di Pino Stancari
La prima evangelizzazione
Nei primi 5 capitoli degli Atti degli apostoli si assiste
alla prima evangelizzazione a Gerusalemme. Destinatario di questa
prima evangelizzazione è il popolo d'Israele, la prima
evangelizzazione riguarda Israele. Per evangelizzazione si intende
quella profezia nel nome di Gesù che testimonia la vita
nuova di coloro che sono stati a loro volta evangelizzati e che
sono in grado di incrociare la vita di altri uomini, e, quindi, di
chiamare altri alla relazione con Gesù: relazione con il
Figlio di Dio che è risorto dai morti, che si realizza
malgrado la distanza, malgrado l'abisso che separa la nostra
condizione umana dalla sua realtà glorioso di Figlio
intronizzato. Il Figlio ha sconfitto la morte e ora regna nella sua
piena maestà. Malgrado la distanza che ci separa da Lui noi
siamo coinvolti in una relazione di vita con lui: lo Spirito di Dio
realizza questa solidarietà, stringe questo vincolo di
comunione tra noi e Lui. E' così che l'evangelo ci coinvolge
in una intimità oramai piena, pregnante, irrevocabile: siamo
parenti di Gesù; lo chiamiamo per nome: nel nome di
Gesù. La vita umana è trasformata, si converte. Nel
nome di Gesù la vita umana assume un nuovo assetto, nuove
dimensioni, nuove modalità di relazione, un nuovo
impianto.
Coloro che sono stati resi profeti in forza della corrente di
Spirito Santo che li ha coinvolti e, quindi, sono abilitati a
invocare il nome di Gesù, costoro sono in grado di
rivolgersi ad altri. Questo passaggio non è affatto
scontato, eppure diviene immediato, urgente, dirompente. La
profezia dei primi discepoli del Signore si traduce in un nuovo
modo di impostare la relazione con gli altri. E’ il caso
dello storpio, il caso di tutti coloro che dimorano a
Gerusalemme.
Negli Atti, questa prima fase della grande avventura
è ricapitolata all'interno del popolo d'Israele. Gesù
è il Messia è il Messia d'Israele. E' vero che non
mancano momenti di incomprensione, tensione, conflitto, ma cap. 5,
vv. 41-42: «essi se ne andarono dal sinedrio lieti di
essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù. E ogni
giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di
portare il lieto annunzio che Gesù è il
Cristo».
Nel nome di Gesù, ogni giorno non cessavano di insegnare e
portare l'evangelo che Gesù è il Cristo. Coloro che
man mano vengono interpellati, coloro che aderiscono a questo
invito, intraprendono il cammino di una vita nuova, ancora in modo
incerto e stentato, ma si tratta comunque della vita battesimale,
vita di comunione con Gesù, Messia e Signore, che è
morto e che è risorto, che è vivente, che è
intronizzato nella gloria.
Giudei ellenisti e giudei palestinesi: il dibattito
E' importante che ci fermiamo a considerare il
particolare significato, il valore specialissimo di questa svolta
che segna la maturità della evangelizzazione. Siamo appena
all'inizio di una vicenda che si sviluppa poi nel corso dei secoli
e dei millenni fino a noi oggi. Ma la svolta che qui l'evangelista
Luca ci illustra segna già il raggiungimento di quello stato
di vita adulta che consentirà ai discepoli di intraprendere
le strade della missione che si svilupperà nel corso delle
generazioni future fino agli estremi confini della terra. Quella
che sarà la missione nella quale sarà impegnata la
chiesa, tutte le chiese fino a noi oggi. L'evangelizzazione
procederà oramai a pieno regime.
«In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli,
sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei,
perché venivano trascurate le loro vedove nella
distribuzione quotidiana».
Non c'è dubbio, siamo inseriti in una prospettiva di
crescita. Ma ancor più importante è segnalare
l'aspetto qualitativo di questa crescita. Qui si parla di ellenisti
e di ebrei, siamo sempre all'interno dell'unico popolo d'Israele:
giudei che parlano greco (ellenisti) e giudei che dimorando nella
terra d'Israele parlano l'aramaico. L'ebraico è per tutti la
lingua della preghiera, della lettura, la lingua dell'insegnamento
rabbinico. Ci sono ebrei che parlano greco. Ebrei: in questo caso
il termine diventa ambiguo. Nel linguaggio del nostro evangelista,
Luca, gli ebrei sono i giudei palestinesi che parlano aramaico
nella loro vita quotidiana. Ma il popolo d'Israele è una
realtà molto ampia e sfaccettata, complessa e articolata. Il
fatto di distinguere qui tra ellenisti ed ebrei allude alla
ricchezza di componenti che è presente nell'ambito
dell'unico popolo d'Israele nell'epoca tra Antico e Nuovo
Testamento. E’ una ricchezza di componenti ben più
interessante, affascinante, direi quasi per noi motivo di
meraviglia, rispetto alla immagine che poi il popolo d'Israele
assumerà nei secoli seguenti, dopo quel grande momento di
crollo e di rilancio che sarà determinato dalla distruzione
del tempio nel 70 d.C. Il giudaismo che cresce e si sviluppa nei
secoli successivi assumerà una fisionomia molto più
circoscritta, molto più univoca. E' sempre vero che le
componenti, le varietà, le sfumature rimangono innumerevoli,
ma niente di simile in ogni caso alla ricchezza di espressioni, di
testimonianze, di spiritualità, di movimenti di cui dava
prova il popolo d'Israele nell'epoca antecedente. Il fatto che
esistano giudei ellenisti e giudei palestinesi, giudei di lingua
greca e giudei di lingua aramaica è quanto mai sintomatico.
Israele è disperso e molti vivono presso i popoli pagani,
molti vivono nei territori della cosiddetta diaspora, sono
disseminati di qua e di là, in contatto con le realtà
del paganesimo che è dominante sulla scena del mondo,
comunità qualche volta anche molto qualificate, altre volte
piccole sinagoghe sperse, molto frantumate. Comunque sia giudei che
parlano greco, perché questa è la lingua del mondo,
mediante la quale ci si inserisce nel contesto del grande
funzionamento civile, sociale, culturale che è proprio del
mondo pagano all'interno dell'impero romano e ancora all'esterno
dei confini dell'impero.
Ci sono giudei palestinesi che continuano a parlare l'aramaico e
vivono nella terra d'Israele in una situazione privilegiata, essi
sono in contatto con Gerusalemme e, ancora più importante,
in contatto con il tempio. Ciò non è possibile per i
giudei della diaspora: parlano greco e sono lontani dalla terra di
Gerusalemme; possono salire al tempio periodicamente, qualche volta
una volta all'anno, qualche volta una volta nella vita. Si registra
una sovrabbondanza di anziani ellenisti, è probabile che
molti di questi salissero e restassero a Gerusalemme per
trascorrervi gli ultimi anni della loro vita. Gerusalemme era
già all'epoca, e ancora oggi, un immenso cimitero, un
complesso di cimiteri.
Ci sono delle tensioni, delle differenze che alludono a distinzioni
molto più profonde per quanto riguarda il modo di sentire,
di impostare, di affrontare la propria vocazione, il modo di
testimoniare l'identità di coloro che appartengono la popolo
d'Israele. All'interno della comunità dei discepoli del
Signore si ripropongono quelle tensioni problematiche che sono
presenti all'interno del popolo d'Israele.
Le questioni fondamentali erano due. Una prima questione riguarda
la dottrina del tempio per l'ovvio motivo che coloro che vivono
lontani dalla terra, da Gerusalemme, dal tempio, non sono in grado
di frequentare il culto. Il tempio è unico e il culto viene
celebrato solo a Gerusalemme, motivo di grande commozione per i
pellegrini. Noi siamo venuti per vedere la sua gloria. Tutta la
devozione del giudaismo ellenista tende a trasformare il culto che
si svolge nell'unico tempio di Gerusalemme in un valore spirituale;
tende a sostituire a quel culto che si svolge secondo le
modalità liturgiche gestite da tutto l'apparato
levitico-sacerdotale nel tempio di Gerusalemme, in un complesso di
testimonianze interiori che si ricapitolano in quella terna di
elementi su cui per altro ritorna Gesù nel discorso della
montagna: il digiuno, la preghiera, l'elemosina.
C'è un altro tema su cui è registrata la tensione tra
i giudei della diaspora e gli altri: i giudei ellenisti non sono in
grado di osservare una gran parte di quelle prescrizioni che sono
stabilite nella legge. Vivere fuori della terra, lontano da
Gerusalemme e dal tempio è non potere osservare in pienezza
l'osservanza, mentre le osservanze sono praticate da coloro che si
trovano inseriti in un contesto corrispondente a quello che
già la legislazione antica aveva indicato. “Quando
sarai nella terra farai così e così”.. ma
quando uno non è più nella terra non può fare
così e così. E questo non è poco. Non
c'è dubbio che il popolo di Dio, il popolo dell'alleanza si
identifica in rapporto alla legge, ma come intendere la legge visto
che non può essere osservata da coloro che sono in diaspora?
Anche in questo caso tutto il giudaismo ellenista tende a
interpretare la legge e le osservanze conseguenti in una dimensione
più interiore: quel che conta è la conversione del
cuore, la circoncisione del cuore, l'apertura dell'anima alla
relazione con il Dio vivente. C'è un’insistenza
particolarissima su questi valori che per altro sono già
presenti nella rivelazione biblica. Solo per coloro che vivono
nella terra d'Israele è possibile essere puntuali e rigorosi
nell'adempimento di tutte quelle osservanze che sono impraticabili
da parte di quelli che vivono in diaspora. Coloro che vivono in
diaspora hanno sviluppato questo particolare senso della
appartenenza al Signore che si esplicita non già nella
concreta osservanza delle prescrizioni, ma si esplicita nella
apertura di un cuore che si apre, che si converte. Si potrebbero
dire tante altre cose. Il giudaismo ellenista è in contatto
con i pagani, ma ha una problematica di carattere missionario in
senso ampio, ha assunto oramai una problematica riguardante il modo
di presentarsi, di dialogare, di interloquire. Non a caso questo
giudaismo parla greco, che è la lingua del mondo, dei
pagani. Viceversa il giudaismo palestinese dà l'impressione
di essere più arroccato in posizioni conservatrici. Sono
certamente considerazioni banali, in realtà ci sono degli
incroci, ci sono dei capovolgimenti di fronte ieri e ancora
oggi.
C’è un problema: le vedove degli ellenisti sono
trascurate. Siamo all'interno della comunità dei discepoli
del Signore e c'è un problema riguardante gli anziani degli
uni che sarebbero svantaggiati rispetto agli altri. Siamo, insisto,
all'interno della comunità dei discepoli. Le problematiche
si ripropongono là dove la comunità sta crescendo in
continuità con quella realtà ampia, articolata,
complessa che è il popolo d'Israele. Viene approntata una
soluzione: «I Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e
dissero: non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio
per il servizio delle mense». E' in questione l'impegno
didattico e la testimonianza orante. Quei tali che parlano greco
talvolta non sanno parlare aramaico e viceversa. E’ evidente
che ci sono delle difficoltà e si giunge alla decisione di
distinguere, di riconoscere il valore di due diverse componenti
della stessa comunità, i 12 e adesso acconto ai 12 i 7. I 12
continueranno ad occuparsi dei giudei palestinesi e i 7, altri
sette personaggi di cui adesso qui viene indicato il nome, si
occuperanno dei giudei provenienti dalla diaspora di lingua greca:
«Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di
buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali
affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla
preghiera e al ministero della parola. Piacque questa proposta a
tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di
Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore,
Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di
Antiochia». Sette nomi tutti greci, fino ad arrivare al
settimo che è un proselito di Antiochia, cioè un
pagano convertito, un pagano divenuto giudeo. «Li
presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato,
imposero loro le mani. Intanto la parola di Dio si diffondeva e si
moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme;
anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla
fede».
Il fatto essenziale è che siamo alle prese con una
comunità in crescita che non è registrata
semplicemente nei numeri, che pure vanno assumendo proporzioni
sempre più ingenti, ma che comporta una progressiva
articolazione all'interno di quella comunità dei discepoli,
non foss'altro perché essa ripropone quelle problematiche
che già erano registrate all'interno del popolo
d'Israele.
Stefano: l’uomo della pienezza
Adesso l'attenzione si concentra su Stefano, il primo dei 7, e
voi già sapete dove andremo a finire.
«Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva
grandi prodigi e miracoli tra il popolo».
Stefano è caratterizzato come l'uomo della pienezza: Stefano
pieno di grazia e di fortezza. E’ identificato non solo per
la lingua che parla, ma per la spiritualità che ha
acquisito, per le esperienze vissute, per la sua provenienza, per
tutto un mondo che gli sta attorno e che gli sta nell'animo:
generazioni e generazioni forse di giudei ellenisti stanno a monte
della sua esistenza personale. Un personaggio pieno. Questo
particolare è interessante: come è possibile essere
pieni nel particolare? Come è possibile essere pieni
là dove l'identità è specificata nei suoi
contenuti limitanti, costrittivi. Stefano è pieno: è
già una allusione a una vicenda che il nostro evangelista ci
racconterà in modo preciso e dettagliato. Stefano è
pieno: abbiamo a che fare con un personaggio che fin dall'inizio ci
è presentato come testimone di una comunione che non
è in contraddizione con la sua particolare identità.
Una pienezza di comunione che trasuda proprio dal suo modo di
presentarsi limitato, particolarmente identificato, circoscritto
nel suo vissuto.
Stefano si dà da fare pieno di grazie e di energia.
«Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei "liberti"
comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della
Cilicia e dell'Asia, a disputare con Stefano». Scoppia il
conflitto a riguardo di coloro che provengono dalle sinagoghe nelle
quali si raccolgono i giudei della diaspora. I liberti sono i
giudei rientrati a Gerusalemme dopo essere stati liberati, passati
attraverso una esperienza di schiavitù. Sono tutti giudei
provenienti dalla diaspora, ellenisti. A Gerusalemme esistono
sinagoghe nelle quali si ritrovano e pregano e li sviluppano le
loro ricerche teologiche e danno corpo ai movimenti di
spiritualità, a impegni pastorali e così via.
Questi tali disputano con Stefano. Il conflitto sorge all'interno
dell'ambiente ellenista, che è l'ambiente di Stefano. Le
antiche solidarietà dottrinali diventano un buon motivo per
contestare Stefano, per denunciarlo. D'altronde il gioco è
facile perché questi sanno bene a quali argomenti ricorrere
per denunciare Stefano presso l'autorità giudaica.
E infatti sono in difficoltà perché: «non
riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava.
Perciò sobillarono alcuni che dissero: Lo abbiamo udito
pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro
Dio», cioè contro la legge e il tempio. Sono i due
grandi temi di tensione e di discussione a livello teologico e
pastorale nell'ambito del giudaismo: l'interpretazione della legge
e il riferimento al tempio. Quale sia mai la possibilità di
sostituire il culto che si svolge nel tempio con quelle forme di
impegno interiore o comunque a portata di mano, di cuore, di tasca
quali: la preghiera, il digiuno e l'elemosina. Stefano viene
accusato pubblicamente. Tradiscono loro Stefano che proviene dal
loro medesimo ambiente, si sentono loro traditi da Stefano, si
sentono loro contestati da Stefano. Per questo lo denunciano in
modo aspro, violento e drammatico. La questione non riguarda
più questi due grandi temi di disputa all'interno del popolo
d'Israele: la questione riguarda Gesù e solo Gesù. E
infatti: «così sollevarono il popolo, gli anziani e
gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo
trascinarono davanti al sinedrio. Presentarono quindi dei falsi
testimoni, che dissero: Costui non cessa di proferire parole contro
questo luogo sacro e contro la legge». C'è di
mezzo una falsa testimonianza come nel racconto della passione del
Signore. Insisto: le questioni non sono più queste.
La svolta: il volto è lo specchio. Dal racconto alla testimonianza
La questione è una sola: è quella novità
che ha segnato la vita di Stefano: l'incontro con Gesù.
Gesù è il tempio eterno, Gesù è la
parola realizzata, la parola osservata. Per Stefano la questione
non è più quella che era impostata secondo le forme
dottrinarie rabbiniche nella quale erano coinvolte le diverse
componenti del popolo d'Israele. Per Stefano non si tratta
più di contrapporre l'osservanza della legge nei suoi
termini empirici e rigorosi, all'osservanza della legge in un senso
spirituale ed interiore, né si tratta di sostituire il culto
del tempio di Gerusalemme con quell'altro culto che passa
attraverso il vissuto nelle cose dell'esistenza quotidiana. Per
Stefano tutto è ricapitolato nella novità di
Gesù. Le accuse non lo riguardano più. Falsi
testimoni dichiarano che «lo abbiamo udito dichiarare che
Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e
sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè».
Quello che conta è appunto il riferimento al luogo, il
tempio, il riferimento alle norme mosaiche. Stefano non ha mai
affermato che Gesù distruggerà il tempio e
sovvertirà i costumi, anzi l'incontro con Gesù
vivente e glorioso non è l'incontro con colui che distrugge
il tempio, ma con colui che oramai è il tempio!. Non
è l'incontro con colui che sovverte le norme mosaiche, ma
con colui che ha realizzato in pienezza la parola di Dio. Stefano
non risponde, non si difende, non può aderire a una
questione che è impostata in termini che non sono più
i suoi. E a questo punto: «E tutti quelli che sedevano nel
sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come
quello di un angelo». Un volto da guardare. Adesso
Stefano prenderà la parola ma, fateci caso, non si difende,
non pronuncia un discorso valido come quelle difese cui normalmente
si ricorre in una sede giudiziaria. Il discorso di Stefano è
una vera e propria testimonianza. L'evangelista Luca ci tiene a
segnalare il voto di Stefano, un volto da guardare, rivolto alla
rivelazione del servo glorificato. Gesù Messia e Signore
è l'interlocutore di Stefano, è il referente della
sua vita evangelizzata. Il volto di Stefano è specchio di
quella novità che è entrata una volta per tutte nella
storia umana dal momento che il Figlio di Dio è disceso ed
è risalito, è morto ed è risorto. Stefano non
si difende, offre la testimonianza del suo volto. Il suo discorso
è la illustrazione, il commento di quella immagine piena di
luce che il suo volto offre in quanto specchio dell'evangelo.
«All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e
digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito
Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e
Gesù che stava alla sua destra e disse…».
Noi ascoltiamo il discorso di Stefano nel momento stesso in cui
contempliamo il volto di colui che è diventato specchio del
servo glorificato. La evangelizzazione sta assumendo una nuova
andatura, per dire così. C'è qualcuno che offre la
realtà del proprio volto come specchio, il volto come
specchio del mistero che ci ha visitato, specchio di colui che
è intronizzato nella gloria. L'evangelizzazione non
più semplicemente come chiamata ad entrare in relazione con
Gesù, ma come consegna di una vita che attraverso il volto
è divenuta specchio di Gesù vivente. Un conto
è intendere l'evangelizzazione come chiamata, un conto
è intenderla come l'offerta di una vita: attraverso quel
volto è una vita intera che viene esposta perché si
esprima come testimonianza di Gesù, una testimonianza che
riproduce nel vissuto di una esistenza umana e nel dramma della
storia umana il mistero del Signore vivente.
Cap 7, vv. 1-53 il lungo discorso di Stefano è organizzato
in modo tale da passare in rassegna tutta la storia della salvezza,
da Abramo, all'inizio della storia. Abramo riceve le promesse e poi
dopo di lui gli altri patriarchi. Da Abramo fino all'epoca
contemporanea, fino al Messia e quello che sta succedendo nel
momento attuale. Tutta la storia della salvezza viene ricapitolata
da Stefano. Il racconto è stracarico di citazioni. Il testo
è tutto un intarsio di citazioni dell'AT. Stefano sta
rileggendo per intero tutto il testo biblico dall'inizio in poi,
sta ripercorrendo tutta la storia della salvezza, per tappe, con
una sosta attorno ad alcuni personaggi. Tappa dopo tappa ci sono
dei personaggi di riferimento a partire da Abramo, passando
attraverso gli altri patriarchi. Diverse tappe sono dedicate a
Mosè, poi il tempo del deserto, il tempo dell'ingresso nella
terra, e poi gli avvenimenti contemporanei.
Stefano ricostruisce questo itinerario in modo tale da mettere in
risalto che la storia della salvezza è sistematicamente
segnata da situazioni di rifiuto, dall'esperienza di sconfitte, dal
dramma di molteplici smentite. Tra l'altro il discorso di Stefano
si apre proprio così, il sommo sacerdote lo ha interrogato e
Stefano risponde: «Fratelli e padri, ascoltate: il Dio
della gloria apparve al nostro padre Abramo». E' una
citazione di Sal 29 (il Salmo responsoriale nella festa della
Presentazione di Gesù al tempio). Chi è questo re
della gloria? Stefano nel suo discorso parte dal Dio della gloria,
quello del Salmo 29. La storia della salvezza è la storia di
una rivelazione del Dio della gloria, una rivelazione che cresce e
si intensifica passando attraverso quelle tappe che Stefano sta
ricostruendo con un cumulo di citazioni e montando la ricostruzione
delle vicende in modo confacente al suo intento catechetico, alla
sua testimonianza. Il Dio della gloria si è rivelato
passando attraverso tanti suoi rifiuti, passando attraverso
l'esperienza di tante sconfitte, passando attraverso il dramma di
coloro che sono stati smentiti. Eppure è passando di
là, attraverso situazioni amare e deludenti. Fino ad
arrivare alla tappa finale.
v. 51: «O gente testarda e pagana nel cuore e nelle
orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i
vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri
padri non hanno perseguitato?».
Stefano
è quanto mai determinato nel denunciare questo fenomeno che
per altro è confermato da tutta la tradizione biblica.
«Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?
Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del
Giusto», del Messia. Quelli che preannunciavano la venuta
del giusto sono stati espulsi, maltrattati, incompresi, rifiutati.
Adesso il Giusto è venuto e il Giusto è stato
rifiutato. Il Giusto «del quale voi ora siete divenuti
traditori ed uccisori; voi che avete ricevuto la legge per mano
degli angeli e non l'avete
osservata».
Questo è quello che è avvenuto ancora a riguardo del
Giusto e questo è quello che sta avvenendo adesso a riguardo
di Stefano. Stefano sta spiegando il senso di una storia passata,
una storia che è giunta al suo momento decisivo,
ricapitolativo, chiarificatore per eccellenza. Il Giusto rifiutato
è proprio lui che ha attirato a sé, ha preso su di
sé, ha accolto in sé il rifiuto che gli è
stato imposto. Il Dio della gloria ha trasformato quella storia di
rifiuti, di contestazioni, di ribellioni, in storia di salvezza. Il
Giusto rifiutato, proprio lui, ha coinvolto coloro che l'hanno
rifiutato in una relazione nuova, gratuita. Ha trasformato quel
rifiuto in una rivelazione. Là dove è stato rifiutato
si è rivelato. Là dove è stato ucciso, ha
riversato il dono vittorioso della sua volontà di amore.
Là dove è stato condannato a morte ha aperto la
strada della vita: è il Giusto, è il Signore.
Quello che è avvenuto adesso avviene
Quel che è avvenuto adesso avviene. Stefano sta spiegando
quel che succede a lui e come mai quei tali che lo hanno accusato
lo uccideranno. Il rifiuto a cui Stefano va incontro è
l'occasione di offrire una testimonianza di amore più
grande. Questo è un passaggio fondamentale. C'è per
così dire una necessità nella storia della salvezza,
una necessità che è interna alla storia umana:
c'è una provvidenza d'amore per cui là dove gli
uomini rifiutano, irrompe la gloria del Dio vivente; là dove
gli uomini hanno contestato e si sono opposti, sono stati coinvolti
in una opera di amore che è traboccante, che è
soverchiante, che apre strade di vita nuova per coloro che hanno
rifiutato.
E questo è quello che capita adesso a Stefano: va incontro
alla opposizione di quei tali che non ne vogliono più sapere
di lui. Stefano è rifiutato, ma sa che non è una
questione ideologica quella che si sta disputando, non è
nemmeno un fatto ascetico il suo. Stefano è rifiutato per
ragioni che nemmeno si riesce ad oggettivare e si rende conto di
essere chiamato a offrire la testimonianza di un amore più
grande, un amore che trasforma il rifiuto in benedizione. Questo
è il punto, qui sta la testimonianza, qui sta il martirio:
il rifiuto è trasformato in benedizione. Per questo il
martirio diventa il segno della maturità raggiunta.
«All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e
digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito
Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e
Gesù che stava alla sua destra».
Vide la gloria di Dio. Tra l'altro il sommo sacerdote l'ha
interrogato. Il sommo sacerdote è colui che passa attraverso
il velo e entra nel santo dei santi una volta all'anno. Adesso il
sommo sacerdote non ha a che fare con il velo del santuario, ha a
che fare con il volto di Stefano: questo velo sta dinanzi al sommo
sacerdote. Cosa c'è da vedere? Vedere la gloria. Il martire
è il testimone di un amore che là dove viene
rifiutato benedice. E' questo il martirio. Per questo il martirio
pone il fondamento di una evangelizzazione senza confini.
«Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al
cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua
destra e disse: Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio
dell'uomo che sta alla destra di Dio. Proruppero allora in grida
altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme
contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero
a lapidarlo».
Fuori della città come anche Gesù è stato
crocifisso fuori delle mura. Stefano viene lapidato. «E i
testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane,
chiamato Saulo». E' la prima volta che viene citato il
nome di Saulo. Nei versetti che seguono Saulo sarà citato
ancora altre due volte per arrivare al v. 4 del cap. 8. Per 3 volte
viene citato il nome di Saulo in questa brevissima sequenza
narrativa che pure già si affaccia sull'orizzonte di una
vicenda che avrà sviluppi ben più ampi e ben
più duraturi. Qui c'è Saulo in relazione al martirio
di Stefano. Già compare Saulo e compare in atteggiamento
anch'egli di ostilità nei confronti di Stefano. E'
già una premonizione, un accenno, un'allusione.
«E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva:
Signore Gesù, accogli il mio spirito». Ricordate
le parole del Signore quando muore sulla croce: Padre nelle tue
mani il mio Spirito. E qui: nel nome di Gesù accogli il mio
spirito. E' la evangelizzazione nel nome di Gesù, la
chiamata alla relazione con Gesù. E qui la chiamata è
divenuta addirittura la consegna di una vita, fino alla morte, nel
nome di Gesù.
«Poi piegò le ginocchia e gridò forte: Signore,
non imputar loro questo peccato». Ricordate come
Gesù morente, stanno al racconto della passione secondo
Luca, invoca misericordia su quelli che lo hanno crocefisso. Adesso
è Stefano a compiere lo stesso gesto. Sotto il cielo che si
è spalancato, Stefano è presente con il cuore aperto.
E' in grado di benedire. Non ripete semplicemente in modo meccanico
le parole di Gesù. E' la sua testimonianza così come
essa si configura nuova e rimane nuova per la storia delle
generazioni future. Era necessario che il Cristo patisse per
entrare nella storia, era necessario che… C'è una
necessità: della passione? Della sofferenza? Perché
necessità? E' una necessità provvidenziale, è
una provvidenza d'amore. Quella necessità è una
necessità teologica: è il Dio della gloria che
è entrato e ha realizzato la sua opera di salvezza, passando
attraverso il male del mondo, la cattiveria degli uomini, la
durezza del cuore umano. Tutte le realtà negative sono prese
dentro alla gloria: è necessario.
E' una fecondità d'amore quella che Stefano sta
testimoniando, una fecondità d'amore che assume lo stesso
rifiuto che lo condanna a morte fino allo strazio supremo, al modo
di un'occasione propizia per benedire.
Questa non è soltanto l'evangelizzazione da intendere come
chiamata alla relazione con Gesù. Questa è
l'evangelizzazione che è giunta alla fase della
maturità perché è lo specchio, perché
è sacramento di Gesù, perché è
Gesù, è la vita dei discepoli del Signore, ed
è la vita della comunità dei discepoli del Signore.
E' la presenza della chiesa nella storia umana che conferisce alla
attualità il valore pieno e definitivo dell'oggi eterno,
l'oggi del Figlio di Dio che è risorto dai morti,
perché l'oggi è il giorno in cui l'amore trabocca
fino a trasformare la stessa esperienza dolorosissima e mortifera
della cattiveria in un buon motivo per benedire.
D'altra parte non diremmo niente di nuovo: l'amore dei nemici
è annuncio che già nella predicazione di Gesù,
e poi nell'adempimento della missione a lui affidata, è
contenuto primario di tutta la predicazione dei discepoli fino a
noi.
L'amore dei nemici non è un principio teorico, o
un'indicazione normativa, o una qualche immagine ideale che poi
resta così ideale da non dire più niente, da non
significare più niente. L'amore dei nemici coincide con la
crescita dell'evangelo, coincide con l'attualità della vita
cristiana, con l'attualità della missione della chiesa e
porta in sé l'evangelo e lo testimonia.
«Detto questo, morì. Saulo era fra coloro che
approvarono la sua uccisione».
Per la seconda volta è citato il nome di Saulo. Questo
martirio già viene collocato nella prospettiva di una
straordinaria fecondità futura, addirittura prossima:
«Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In
quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la
Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono
dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria». Il
fenomeno della persecuzione dilaga, sono coinvolti soprattutto gli
ellenisti, calamità su calamità. A ben vedere,
invece, le cose prendono una nuova piega. Intanto «persone
pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per
lui». «Saulo infuriava contro la Chiesa ed
entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in
prigione». «Quelli però che erano stati
dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di
Dio».
La persecuzione subita da Stefano fino alla morte, a cui poi si
aggiunge la persecuzione subita da altri, è già
indicata da Luca come l'occasione per una crescita che non si
arresterà mai più. E' il momento di una
fecondità vittoriosa. Coloro che sono stati dispersi
diffondo la parola di Dio. L'evangelo cresce là dove l'amore
viene testimoniato nel nome di Gesù vittorioso sulla morte.
E viene testimoniato da coloro che fino alla morte e attraverso la
morte ancora benediranno. E' posto il fondamento della chiesa.
D'altra parte, una tradizione antichissima vuole che non sia
possibile nemmeno costruire un edificio che noi chiamiamo chiesa se
non sulle reliquie dei martiri.