Lettera agli Efesini:
Terzo incontro del ciclo 2009-2010
2 febbraio 20101
Vocazione di Paolo, ministro di Cristo
Abbiamo letto due capitoli della lettera agli Efesini e riprendiamo il filo fermando l’attenzione sul capitolo 3 in modo da completare la lettura della prima parte della Lettera. Tutto qui scaturisce dalla prima pagina, dalla grande benedizione che Paolo proclama in modo orante, liturgico e contemplativo di cui già ci siamo resi conto a suo tempo. Paolo è in prigione a Cesarea; scrive a cristiani che egli personalmente non conosce e questo gli consente di intervenire, sulle questioni che sono oggetto della sua riflessione e motivo del suo intervento pastorale, in un atteggiamento che è segnato in modo molto intenso dalla contemplazione del Mistero della signoria di Cristo. D’altra parte tutte le minacce di ricaduta nel paganesimo da cui provengono questi cristiani – minacce incombenti, sempre serpeggianti, anche documentate – vengono travolte nella contemplazione di Paolo da questa costante, insistente, appassionata testimonianza riguardante la signoria di Cristo, quello che Paolo chiama fin dall’inizio il Mistero della volontà di Dio, così come Egli si è rivelato a noi manifestandosi nella storia dell’umanità in Cristo, con potenza di Spirito Santo e instaurando una grandiosa trasformazione di tutte le componenti dell’universo e tutte le articolazioni della storia umana, all’interno di un unico disegno di comunione: tutto in Cristo, tutto ricapitolato in Lui, tutto nell’appartenenza alla sua signoria.
Paolo a più riprese, nelle pagine che leggevamo nei mesi scorsi, ha usato il pronome di prima persona plurale “noi” e poi quello di seconda persona plurale “voi”. Quando dice “noi” intende gli appartenenti al popolo della prima alleanza, il popolo che ha ricevuto le promesse e ha mantenuto viva nel corso della storia umana l’attesa messianica; quando dice “voi” intende i pagani, l’umanità, il mondo, la moltitudine delle presenze che, con diversa configurazione culturale, molteplicità di linguaggi, itinerari originali, compongono la grande scena, l’immenso crogiuolo nel quale si sta svolgendo la storia umana: e tutto in Cristo. “Noi”, “voi”. Proprio nel nostro ultimo incontro abbiamo letto i versetti del cap. 2 in cui Paolo ci parla dell’abbattimento del muro perché in Cristo è ormai instaurata la pace e quel disegno di comunione per cui i distanti sono divenuti vicini, i nemici riconciliati, le diversità valorizzate in un unico disegno che si è compiuto in Cristo, nella sua Pasqua di morte e risurrezione, nella comunione con Lui, con il Corpo glorioso del Figlio che è intronizzato nella gloria. Adesso ripartiamo da qui. Le ultime battute nel cap. 2, v. 21; “in lui” la presenza viva e santissima di Dio; e, v. 22, “in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati”. “In lui” è il Dio vivente che ha preso dimora, il tempio santo, il Mistero di Dio che si è presentato a noi; ma “in lui” ci siete anche voi. “Voi”, “noi” “edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito”.
Paolo inserito nel mistero di Cristo
V. 5: “Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, del quale sono divenuto ministro (diacono) per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza”. Questo Mistero non è stato manifestato precedentemente: allusioni, intuizioni, qualche volta anche squarci folgoranti, ma adesso, al presente, questo Mistero è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti; siamo rinviati alla evangelizzazione in atto tramite apostoli e profeti, i discepoli del Signore dall’inizio come man mano si vengono configurando lungo le strade del mondo, nel seguito delle generazioni: la Chiesa (di questi apostoli e profeti già parlava al cap. 2, nel v. 20). Nel contesto di questa evangelizzazione, termine che usa lo stesso Paolo, che passa attraverso la Chiesa… “anch’io”. La potenza dello Spirito Santo si manifesta in tutta la sua gratuità e gli apostoli e i profeti ne sono il tramite decisivo. In che cosa consiste questo Mistero? I Gentili sono chiamati, attraverso Cristo Gesù, a partecipare a quello che Paolo affermava precedentemente e che adesso sta riproponendo con una intensità sempre più fervorosa, perché dice: “I Gentili (i pagani, che è un termine che serve ad indicare i popoli della terra, gli itinerari percorsi nello sviluppo della civiltà umana, di cultura in cultura, di linguaggio in linguaggio, le diversità, le molteplicità, tutte le sfaccettature del vissuto, nelle strutture visibili, nelle profondità invisibili e segrete del cuore umano) sono chiamati, in Cristo Gesù (qui adesso usa tre espressioni) a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo”. Queste tre espressioni le inventa lui: coeredi, con-corporei e compartecipi della promessa. L’eredità ci proietta verso la glorificazione del Figlio intronizzato; coeredi là dove Lui è ormai l’eredità depositata; con-corporei in comunione con Lui in modo tale che tutto della nostra condizione umana è introdotto nella partecipazione alla sua corporeità che si è presentata a noi nelle misure della incarnazione; e partecipi delle promesse dove “essere in Cristo” significa essere già innestati nella comunione con Lui a partire dalla promessa. E questo riguarda noi, voi, i Gentili, la pienezza di un disegno che è universale, complessivo a cui non sfugge nulla, nessuna creatura, nessun momento, articolazione, componente della storia umana. In Cristo Gesù per mezzo del Vangelo è l’evangelizzazione in atto; questo è il ruolo che compete a Paolo così come agli altri apostoli e profeti. Paolo non parla di sé come di un marziano che fa il pioniere; parla di sé come un servitore, un ministro dell’Evangelo che è antecedente a lui, collaterale al suo vissuto, che ha dinanzi a sé prospettive estremamente lungimiranti di cui si rende conto, e lo sa bene, solo in modo parziale, ma (v. 7) “del quale (Evangelo) sono divenuto ministro (diacono) per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza”. L’evangelizzazione per Paolo sta qui, sta in questa posizione che investe lui, ma investe la Chiesa; questa posizione che sta proprio dove i muri sono abbattuti, in Cristo, Evangelo, nell’essere al servizio del Vangelo. Questo, dice Paolo, “è quello che è capitato a me”, non perché sono un personaggio speciale, ma perché questa è la vocazione dei discepoli del Signore, è la missione della Chiesa.
Io piccolissimo per un’impresa immensa
E insiste, v. 8 e 9: “A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia (ancora una volta ci tiene ad inserirsi nella comunità di tutti i discepoli; qui i santi sono, in modo un po’ generico, i battezzati, coloro che sono prima di lui, accanto a lui inseriti in quel disegno di comunione che già sappiamo) di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo (una contraddizione peraltro molto istruttiva: da un lato la piccolezza, dall’altro lato l’immensità, le imperscrutabili ricchezze di Cristo. Paolo evangelizza i pagani: “piccolo come sono”, al servizio di un Evangelo che porta con sé la novità di quel Mistero che ormai è efficace, realizzato, compiuto, operativo nella storia umana; quella volontà d’amore che era nell’eterna intenzione di Dio che adesso nella storia dell’umanità riguarda i pagani, riguarda tutti), di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo…”. Anche qui una contraddizione tra la lucentezza e l’invisibilità del Mistero nascosto da secoli nel Mistero di Dio. E quello che era nascosto adesso è esplosione di luce che non rinnega il nascondimento, lo rivela; l’esplosione della luce non contesta il fatto che per tanti secoli il Mistero fosse nascosto perché questa esplosione di luce è esattamente rivelazione di quel nascondimento, di quel che è nascosto nel segreto di Dio; è rivelazione di quella profondità inesauribile, inesplorabile, inscandagliabile che è il grembo stesso del Dio vivente. Non è una luce che contraddice, così come la piccolezza di prima non contraddice l’immensità. E’ lo strumento rivelativo dell’immensità, della ricchezza incalcolabile; e, ora, questa luce è epifania di quella invisibile, smisurata fecondità di vita che è il segreto del Dio vivente. A me è stata data la grazia di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto. Dove dice adempimento ritorna il termine economia, l’economia del Mistero nascosto, dove il Mistero nascosto non è nemmeno nascosto per il fatto che è finalmente pubblicato; ma il suo essere pubblicato nella luce immerge noi nel nascondimento, nel segreto; noi ci troviamo presi nel Mistero. La luce non cancella l’oscurità, afferra noi e ci introduce nell’intimo del Dio vivente, nella profondità indicibile della Sua stessa vita perché Dio è creatore dell’universo.
Evangelizzati anche gli angeli
Vv. 10 e 11: “… perché sia manifestata ora nel cielo (Paolo accenna alla prospettiva, agli effetti di quel ministero apostolico che anch’egli ha ricevuto, come altri, all’evangelizzazione), per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio (il suo rivelarsi; ne parlavamo l’anno scorso quando abbiamo letto il Libro della Sapienza), secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore…”. Questa è un’affermazione un po’ curiosa perché Paolo qui parla di questa finalità che riguarda la rivelazione agli angeli (Principati e Potestà) di quella sapienza di Dio che era nel suo segreto. E l’evangelizzazione affidata alla Chiesa – e Paolo è direttamente coinvolto – ha come propri ultimi destinatari gli angeli, “i Principati e le Potestà”. Ma cosa c’entrano gli angeli? Lui ha a che fare con un mondo nel quale la presenza degli angeli tende a diventare qualcosa di mitico, di sacro, di divino; e gli angeli non sono divinità. La devozione agli angeli è di coloro che appartengono al popolo dell’alleanza con tutto il suo linguaggio, il suo bagaglio di devozione e religiosità, e al mondo pagano dove le molteplici divinità si ripartiscono i propri poteri, gli intrecci, i giochi, le sopraffazioni, i conflitti di potere su brandelli di mondo, pezzi di storia, nel visibile e nell’invisibile: l’evangelizzazione ha come suo termine ultimo lo svuotamento dell’idolatria, la demitizzazione degli angeli che è come dire l’emancipazione e l’evangelizzazione degli angeli. Principati e Potestà perché gli angeli sono qui da intendere non come entità che stanno chissà dove e sono sedute in un grande teatro dove ogni tanto applaudono quando l’Onnipotente sbadiglia: gli angeli sono esattamente i referenti di tutto un modo di interpretare la realtà del mondo, della condizione umana, delle relazioni in termini che sono propriamente segnati e inquinati dal rischio dell’idolatria. E’ una delle grandi polemiche del primo periodo; anche nel Nuovo Testamento ci sono riscontri al riguardo; ma le grandi polemiche nei primi dibattiti, nell’ambito di quella che diventa poi la cristologia, riguardano esattamente il chiarimento a proposito di Cristo che non è un angelo, che non è un super angelo, non è un altro angelo. E gli angeli non sono informati, non sanno dell’incarnazione, non sanno del Mistero; è la Chiesa che, nell’esercizio del suo ministero di evangelizzazione, annuncia agli angeli come stanno le cose; gli angeli al servizio di Dio, gli angeli ribelli, decaduti, corrotti, che si sono arrogati funzioni principesche nelle dinamiche della nostra creazione corrotta a causa del peccato umano. “…perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio (è interessante il fatto che la Chiesa viene concepita da Paolo come la personificazione della Sapienza; è il rivelarsi di Dio che adesso si prolunga, opera attraverso l’evangelizzazione in atto.
Avvicinandosi a Dio con coraggio
C’è di mezzo la Chiesa e ci sono di mezzo anch’io, dice Paolo), secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, il quale ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio (questo a Dio è stato aggiunto dalla nostra traduzione) per la fede in lui”. E’ un avvicinamento in senso assoluto; è quell’avvicinamento che segna il progressivo svolgersi della storia della salvezza nel senso che tutto è orientato verso la sorgente della vita a cui gli uomini sono richiamati, ricondotti passo passo lungo il tracciato che si viene illuminando per noi fino a ritrovare il contatto con la pienezza della vita da cui gli uomini si sono allontanati; e adesso il tracciato è la nostra incorporazione in Cristo, con potenza di Spirito Santo, il nostro essere in comunione con il Figlio, abilitati ad avvicinarci, a presentarci, con “il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui (perché siamo agganciati, innestati, impiantati nella comunione con lui, Gesù, nostro Signore). Vi prego quindi di non perdervi d'animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra”. Se adesso “io mi trovo in carcere – torniamo al punto di partenza – non è perché mi è capitata una disgrazia ma perché questo, ancora una volta, è segno della gloria di Dio; è per voi, e questo è segno non dell’ostacolo che la prigione pone tra me e voi; la prigione è diventata il segno della gloria di Dio che ha abbattuto il muro in Cristo”.
In adorazione del Padre
Cap. 3, v. 14, Paolo riprende il filo del suo discorso: “Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre (Paolo è in adorazione) dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome…”. Il Padre è l’origine di ogni relazione, tutto prende nome da Lui: il nome è una modalità di relazione, una struttura di relazionamento. Ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome dal Padre nel senso che tutto l’intreccio delle relazioni che sono la nostra possibilità di inserimento nel mondo, la nostra vocazione alla vita perché noi siamo chiamati alla vita in quanto siamo in grado di essere messi in relazione con il mondo. Per Paolo adorare Dio significa stare al proprio posto nel mondo: questo è bellissimo. “Io adoro Dio: “sono in un carcere a Cesarea: sono al mio posto nel mondo”. Il Padre dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome è un dato fondamentale; nell’adorazione, per Paolo il vissuto essenziale, non unico, sta in questa presa di posizione nel mondo: il “mio trovar posto nel mondo, il mio essere al mio posto nel mondo”. Nella molteplicità smisurata delle relazioni che mi aprono al mondo, là dove sto (in quel buco del mondo che sarà anche un carcere) tutto prende origine e scaturisce dalla paternità di Dio. “E io adoro il Padre”.
Tante volte quando pensiamo all’adorazione pensiamo a qualche attività un po’ misticheggiante che cerca di fuggire dal mondo, ma per Paolo è vero esattamente l’opposto; il suo modo di adorare, di essere adoratore di Dio è il suo modo – ce lo dice in modo così semplice e così devoto da lasciarci sbalorditi – di scoprire come è al suo posto nel mondo e come il suo posto è intrecciato con l’immensità dei disegni di Dio, dove tutto è ricapitolato in Cristo. Non basta questo perché dice: io adoro Dio, davanti a Lui piego le ginocchia (il Padre) “perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore”. L’adorazione per Paolo adesso assume questa fisionomia ulteriore che si congiunge a quella che abbiamo adesso constatato; parla qui dell’uomo interiore che Paolo in altri casi chiama l’uomo nuovo;l’uomo, nel senso che è l’intimo della nostra condizione umana, che è stato visitato, redento, purificato, liberato; è il cuore umano che è rigenerato, aperto, spalancato laddove era inquinato, bloccato, impietrito, incattivito nella durezza. E’ proprio in questo spalancamento del cuore che trova spazio il mondo: si ribalta la prospettiva. “Io sono in adorazione perché sono al mio posto nel mondo; io sono in adorazione perché il mondo trova posto in me”. E sono vere tutte e due le affermazioni, e sono inseparabili, rigorosamente intrecciate: “io piego le ginocchia davanti al Padre” perchè sono al mio posto nel mondo e nel mio misero cuore umano c’è spazio per abbracciare il mondo. L’adorazione di Dio non significa andarsene tra le nuvolette, sta nel suo carcere; e lo dice chiaramente: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità…”. Queste sono le dimensioni del mondo. Comprendere anche qui non è un’attività intellettuale, è lo spalancamento del cuore là dove Cristo abita, dove Cristo è Signore, Signore dell’universo, del cuore umano.
“… l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”. Qui torna due volte il termine “carità”, “agape”, ed è quella corrente che circola nell’universo e nel cuore umano. E vedete come Paolo, qui in adorazione, è in grado di testimoniare questa totale esperienza di comunione tra il cuore umano e il mondo; e la stessa carità che circola nel mondo, la carità di Cristo, è la carità che circola nel cuore umano. “… il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi (non è mai un’avventura isolata o riservata ai pionieri più intraprendenti) quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”. L’amore di Cristo è incontenibile e trabocca per cui il cuore umano nel quale l’amore di Cristo circola è un cuore che è espropriato, slabbrato, sfondato e, nello stesso tempo, è il cuore umano di chi affronta con pazienza, con attenzione, con meticolosa puntualità l’impegno di quelle innumerevoli relazioni che implicano l’inserimento in un certo angolo di mondo. “… la pienezza di Dio”. E’ in questa comunione che pone il cuore umano in una relazione con il mondo intero, in questa corrispondenza epifanica, apocalittica, rivelativa della presenza viva di Dio: è il protagonismo di Dio che così si afferma, è la sua stessa vita che ormai ci ha presi.
Preghiera di Paolo
Adesso il testo si conclude, e si conclude la prima parte della lettera con una dossologia, ribadendo ancora una volta, quasi in modo tecnico, il significato liturgico di tutte queste pagine. “A colui che in tutto ha potere di fare (dopo tutto quello che Paolo ci sta dicendo non ha un altro modo di venirne a capo che non sia quello della dossologia, il canto dossologico: ci siamo dentro a questo Mistero, ci siamo tuffati, assorbiti, presi, ricapitolati dentro; il mondo, la storia, le persone, le culture, i linguaggi) molto più di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che già opera in noi,
a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù
per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen”.