di Pino Stancari
verso Gerusalemme
Il racconto ci ha condotti accanto a Paolo nella prospettiva di una ricerca che riguarda tutta la attività di evangelizzazione a cui si è consacrato da tanti anni. Paolo è il protagonista, ci coinvolge in questo rapporto sempre più affettuoso, sempre più intimo con lui. Anche noi, a più riprese, diciamo come il narratore Luca, quando usa la prima persona plurale, che siamo in grado di condividere le svolte decisive di questo itinerario che ha una sua fisionomia oggettiva, ha dei suoi riscontri dal punto di vista della vicenda storica e pastorale, ma è un itinerario sempre più riconducibile a un cammino interiore, a un cammino di conversione.
E' il cammino di Paolo che si converte, anche se in realtà è convertito da un pezzo. La conversione di Paolo è avvenuta sulla strada che doveva condurlo a Damasco. Ma in realtà la conversione di Paolo è ancora in corso, Paolo è impegnato in un discernimento delle cose, degli eventi. Il suo mondo interiore è ancora in ebollizione. Paolo è alla ricerca di quel riferimento in base al quale avverte la necessità di reimpostare tutta la sua attività di evangelizzazione. C'è un punto di partenza, c'è un nodo da cui tutto è stato determinato fin dall'inizio. Paolo dà per scontato questo riferimento, ma è poi vero che Paolo avverte ancora drammaticamente
come quel riferimento originario ancora gli sfugga. E' il punto di partenza della sua vita cristiana: l'impatto con la rivelazione gratuita e inesauribile del mistero di Dio. In quell'incontro tutto ha preso vita, nuova vita, ma quell'incontro con il mistero del Dio vivente che entra nella storia degli uomini, che opera in modo da realizzare le sue intenzioni, è ancora per Paolo è un riferimento che non riesce a interpretare in modo soddisfacente. Paolo è alle prese con la novità inesauribile, inafferrabile, indomabile dell'evangelo. Paolo evangelizzatore è impegnato in un itinerario di conversione che riguarda in primo luogo proprio lui. E' il discernimento che coinvolge tutta la sua vita, in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue componenti, in tutte le sue dimensioni. Che cos'è l'evangelo? A quale evangelo faccio riferimento io? Da dove provengo io? Da chi sono stato generato io? Qual è il dato, rivelazione del mistero di Dio che è entrato oggi nella storia umana? qual è il dato decisivo per cui la mia vita si è convertita, per cui io sono trasformato in uomo nuovo? Perché?
Paolo, mentre si trova ad Efeso, rielabora tutta la programmazione della sua attività pastorale: bisogna ritornare a Gerusalemme. Gerusalemme vuol dire la prima chiesa, la chiesa della pentecoste, vuol dire i primi discepoli: bisogna ritornare al nucleo originario, all'evento decisivo. Non è soltanto un ritorno programmabile come contatto con un ambiente giudaico o di ricostruzione di un disegno nei suoi momenti storici oramai superati, ma sempre memorabili. Ritornare a Gerusalemme per Paolo significa ritornare all'evangelo, è una conversone in atto, è una conversione ancora non realizzata rispetto alla quale Paolo avverte di essere, proprio lui, il grande evangelizzatore, sprovveduto, incerto, segnato da molte contraddizioni.
Nel corso di quel viaggio di ritorno a Gerusalemme il progetto di Paolo prende ancora una volta un'altra configurazione. Da Efeso in poi, si configura in modo sempre più preciso, come un viaggio verso una scadenza luttuosa. Paolo è sempre più convinto di questo, ci sta meditando sopra, ne parla con quelli che gli sono più vicini, ad un certo momento ne parla pubblicamente: io mi rendo conto che salgo a Gerusalemme per morire.
Quando giunge a Cesarea, l'ultima tappa del suo viaggio prima di puntare su Gerusalemme, gli altri che sono con lui vorrebbero dissuaderlo, trattenerlo, farebbero di tutto per convincerlo: ma è inutile che sali a Gerusalemme, vedi che le cose si mettono male. Paolo è esplicito (21,13): «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù».
Io sono pronto a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù. Paolo è convinto che si tratta di salire a Gerusalemme per rendere testimonianza al Signore Gesù e morire, come lui. Gesù a Gerusalemme è stato rifiutato, aggredito, condannato a morte: sono pronto a questo, salgo per questo.
Oramai per Paolo salire a Gerusalemme significa dare compimento a questo proposito nel quale, per quel che egli riesce ad esprimere, si ricapitola la sua vocazione cristiana giunta alla maturità di una conversione autentica. Salgo a Gerusalemme per essere martire nel nome di Gesù.
un’accoglienza festosa
Ancora una volta Paolo si sbaglia: la storia di un cristiano che si converte, è la storia di un cristiano che passa attraverso l'esperienza di veri e propri fraintendimenti. Ma tutto in riferimento all'evangelo, perché è rispetto all'evangelo che Paolo è ancora apprendista.
Adesso il primo impatto con Gerusalemme (21,15-26).
«Dopo questi giorni, fatti i preparativi, salimmo verso Gerusalemme. Vennero con noi anche alcuni discepoli da Cesarèa, i quali ci condussero da un certo Mnasone di Cipro, discepolo della prima ora, dal quale ricevemmo ospitalità». A Gerusalemme! I discepoli del Signore, la prima chiesa, la chiesa madre. Le cose vanno in modo molto sereno, in modo positivo. Paolo insieme con gli altri amici suoi, collaboratori che lo accompagnano, vengono ospitati nella casa di questo giudeo ellenista, viene da Cipro, ed è quanto mai sollecito nel rendere agevole per i suoi ospiti il ritorno nella città. Per altro Paolo a Gerusalemme è di casa, perché vi ha trascorso tanti anni della sua vita giovanile. C'è però un problema che sta sullo sfondo, che man mano viene in evidenza: Paolo è un personaggio contestato. Ci sono quelli che lo accusano di essere un apostata, un traditore, un rinnegato. Questo è il motivo per cui Paolo dava per scontato che salire a Gerusalemme, per lui, avrebbe significato cadere nelle mani dei suoi avversari che lo avrebbero senz'altro eliminato.
«Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente». I fratelli della chiesa, di quella prima chiesa che è composta da giudei divenuti discepoli del Signore, è la chiesa madre, in essa tutti sono giudei cristiani. E il personaggio di spicco in quella chiesa di Gerusalemme è Giacomo, il fratello del Signore, che compare qui adesso nel racconto. Di lui si è già parlato negli Atti, nel cap. 15. Luca ce lo aveva ricordato in rapporto al problema della circoncisione per i pagani. La questione è risolta a Gerusalemme, alla presenza di Giacomo e con un intervento anche molto sapiente dello stesso Giacomo. Ai pagani che si convertono non deve essere chiesta la circoncisione. E ora: i fratelli ci accolsero festosamente. Dunque un'accoglienza quanto mai cordiale.
«L'indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c'erano anche tutti gli anziani». Attenzione a questo uso della prima persona plurale da parte di Luca: ci siamo anche noi. «Dopo aver rivolto loro il saluto, egli cominciò a esporre nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo suo».
Paolo parla della sua attività missionaria, della evangelizzazione cui si è dedicato, rivolta evidentemente ai pagani, avendo percorso oramai itinerari anche geograficamente così variegati, così complessi, così articolati, come sappiamo. Paolo parla di queste cose. «Quand'ebbero ascoltato, essi davano gloria a Dio».
Questi giudei della chiesa madre di Gerusalemme accolgono Paolo comprendendo in modo così commosso e appassionato il valore del ministero pastorale che Paolo ha svolto a vantaggio dei pagani. Per il momento di martirio nemmeno a parlarne. Però adesso comincia a comparire un'ombra.
un’ombra
«Quindi dissero a Paolo: Tu vedi, o fratello (notate bene l'insistenza su questo titolo di fraternità) quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla legge. Ora hanno sentito dire di te che vai insegnando a tutti i Giudei sparsi tra i pagani che abbandonino Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le nostre consuetudini».
Questo è falso, Paolo non ha mai insegnato questo. Lo stesso Paolo ci tiene a presentarsi come un giudeo rigorosamente osservante, fiero di essere circonciso. Un conto è trattare con dei pagani che diventano dei discepoli del Signore, cui non può essere chiesta l'osservanza della legge, altro conto è per coloro che sono chiamati nel popolo dell'alleanza in base a quelle particolari prerogative che Dio stesso ha attribuito a questo popolo e che resteranno fedeli alla loro identità, divenendo discepoli del Signore. I giudei che diventano cristiani non rinnegano di essere giudei, diventare cristiano per un ebreo non significa non essere più ebreo, significa realizzarsi come ebreo. Questo è chiarissimo per Paolo. Paolo non ha mai insegnato quelle cose che qui gli vengono attribuite, voci di popolo, c'è un certo risentimento. Poi, tra l'altro, la personalità di Paolo così brillante, geniale, così entusiasmante, è anche una di quelle personalità un po' angolose, che in alcuni casi si attira antipatie e ostilità. Fatto sta che ci sono molti che sono convinti di queste cose.
la prova
E allora gli dicono: ti diamo un consiglio. «Che facciamo? Senza dubbio verranno a sapere che sei arrivato. Fa' dunque quanto ti diciamo: vi sono fra noi quattro uomini che hanno un voto da sciogliere». Sono quattro giudei cristiani che ancora si comportano secondo le antiche consuetudini, hanno fatto un voto, il voto si conclude con l'offerta di un sacrificio nel tempio. Ci sono dei preparativi per giungere al momento del sacrificio e poi bisogna naturalmente versare una certa somma di denaro per comperare un capo di bestiame. Sarà il capretto, l'agnello, come previsto dalla procedura levitica, fatto sta che debbono giungere alla conclusione della loro offerta devozionale con la celebrazione del sacrificio, ma non hanno i soldi. Paolo viene a Gerusalemme, tra l'altro, portando con sé i contributi che ha raccolto nelle chiese, chiese certamente di gran lunga più benestanti di quella chiesa di povera gente che pure costituisce la chiesa madre, da cui l'evangelizzazione è scaturita all'inizio. E’ una chiesa di povera gente, in situazione di bisogno, addirittura fino alla fame. Paolo ha portato degli aiuti, ne parla nelle sue lettere. Paolo ci tiene a dimostrare questa solidarietà di chiese formate quasi esclusivamente da pagani nei confronti della chiesa madre, che è la chiesa di giudei divenuti discepoli del Signore. Dunque gli suggeriscono: «Fa' dunque quanto ti diciamo: vi sono fra noi quattro uomini che hanno un voto da sciogliere. Prendili con te, compi la purificazione insieme con loro e paga tu la spesa per loro perché possano radersi il capo». Notate che anche Paolo è salito a Gerusalemme per una devozione del genere. Paolo è perfettamente integrato in questo ambiente, in questa mentalità, in questo clima devozionale. Paga tu per loro, e in questo modo dimostri come sei ben intenzionato nei confronti di tutto quel complesso di osservanze che sono ricchezza tradizionale del nostro popolo, in modo tale da fugare quelle voci che corrono malevole a tuo riguardo.
«Così tutti verranno a sapere che non c'è nulla di vero in ciò di cui sono stati informati, ma che invece anche tu ti comporti bene osservando la legge. Quanto ai pagani che sono venuti alla fede, noi abbiamo deciso ed abbiamo loro scritto che si astengano dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, da ogni animale soffocato e dalla impudicizia».
Adesso, ti trovi a Gerusalemme, comportati così, vedrai che le tensioni che serpeggiano qua e là si scioglieranno. E Paolo subito accetta.
«Allora Paolo prese con sé quegli uomini e il giorno seguente, fatta insieme con loro la purificazione, entrò nel tempio per comunicare il compimento dei giorni della purificazione, quando sarebbe stata presentata l'offerta per ciascuno di loro».
Devono iscriversi, come quando uno va dal parroco e dice: io vorrei far celebrare una messa per i miei defunti. Allora il parroco dice: adesso non se ne parla, perché c'è da aspettare, c'è un cammino di preparazione di attesa, arriverà il momento: il giorno tale all'ora tale. E così si iscrivono nel registro. Paolo ha pagato. Dunque tutto a posto, tutto in regola, tutto funziona. Passano sette giorni, sono i giorni di pentecoste. Adesso gli avvenimenti precipitano, siamo al v. 27.
la rivolta
Siamo a Gerusalemme, nel tempio. Il tempio continua a funzionare come nell'epoca di Mosè. Ma non dimenticate mai che per Paolo l'impatto con il tempio, cui lui si accosta rispettando tutte quelle forme che sono presenti nella tradizione teologica, pastorale, devozionale, liturgica del suo popolo, è il grande sacramento del corpo del Signore, corpo glorioso del Signore risorto. Adesso debbono passare i gironi prestabiliti per arrivare a quel momento nel quale sarà finalmente offerto il sacrificio che porterà a conclusione il voto di quei tali e voto che lo stesso Paolo ha proclamato quando ha intrapreso il viaggio del ritorno a Gerusalemme. E' un momento solenne, un momento che assume una pregnanza liturgica davvero straordinaria, tenendo conto del fatto che Paolo partecipa a questa liturgia nel tempio nella prospettiva che gli è propria, in quanto la sua vita è stata trasformata dall'incontro con il Signore vivente. Nello stesso tempo noi sappiamo anche che questo incontro con il Signore vivente, l'evangelo che ha inaugurato il cammino della conversione per Paolo, ancora è un riferimento misterioso, che gli sfugge.
«Stavano ormai per finire i sette giorni, quando i Giudei della provincia d'Asia». Sono giudei della diaspora: Efeso, capoluogo della provincia d'Asia e conoscono Paolo. Paolo ha soggiornato a Efeso per almeno tre anni, dunque Paolo è un personaggio ben identificato. Questi tali si trovano a Gerusalemme, probabilmente pellegrini per la festa di pentecoste e vedono Paolo nel tempio. Certo Paolo sta facendo le sue devozioni. Lo vedono, lo riconoscono: «aizzarono tutta la folla e misero le mani su di lui gridando: Uomini d'Israele, aiuto! Questo è l'uomo che va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo».
Paolo è un profanatore del luogo santo. Quando mai! Paolo sta facendo le sue devozioni. Per Paolo quel luogo santo è così prezioso che addirittura è il sacramento del corpo glorioso del Signore.
«Ora ha introdotto perfino dei Greci nel tempio e ha profanato il luogo santo!».
Niente affatto! Paolo non si sarebbe mai permesso di compiere un gesto del genere. I pagani non possono entrare nel santuario, nel recinto sacro, nel tempi, impossibile. Infatti se lo sono inventato loro, se lo sono sognati loro: «Avevano infatti veduto poco prima Tròfimo di Efeso in sua compagnia per la città, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare nel tempio».
Paolo lo ha incontrato per strada, magari è un commerciante, lo conosce, si sono salutati, si sono parlati, l'hanno visto. Paolo non lo ho mai introdotto nel tempio, né mai avrebbe potuto farlo. Intanto però sono scatenati. Noi diremmo: adesso ci siamo, questa è la volta buona che Paolo diventa martire. E' invece non è così.
«Allora tutta la città fu in subbuglio e il popolo accorse da ogni parte. Impadronitisi di Paolo, lo trascinarono fuori del tempio e subito furono chiuse le porte».
La storia di Paolo è segnata da questa esperienza di porte che gli vengono chiuse dietro le spalle. Paolo ha a che fare con delle porte che sono chiuse dietro di lui: buttato fuori, buttato fuori, buttato fuori! Ricordate come è diversa la situazione per Pietro invece: dinanzi a Pietro le porte si aprono, le porte si chiudono alle spalle di Paolo. Sono inseparabili, complementari, come anche noi li veneriamo: Pietro e Paolo. E sempre con questo richiamo a delle porte: c'è chi ha delle chiavi in mano e c'è chi invece avrà a che fare con il bastone del viandante. Chi ha le chiavi per aprire e chi la testimonianza dell'itinerante che si mette in cammino. Pietro e Paolo. Fatto sta che ancora una volta si chiudono delle porte dietro al nostro apostolo Paolo e questa volta sono le porte del tempio. Tumulto fuori.
discorso alla folla
«Stavano gia cercando di ucciderlo, quando fu riferito al tribuno della coorte che tutta Gerusalemme era in rivolta». Sembrava la volta buona per Paolo, diventava martire così come lui aveva già previsto ed annunciato. E invece non è così. Interviene il tribuno, interviene con i suoi uomini, la coorte, uno schieramento di militari, di polizia, che in questo caso è estremamente tempestivo. E poi una annotazione un po' grottesca, un po' ironica, ma il nostro Luca è un narratore sempre sorridente, e anche in questo caso, che pure è così drammatico, sta sorridendo. Quando debbono intervenire per qualcosa di utile e di importante non ci sono mai, nel momento in cui Paolo sta per diventare martire, subito si mettono di mezzo. Ed ecco il tribuno «immediatamente egli prese con sé dei soldati e dei centurioni e si precipitò verso i rivoltosi. Alla vista del tribuno e dei soldati, cessarono di percuotere Paolo. Allora il tribuno si avvicinò, lo arrestò e ordinò che fosse legato con due catene».
Paolo incatenato. Mentre Gerusalemme è in subbuglio, buttato fuori dal tempio, in questa confusione generale Paolo che stava per essere ucciso, è sottratto alla morte. Questo è il fatto oggettivo. Intanto incatenato, poi trascinato dai soldati, portato di peso addirittura. Il tribuno cerca di informarsi, ma non capisce niente, capita frequentemente: chi deve garantire l'ordine pubblico è spesso estraneo ai contenuti oggettivi per cui l'ordine pubblico è minacciato. Fatto sta che il tribuno si informa: chi è e che cosa ha fatto? Questo è l'interrogativo che si agita nell'animo di Paolo da un pezzo: ma chi sono io? E che ci sto a fare al mondo e dentro questa storia che ha assunto una piega così sconcertante, così paradossale, così originale? Qual è l'evangelo a cui io faccio ritorno, là dove io sono radicato, là da dove ho preso vita, quell'evangelo che converte la mia vita? Chi sono io? Chi è Paolo? Che cosa ha fatto?
«Tra la folla però chi diceva una cosa, chi un'altra».
Non si capisce niente, confusione. Luca costruisce il racconto in modo tale che, mentre caratterizza l'ambiente con una scenografia così vivace, in realtà ci aiuta ad entrare nell'animo di Paolo: la confusione è in lui, il tumulto è in lui, l'agitazione è in lui!
«Nell'impossibilità di accertare la realtà dei fatti a causa della confusione, ordinò di condurlo nella fortezza. Quando fu alla gradinata, dovette essere portato a spalla dai soldati a causa della violenza della folla. La massa della gente infatti veniva dietro, urlando: A morte!».
Soltanto che Paolo non muore. E anche questo è un interrogativo che sta rimbombando nell'animo di Paolo e che accresce la confusione: come mai ancora non sono martire? Non ha certo paura di quei facinorosi, non ha certo paura di rimanere vittima di quelle menzogne. Non è questo che lo angoscia, ma: chi sono io? Fatto sta che nel momento in cui era sul punto di rendere testimonianza nel nome di Gesù, subendo ingiustamente la morte, i fatti prendono un'altra piega. Questo sviluppo del racconto determina tutto il seguito.
Paolo prende l'iniziativa.
«Sul punto di esser condotto nella fortezza, Paolo disse al tribuno: Posso dirti una parola?». Il tribuno è il magistrato romano, la massima autorità a Gerusalemme in quei giorni. «Conosci il greco?, disse quello». E’ stordito, fuori della realtà, chissà che cosa sta pensando. Adesso confessa quale ipotesi aveva elaborato tra sé e sé: «Allora non sei quell'Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli?». Cosa c'entra Paolo con questo egiziano e i 4.000 ribelli? Il tribuno andava dietro ai suoi pensieri, andava dietro ai documenti che si sono accumulati su un tavolo della caserma. Paolo: chi sei tu? Questo è il problema di Paolo: chi sono io? Da dove vengo io? A quale evangelo appartengo? Ma che cos'è l’evangelo? E quale evangelo converte la mia vita? E perché la mia vita è cambiata? Dunque tu non sei quello, dice il tribuno.
«Rispose Paolo: Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza. Ma ti prego, lascia che rivolga la parola a questa gente. Avendo egli acconsentito,Paolo, stando in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo e, fattosi un grande silenzio, rivolse loro la parola in ebraico», in aramaico.
Paolo parla greco, certo, ma alla folla che tumultua parla in aramaico. Che lingua parla? Chi sono io? Paolo è alla ricerca di questa sua identità misteriosa e inafferrabile, che coincide con quell'evangelo misterioso e inafferrabile da cui tutto ha preso inizio e che ha cambiato tutta la sua vita. Io ancora non mi sono ben reso conto di quale conversione mi coinvolge e mi trascina. Paolo adesso parla, cap. 22. Questo discorso di Paolo è importantissimo. Parla, racconta alla gente che è dinanzi a lui, che per il momento si è messa in silenzio, i fatti della sua vita. E’ lui stesso che sta andando a ritroso, che cerca, scava, che sta cercando di rintracciare un filo conduttore: chi sono io? Ne parla.
«Fratelli e padri, ascoltate la mia difesa davanti a voi. Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero silenzio ancora di più. Ed egli continuò: Io sono un Giudeo». Paolo racconta, c'è bisogno di qualcuno che abbia la pazienza di ascoltare. Voi fratelli e padri ascoltatemi ed io mi potrò esprimere, potrò rendermi conto in questo dialogo con voi della mia identità. Paolo racconta: «nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi».
Paolo ha studiato da giovane a Gerusalemme, ha trascorso tanti anni, ha anche parenti a Gerusalemme, la famiglia è molto ramificata, è bene rappresentata anche a Gerusalemme. Fra me e voi una immediata solidarietà, io vi capisco benissimo, voi siete come me.
«Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne, come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani».
A Gerusalemme ci sono ancora molti che ricordano quel che è avvenuto circa 20 anni prima. Molti sanno, conoscono, gli anziani, il sommo sacerdote, il sinedrio. «Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti».
Paolo sta scavando nella memoria, sta ricomponendo l'ordine degli eventi, sta ricostruendo, cerca di capire. E’ il problema del suo discernimento interiore questo e ne parla con quelli che volevano metterlo a morte, ma non hanno potuto, perché oramai Paolo è incatenato direttamente alle dipendenze del magistrato romano. Gerusalemme, Damasco. «Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno», conosciamo l'episodio che ci è stato raccontato al cap. 9. Adesso è Paolo che lo racconta nel cap. 22. Paolo lo racconterà un'altra volta nel cap. 26. Ha bisogno di raccontare lui quello che è successo, ha bisogno di spiegarlo lui a sé stesso come sono andate le cose. Negli Atti il racconto è presente 3 volte, cap. 9 in termini oggettivi, capp. 22 e 26 è Paolo che racconta di nuovo, ha bisogno di riappropriarsi di nuovo dall'interno di quell'evento. Ci rendiamo conto del fatto che quell'evento, che ha avuto luogo sulla strada di Damasco, ancora non costituisce il chiarimento decisivo che Paolo sta cercando.
«All'improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse».
Il Kyrios, colui che io perseguitavo, Gesù di Nazaret. E' il mistero glorioso di Dio che incrocia il cammino della mia vita laddove io sono alle prese con un personaggio rifiutato, maledetto, crocifisso: Gesù di Nazaret. Paolo è caduto a terra, diventa cieco, non riesce più ad orientarsi, non è più in grado di muoversi, se non c'è qualcuno che si prende cura di lui e se lo porta appresso fino a Damasco. Così vanno le cose. A Damasco poi «un certo Anania, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti, venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere!».
Paolo si è reso conto di essere coinvolto in un nuovo intreccio di solidarietà, di fraternità, di comunione. Quell'Anania, che aveva tutto da temere nel rapporto con lui, lo chiama “fratello mio”. E Paolo recupera la vista, man mano si riprende. Anania gli parla, altri gli parlano, il Messia, una parola da ascoltare, una missione da compiere. Tutte queste belle cose. Ma ancora non è il nodo che stringe tutto, come Paolo vorrebbe precisare, ancora non è quell'impatto con l'evangelo da cui per davvero tutto ha preso inizio. Come è avvenuto che la mia vita è cambiata? Come è avvenuto che io sono diventato discepolo del Signore fino ad essere evangelizzatore, apostolo? Come è avvenuto che io sono diventato cristiano? Come è avvenuto che l'evangelo mi ha preso, mi ha segnato, mi ha rigenerato: come è avvenuto questo? Paolo continua a raccontare. C'è la folla che ascolta in silenzio: «Dopo il mio ritorno a Gerusalemme».. Paolo rievoca quello che fu un suo precedente ritorno a Gerusalemme dopo quei fatti. Siamo in una situazione che sembra ricalcare esattamente quella di adesso e viceversa: quella di adesso ricalca quella di allora. Paolo era ritornato più volte a Gerusalemme. «Mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi. Vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me».
Lui gli diceva: esci da Gerusalemme. E' quello che sta succedendo adesso: le porte gli sono state chiuse dietro le spalle.
«E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te; quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano».
Qui il racconto di Paolo si ferma, perché andando indietro, risalito all'episodio di Damasco, dopo essere ritornato a Gerusalemme, in quel momento di preghiera Paolo, è stato riportato a un episodio ancora antecedente: Stefano. Luca ce ne parlava di già nei capp. 6-8. Qui Paolo si ferma ed è folgorato. Sta raccontando a quelli che lo ascoltano e in realtà è proprio debitore nei confronti di questi ascoltatori, perché sono loro che gli consentono di percorrere questo itinerario di discernimento interiore. Sapete che cosa c'è all'inizio della mia conversione? C'è l'incontro con un povero cristo che mi ha amato gratuitamente. Il volto del Messia Paolo non lo ha mai potuto osservare, non lo ha mai incontrato, non l'ha conosciuto nei giorni della sua carne, ma il volto di un povero cristo che mentre pativa un'aggressione così squallida e così sfacciata e così ingiusta, offriva da parte sua la testimonianza di un amore gratuito mediante una benedizione così completa: quello io l'ho incontrato. Un martire, ho incontrato un martire, ho incontrato un testimone, ho incontrato Stefano, mi ha evangelizzato. Paolo si ferma, folgorato, io ho incontrato il volto di un povero cristiano, di un pover'uomo che mi ha amato gratuitamente. Io ero là, quella volta c'ero, ho visto, ho osservato, l'ho scrutato, approvavo. Custodivo i vestiti: ecco tutto ha avuto inizio così. Poi tutto il resto, quello che è avvenuto successivamente. C'è stato un tempo di ebollizione, un tempo di faticosa confusione interiore, c'è stato un tempo di ricerca, poi Damasco, poi quel che è avvenuto dopo: «va' che io manderò lontano tra i pagani». Stefano! Questo è avvenuto ieri, questo avviene oggi per Paolo. All'inizio della mia conversione c'è stato Stefano con la sua testimonianza, con il suo martirio, là dove io sono stato benedetto da lui nel momento in cui collaboravo con tutti quelli che lo aggredivano fino ad ucciderlo. Io sono stato amato. Questa è la radice di tutto, questo è il riferimento evangelico cui Paolo sta tornando, la conversione di ieri e di oggi. Questo è il discernimento radicale che riguarda il senso della mia vita nel suo svolgimento e il senso del servizio cui poi sono stato chiamato, cui mi sono dedicato anche con tanto impegno e fecondità, ma questo… L'atteggiamento di Paolo cambia perché Paolo si rende conto che i suoi propositi di realizzare un grande progetto pastorale, i suoi propositi di salire a Gerusalemme per essere martire nel nome di Gesù, sono fallaci, sono ancora segni di immaturità, sono ancora delle divagazioni. Il fatto è che io sono cristiano perché qualcuno mi ha amato gratuitamente e io non ho altra testimonianza da rendere se non la fecondità di una presenza che sia capace di un amore gratuito.
Paolo si ferma. L'atteggiamento è cambiato. Come si spiega questo cambiamento? Quando Paolo dice: io vado a Gerusalemme per morire, è pronto a tutto, non è un fanfarone qualunque. E' veramente pronto morire. Anche Pietro, quando nel racconto evangelico dice: io per te sono pronto a morire. Pietro è sincero, soltanto che le cose non vanno così come Pietro aveva prospettato. Non perché Pietro è un imbroglione, ma perché il Signore è diverso da come io me l'ero prefigurato. E quando Pietro si accorge di avere a che fare con un Gesù che si comporta in quel modo, rimane esterrefatto, sbaragliato, si tira indietro.
Sono stato gratuitamente amato, sono stato accolto là dove io rifiutavo, sono stato cercato, desiderato, benedetto là dove io non ne volevo sapere, anzi ero sprezzante e violento. Sono stato gratuitamente amato. Nemmeno me ne sono reso conto subito, me ne accorgo adesso, quanto tempo è passato! Adesso però so che sono cristiano, che sono impegnato in un cammino di vita nuova, so che il discernimento radicale, quello che mi conduce alla radice di questa vita nuova, l'evangelo, sta in quel dono di amore che io ho ricevuto gratuitamente, quando non solo non me lo meritavo, ma nemmeno ci pensavo e nemmeno sono stato in grado di recepirlo, quando mi è stato donato. L'ho rifiutato, eppure là sono stato evangelizzato, là sono stato generato, là ha avuto inizio tutto: sono stato gratuitamente amato.
cittadino romano
Qui Paolo si accorge di essere un po' ridicolo, si accorge che tutti i suoi propositi sono fasulli. v. 22: «Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma allora alzarono la voce gridando: Toglilo di mezzo; non deve più vivere!».
La gente non ne può più. «E poiché continuavano a urlare, a gettar via i mantelli e a lanciar polvere in aria, il tribuno ordinò di portarlo nella fortezza, prescrivendo di interrogarlo a colpi di flagello al fine di sapere per quale motivo gli gridavano contro in tal modo».
Un metodo di indagine giudiziaria piuttosto sollecito, a colpi di flagello, così ci spiega perché quelli gridano. Ma cosa ne sa lui perché quelli gridano? La flagellazione significa che se uno non muore nel contesto dell'indagine, ne esce fuori comunque sciancato per la vita. Non è diventato martire perché la folla non ha più potuto schiacciarlo, ma diventerà martire adesso, in seguito alla flagellazione. «Ma quando l'ebbero legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che gli stava accanto.. Potete voi flagellare un cittadino romano, non ancora giudicato? Udito ciò, il centurione corse a riferire al tribuno.. Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: Dimmi, tu sei cittadino romano? Rispose: Sì. Replicò il tribuno: Io questa cittadinanza l'ho acquistata a caro prezzo. Paolo disse: Io, invece, lo sono di nascita!».
Perché Paolo fa così? E' chiaro che aderisce alla logica di una vita cristiana che sta maturando nell'esperienza dell'evangelo. Appena qualche ora prima Paolo era convinto che doveva morire, è arrivato il momento. E ora dice: giù le mani perché sono cittadino romano! Paolo si è reso conto che la strada è un'altra, non è quella che lui si era immaginato e che pure aveva elaborato con tanta generosità e anche con tanta sapienza. Io sono cristiano dal momento che sono stato amato gratuitamente e non c'è altro martirio con il quale io posso offrire il gesto corrispondente alla mia vocazione cristiana, non c'è altra testimonianza che questa: quando e come potrò mai essere testimone di un amore gratuito, quando e come sarò in grado di benedire quelli che mi aggrediscono, che mi stringono,che mi rifiutano, quando e come potrò accogliere il mondo che mi casca addosso?
Paolo si rende conto di essere impegnato adesso in un cammino di conversione. «E subito si allontanarono da lui quelli che dovevano interrogarlo.. Anche il tribuno ebbe paura, rendendosi conto che Paolo era cittadino romano e che lui lo aveva messo in catene».
Cap.23, il giorno seguente Paolo è convocato nel sinedrio, il tribuno vuole capirci qualche cosa. Nel sinedrio Paolo viene interrogato e assume un atteggiamento molto astuto, difensivo. Paolo approfitta della sua appartenenza al partito dei farisei per suscitare un conflitto all'interno del sinedrio tra il partito dei farisei e quello dei sadducei, in modo tale che lui riesce a svicolare, a spostare la questione, a moltiplicare le incertezze, gli interrogativi, le incomprensioni. Il tribuno è sempre più nei pasticci.
Nel frattempo ci sono 40 congiurati che hanno giurato di uccidere Paolo. Le cose vanno in modo tale che sembrerebbe impossibile per Paolo non morire, e invece Paolo fa di tutto per evitarlo, perché il suo cammino è un altro, è il cammino della conversione che radica una persona con la sua storia in quella misteriosa novità che è l'evangelo del Signore, che è la novità di un amore gratuito che entra nella storia degli uomini e che accoglie e benedice. E Paolo si rende conto che a riguardo di queste cose lui è ancora un apprendista. Che martire può mai essere, quale testimone, se ancora lui si rende conto di essere così sguarnito, così impreparato, così insufficiente, così sterile nella obbedienza a quella novità evangelica per cui l'amore gratuito di Dio è entrato nella storia degli uomini?
40 congiurati hanno detto che non mangeranno e non berranno più finché non avranno ucciso Paolo. C'è un nipote di Paolo, figlio di una sua sorella, si trova a Gerusalemme, è informato di questa cosa e va da Paolo e gli dice: zio, guarda che succede questo e quest'altro. Allora Paolo dice: questa cosa valla a dire al tribuno. Che bisogno c'era? Il tribuno non ne può più, troppe gatte da pelare, lui deve fare carriera, ha altro da pensare: cose serie ed importanti e decisive per la sorte dell'umanità.
«Fece poi chiamare due dei centurioni e disse: Preparate duecento soldati per andare a Cesarea insieme con settanta cavalieri e duecento lancieri, tre ore dopo il tramonto»
Prepara una spedizione che coinvolge niente meno che 470 soldati, di cui 70 cavalieri, dunque un esercito intero viene mobilitato allo scopo di trasferire Paolo da Gerusalemme a Cesarea, che è il viaggio esattamente opposto a quello che Paolo aveva compiuto. La salita a Gerusalemme e adesso è la discesa da Gerusalemme a Cesarea. Un fallimento più squallido di così, più inglorioso di così! Eppure il racconto adesso ci spiega che mai come in quel momento Paolo si è reso conto di essere in comunione con il Signore. Schieramento militare, sono pronte anche delle cavalcature: «fatevi montare Paolo, perché sia condotto sano e salvo dal governatore Felice».
Aggiunge una lettera in cui dice le cose a modo suo, perché vuole fare bella figura con il suo superiore. Paolo condotto da Gerusalemme a Cesarea, caricato su una cavalcatura. Questa è l'unica volta che si parla di una cavalcatura nella storia di Paolo. Noi siamo abituati a pensare la conversione di Paolo come una caduta da cavallo. Non c'è nessun cavallo nel racconto del suo viaggio sulla via di Damasco! Neanche un mulo, neanche un somaro, non c'è nessuna cavalcatura. L'unica cavalcatura è questa e non è una cavalcatura da cui Paolo cade, ma è una cavalcatura su cui viene caricato per essere trasportato da Gerusalemme a Cesarea. Questo è il viaggio della conversione di Paolo. Notate bene che qui il termine cavalcatura è ktenos, e il verbo far montare, caricare è epibibazo. Questi due termini, sostantivo e verbo, compaiono nella parabola del samaritano (Lc 10): un tale scendeva da Gerusalemme a Gerico, incappò nei briganti, restò mezzo morto lungo la strada, passa questo, passa quello, passa un samaritano lo carica sulla cavalcatura e se lo porta dietro. Quel tale è Paolo. Passa il samaritano, lo carica sulla cavalcatura, lo porta in un locanda, cura le ferite, paga il prezzo, dice: vado e poi ritorno. Tutti scendevano, l'unico che sale a Gerusalemme è quel samaritano, è Gesù, è Lui. Paolo adesso incontra Gesù, lo incontra nella carne e nel sangue della sua storia, di uomo, di giudeo, di cristiano alle prese con l'urgenza di una conversione che lo riporta alla radicalità dell'evangelo. Senza orpelli e senza scenografie e senza programmazioni pastorali e senza nemmeno la pretesa di una canonizzazione ecclesiastica. Mai come adesso Paolo sta vicino a Gesù. Quel termine ktenos, lo ritroviamo, con una piccola trasformazione, nel racconto evangelico di Luca, e ritroviamo il verbo corrispondente epibibazo, nel cap. 19 dove Luca ci racconta l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. Ricordate? Qui c'è una cavalcatura e Gesù è caricato sulla cavalcatura. Questa volta è Gesù che entra a Gerusalemme e là dove entra a Gerusalemme montando quella cavalcatura, là quel tale raccattato lungo la strada è intronizzato con lui, sale con lui. Dove entra lui su quella cavalcatura, entra quel tale: Paolo. I fatti dicono che sta scendendo da Gerusalemme a Cesarea, nella parabola quel tale scendeva da Gerusalemme a Gerico, ma nella realtà della sua vita questa è la svolta decisiva nel cammino di una conversione che riporta un cristiano alla radicalità del vangelo. In 23,11 leggiamo così: «La notte seguente gli venne accanto il Signore.. e gli disse: Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma».
Questo viaggio di Paolo da Gerusalemme a Cesarea è già inserito nella prospettiva di una comunità missionaria senza limiti. Mai come adesso Paolo è stato vicino a Gesù, mai come adesso Paolo si rende conto di essere inserito in una prospettiva di crescita missionaria per l'evangelizzazione dei popoli. Eppure, stando all'oggettività dei fatti, è un uomo in catene, viene sistemato a Cesarea, il procuratore anche lui ha altri pensieri per la testa. Resterà a Cesarea per qualche anno. Perde tempo, in catene, in una cella, dialogando con questo e con quello. Ecco, è la storia di un cristiano che si ritrova a percorrere l'itinerario di colui che è disceso fino in fondo all'abisso della condizione umana per accogliere nella inesauribile capienza del suo cuore tutta la storia umana. Il mistero di un dono di amore oramai è presente, rivelato ed è all'opera nella storia degli uomini: è l'evangelo del Signore che è morto ed è risorto per noi e noi ne siamo testimoni. Paolo ha ricevuto la testimonianza, adesso sta cominciando a mettere meglio a fuoco qual è la prospettiva missionaria della testimonianza che anch'egli potrà rendere nella gratuità dell'amore.