ENOCH ED ENOS

La prima città che compare nella Bibbia è Enoch, la città edificata da Caino e da lui chiamata col nome del figlio: essa rappresenta una sorta di rifugio per Caino stesso e per i suoi discendenti; e l'atto di dare il nome costituisce, secondo la mentalità biblica, una presa o una rivendicazione di possesso di qualcosa su cui si intende affermare un diritto.

La città di Enoch, costruita per Enoch, è città organizzativamente perfetta: consta di tribù che lavorano nei campi, attendono al bestiame, lavorano i metalli, promuovono momenti di sollievo comune e anche provvedono ai desideri inconfessabili dell'umanità. Gen 4 mostra l'evolversi di questa organizzazione fino al momento in cui viene avvertita l'esigenza di una legge comune. Questa non avrà di mira la necessità di difendere il diritto del giusto anche quando è più debole, ma, all'opposto, rimetterà l'ultima parola al più forte, cioè a chi possiede una capacità più estesa di vendetta:

Lamech disse alle mogli:

"Ada e Zilla, ascoltate la mia voce;

mogli di Lamech, porgete l'orecchio al mio dire:

Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura

un ragazzo per un mio livido.

Sette volte sarà vendicato Caino

Ma Lamech settantasette (Gen 4, 23-24).

Il fondamento della legge di questa città è l'esistenza dell'odio, ed è per difendersi da esso od offendere con esso che esistono la città stessa e la sua legge. Enoch non presuppone, cioè, il pentimento per il male fatto con l'uccisione di Abele, ma solo l'autodifesa della stirpe dell'uccisore. In essa non è necessario amarsi: la sua legge è, anzi, l'estraneità, l'indifferenza, la vendetta.

Ma dirimpetto al gruppo dominante di Enoch, Gen 4, 26 pone un altro gruppo, quello di coloro da parte dei quali "si cominciò a invocare il nome di JHWH "; coloro cioè che, a partire da Enos, si riuniscono per iniziare il culto pubblico di JHWH, il Dio che è amore, assicurandone la presenza nella città stessa di Caino covo di vendetta. All'organizzazione della città di Enoch lo Spirito non contrappone un'altra città, ma uno "stato di persone", un germe di vita eterna, di amore, immesso nell'unica città costruita dall'uomo. Non due città, dunque, ma la città di Caino in cui domina una legge di violenza alla quale e nella quale viene opposta una legge di preghiera: un "chiamare Dio per nome", un trattare Dio nella sua intimità, l'assicurargli un culto. Grazie a questa forza spirituale intima, di cui il Nuovo Testamento, all'ultimo, è rivelazione, la città di Caino diventerà città salvata, Gerusalemme santa, diventerà Regno Eterno.

La città di Dio non viene, come si è visto, scoperta subito, rivelata immediatamente, ma è frutto di un lento processo: non un'evoluzione inoffensiva, bensì una lotta mortale dentro la città di Caino e per la salvezza di essa; una lotta che

ha per protagonista l'uomo, per obiettivo la "riappropriazione" della città da parte sua, per suo modello operativo Cristo, e per esito la Celeste Gerusalemme che non è però conquista umana, ma è destinata a discendere dal cielo come dono di Dio agli uomini affinché siano in essa una cosa sola con Lui.

Quale figura abbia questa città donata da Dio agli uomini può vedersi in controluce dagli aspetti negativi via via sottolineati dalla Bibbia nel presentarci altre città.

Abbiamo già incontrato il fattore violenza. E’ a causa di tale violenza che Dio si pente di aver creato l'uomo (Gen 6, 6). Ma anche i figli di Noè, che pure sono stati spettatori della collera divina contro la violenza degli uomini vogliono costruirsi una città "per farsi un nome " (Gen 11, 4) più o meno come Caino (4, 17).

Se la città di Caino già era organizzata secondo categorie ben definite, ora queste categorie sono aumentate e cambiate: uso del mattone, del bitume, irrigazione per mezzo di ben calcolate inondazioni... Babele dovrà tenere conto di questa più complessa articolazione, in vista di un suo armonico ordinamento. L'accento cade sull'organizzazione materiale e sull'efficienza umana necessaria a produrla. Dio non è negato, ma si assiste al tentativo di catturarlo e porlo al servizio di bisogni, interessi, prospettive della società umana, dei quali la città è espressione. Babele è precisamente espressione di una volontà umana ("far si un nome ") da attuare, contro la volontà di Dio mediante la concentrazione dei popoli. Enoch ricercava una difesa da se stessa, da Dio, dai fratelli, proponendo una convivenza ordinata e senza amore; Babele si propone una universalità che, nonostante le diverse destinazioni, è condannata a pietrificare l'unità, e malgrado l'unità è destinata alla dispersione.

All'inizio del cap. 12 della Genesi, dopo la catastrofe di Babele, troviamo Dio che si presenta ad Abramo come Colui che solo può dare il "nome", e che domanda all'uomo completo affidamento: Abramo è richiesto di uscire radicalmente dalle sue origini per diventare il nuovo padre di popoli nuovi che Dio. vuol costituire in comunità umana universale (Gen 12, 3: "in te si diranno benedette / tutte le famiglie della terza "). Cominciamo ad intravedere come Dio operi attraverso quel suo gruppo di fedeli che "conosce il nome di JHWH ", sia sostenendo l'azione, sia comandando l'inazione.

Dalla contemplazione di Enos nasce la comunità dei fratelli, la dispersione come conquista di tutta la terra da parte dell'uomo e come incontro di fratelli nessuno escluso. Sorge cosi l'immagine del Dio vero nella legge vera, quale si formula nel comandamento nuovo di Cristo: Dio non è asservito da nessuno, non sarà mai riducibile a idolo; tutti gli uomini sono orientati verso un solo Dio e un solo Dio raccoglie nella sua unità tutti gli uomini.

Una terza grande città che incontriamo nel racconto biblico è Sodoma. Complessi sono i suoi rapporti con Abramo (con la stirpe di Enos) e con Dio. C'è anzitutto un rapporto di giustizia, variamente definito nella Bibbia: " tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte prima che il Signore distruggesse Sodoma e Gomorra -, era come il giardino del Signore, come il paese d'Egitto... Ora gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore" (Gen 13, 10-12); "Ecco, questa fu l'iniquità di tua sorella Sodoma: essa e le sue figlie avevano superbia, ingordigia, ozio indolente, ma non stesero la mano al povero e all'indigente; io le vidi e le eliminai" (Ez 16, 49-50). E contro Sodoma Dio manda i suoi angeli.

Ma anche in questo caso Dio manifesta un altro volto, quello della sua misericordia, con la quale Egli vuole rispondere al peccato nella comunità che sarà dei suoi santi. La rivelazione e l'esaltazione di questo secondo volto di Dio avviene nel famoso dialogo tra Dio e Abramo sul destino di Sodoma (Gen 18, 22-33). Non è un santo litigio tra un Dio custode della legge e la misericordia di Abramo, bensì la manifestazione dell'amore invincibile di Dio per l'uomo e per la società umana organicamente intesa. Dieci è il numero minimo necessario affinché si abbia un'assemblea, una comunità ebraica ordinaria: e Abramo arriva ad ottenere da Dio la salvezza per questo "dieci". Il comportamento degli angeli con Lot, e poi la resurrezione promessa a Sodoma insieme ad altre città quale si trova in Ezechiele 16, 55, manifestano l'ampiezza della misericordia.

Anche gli esempi neotestamentari non variano questa grammatica.- La città di Naim è città Ai dolore e di rimpianto: Cristo non ne riforma la struttura, ma dà la pace a una vedova restituendole il figlio (Lc 7, 11-15). La città dell'uomo è città di ladri: certamente lo è la Gerico di Zaccheo, dove il convertito si propone di restituire il quadruplo del rubato (Lc 19, 1-10); e facilmente, anche per Cafarnao le cose non sono diverse: solo che Matteo non fa questione di misura, perché la sua risposta è totale, è il dono della sua vita che esige ogni cosa M 9, 9).

Siamo da tutto ciò invitati a pensare che Enoch, Babele, Sodoma e poi l'Egitto, Babilonia, Roma pagana, la stessa Gerusalemme terrestre, città "dove appunto il loro Signore fu crocefisso" (Apoc 11, 8), non sono soltanto immagini simboliche del male, della sua forza e ampiezza, bensì sono la realtà stessa della vita umana, nient'affatto simbolica, in cui nasce, opera e si afferma il regno di Satana. In tale regno siamo immersi fin dalla nascita; e tuttavia proprio qui, nel luogo tipico dell'avversario ' Dio ha posto la sua presenza discreta di contrasto e di novità. Ne è esempio la nuova comunità di Enos, che in Cristo trova la sua pienezza diventando sua conquista, attraverso la vittoria della croce, suo Regno, nuova umanità, salvezza e gloria eterna.

Dio non opera con rumorose presenze: ma opera in esse il suo Regno col silenzio di ogni altra cosa. Le due città sono si alternative, ma non perché si pongano l'una contro l'altra, bensì perché l'una è toccata fortemente dall'altra, nel suo esistere, nel senso della salvezza offertagli da Dio per Cristo nello Spirito Santo.

Conversione e trasfigurazione

Tale salvezza viene espressa dal linguaggio biblico con parole-immagini quali "nuova creazione", oppure "generazione" e "rigenerazione", o ancora passaggio da uno stato di creatura al grado di "figli di Dio", "partecipazione alla vita divina" e altro ancora. Così si esprime Paolo scrivendo ai Romani: "tutti quelli che sono guidati dallo spirito di Dio, costoro sono figli di Dio... La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (Rm 8, 14-23).

Per quanto oscure rimangano per noi queste parole, e misteriosa la loro efficacia, siamo qui di fronte alla proclamazione di una novità indiscutibile, il cambiamento sostanziale della relazione tra Dio e l'uomo, con il passaggio dal rapporto di creazione a quello di generazione, che si riflette su tutta la natura e ridonda in completa trasformazione della realtà "universo". Attraverso la trasfigurazione dell'uomo si ha la trasfigurazione del mondo. E’ evidente che tutto ci non può essere frutto di un'opera dell'uomo; m da questo non consegue che l'uomo non debba fare nulla al riguardo: egli ha da pronunciarsi sul l'offerta di Dio di essergli Padre, scegliendo se comportarsi a sua volta in modo corrispondente al dono divino. Tale corrispondenza che si dischiude solo nel passaggio alla dimensione del dono, dell'azione gratuita motivata solo dalla carità, e quindi nell'imitazione di Gesù e nell'assimilazione, per lui, alla condizione di figli, attua e promuove la trasfigurazione del mondo. Essa e appunto oggetto di una scelta, la cui responsabilità è dell'uomo.

Si tratta della conversione. Convertirsi è entrare nella nuova creazione. t rigenerarsi come figli, cioè come "immagine" di un altro che è padre (Gen 5, 1-3), conformandosi alla sua volontà e rinunciando alle proprie ovvietà. Il cambiamento fondamentale che tutti gli altri riassume è espresso nel messaggio pasquale.

Troppe volte, nell'operare della Chiesa, da parte di molti membri di essa non viene in realtà trasmesso esplicitamente il messaggio di Cristo nella sua umana scomodità, cercando piuttosto di sostenere col buon senso ecclesiale contenuti assai ragionevoli di filosofia naturale. Tale atteggiamento è dovuto ad una preoccupazione sincera di dare un messaggio che tutti possano accogliere, ma il più delle volte, senza accorgercene, non comunichiamo il messaggio pasquale, cioè la morte e resurrezione di Cristo in illo tempore e nel corso di tutta la storia.

Pasqua è morte, necessariamente, prima che resurrezione. In concreto, tale morte significa amore per il nemico. Nel nostro contesto, la conversione non è un fatto puramente o principalmente personale, ma, riconosciuto il valore di principalità che il Nuovo Testamento dà alla persona, vogliamo considerarne soprattutto gli aspetti relazionali (del resto, "persona" non significa individuo, ma essere che nasce, vive, si sviluppa raggiunge il suo fine soltanto nel concorso vitale di una molteplicità). Dunque, nel contesto della città, Pasqua significa esaltazione, attraverso i proprio sacrificio, di colui che in qualche modo ci ostacola. Tutti conosciamo quale sia la difficoltà di attuare questa fondamentale richiesta cristiana già nella vita privata, anche nei confronti di chi si ama e ci ama. Ma la difficoltà appare irrimediabile negli aspetti più importanti della vita associata, come quelli economico, politico, culturale... Perché la legge dell'uomo carnale è la legge di Lamech, annullare chi lo ostacola prima che chi lo ostacola annulli lui.

Eppure, una conversione di questo genere, s da un lato appare impossibile, si rivela d'altro canto necessaria per l'esistenza stessa della società Non c'è crisi, compresa quella attuale del nostro Paese, che non derivi da questa necessità lascia ta insoddisfatta. Ma come viverla, questa esigenza cristiana di conversione, da uomini politici, d operatori economici, da poli di riferimento culturale? Di fatto, il messaggio cristiano si rivela breve o medio termine come non vincente. M appunto questa non-vittoria, che può apparire ad dirittura irrimediabile sconfitta, alla lunga cor sente all'uomo, intenzionalmente ben disposto, di resistere nell'agone politico: è questo, il privilegio di Enos, il destino del "resto", la salvezza del "dieci". Peraltro Cristo ha promesso alla sua Chiesa nel mondo non la vittoria storica, ma il "no prevarranno " (Mt 16, 18).

Se conversione è rinnegamento della volontà propria e dell’interesse egoistico, essa impegna perseguire, anche a costo dell'utile proprio o di gruppo, il bene comune generale della società; del pari essa impegna a contrastare quegli stessi ma (ma con mezzi che armonizzino con il rispetto dovuto agli altri anche a costo della più dura sconfitta) nelle strutture sociali, nelle forme dell'agire politico, nella cultura di un popolo, nella vita delle nazioni.