Si è molto parlato nel dicembre del 2007 della risoluzione dell’ONU che chiede a tutti i paesi del mondo la moratoria, cioè la sospensione, delle esecuzioni capitali in vista dell’abolizione universale della pena di morte. Cercheremo di capire il significato e il valore di questo avvenimento nella storia dell’abolizione della pena capitale.
Come sapete, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il massimo consesso a livello mondiale, che rappresenta tutti i popoli della Terra in cammino per la realizzazione della pace, ha approvato in via definitiva, in seduta plenaria, la risoluzione per la Moratoria il 18 dicembre scorso, con 104 voti a favore e 54 contro (29 paesi si sono astenuti e 5 erano assenti). Si è concluso così un cammino iniziato negli anni Settanta ed intensificatosi nell’ultima parte del secolo scorso, in cui l’Italia – con tutte le sue componenti sociali, politiche ed istituzionali - ha avuto il ruolo principale.
Per comprendere il ruolo dell’Italia è importante ricordare che proprio in Italia, oltre due secoli fa, è cominciato il processo abolizionista della pena capitale. Ma è altrettanto importante tener presente che negli ultimi decenni, a questo merito storico, si è aggiunto un forte attivismo.
In Italia Cesare Beccarla nel 1764 prospettò per la prima volta in termini chiari e moderni la necessità di abolire la pena capitale. L’Italia, dalla sua costituzione come stato unitario, ha adoperato assai poco la pena capitale; dopo la parentesi fascista ha abolito la pena di morte con la Costituzione repubblicana andata in vigore esattamente 60 anni fa, il 1° gennaio 1948.
L’opinione pubblica italiana nel 1948 era compattamente a favore della pena di morte. Ma l’assenza della pena capitale nei codici e nelle cronache, l’influenza positiva degli intellettuali e soprattutto un evento verificatosi negli Stati Uniti a metà degli anni Ottanta, hanno portato mano anche gli Italiani ad opporsi, due contro uno, alla pena capitale.
Il nostro paese è diventato uno dei centri propulsori del movimento per l’abolizione della pena di morte a livello mondiale nel 1986, quando la causa abolizionista, fino ad allora meritorio impegno di specialisti e di alcune centinaia di membri da Amnesty International, diventò un fenomeno popolare e di massa con l’esplosione nelle cronache del caso di Paula Cooper, una ragazzina nera che era stata condannata alla sedia elettrica negli Stati Uniti per un insensato omicidio commesso a15 anni di età.
Dopo la risoluzione positiva del caso Cooper nel 1989, le organizzazioni della società civile (associazioni, chiese, sindacati, movimenti giovanili dei partiti politici) hanno dato continuità allo sforzo abolizionista dell’Italia, con il fondamentale e qualificato apporto della Sezione Italiana di Amnesty International, agendo anche a livello internazionale e nelle sedi sovranazionali.
Un importantissimo, sommesso e silenzioso ma continuo flusso di energie proviene al movimento abolizionista dal dilagare, a partire dal 1992, del fenomeno della corrispondenza di cittadini italiani con centinaia e centinaia di detenuti dei bracci della morte, come abbiamo avuto occasione di discutere in un recedente incontro svoltosi qui nel 2006.
Per capire il significato e l’utilità della risoluzione ONU per la moratoria nell’economia del processo abolizionista, bisogna ricordare che la progressiva eliminazione della pena di morte dai codici della grande maggioranza dei paesi del mondo è il risultato di diversi fattori: 1) l’elaborazione del pensiero da parte degli studiosi e degli opinion leader, 2) la maturazione dell’opinione pubblica, 3) la produzione di norme abolizioniste da parte dei politici e degli stati, 4) la pressione delle strutture sovranazionali, 5) l’approvazione di trattati internazionali che tendono a limitare sempre più e ad abolire la pena di morte.
Prima di esaminare la prospettive del movimento abolizionista dopo la risoluzione ONU per la moratoria, vorrei accennare ai fattori sovranazionali e internazionali più direttamente legati alla dinamica che ha portato all’approvazione della risoluzione il 18 dicembre 2007.
La pressione delle strutture sovranazionali
Una pressione continua verso l’abolizione della pena capitale proviene da alcune agenzie della Nazioni Unite che si occupano di diritti umani – l’Alto Commissario per i Diritti umani, il Comitato per i Diritti umani, il Consiglio Economico e Sociale, l’Assemblea Generale – stimolate ed appoggiate dalle organizzazioni non governative che lavorano nel medesimo campo, come Amnesty International e Human Rights Watch.
Le radici dell’operazione moratoria si situano proprio in questo ambito, risalgono all’inizio degli anni Settanta ed hanno prodotto diversi risultati importanti. Tra questi occorre citare un risoluzione che viene approvata a maggioranza ogni anno a partire dal 1997 in seno alla Commissione (ora ‘Comitato’) per i Diritti Umani, che chiede ai paesi che non hanno ancora abolito la pena capitale di ridurre progressivamente le fattispecie di reato capitale e di “sospendere tutte le esecuzioni in vista dell’abolizione completa”, la sospensione (moratoria) viene definita un passo che “contribuirà al rafforzamento della dignità umana e al progressivo sviluppo dei diritti dell’uomo”. Queste risoluzioni costituiscono un invito ed un’esortazione ma non hanno un carattere giuridico vincolante e men che meno prevedono qualche sanzione, o provvedimento coercitivo, per chi non si adegua ad esse.
Nel 1994 una risoluzione dello stesso tenore aveva fallito per poco l’approvazione in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ovviamente se la risoluzione fosse passata nel massimo consesso mondiale in cui sono rappresentati tutti i paesi del mondo avrebbe avuto molto più peso rispetto a quelle approvate nella Commissione per i diritti umani in cui erano rappresentati una cinquantina di paesi.
La forte spinta del movimento abolizionista registratasi in tutto il corso degli anni Novanta, aveva consentito di sperare che nell’anno 2000 la famosa risoluzione per la moratoria, approvata in Assemblea Generale, lanciasse un forte messaggio alle nazioni segnando una effettiva svolta nella civiltà umana con il cambiamento di millennio.
Così non fu per l’opposizione esplicita di alcuni paesi poveri e di cultura islamica ma soprattutto per la scarsa determinazione dei 15 paesi dell’Unione Europea, che l’avevano presentata, e che la ritirarono all’ultimo momento, probabilmente in seguito alla pressione sotterranea di grandi potenze fortemente attaccate alla pena di morte che rischiavano una grave sconfitta di immagine: la pena di morte era ormai vista come una questione strategica.
Si disse, per tranquillizzare i sostenitori dell’iniziativa, che il tentativo in Assemblea Generale sarebbe stato fatto di nuovo molto presto, prevedibilmente entro due anni. Si è dovuti invece arrivare al 30 dicembre del 2006 e alla orrenda e spettacolarizzata esecuzione di Saddam Hussein, perché si liberassero le energie sufficienti a consentire il successo dell’iniziativa. Come sappiamo, questa volta – soprattutto per merito dell’Italia - ce l’abbiamo fatta!
La risoluzione per la moratoria, così come tutte le risoluzioni approvate dall’Assemblea Generale ONU, ha un valore di principio ma è priva di strumenti che ne assicurino l’osservanza da parte degli stati. Non così i trattati che costituiscono il termine ultimo del processo elaborativo della normativa a livello internazionale.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, che impegna tutti i paesi del mondo sul piano etico e politico ma non sul piano giuridico, ha generato decine di trattati di portata universale o regionale che vincolano gli stati aderenti sul piano giuridico e li espongono anche a sanzioni nel caso di violazioni. I primi due di tali trattati sono in due grandi patti approvati il 16 dicembre 1966: il Patto internazionale dei Diritti Civili e Politici e il Patto Internazionale dei Diritti Economici, Sociale e Culturali.
Il Patto dei Diritti Civili e Politici nella sua edizione originale protegge i diritto alla vita ma non vieta la pena di morte. Non così il suo Secondo protocollo aggiuntivo approvato nel 1989 che recita: “Nessuna condanna a morte verrà eseguita nei confronti di chi sia soggetto alla giurisdizione di un stato parte del Presente Protocollo…” e “Ogni stato parte adotterà le misure necessarie al fine di abolire la pena di morte nella propria giurisdizione.” Quindi una abolizione in progess, che comincia con la moratoria. Con la stessa filosofia è prevista, per un paese aderente, la possibilità di entrare nel trattato con una esplicita riserva che gli consenta di mantenere la pena di morte in tempo di guerra.
Voglio infine citare, fra i trattati regionali già operanti per i diritti umani, la Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali del 1950 che non abolisce la pena di morte, il suo Sesto protocollo aggiuntivo del 1983, che abolisce la pena di morte in tempo di pace, e il suo Tredicesimo protocollo aggiuntivo del 2002 che abolisca la pena di morte in qualsiasi circostanza.
Una nuova “Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea” è stata firmata il 12 dicembre 2007. Il giorno dopo la Carta ha acquisito potenzialmente un valore vincolante, inserita, tramite il riferimento iscritto all’articolo 6, nel Trattato di Lisbona che sostituisce la Costituzione europea naufragata nel 2005. I primi due articoli della Carta - che entrerà prevedibilmente in vigore dal 1° gennaio 2009 dopo il completamento dei procedimenti di ratifica - proclamano l'inviolabilità della persona umana e affermano, come primo e basilare diritto, il diritto alla vita, facendo un riferimento esplicito al divieto della pena di morte: “Articolo 1 - Dignità umana. La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata. Articolo 2 - Diritto alla vita. 1. Ogni persona ha diritto alla vita. 2. Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato."
Prospettive per il movimento abolizionista.
Con 50-60 paesi che ogni anno pronunciano sentenze capitali e con 20-30 paesi che ogni anno ne eseguono almeno una, la battaglia contro la pena di morte non si può dire conclusa con l’approvazione della risoluzione per la moratoria. Anzi il movimento abolizionista deve fronteggiare espliciti enormi ostacoli posti da un piccolo numero di paesi, che compie il 90% delle esecuzioni: Cina, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Pakistan, Stati Uniti d’America e pochi altri.
Non si è potuto rilevare un effetto positivo immediato dell’approvazione della risoluzione per la moratoria. Al contrario, alcuni paesi hanno subito compiuto un certo numero di esecuzioni in aperta sfida alla risoluzione. Il 25 febbraio del 2008 un gruppo di 58 paesi che sostengono la pena capitale hanno addirittura adottato una posizione esplicita contro la risoluzione, chiedendo al Segretario Generale della Nazioni Unite di prendere atto che “essi si trovano in uno stato di obiezione permanente rispetto ad ogni tentativo di imporre una moratoria nell’uso della pena di morte o la sua abolizione”.
Tra i paesi firmatari del documento invito in febbraio a Ban Ki-moon, figurano praticamente tutti i membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), ma non gli Stati Uniti che questa volta hanno preferito defilarsi per non solidarizzare apertamente con paesi che essi aborriscono, alcuni dei quali non esitano a definire ‘nemici’ o appartenenti al cosiddetto ‘asse del male’.
Tuttavia gli Stati Uniti concordano con i paesi islamici nel definire la pena di morte un argomento che non ha a che fare con i diritti umani e che riguarda elusivamente la politica interna di ciascun paese, protetta dalla sovranità nazionale.
In conclusione, non è possibile trovare soluzioni semplicistiche o coercitive per far sì che la risoluzione ONU per la moratoria venga rispettata. E’ necessario portare avanti una strategia complessa ed articolata, come ha spiegato molto bene Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International, in missione in Italia nell’aprile del 2007.
I soggetti chiamati ad impegnarsi – nella società civile, a livello istituzionale, nelle organizzazioni sovranazionali - sono tanti. Devono agire concordemente e senza eccessivi protagonismi, dando forza alla Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte tra ONG – già esistente – e creando una analoga coalizione a livello di governi.
Un lavoro urgente ed essenziale, complementare a quello finora svolto per ottenere la risoluzione per la moratoria alle nazioni Unite, è quello di ricucire, con un lavoro intenso, sommesso e paziente, la spaccatura che la votazione all’ONU ha giocoforza creato tra paesi. Solo allargando la consapevolezza che la fine della pena di morte non è una sconfitta per nessuno ma un guadagno per tutti, si creeranno le condizioni per una abolizione stabile e generalizzata.