27 maggio 2017
Settimo incontro del ciclo 2016-2017
Nel documento diffuso prima della convocazione del primo incontro abbiamo ricordato come “l’esodo di centinaia di migliaia di persone e famiglie che fuggono dalle guerre, da regimi integralisti e autoritari, dalla fame e dal degrado umano ci rivela in modo drammatico l’ingiustizia di questo mondo”.
L’esodo – anche in questi giorni - continua. Continuano la drammaticità delle condizioni nelle quali avviene e continuano le condizioni di precarietà e povertà di migranti, profughi e rifugiati legate alle paure e ai muri che si alzano dinanzi a loro nella nostra civilissima Europa e non solo.
Oggetto della riflessione di questo incontro sarà:
Verificare insieme su come il cammino di discernimento spirituale comunitario ha alimentato la ricerca di risposte alle domande che ci siamo posti all’inizio del nostro percorso.
Come possiamo noi - migranti nella chiesa in uscita – mettere a frutto il nostro percorso di discernimento spirituale sul tema-guida di quest’anno?
Quali risposte possiamo dare alle domande che ci siamo fatte nei sei incontri precedenti? Come dare seguito, personale e comunitario, a questo cammino?
Per facilitare questo non facile compito riportiamo qui, in sintesi, le domande che ogni “grappolo” di temi di ciascun incontro ci ha proposto:
1° incontro: L’altro bussa alla nostra porta. Un segno dei tempi? – La dimensione spirituale ed ecclesiale
(Introduzione: Franco Passuello)
Fino a che punto ci lasciamo interpellare da questa umanità sofferente che bussa alla nostra porta? Che senso diamo alla loro inaudita sofferenza?
Uno sguardo spirituale ci permette di comprendere che questo esodo di milioni di esseri umani è un luogo teologico. Un luogo dove il Padre vede e giudica l’iniquità delle sue creature e chiama, ancora e sempre, il suo popolo e tutte le donne e gli uomini di buona volontà a riconoscere il suo giudizio e a coadiuvare la sua azione salvifica. Fino a che punto sentiamo che la nostra risposta a questa chiamata può davvero contribuire a trasformare questa realtà sconvolgente in un segno dei tempi?
Fino a che punto sentiamo che in questo tempo oscuro il Tempo nuovo si sta preparando proprio dentro l’aspro affiorare di una dinamica escatologica che sta attraversando la storia?
2° incontro: La nostra società alla prova dell’irruzione dello “straniero” – La dimensione etica e sociale
(Introduzione: Soana Tortora)
Quello che stiamo facendo nei confronti delle migrazioni forzate è davvero in linea con i valori fondamentali indicati nella I parte della nostra Costituzione?
Esiste ancora, oggi, una religione civile che orienta vasti settori dei dirigenti politici e degli intellettuali e rende coesa un’ampia maggioranza di italiani?
L’Italia è la nazione che sta dando la risposta meno inadeguata all’esodo dei disperati: sono decine di migliaia le persone salvate dal naufragio, accogliamo più rifugiati, siamo tra quanti cercano di spingere l’Europa a cambiare la propria indecente politica. Questo però ci dà anche la misura della situazione in cui versa oggi l’Unione. Fino a che punto noi siamo consapevoli di queste luci e di queste ombre?
Che senso spirituale diamo a questa situazione?
A cosa ci chiama, personalmente e come comunità, il Signore?
Consapevoli dei nostri limiti, cosa possiamo fare per impegnarci nella Chiesa, nella società, nella politica per dare il nostro contributo a superare fraintendimenti, resistenze e ritardi che frenano una risposta più adeguata?
3° incontro: Identità, multiculturalità, interculturalità – La dimensione antropologico-culturale
(Introduzione: Francesco Giordani)
Una delle motivazioni diffuse che ispirano rifiuto e xenofobia si fonda sulla affermazione che l’“invasione islamica” e comunque di altre etnie e altre culture minerebbe alle radici l’identità del nostro popolo, la religione cattolica, i valori della “civiltà occidentale”. “Non vogliamo morire islamici” si grida a gran voce. Quanto di fondato e quanto di ideologico e in mala fede c’è in queste posizioni? Tra i cattolici, soprattutto.
L’altro, ogni altro, è parola vivente di Dio, sua creatura. Anche quando non riconosce, smarrisce, rifiuta il senso della sua dignità creaturale. Ecco perché noi cristiani non possiamo limitarci ad una qualche forma di tolleranza che lascia l’altro separato nella propria identità culturale e religiosa. Contrastare il rifiuto e praticare l’accoglienza, per noi cristiani, è essenziale. Ma non basta. Fino a che punto ne siamo consapevoli?
Fino a che punto ci sentiamo chiamati ad avere verso tutti un amore incondizionato, testimonianza dell’amore misericordioso del Padre? È giusto ricordarlo mentre si è appena concluso l’Anno Santo della misericordia.
Fino a che punto siamo convinti che per noi cristiani non c’è altra strada che vivere l’altro e la sua cultura come opportunità di reciproco riconoscimento e arricchimento, di fraternità?
Ci sentiamo disponibili a dare il nostro contributo, per quanto ci è dato, alla fatica perseverante di un riconoscimento reciproco e di un rinnovato patto di convivenza civile possono creare una interazione giusta e duratura?
Siamo convinti che la via maestra verso una convivenza civile e sostenibile sta nel promuovere un dialogo sociale orientato a raggiungere una convivialità delle differenze e che sia capace di generare esempi di reale integrazione nella vita quotidiana delle comunità locali?
4° Incontro: L’impatto sulle nostre società in crisi – La dimensione strutturale
(Introduzione: Roberto Giordani)
L’accusa agli immigrati di “rubare” - dentro una situazione di crisi molto dura - il lavoro, la casa, l’assistenza agli italiani, di ricevere sostegni che gli italiani non hanno, è molto diffusa e alimenta posizioni di paura e di rifiuto nei loro confronti. È un’accusa che si innesta su un generale senso di insicurezza ma che rivela la presenza di un senso comune egoistico, un sostanziale disprezzo verso la vita degli altri, verso i più elementari diritti umani: “mors tua vita mea”. È un sentire in evidente contraddizione con il Vangelo eppure coltivato anche da molti che si ritengono cristiani. Si può condividere con gli altri solo il superfluo?
Siamo sicuri che una versione morbida di quell’egoismo non sia anche nostra? Un sentire del quale siamo inconsapevoli o al quale non cediamo perché lo sappiamo eticamente e spiritualmente scorretto ma che non ci preoccupiamo di sradicare dal nostro cuore?
Per quel che riguarda il lavoro: è vero o no che gli immigrati fanno, generalmente, lavori faticosi ed umili, scarsamente remunerati e spesso in condizioni di vero lavoro schiavo?
Per quel che riguarda la previdenza, è vero o falso che l’apporto contributivo del lavoro regolare degli immigrati contribuisce a tenere in equilibrio i conti della previdenza, avendo presente che la maggior parte di loro non maturerà mai l’accesso alle prestazioni pensionistiche?
In campo socio-assistenziale, è vero o falso che senza l’apporto di centinaia di migliaia di donne e uomini che svolgono il delicato lavoro di badanti, spesso in condizioni di precarietà, un equivalente numero di anziani resterebbe privo di assistenza?
Per quanto riguarda la casa, è vero o falso che gli immigrati regolari fanno spesso fatica a farsi affittare una casa e che, generalmente, affittano case a basso costo e in stato di degrado nelle periferie più degradate?
È noto, comunque, che su tali questioni esiste uno scarto tra percezione e realtà. Come si può contrastare questa percezione esagerata e deformata?
E come si possono affrontare i problemi reali di riconoscimento reciproco, di convivenza civile, di giustizia che stanno alla base di questa percezione?
5° Incontro: Una prova difficile per una democrazia estenuata – La dimensione politica
(Introduzione: Giulio Cascino)
Discernere il senso del grande esodo nella luce del Mistero Pasquale, ci fa percepire con ancora maggiore urgenza il problema di un suo più adeguato governo politico. In una società già in grave crisi di coesione, accoglienza e inserimento degli immigrati hanno bisogno di politiche giuste e coraggiose che però non possono giungere a creare ulteriori lacerazioni in una società già in grave crisi di coesione. Servono politiche che siano, allo stesso tempo, eticamente giuste e socialmente sostenibili. […] In quanto cristiani, d’altra parte, non possiamo sottrarci dal testimoniare, nei confronti di tutti, un orientamento concreto e generoso alla fraternità, all’accoglienza, alla condivisione. Questo, però, non basta: ci è chiesto di operare perché la società e la politica siano sempre più fondate su questo orientamento. Il nostro cammino spirituale può avere, tra i suoi obiettivi, quello di farci condividere e realizzare – per quanto possibile - questo modo di pensare e fare politica. Il tema della politica non può comunque essere estraneo al nostro discernimento comunitario. Riusciamo a condividere, tra noi, il senso della politica visto nella luce del Mistero Pasquale?
La politica è davvero per noi una espressione esigente della carità, una nostra assunzione di responsabilità per contribuire ad “ordinare le cose del mondo secondo Dio”, ad aprire le vie al suo disegno di salvezza?
Fino a che punto, anche alla luce della “Laudato si’”, facciamo politica e la pensiamo come arte del prendersi cura di tutta la creazione?
Cosa vuol dire, se davvero sentiamo nostro questo senso spirituale della politica, agire di conseguenza?
6° Incontro: Nuovo ordine mondiale: solo un sogno? – La dimensione internazionale
(Introduzione: Paola Villa)
In tanti ripetono che la questione dei flussi migratori è una questione internazionale e quindi solo a quel livello può essere seriamente affrontata. L’affermazione, in sé, sarebbe giusta: le cause di questo dramma sono note e sono globali: sviluppo ingiusto, avidità delle multinazionali del petrolio, conflitti geopolitici, conflitti infra/intra-religiosi, terrorismo diffuso, disastri ambientali…
È giusta ma non è realistica. L’Europa […]. Le Nazioni Unite […]. Nella guerra di Siria il Consiglio di sicurezza non riesce neppure ad ottenere un cessate il fuoco umanitario e l’UNHCR riesce solo ad allestire immensi campi profughi e i suoi convogli vengono bombardati mentre cercano di portare aiuti umanitari alle popolazioni decimate e stremate. Discernere vuol dire guardare in faccia la realtà: un mondo sempre più diviso tra ricchi e poveri, tra potenti e impotenti e dove i più forti la fanno da padroni, un mondo dove la follia della “terza guerra mondiale a pezzi” sta distruggendo le ragioni di una convivenza pacifica, continuerà ad alimentare l’esodo di vaste popolazioni e impedirà di affrontare seriamente i drammi che ne derivano. Come sembra lontana l’idea di una “civiltà dell’amore”, di un “nuovo ordine internazionale democratico” che, dopo la caduta del Muro di Berlino abbiamo sperato pacifico, giusto, sostenibile.
La consapevolezza di questa grave sconfitta, però, non può paralizzarci. Non ci si può rassegnare a quest’ordine violento e insostenibile: farlo, per noi cristiani, sarebbe una grave infedeltà alla nostra vocazione. Un nuovo ordine di pace può nascere soltanto se saranno i popoli a volerlo e se alla democrazia saranno restituiti la dignità e i poteri reali che oggi gli sono stati in gran parte espropriati. Possiamo cogliere qui, più in profondità, il senso del tema che abbiamo scelto per il nostro discernimento: questa fuga di milioni di uomini dalla violenza, dall’ingiustizia, dalla guerra giudica l’iniquità insostenibile di questo tempo e ci chiede di essere interpretata e vissuta come un Segno dei tempi. Fino a che punto siamo consapevoli che proprio dentro questo sconvolgimento si sta instaurando lo shalom biblico, che è possibile intravvedere, «la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2)?
Che renderci disponibili a questo Segno ci chiede umiltà e piccolezza?
Che questo fare i conti con i nostri limiti è il passaggio obbligato per una conversione al Vangelo che sveli a noi stessi - per l’azione dello Spirito che ci abita - la nostra dignità di figli di Dio?