano.


Gianfranco Solinas

Per lungo tempo il mio lavoro nel sindacato è consistito nel fare incontrare i giovani delegati di diverse categorie in itinerari di coscientizzazione vivendo con loro un tempo sabatico di responsabilità allargate.

Ora vivo la dimensione sabatica percorrendo le strade di un volontariato centrato sulla relazione fraterna con famiglie, bambini e ragazzi abbandonati ai margini.

La scoperta più radicale nei momenti sabatici è stata la vulnerabilità condivisa tra chi accoglie e chi viene accolto.


Pierangelo Marchi

Sacramentino, da tre anni a Caserta con due compagni, per un’esperienza nuova. Cinque o sei anni fa siamo partiti dalla domanda sul nostro tempo, sul senso della vita, al di là del carisma. Sentivamo che era giunto il momento di “rompere”, di “uscire”, in senso biblico, per fidarsi di noi e dello Spirito, invertendo un pò lo schema per cui bisogna che prima ci sia il progetto e poi ci si mettono dentro i religiosi.

Due cose in relazione al tempo come responsabilità nella nostra ricerca. La prima è la declericalizzazione: la vita religiosa non è nata gerarchica. Poi la collaborazione con delle orsoline nella “Casa di Ruth” per l’accoglienza di ragazze che vengono dalla tratta.

Con un pastore come Nogaro stiamo creando un laboratorio noi, le suore, un prete e parecchi laici.


Suor Rosetta Colombo

Cerchiamo da tempo la condivisione con i laici ma il cammino è lento, la congregazione chiede sempre regole, stringe, chiama “amicizia spirituale” ma ha paura di “condividere il carisma”. Ti dicono: cosa hai detto della tua santa se hai parlato solo del Vangelo?

C’è molta rassegnazione: cosa ti viene in mente? Non si vuole leggere, ricercare, approfondire. Angelo Cupini dice sempre: resistere, resistere. Incontriamoci per resistere.


Francesca Fiorentino

Ho poco tempo per rileggere la vita che vivo quotidianamente.

Lavoro in una Onlus “Comunità Progetto Sud” con le fasce deboli: tossicodipendenti, ragazzi disabili gravi e non gravi.

Vivo anche in una comunità d’accoglienza per ragazze madri e donne in difficoltà.

L’amicizia spirituale come condivisione e collaborazione, non va invece come proselitismo da parte delle congregazioni.

Ho poco tempo per la mia famiglia: tre giorni alla settimana. Non sono sposata. Difficile anche trovare il tempo per riflettere sul senso della vita e di quello che facciamo.


Suor Eugenia Lorenzi

Oltre la mia Congregazione, per la quale condivido le puntualizzazioni di suor Rosetta, ho preso contatto con tutte le congregazioni d’Italia che sono più di 430.

In genere la vita religiosa è un pò seduta, rassegnata.

L’ascolto è necessario per salvare il salvabile. Ci sono ancora energie che vanno valorizzate in rapporto alla passione per Cristo e per l’umanità. Ci vorrebbero persone che si dedicassero a questo.

Bisogno urgente di coscienza politica per allargare gli orizzonti e il confronto.

Forte la seduzione del potere ecclesiale.

Mi sto radicando nel settore carcere.

Niente di ciò che è umano mi lascia indifferente: è un detto latino che vivo da quando avevo 16 o 17 anni.

Amicizia, gratuità e resistenza.

Imparare il lavoro in rete.


Franco Battista

Ho scoperto che la parola entusiasmo significa “essere presi in Dio”.

Oltre alla mia splendida famiglia faccio volontariato in ospedale e sperimento una cosa vera, in cui conta molto il silenzio e l’ascolto.



Anna M. Polverari

Il non fare viene vissuto spesso come un grandissimo peccato di omissione cui si può riparare paradossalmente solo con un attivismo sempre più accelerato, sempre meno supportato da un atteggiamento orante e contemplativo, da un’interiore disposizione alla quiete, al silenzio, al riposo biblico del sabato.

Il mercoledì servo i barboni alla stazione Tiburtina.

Mi capita di concedermi un pò di riposo e di mettermi in disparte, guardo gli occhi dei fratelli che sto servendo e mi riesce di fare un pò di esperienza evangelica della misericordia e della compassione, comunicando con Cristo sofferente in ognuno di loro. E’ anche questa santificazione del tempo, celebrazione contemplativa del sabato.


Giorgio Marcello

Nell’ultimo anno e mezzo siamo andati tre volte in Brasile: una realtà sociale ed ecclesiale che mette un pò in subbuglio la testa e il cuore.

Fare giustizia in Brasile dipende molto dalle scelte che facciamo noi qui. Ne segue il bisogno di maturazione di una coscienza politica collettiva. Ripensare il nostro modo di stare al mondo, di guardare il mondo, di consumare.

La Chiesa è vivissima, sopratutto nelle nuove generazioni e mette in luce la nostra decadenza.

Le sorelle di una piccolissima congregazione calabrese qui in pieno declino, lì vivono con entusiasmo una chiara scelta: il Vangelo e i poveri. L’amicizia spirituale di cui noi parliamo è vissuta in profondità.

La nostra associazione S. Pancrazio è nata dall’ascolto della Parola con Pino Stancari. Poi c’è stata la proposta di suor Eugenia di impegnarci nel degrado di Cosenza Vecchia. Dall’89 l’”ppello ai piccoli e ai poveri” di Pio ci ha aiutato a capire il senso che andavamo cercando e facendo.


Marco Bonarini

Ho imparato la gratuità del tempo facendo volontariato con disabili psichici vedendo come loro vivevano il tempo. Anche se alcuni di loro non erano capaci di far nulla e non avevano alcun obiettivo nella vita, il loro essere era pieno di significato e totalmente gratuito. 20, 22 anni fa, meditando l’Inno della Lettera agli Efesini: “Lui ci ha scelti prima della creazione per essere santi e immacolati nella carità al suo cospetto”, ho fatto un patto: Tu, Dio, ci hai scelto ed io farò tutto quello di cui sono capace, la responsabilità è tua e anche i risultati saranno tuoi.

Quindi vivo con responsabilità ma anche con grande libertà che viene dalla gratuità del dono. Cerco di usarlo al meglio ma in modo non troppo specificato.

Anche nella formazione viene fuori spesso che chi ha un obiettivo ben preciso non riesce a capire quello che gli capita attorno.

Nelle Acli le persone che hanno responsabilità quando fanno cose che non funzionano dal punto di vista etico non hanno avvertenza di quello che sta succedendo sopratutto nelle relazioni interpersonali.


Suor Eugenia Lorenzi

Da quando sono ragazzina la vita era dono e impegno.


Donatella Scaiola

Nella Scrittura viene prima il dono che è originario e di conseguenza l’impegno, la preghiera, la risposta, il che è tutto secondario. Noi tendiamo a stravolgere l’ordine dei fattori.

La relazione con la Scrittura mi permette di incrociare il cammino non solo nel senso professionale ma proprio in senso affettivo, esperienziale con ambienti molto diversi.

Conosco tanti laici che sono più clericali dei preti e le dinamiche di rivalità e di potere sono trasversali.


Pierangelo Marchi

Abbiamo bisogno del tuo aiuto non solo perchè sei biblista ma anche perchè sei donna.


Pio Parisi

Irradia di luce la sera

fa sorgere oltre la morte

nello splendore dei cieli

il giorno senza tramonto”

(Inno di nona)

Il mio radicamento religioso è stato ed è molto marcato: famiglia, Compagnia di Gesù, Acli, Cei.

Cerco il radicamento nella Chiesa che lo Spirito opera in tutta la terra, a noi nascosto e sotto traccia





Sintesi Incontro del 28 maggio 2005 - Roma


Pio Parisi

Riferisce sull’itinerario finora compiuto e in particolare su un incontro recente con P. Bruno Secondin, Bruna Costacurta, Antonietta Augruso e Suor Eugenia Lorenzi.

P. Bruno ha sviluppato il tema della sapienza e l’abbiamo trovato molto vicino alla laicità, intesa alla luce della Parola.

Bruna ha accennato al tema del compimento della legge, nella vita cristiana e in particolare nella vita religiosa.

Si propone di passare dalla politica come carità alla carità come politica, partendo quindi dalla parola di Dio.


Giorgio Marcello

Ripropone con ottima sintesi la ricerca di tanti anni della laicità come “profezia del popolo di Dio sul mondo”, responsabilità dei credenti in Cristo, attesa operante di resurrezione.

L’ostacolo principale è la seduzione del potere e la Chiesa, popolo di Dio, è chiamata ad entrare nella compassione di Dio.


Lorenzo D’Amico

Imparare ad ascoltare persone che agli occhi del mondo non contano nulla. La sapienza è cogliere il disegno di Dio dentro ad ogni uomo.


Gianfranco Solinas

Nel giudizio (Matteo 25) sarà svelato che molti hanno incontrato e aiutato il Signore senza nemmeno averlo conosciuto. Oggi l’annuncio stessa sembra collocato nella dimensione del marketing.

Scopriamo la nostra comune vulnerabilità accanto a chi vive drammaticamente l’emarginazione. Ma è difficile comunicare queste esperienze nella comunità ecclesiale perché: non c’è tempo!


Paolo Bonfanti

Ripenso a quanto sono andato apprendendo in questi anni e in questo incontro e vi ringrazio.


Giovanni Bianchi

Dalla politica come carità alla carità come politica. Pio propone un monachesimo politico, anche senza regole. E’ la cosa più urgente ma purchè se ne riconosca il limite: c’è un grigiore ineliminabile della politica. La società non è riducibile a un agglomerato di comunità.

C’è bisogno che la carità attraversi la politica ma non tutta la politica è elevabile a carità.


Maria Teresa Tavassi

Ho lavorato e lavoro con la Caritas italiana con le persone e nelle zone più disastrate, ascoltando la parola di Dio e la voce di chi mi stava accanto.

Tutti manifestano il disagio principale di non essere apprezzati nella loro dignità umana.

Ho ricevuto molto anche da omosessuali e dalle loro testimonianze, fra cui quella di essere poco capiti dalla Chiesa istituzionale.

Non ho trovato nella Chiesa percorsi spirituali che partissero da esperienze vissute, come vivo questa giornata.


Roberto Giordani

Nel lavoro è difficile la comunicazione di esperienze personali che viene presa come debolezza. E’ possibile con quelli che contano di meno. L’erba cattiva cresce con quella buona.

La vera visibilità si realizza scomparendo. Dopo l’Assunzione Dio lo vediamo in ogni uomo.

Suor Eugenia

Vivo l’ascolto specialmente in un centro in cui vengono molti dall’Est dove sono stata più volte in passato.

Faccio catechesi a Regina Coeli dove il 35/40% sono immigrati, con i quali, anche per il fatto che conosco i loro paesi d’origine, si stabilisce facilmente un rapporto di confidenza e di fiducia.

Dalle comunicazioni di questa mattina ricevo un aiuto a vivere con più carità queste esperienze di ascolto.


Piccola Sorella Bruna

Siamo quattro piccole sorelle al Laurentino 38. Cerchiamo di alimentarci alla Parola e scambiarci le esperienze. Cerchiamo aiuto anche all’esterno e non ne troviamo nella parrocchia neocatecumenale.


Pino Baldassari

Quelli che dicono ma non fanno, spesso si appropriano di ciò che fanno quelli che operano e non dicono.

Questo incontro mi aiuta ma io ho poco da dire.


Franco Battista

La gioia che il Signore si serve di tutti per portare a compimento il suo disegno che io non capisco ma è sicuramente bello.


P. Massimo Fusarelli o.f.m.

Intervento ricchissimo non solo da leggere ma anche da meditare integralmente.

La forma di vita che Francesco sceglie è certamente una rottura pur nella continuità con il passato, in particolare con il monachesimo orientale.

Francesco non pensa a una comunità istituzionalizzata; nel testamento scrive: il Signore mi donò dei fratelli.

Nel suo tempo c’è un gran desiderio di rinnovamento della Chiesa, di evangelismo e poi di pauperismo, represso dal papato fino ad Alessandro III.

Il francescanesimo nasce come movimento laicale ma si clericalizza assai presto.

La vita dei frati minori è vivere il Vangelo, stare davanti a Dio con i fratelli e con la gente, stando con gli ultimi, scelta di minorità. La non distinzione fra chierici e laici è un elemento chiave.

Vivere del proprio lavoro e ricorrere alla mendicità solo quando è necessario.

Ai margini della società borghese con una predicazione popolare.

Realizzare la vita religiosa richiesta a tutti i cristiani mettendo al centro l’ascolto della Parola.

I frati obbediscano l’un l’altro e a tutte le creature.

Amore grandissimo alla povertà.

Francesco non parla di fede come iniziativa nostra ma di Dio che suscita in noi l’esperienza di fede.

“Tutti i frati si impegnino a seguire la povertà e l’umiltà del nostro Signore Gesù Cristo”.

La vocazione di Francesco è al massimo profetica, ha dimostrato che è possibile vivere secondo il Vangelo. E l’esperienza di Chiara è ancora più evidente.

Francesco ha un respiro laicale grandissimo: “tutte le creature, altissimo, portano de te significatione”.

Il cuore della vita di Francesco è “la presenza di Dio”.

Francesco passa fra i “minores”, diventa uno di loro, non fa qualcosa per loro.

Il perdono viene prima di tutto. E’ una forma perdente ma è anche la carità come politica.






Sintesi dell’incontro del 26.11.2005 – Roma


Pio rilegge la lettera d’invito all’incontro di tutta la giornata sul tema: “Il fratello sofferente


Siamo fratelli in quanto accogliamo insieme la parola di Dio che ci svela la sua paternità universale.

Considerando la realtà ecclesiale constatiamo atteggiamenti che non sembrano realizzare compiutamente il Vangelo; cerchiamo di aiutare a superarli.

La lettera ai Romani al cap. 12, vv. 1-2 ci indica con chiarezza la conversione a cui siamo chiamati.

Il card. Ratzinger nel 1997 prevede un’epoca nuova in cui la Chiesa tornerà ad essere un grano di senape che lascerà più spazio a Dio.



Nino Patanè

Espone la vita e l’itinerario spirituale di Charles de Foucauld.

La conversione, la lunga ricerca con l’esperienza nella Trappa, gli anni a Nazareth in gran povertà e umiltà, fino allo stabilirsi, ordinato prete, in Algeria. Vita contemplativa, poverissima, di gran radicamento nella realtà culturale dei Tuareg.

Muore solo ma oggi sono numerosissime le realtà spirituali che lo considerano loro ispiratore e fondatore.



Clara Gennaro


(v. in appendice)



Francesca Fiorentino

La dimensione contemplativa non deve scadere in intimismo.


Giulio Cascino

Nel giudizio universale c’è anche la partenegativa dei reprobi.

Mi colpisce “il più piccolo…”


Ugo Minek (argentino)

La contemplazione è essenziale per la nostra presenza e per il nostro agire.


Maria Teresa Tavassi

Esperienza in Zambia di povertà estrema. Motivo di contemplazione perché vedo in loro le sofferenze del Signore e quindi la gioia di essere in comunione con Lui.


Eugenia Lorenzi

Il sorriso a Regina Coeli mi fa sentire sorella universale.


Anna Maria Polverari

L’esperienza con la Caritas alla Stazione Tiburtina. C’è il servizio materiale ma anche il guardare negli occhi e riconoscere in essi quelli di Cristo.



Pio Parisi

“Sta in silenzio davanti al Signore e pera in Lui” (Salmo 37) è anche la principale speranza per la politica, cioè per la convivenza umana.


Giorgio Marcello

Negli ultimi mesi molto tempo in ospedale, reparto oncologico, per assistere mio padre. C’è in noi la tendenza a nascondere la sofferenza, che invece è una spinta fortissima all’essenziale, alla conversione a Dio.

Un aiuto formidabile per comprendere il fratello sofferente ci viene dalla conversazione di S. Francesco con frate Leone su “la perfetta letizia”.


Lorenzo D’Amico

Tante piccole realtà spirituali stanno sorgendo in tutto il mondo. Non dobbiamo preoccuparci troppo del rinnovamento della gerarchia.


Pio Parisi

Il Papa parla spesso di “Mistero”, ed è un segnale positivo.


Giulio Cascino

Si allontana l’idea che chi ha la fede sa tutto.


Don Franco Amatori

Rettore di S. Maria in via Lata dove ci sono solo 7 suore che fanno l’adorazione dalle 17 alle 22 per l’unità dei cristiani.

Dopo 20 anni come Parroco a S.Galla, faccio il Rettore di una chiesa in cui non c’è nessuno.

E’ la bocciatura di una pastorale centrata sull’Eucaristia domenicale, aperta ai problemi della gente. Perché? Rammarico ma senza astio. Che cosa vorrà il Signore?


Pio Parisi

Questa vicenda ha un significato provvidenziale per la Chiesa.

L’emarginazione consente quella lettura di fede della realtàche è ciò che più necessita alla Chiesa. Don Franco può discernere nella fede la realtà della Chiesa che è in Roma, come a suo tempo don Nicolino Barra, anche lui emarginato.


Lorenzo D’Amico

Nicolino chiese che al funerale non ci fosse la Messa perché sapeva sarebbero venuti molti che non erano ammessi alla comunione e non voleva che si sentissero esclusi.

Quando chiese a Ruini di avere un aiuto, questi gli mandò un parroco e declassò lui a vice.


Anna Maria Polverari

La tua parrocchia, don Franco, era la tua famiglia.


Don Franco

Mi è stata rapita la sposa. Mi chiedo cosa vuole da me il Signore.


Pier Ugo Foscolo

Mi sono trovato in situazioni in cui la mia volontà non c’entrava quasi niente. La grandezza della fede è stata di trovare nuove strade d’impegno. Situazioni buone da noi costruite possono essere legami. Distacchi non voluti aiutano a fare passi avanti.


Alberto La Porta

Due domande.

La dottrina e il culto hanno la loro importanza anche in ordine alla vita contemplativa.

Nella contemplazione dobbiamo riconoscere anche la nostra infedeltà.


Pio Parisi

La vocazione profetica è 2sradicare e distruggere, edificare e piantare” (Geremia). “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente” (Romani, 12, 1-2).

Riconosciamo il bene che c’è in tutti senza condividere il male. Vale anche per il discernimento sulla religiosità.


Liborio Oddo

Un tema mi sembra sempre più urgente: nella Chiesa c’è un solo stato di vita: battezzati, fede, speranza e carità.



Contributo di Clara Gennaro

Riflessioni disordinate su Il fratello sofferente”

Nell’uomo si fa strada sottilmente, nascostamente la coscienza di qualcosa che gli manca, di un vuoto, che talvolta sente addirittura abissale.

Nel povero, nel sofferente, questo vuoto è l’orrido. Hai, credo, visto qualche volta un orrido. Io ne ricordo uno vicino al lago d’Iseo: una stretta e altissima fenditura fra le rocce e al fondo oscuro e minaccioso un ribollire del mare, strozzato, che t’inghiotte il cuore. Quest’orrido è la sofferenza che non ha eco. Il desiderio di pienezza, di compiutezza, di felicità, che abita insopprimibile nel cuore dell’uomo, è nel sofferente capovolto. E’ il senso di essere un derelitto, un abbandonato, un non raccolto. Cristo ha vissuto fino in fondo questa di-sperazione del sofferente sulla croce edè risorto quando è riuscito a sperare nell’amore del Padre: nelle tue mani affido il mio spirito. Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato è il grido del sofferente.

Ed è una sofferenza che percorre tutto il cosmo nel male di vivere che non risparmia nessuno e nessuna cosa. Per il cristiano non è sofferenza senza riscatto e senza speranza di una nuova nascita, di cui parla Paolo in Romani 8.2

Essere–compatire con il sofferente è già essere, per noi e per l’altro, presagio di resurrezione.

Mi paiono evocative quelle parole delle sorelle di Lazzaro: “se tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe morto”. La presenza di chi si accosta al sofferente con amore, con attenzione, cogliendolo come persona, è già un segno di essere sottratti alla cancellazione.

L’essere che soffre nella carne e nello spirito si sente cosa; e rotta in lui la comunione con la vita, con gli altri. Si sente in trappola.

Essere accanto al sofferente è farlo sentire appunto fratello.

D’altronde sento sempre più fortemente come compimento della vita sia il cum-patire: è quello che ho detto a Michele nell’ultimo incontro con lui. E non esserne travolti, ma purificati e rafforzati, perché l’istinto della nostra povera carne è quello di coprirci il volto di fronte all’umanità che conosce il patire (Isaia 53).

Compiutezza, compimento, l’omega della vita è l’essere per gli altri presenza amorosa, che indichi che il nostro vuoto sarà colmato, che l’abisso è pieno di cielo.

Credo che essere accanto al fratello sofferente sia quel raddrizzare i sentieri, sia colmare appunto ogni abisso, spianare i luoghi impervi, che prepara il Regno.

Francesco pone proprio questo farsi vicino al fratello sofferente come l’evento che lo pone alla sequela del Cristo povero e crocifisso. Scrive infatti nel suo Testamento:

Il Signore concesse a me frate Francesco d’incominciare così a far penitenza perché essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi: e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che i sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo.

(…)

L’essere accanto al fratello sofferente è il cuore del Vangelo, è trasparenza del Signore.

Costruire un mondo nuovo non può non trovare la centralità se non in questa presenza e in questo impegno.

Le sofferenze del fratello hanno – s’intende – tanti nomi e quello che fanno Giorgio e gli amici di San Pancrazio si muove in questa direzione.



1 “Quando Francesco si faceva la tonsura, spesso ripeteva a chi gli tagliava i capelli: “Bada di non farmi una corona troppo larga ! perché voglio che i miei frati semplici abbiano parte nel mio capo”

Voleva appunto che l’Ordine fosse aperto allo stesso modo ai poveri e illetterati e non soltanto ai ricchi e ai sapienti. “Presso Dio – diceva- non vi è preferenza di persone e lo Spirito Santo, ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero ed il semplice”.

Avrebbe voluto inserire proprio questa frase nella Regola, ma non fu possibile perché era stata confermata con bolla”. Dalla Vita Seconda di Tommaso da Celano cap.145.

2 Il controcanto, il canto della disperazione non scomposta ma tragica è nella stupenda poesia di Montale: Spesso il male di vivere ho incontrato. La conosci?

Discernimento

Vita consacrata 2005-06


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