Premessa (Pio Parisi)
Per passare dalla figura straordinaria di Charles De Foucauld a domandarci come noi oggi possiamo vivere il rapporto con i musulmani, c’è un passaggio importante che in parte abbiamo già affrontato: vedere come vivono l’esperienza di CDF i piccoli fratelli e le piccole sorelle. L’esperienza di CDF lascia stupiti, ammirati, ma forse un pò scoraggiati sulla possibilità di seguirlo. Forse l’esperienza dei Piccoli Fratelli – più di duecento – e delle Piccole Sorelle – quasi duemila – è più imitabile, per noi più accessibile, anche se la loro è una vocazione particolare religiosa, una congregazione contemplativa. Chiedo a Nino Patané che ci aiuti a fare il primo passo: da CDF ai Piccoli Fratelli.
Nino Patané
Dire che sono imbarazzato è poco; è come se Pio mi chiedesse di raccontare la storia della mia vocazione. Provo imbarazzo di fronte a questo tipo di esibizione spirituale.
Il carisma proprio di ChdF è quello della imitazione della vita di Gesù a Nazareth. Alcune sue frasi non sono banali: "Il Signore ha preso talmente l’ultimo posto che nessuno potrà mai rubarglielo"; diceva anche: "non potrò mai accettare di trovarmi in una situazione nella quale stia meglio del mio Beneamato Signore e Fratello Gesù". "Dio ha amato talmente gli uomini da dare il proprio Figlio per loro "(Giov.3).
Questo carisma fondante di ChdF, e cioè l’imitazione della vita di Gesù a Nazareth, è stato realizzato nel corso della storia in maniere apparentemente diverse secondo i luoghi dove è stato vissuto. Prima mi si chiedeva in quali Paesi sono stato: dovunque sono stato, mi sembra di poter dire che era sempre la stessa musica che veniva suonata, ma con strumenti e in situazioni differenti; mai circostanze e comportamenti identici, ma sempre lo stesso fine: l’imitazione di Gesù a Nazareth.
In che cosa consiste questa "imitazione"? E’ difficile spiegarlo, come capita per tutte le cose semplici. Cosa facciamo? Niente..... condividiamo la condizione sociale dei poveri del posto dove siamo. I poveri, cioè quelli che sono senza nome e senza importanza, quelli a cui non si chiede mai il parere, quelli a cui non è concessa hanno visibilità, quelli che non contano. Questa scelta di vita non è fatta per amore di eccentricità, ma perché questa è stata la situazione nella quale Gesù ha vissuto per trent’anni a Nazareth. La cosa strana è che non facendo nulla, almeno da parte di alcuni, siamo notati di più che se facessimo qualcosa.
La Chiesa ha riconosciuto questo nostro gruppo come una Congregazione di diritto pontificio di vita contemplativa nel mondo. Nelle nostre Costituzioni si afferma che la fraternità è "votata al lavoro manuale, alla condivisione della condizione dei poveri, all’adorazione dell’eucarestia." Questo significa che la condizione sociale dei poveri, nella sua ordinarietà e senza niente di eccezionale, viene riconosciuta dalla Chiesa come un cammino verso la perfezione evangelica; siamo di fronte a una «canonizzazione» della condizione sociale dei poveri.
ChdF, la nostra vita, l’Islam. E’ evidente che alla base della conversione di ChdF c’è lo shock che lui ha provato vedendo nei musulmani le manifestazioni del sentimento di assoluto abbandono e di dipendenza nei confronti di Dio. Io stesso ho potuto constatare, facendo il muratore a Gerusalemme, che i miei compagni di lavoro musulmani mettevano regolarmente il sacco di cemento vuoto per terra come tappetino e, rivolti alla Mecca, pregavano. Durante il Ramadan si vedeva che lavoravano a digiuno; non tutti, ma molti, forse anche per una pressione sociale. E’ da comportamenti come questi che deve essere stato impressionato ChdF. Stando poi a Gerusalemme ho visto anche le rappresentanze di tutti i tipi di cristiani che esistono al mondo. Litigavano come pazzi fra di loro, un tempo anche a bastonate fra i monaci greco ortodossi e i francescani all’interno del Santo Sepolcro. La Basilica è tutta divisa fra i vari riti e le varie chiese. I litigi erano tali che, nessuno prevaricasse sugli altri, è invalso da secoli l’uso di chiudere dall’esterno la Basilica e consegnare la chiave a una famiglia musulmana. Alla trascendenza di Dio uno ci deve proprio credere.
E’ notevole considerare come lo slancio d’amore di ChdF è basato su questo: l’aver compreso la grandiosità della rivelazione cristiana: un Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe s’incarna in Gesù di Nazareth. Lui che era il Verbo, la Parola, diventa Persona e nell’Eucarestia diventa «cosa» d’amore a disposizione di tutti. L’incarnazione ha creato per tutte le creature un rapporto con Dio che non è più legale e formale ma di amore. Lo slancio di ChdF ha chiaramente questa motivazione. E in noi? Ce lo auguriamo, ricordando la risposta di Santa Giovanna d’Arco alla domanda se era in grazia di Dio: "Se ci sono, che il Signore mi ci mantenga, se non ci sono, che mi ci metta". E’ quello che noi tutti desideriamo. Si può dire che questo tipo di vita è contemplativo perché non ha altro fine che l’imitazione, per amore, della vita di Gesù a Nazareth. Non è una propedeutica apostolica o altro, è una risposta a una chiamata, una percezione dell’immensità dell’amore di cui siamo stati oggetto e della naturale inadeguatezza della nostra risposta per quanto generosa possa essere.
Tutto questo discorso, in termini un pò più intellettuali, rivela una certa maniera di leggere il mistero dell’incarnazione. Gesù era il nazareno anche sulla croce, era l’uomo di Nazareth, una persona qualsiasi di questo villaggio al punto tale che quando cominciò a predicare la gente si chiedeva: che è successo? Non è il figlio del falegname, lui stesso falegname? (Mc) Tutti sono sbalorditi. Era il Figlio di Dio fatto uomo per salvarci. Dunque è impensabile che dei trentatre anni in cui è vissuto su questa terra, trenta li abbia buttati dalla finestra senza perseguire il fine per cui si era incarnato: salvare il mondo. ChdF - imitando il modo di essere di Gesù a Nazareth che è stato il momento in cui ha ratificato con la vita la Sua scelta della natura umana - entra così nell’opera della salvezza.
Volendo approfondire di più l’approccio di ChdF nei confronti del mondo arabo, non si deve dimenticare che il suo è quello di un nobile francese di formazione militare. La missione salvifica della Chiesa andava di pari passo con quella civilizzatrice della Francia, figlia primogenita della Chiesa. E’ di una generazione che ancora ricordava molto bene i preti "refrattari" che non avendo accettato la Rivoluzione e la Repubblica erano stati uccisi in gran numero. Il cuore rosso e la croce che ChdF adotta per il suo abito, è il simbolo dei vandeani. Muore, solo, nel 1916.
Il ricordo e l’insegnamento di ChdF furono fatti conoscere anche grazie alla biografia scritta da René Bazin. Nel 1933, il P. René Voillaume fondò i "Piccoli Fratelli di Gesù". Da allora si sono sviluppate molte altre congregazioni. In tutto siamo 18-19 fra congregazioni religiose e gruppi, anche molto differenti fra di loro. Rimane come caratteristica la semplicità di vita che porta più facilmente all’amicizia; quella stessa amicizia che ha portato CDF ad approfondire la lingua e la cultura tuareg e che porta molti fratelli a prendere la nazionalità del posto dove vanno e ad impararne la lingua.
Pio Parisi
La piccola sorella Paola Francesca diceva che il 25% delle fraternità devono essere in mondo islamico.
Nino Patané
Questo per le piccole sorelle. Il legame con l’Islam è per loro molto forte. Fanno ogni giorno al Signore un atto di abbandono per l’Islam.
Romolo Pietrobelli
In quale contesto territoriale, culturale, geografico ritenete che la vostra testimonianza sia più capace di essere di essere capita, di penetrare dentro, non in senso intellettuale perché a questo di comunicazione non ci credete? Di fronte a quale tipo di persona, di civiltà è più facile? Teniamo presente che è in corso avanzatissimo la causa di beatificazione, basta la firma del Papa. Vuol dire che oggi, 2002, dalla Chiesa universale viene riconosciuto questo tipo di vocazione; non solo è autentica, ma "serve alla causa", si fa per dire.
Nino Patané
E’ proprio di questo strano individuo che io sono il non preoccuparmi del risultato della mia scelta di vita. Perché si va in un posto o nell’altro. Ci sono alle volte dei classici innamoramenti; nel periodo della formazione o in altre circostanze si scopre un popolo di cui si vuol far parte per lodare Dio insieme. Per quel che mi riguarda ero rimasto molto colpito dai problemi del popolo ebraico. Quando mi han dato la destinazione, mi han detto: hai domandato Israele, vai in Cile. Dopo vari anni mi hanno mandato in Israele, anche perché avevano visto che il mio desiderio non era lo Stato di Israele come tale ma il popolo ebraico. Studiando S. Paolo ai Romani, avevo scoperto che mi interessava questo popolo e sapevo che c’erano più ebrei a Mosca o a New York che in Israele. Se c’è qualcuno che è più refrattario a ricevere il messaggio cristiano, sono gli ebrei che negano se stessi riconoscendo il Messia, negano se stessi nella loro storia, nella loro diaspora.
Si rimane sconcertati nel vedere il "piccolo" CDF in quell’enorme casino che si fa per una beatificazione, ma poi ho avuto la stessa reazione tua, pensando che la Chiesa canonizza una maniera di vita in modo più manifesto. Siamo una delle poche, se non l’unica congregazione, che stabilisce totale unità fra laici e sacerdoti, salvo per quel che riguarda l’ordine sacro. C’è stata una lunga discussione su questo punto; ora, nelle ultime Costituzioni, dopo il nuovo codice di diritto canonico e il Concilio, non c’è nessuna carica per la quale sia richiesto il sacerdozio. E’ la seconda volta che abbiamo un "numero uno" che non è sacerdote. La vita religiosa di per sé è laica perché in quanto sequela Christi, non suppone né richiede il sacerdozio che è un ministero. Il sacerdozio dei fedeli, quello della carità, ha a che vedere con la sequela Christi.
Dato che il Vangelo è così semplice, è molto più facile complicarlo.
Pio Parisi
Passiamo al secondo punto: l’esperienza di CDF, dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle, in particolare nel rapporto con l’Islam, cosa suggerisce a noi, cristiani e non cristiani, in questo tempo che stiamo vivendo. Per avviare la comunicazione: a me sembra che il problema del rapporto tra i cristiani e i musulmani è uno degli snodi della storia, su cui si gioca il futuro della nostra storia umana.
Affrontarlo come un discorso solo di potere, di trovare un equilibrio di forza, va fatto, ma tutto segnala che a quel livello le cose non si risolvono ma piuttosto peggiorano. Affrontarlo a livello culturale e teologico è cosa importante è bella, ma certamente insufficiente e molto difficile, anche per una certa disparità di elaborazione teologica molto accentuata. L’Islam non si è impegnato molto a produrre una teologia.
La speranza per il futuro della pace nell’umanità va cercata nell’incontro dei popoli credenti, cristiani e musulmani, e poi di tutti gli altri credenti. Rileggevo quello che dice in proposito il Concilio Vaticano II nella Dichiarazione "Nostra aetate", sui rapporti dei cristiani con le altre religioni. Un discorso breve e limpido. Va cercato un rapporto coi credenti in quanto credenti: la comunicazione di fede. E’ una cosa talmente grande che vi siano tanti cristiani che vivono e muoiono affidandosi a Dio e tanti musulmani che vivono e muoiono affidandosi ad Allah. E’ questo un elemento di comunione talmente forte e diffuso , anche se tanti si dicono credenti ma poi non ci pensano, distratti da altre cose, ma ci sono anche tanti che invece ci pensano.
La speranza di pace va quindi riposta soprattutto nella speranza di comunione tra i popoli, le persone piccole e povere, quelle che non contano o contano molto poco, e sono la grande massa delle persone. Possano questi piccoli entrare in comunione.
Ma come? Sono da ricercare le occasioni. Per es., un posto dove si può vivere insieme con fede, non nei discorsi che è secondario, ma nei comportamenti , nel rispetto, nella dedizione, nella disponibilità ad aiutarci, è il lavoro. Ne ho parlato con il Mlac.
Un pensiero che mi è venuto tra ieri e oggi è che come cristiani dobbiamo in primo luogo pensare in primo luogo a come noi dobbiamo convertirci ad essere pienamente aperti nel rapporto con i musulmani credenti, e con tutti gli altri.
Mi domando: come penso ai musulmani? Come persone che hanno lo stesso valore, la stessa grandezza, oppure se c’è in me una qualche discriminazione nei miei sentimenti, nel mio modo di parlare. Spesso conversiamo con persone che non hanno lo stesso modo di sentire verso chi è cristiano e verso chi non lo è, nei rapporti con amici e parenti, o attraverso articoli di giornali. Troviamo spesso discriminazioni. Riusciamo in questi contesti a fare un discorso veramente cristiano, oppure ci adeguiamo e condividiamo, anche tacendo? Questo è un punto delicato di conversione.
Ed ecco la proposta che mi è venuta in mente tra ieri e oggi. Qualche giorno fa ho concluso la preparazione di due ragazzi, fratello e sorella, alla cresima. Ho fatto questa preparazione presentando la religione cristiana comparata con quella musulmana. Ho visto che erano più attenti perché gli parlavo anche di alcuni che sono loro compagni di scuola. E poi ha aiutato me a comunicare più in profondità. Ma non comparato per dire quale delle due religioni è migliore, in senso apologetico. Mi sono accorto che facevo l’itinerario della Dichiarazione conciliare "Nova aetate". E anche quello della Costituzione Lumen Gentium. Il punto di partenza sono i grossi interrogativi dell’uomo sul senso della vita, della morte, della sofferenza, dell’amore, a cui tutte le religioni e tante altre filosofie cercano di rispondere. Sono gl’interrogativi che tutte le persone, quando si fermano a pensare, si pongono. Partendo da questi interrogativi, i musulmani hanno trovato un senso, noi cristiani un altro. Ed arriviamo tutti a Dio. I musulmani hanno un senso molto vivo dell’unità e dell’unicità di Dio. Per noi cristiani, c’è una rivelazione che pur essendo uno ed unico, Dio è in tre persone.
Mi sembra che questa piccola esperienza abbia aiutato me e i due ragazzi. Il pensiero che mi è quindi venuto in mente è che forse oggi a conversione della Chiesa, che non sarà mai ultimata, nei confronti in particolare dei suoi rapporti con i musulmani, potrebbe passare attraverso un rinnovamento della catechesi. In tutte le parrocchie, catechesi comparata – bisognerebbe trovare un termine migliore – anche nelle Messe e in tutto il resto. Non si parli più solo di Gesù Cristo e della Chiesa, ma anche di questi fratelli che ci sono vicini come credenti in Dio. E poi, evidentemente, che si parli degli Ebrei che sono la radice.
Mi sembra che in tutta la Chiesa c’è la tentazione di ripiegamento su se stessa, di autoreferenzialità. Il riferimento a Dio e a Gesù Cristo manda subito alla universalità della storia della salvezza. Per una conversione della Chiesa, cominciare a lavorare per una conversione della catechesi E’ un’impresa talmente grande che, senza preoccuparsi del successo, come si diceva prima, la si intraprende per essere fedeli al Vangelo. Si comincia con pochi, con qualche amico prete parroco. Ci sono i piccoli fratelli e le piccole sorelle che ci possono dare una mano. Cominciare con le proprie competenze a preparare cose piccolissime, sussidi per un catechismo cristiano, cattolico, impostato con qualche apertura. Non continuare a parlare di Gesù Cristo senza parlare di Allah e di Maometto, e cercando di parlare di tutti.
Roberto Giordani
A San Roberto quando era parroco Ballis si leggeva durante la Messa anche un testo coranico.
Pio Parisi
Penso che con tutto il rispetto verso il catechismo della Chiesa cattolica, bisogna ripensarlo con un’apertura nuova.
Romolo Pietrobelli
C’è stata una proposta (Scoppola) per l’insegnamento della religione come insegnamento delle varie religioni. Ma non è stata accolta. Il discorso più di fondo, però, è la differenza grande che c’è, sia a livello istituzionale, sia meno istituzionali, circa la gratuità. I piccoli fratelli dicono: non facciamo niente ma ci siamo e preghiamo, e la gente si accorge e si domanda, ma questi chi sono e che fanno? La gratuità non è una categoria molto diffusa nella società Non si crede nemmeno che possa essere un canale che produce testimonianza. Tanto più a livello istituzionale, il discorso della gratuità ha purtroppo di fronte il discorso della reciprocità a tutti i livelli, istituzionale, culturale, confessionale. Perciò la conversione diventa difficile Non i discorsi conciliari, che sono aperti e chiari, ma il comportamento istituzionale della Chiesa (vedi moschee e chiese). La domanda di reciprocità presente nella Chiesa è l’ostacolo più grosso alla gratuità. Il rischio della mancanza di distinzione fra le varie religioni è molto grosso, se non c’è un riferimento preciso al Vangelo: si parla di Nazareth, del Figlio di Dio che si è incarnato in un certo contesto e quindi del desiderio di realizzare questo tipo di esperienza che rappresenta la scelta di una identità molto precisa che non si confonde con altro, nel nome della gratuità. Mentre se si insiste sulla reciprocità, la prospettiva cambia. Il cardinale Tardini, quando ricevette l’ambasciatore egiziano che chiedeva di poter costruire la mosche a Roma, aveva con intelligenza e bonomia detto: fate pure, ma consentite che anche noi costruiamo le nostre chiese in casa vostra. E così essendo Papa Pio XII non si costruì la moschea per il principio della reciprocità, che non ha nulla a che fare con quello della gratuità. Il discorso con l’islam è difficile perché si nota in loro una qualche rigidità.
Pio Parisi
Penso che questa difficoltà sia a livello di chi conta, non dei piccoli e dei poveri. Il vicino di casa musulmano, se sa che ho la febbre, figurati se non mi porta l’aspirina o se non la porto io a lui in caso contrario, non per un principio di reciprocità ma di gratuità. Tutte queste difficoltà sono legate a qualcosa che ha poco a che fare con la fede in Dio e nell’uomo. Non penso che esista il pericolo che, parlando di Dio e di Allah ai ragazzi della cresima, questi perdano la loro identità. L’apertura agli altri li aprirà più profondamente a Gesù Cristo. Perciò la speranza va riposta nei piccoli, nei semplici, nel popolo. Il resto non va trascurato, ma le speranze sono minime.
Romolo Pietrobelli
La stessa cosa vale per l’ecumenismo. Alcuni vescovi e cardinali sono arrivati alla conclusione che l’ecumenismo di base va avanti, mentre a livello di vertice le difficoltà sono innumerevoli. Il dialogo di vita è quello in cui nasce l’ecumenismo e la conversione di entrambi è più possibile.
Nino Patané
Credo che le due posizioni possono essere conciliate in presenza di una istituzione entro la quale né uno vuole fare atto di ubbidienza, né l’altro vuole fare opposizione. Questo non vuol dire ignorare l’istituzione, ma lasciare che faccia la parte e la funzione che le compete.
La conoscenza e la solidarietà che un cristiano può avere con il vicino musulmano con il quale scambia amicizia....e aspirina , vale più di tutto il resto e non ha niente a che vedere con le questioni istituzionali. Ma non entro in queste problematiche.
Luigi Parisi
Un’esperienza che ho avuto in questi giorni. Nell’ultima pagina di un bollettino sulle opere sociali s.j. si riportava la lettera scritta da un gesuita americano, forse un pò naif, a Bush in cui l’attacca e dice che quello che più lo meraviglia è che lui è cristiano. L’ho letta a un gruppetto che mi chiede di incontrarci e che mi sopporta in parrocchia, una quindicina di persone, per vedere i testi della domenica successiva. Siccome si collegava con tali testi, ho letto questa lettera. Ho avuto una reazione talmente dura che mi ha dato il polso della non-comprensione che i cristiani, forse della Roma bene, hanno della vita di Nazareth; non gli passa nemmeno per la testa che è una questione di fede, che dove c’è violenza nella storia della Chiesa e dell’umanità c’è una reazione negativa.
Qualche giorno fa, Alberoni sul Corriere della Sera: i musulmani in occidente, è tempo di farsi qualche domanda. L’articolo non è un gran che. Ma dice che abbiamo davanti a noi una decina di anni in cui dobbiamo domandarci chi siamo, quale è la nostra identità, l’identità della massa di cristiani che ci sono.
Quando si sottolinea l’importanza di rivolgere l’attenzione alle altre religioni, sono pienamente d’accordo, ma mi sembra altrettanto importante chiederci che significa essere cristiani, seguaci di Gesù di Nazareth. Vengo dal Belgio dove di cristiani ce ne sono molti di più che da noi, e la convivenza è molto più normale, tranne qualche episodio di divisione. Ma in Belgio il cristianesimo è attenuato, anche se è più vero di dove è professato. Sarebbe comunque interessante se si preparasse uno schemetto di preparazione alla cresima, partendo magari dalla traccia che Pio ha seguito nella recente esperienza di cui ci ha appena parlato.
Paola Fontana
L’esperimento del catechismo è risultato vincente e può essere la speranza per il futuro, però lo vedo un pò utopistico se lo si vuole realizzare all’interno delle istituzioni. Prima si parlava di gratuità e reciprocità, ma c’è un altro concetto che io considero ugualmente importante, ed è quello di parità: il riconoscimento dell’altro come pari. Ho letto tra ieri e oggi il resoconto di maggio in cui Paolo Francesca diceva: il dialogo è tale quando si riconosce che l’altro è pari a noi. Il problema fondamentale della Chiesa come istituzione è questo: non riconoscere l’altro come partecipante di una comunicazione, perché ci si sente unici e l’unicità porta a sentirsi superiori e a dare la potenza, il potere, che si basa anche sul fatto che i cristiani sono divisi, sul dialogo che manca fra di loro. Questo punto lo sento particolarmente perché faccio parte del rito bizantino e certe cose le vedo. Si è parlato della situazione alla Chiesa del Santo Sepolcro: tutta la storia della cristianità è piena di questi errori di fondo.
Pio Parisi
Manzoni dice che il signore convertito aveva tanta umiltà da servire a tavola Renzo e Lucia, ma non tanta da mettersi a mangiare con loro. Si può arrivare a mettersi a servizio degli altri ma non di sedersi alla stessa tavola. Così nei confronti delle altre religioni: ci si sforza di essere più comprensivi, ma fino al punto da considerarli uguali. Questo no, si ha paura di perdere l’identità, quando invece andrebbe trovata proprio nel Signore salvatore universale, nella vera laicità come apertura piena al mondo.
Nino Patané
Tutte e tre le religioni monoteiste sono alle volte nella impossibilità di accettare che anche l’altro abbia la verità che è unica. I musulmani poi battono tutti perché sono quelli che "completano" la rivelazione. Sono stato molto colpito sentendo dei ragazzi palestinesi che in un corteo a Roma per la libertà della Palestina recitavano: "Non c’è Dio più grande di Dio" che è la professione di fede musulmana. La loro verità è quella e vagli a far capire che non siamo idolatri. Il Signore è uno ed è il nostro Dio.
Paolo Tufari
I due incontri precedenti e quello di oggi mi suggeriscono due spunti di riflessione che da un lato si collegano all’esperienza assai particolare per non dire unica di Charles de Foucauld ma dall’altro toccano questioni di grande attualità per le circostanze che stiamo vivendo e per gli orientamenti di vita che più o meno consapevolmente siamo chiamati a prendere.
Un primo spunto di riflessione riguarda la volontà di conoscere: questo è certamente un tratto caratteristico di tutta la vita di Ch.d.F., anche prima della "conversione", tanto da farne in qualche modo un geografo, un esploratore, un antropologo culturale e un linguista ante-litteram. La sua attenzione al "particolare" e la faticosa raccolta dei frammenti – usi, modi di dire, strutture di relazioni intrafamiliari e tribali... – lo mettono agli antipodi con l’estrema superficialità con la quale oggi si parla dell’Islam come di una realtà monolitica e indifferenziata, e dei musulmani come di una massa umana senza volti e senza identità né soggettive né sociali estremamente diverse e diversificate tra di loro. Gli spazi e le occasioni per sviluppare questa volontà di conoscenza teoricamente non mancano. Non mi riferisco ai circoli già sensibili a queste problematiche ma a tutte quelle forme di informazione, studio e comunicazione che si potrebbero utilizzare: per esempio, quanti insegnanti di storia, di letteratura o di religione nelle scuole medie sono essi stessi animati da questa volontà di conoscere "gli Islam" e allo stesso tempo capaci di animare alunni e colleghi verso questa volontà di conoscere?
Un secondo spunto di riflessione riguarda la volontà di farsi riconoscere Ch.d.F. fece la sua scelta di vita basata sulla fede cristiana nell’Incarnazione e sull’adesione incondizionata al fatto – che è un mistero – dei trent’anni di «vita nascosta» di chi - per lui, Ch.d.F. come per tutti i cristiani - pur essendo il Figlio di Dio venuto e redimere l’umanità aveva scelto di passare inosservato e trascurato come il figlio di un falegname, come e tra la gente qualunque senza nome e senza importanza. La natura e forse ancora di più il grado (kind-degree non sono sinonimi!) di questa scelta portarono Ch.d.F. a vivere come ha vissuto fra i Tuareg nel deserto. Non credo che abbia preso quella strada «per» essere riconosciuto, non credo affatto che la sua coerenza in quello straordinario e inimitabile stile di vita fosse il risultato di una strategia rivolta a portare "altri" di altra fede verso la propria parte. Ha vissuto come ha vissuto perché ha creduto di doverlo fare. Gli "altri" hanno intuito che dietro quello stile di vita c’era una motivazione molto profonda, o, forse, prima e più che una motivazione, una personalità che sapeva unire la più assoluta libertà nei confronti dei beni materiali e del potere con la più assoluta e spontanea e naturale simpatia verso chi non per scelta di fede ma per sorte e necessità viveva, o anzi, sopravviveva ai margini della società, "senza nome e senza importanza". Altro che piani culturali-pastorali per diffondere il cristianesimo (cattolicesimo) in casa e fuori confine! "Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni con gli altri"; se amerete, cioè, gli altri dai quali non potete sperare né favori né protezione; gli altri che vi sono estranei (il "prossimo" del Samaritano) o che vi sono addirittura ostili. «Questo» linguaggio fu capito o quanto meno intuito dai semplici e dai "primitivi" che vivevano gomito a gomito con Ch.d.F.:non erano arabi, forse non erano neanche quello che noi ci immaginiamo sia o debba essere "il musulmano": erano semplicemente uomini e donne qualunque che avevano trovato un fratello, non di razza, non di lingua, non di appartenenza chiesiastica o settaria. Oltre le fraternità (i Senoussi che provocarono anche se involontariamente la morte di Ch.d.F. erano una fraternità), c’è la fraternità del e tra il genere umano che sul piano politico cerca anche se a stento di affermarsi come riconoscimenti dei diritti umani per tutti, e sul piano religioso, come sincera e sentita invocazione al "Padre nostro": di tutti, senza prediletti e senza figli di un Dio minore.