Incontro 14 marzo 20091
Riccardo Chieppa
Il punto di partenza è duplice: il primoè l’anniversario dei cento anni dalla nascita di Giuseppe Lazzati, luminoso esempio di laico, con una profonda fede cristiana, dedicatosi con fervore – in ogni occasione, anche durante la permanenza nei campi di prigionia nazisti - nella diffusione della cultura e della coscienza politica. Nello stesso tempo Egli è stato sempre testimone fedele di questo impegno nella partecipazione attiva nell’Università, nella società civile con un notevole apporto (con sacrificio personale, perché restio all’inizio) anche nella azione politica, intesa come servizio2.
Il secondopunto di partenza è la constatata urgenza di un risveglio della coscienza politica, soffocata dalla perdita dei valori e dei principi dell’onesto vivere nella condotta pubblica (questo è un aspetto, su cui Lazzati ha sempre insistito) e la conclamata esigenza di una ripresa di quella coscienza politica nella comunità italiana, che si sta indebolendo e corre il rischio di spegnersi in una tendenza a delegare o a concentrare in pochi le scelte e l’esercizio del potere.
In questo momento, il ricordo e il richiamo all’azione e al pensiero di Giuseppe Lazzati assolve anche all’esigenza di percorrere con la memoria (in comunione con il suo pensiero) il passato, soprattutto di chi ha lottato e sofferto per il bene e la giustizia ed insieme il pensiero di chi in tempi precedenti (che tendiamo sempre a dimenticare) ha dato testimonianza con le parole, accompagnate sempre da coerenza nell’operare 3, conforme alla sua fede di cristiano, alimentata continuamente dalla riflessione sui valori religiosi – lo vediamo così anche nel periodo dei campi di prigionia in Germania – ed accompagnata sempre dalla preghiera e dalla meditazione.
Lazzati è stato fermo nella fedeltà alla Chiesa gerarchica e sul rapporto con il trascendente, pur con l’attenzione al “mondo” (lo chiamava il temporale) nella esclusiva esigenza del “bene comune”, assertore convinto dell’autonomia dei laici su questo ultimo campo.
Il pensiero di Lazzati nella Città dell’uomo (in realtà la città a misura dell’uomo) a proposito del laico cristiano, chiesa e società civile è stato così sintetizzato in una delle presentazioni:
Il portato religioso ispira dall’interno l’agire autonomo e razionale dell’individuo e proprio in questo “ordinare le cose secondo Dio” si compie la spiritualità laicale.
L’azione del laico cristiano nella storia è una virtuosa medietas tra due tentazioni: da una parte la separazione radicale del mondo della fede da quello del vivere quotidiano (il cosiddetto laicismo), dall’altra un’imposizione forzata del religioso su ogni ambito dell’esistenza (il cosiddetto clericalismo). Dunque il compito non è quello di costruire uno stato cristiano, né di fuggire la politica come gli epicurei, piuttosto si tratta di farsi sale e lievitodell’umanità.
Tentare la realizzazione del massimo bene comune concretamente possibile significa per il laico cristiano portare la Chiesa nel mondo, l’umile testimonianza di una vita ardente di Carità è già evangelizzazione. Infatti il senso spirituale della Caritàè inscindibile dalla carità stessa e un’agire caritatevole rimanda immediatamente alla sua fonte profonda.
Questo è un aspetto rilevante del pensiero di Lazzati nell’interpretare la “carità” soprattutto anche come rispetto degli altri: Egli insiste molto sul dialogo e sulla mediazione, che vanno svolte senza abdicare ai punti fermi, ma cercandodi ottenere in ogni momento - questo è un dovere del laico cristiano impegnato anche in politica - il consenso da parte degli altri.
Insieme e ripetutamente Egli afferma che dialogo e mediazione devono essere accompagnati da preparazione, perché per la mediazione e il dialogo bisogna essere preparati.
Lazzati lamenta molte volte che i cristiani laici, nella maggior parte dei casi non sono preparati e non sono stati preparati, con un rimprovero indiretto, per un dato momento, anche alla gerarchia ecclesiale, riferito soprattutto al periodo risalente – e lo vediamo questo ecco perché lui nato nel 1909 ha vissuto poi praticamente la sua fase principale di formazione nel periodo tra il ‘1921-1930 quindi aveva vissuto dall’esterno quello che era l’avvento del fascismo e la situazione di emergenza a differenza di Dossetti, grande suo amico, che aveva subito in proprio, fino alla perquisizione nella sua casa negli anni ’31 quel tentativo del fascismo di sovrastare sull’Azione cattolica, lo scioglimento dei circoli.
Lazzati invece – lui confessa nell’intervista che Pietro Scoppola insieme con Leopoldo Elia aveva fatto quando gli era stato richiesto da Scoppola ma negli ambienti cattolici che avete frequentato negli anni dell’Università c’era una consapevolezza della tradizione storica del cattolicismo italiano, del cattolicesimo liberale della democrazia cristiana di Murri, del Partito Popolare o era cancellata dalla memoria?- risponde all’Università niente, qualche cosa di più all’associazione San Stanislao,… dove c’era stata la presenza di Filippo Meda. esponente del movimento cattolico milanese poi del partito popolare. E quindi è stata proprio “una frattura” osservava Scoppola: questa generazione a cavallo tra l’Italia liberale e l’Italia fascista anche nell’ambito della formazione del cittadino ed in ambiente cattolico aveva risentito di un certo disinteresse per questo aspetto.
Lazzati insiste tanto, in molti scritti, su questa mancanza della preparazione, malgrado l’esigenza che, per poter svolgere anche un’azione di carattere politico, occorre essere preparati. Lui cita un discorso di un parroco: non basta essere cristiano credente per potere poi, con serietà ed impegno, dedicarsi ad una azione di carattere sociale, occorre anche essere competente in quel determinato settore e di qui la necessità, come premura del cattolico, che si voglia dedicare ad un’azione di carattere sociale o anche politica, di essere preparato.
Ora tornando alla città dell’uomo e al nostro Paese e “alla situazione che origina la nostra pressione e ne reclama l’urgenza:“ si tratta, di individuare la ragione dei diffusi sintomi di disaffezione, di indifferenza e di dispregio per la politica di cui si parlava”4.
Sul piano politico, Lui aggiunge, si ha la sensazione di assistere ad un processo di irreversibile declino-emarginazione della tradizione cattolica-democratica.
Si tende a lasciare in un dissolvente oblio quello che hanno fatto gli altri prima e la loro esperienza.
In realtà quella tradizione cattolica-democratica era “fatta da equilibrio, lungimiranza, di magnanimità, (è la classica virtù cristiana della prudenza, ispirata ad una antropologia consapevole del misterioso impatto di grandezza e di povertà che è proprio dell’uomo). Una tradizione culturale che tanto ha dato in tempi lontani e recentemente, dalla resistenza e dalla costituente in poi, allo sviluppo della democrazia del nostro paese”.
Non c’è dubbio, dice, i cattolici sono minoranza nel Paese. E lui collega questo - sono parole che quanto mai rivelano l’alto senso critico e una lungimiranza di quel declino odierno dell’impegno dei cattolici nella vita sociale - con la scarsa o del tutto insufficiente chiarezza che, nella coscienza di noi cristiani o di buona parte di noi, ha il “fare politica” nella sua accezione piena. Che di tale scarsa, o del tutto insufficiente, coscienza di carattere politico abbia parte di responsabilità il tipo di formazione data al cristiano, al fedele laico cristiano: sono queste ancora parole di Lazzati convinto e persuaso lo ripete più volte.
Questa formazione sarebbe invece volta all’aspetto del fedele laico interno alla Chiesa e all’apporto che egli da laico può dare e deve dare alla sua edificazione, piuttosto che nel profilo, che lo vede responsabile della “città dell’Uomo” nella quale abita, alla cui costruzione deve dare il proprio apporto.
Quindi il problema è quello di una crescita della coscienza politica di tutta la comunità cristiana, per comprendere profondamente il significato di una presenza politica dei cristiani, nell’unità dei distinti, senza perdita alcuna d’identità e articolata nelle forme suggerite dalla mediazione politica e da farsi – con le parole di Paolo VI – in una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri. ”
E questo della coscienza politica, fare politica, è considerato uno degli aspetti - anche se Lui rifugge, all’inizio, di entrarvi – tra i più alti, se non il più alto delle attività umane,
Occorre porre in primo piano l’uomo, quale promotore e fine della città che si vuole costruire, superando la “marcata nota di pragmatismo che accomuna” le molteplici proposte politiche che tengono il campo, e rischiano di fare mancare “una seria riflessione sui fini della politica, sia considerata in ordine a valori permanenti dell’uomo visto nella sua qualità di uomo e di uomo appartenente a una città, dunque di cittadino, sia in ordine ai valori che, per l’uomo, emergono nel momento storico in cui l’azione politica è pensata e attuata”.
L’azione politica non può essere così impoverita chiudendola negli stretti confini di una specie di pronto soccorso o rapsodico pragmatismo, facendola con l’esasperato pragmatismo, priva di un progetto che tenga conto di un ineliminabile passato (terreno su cui costruire e materiali a disposizione)) e cogliendo i segni non immaginari di anticipazione del futuro (esigenze).
Il richiamo al difetto di progetto e al pragmatismo, che sovrasta ogni ideologia, fa riemergere l’idea critica di Lazzati, agli inizi, verso Alcide De Gasperi, poi rettificata nel senso che quel pragmatismo di De Gasperi è servito soprattutto a salvare l’Italia dal rischio di una dittatura dell’estrema sinistra. La condotta, infatti, prudente e ferma di De Gasperi è stata quella che ha salvato l’Italia su quei valori dell’occidente, anche se ora noi avvertiamo, in questo atteggiamento di Lazzati, una sorta di divaricazione sul pensiero politico di quel momento, in quanto era contrario al Patto atlantico, ma insieme fermo assertore di un’Europa unita e di un europeismo fatto proprio sull’elemento della tradizione e sulla necessità di una unione europea, sognata in realtà con grande lungimiranza nel pensiero degasperiano.
Questi profili di critica e poi di ripensamento critico (questi ultimi emergono, in particolare. nell’ultimo colloquio-intervista (con Scopola ed Elia) risentono probabilmente da quella differenza ideologica tra i dossettiani e la tradizione politica che derivava dal popolarismo prefascista, ma poi, con grande lealtà e senso critico, avverte che in fin dei conti il metodo della mediazione e del dialogo di De Gasperi aveva probabilmente il merito della salvezza della democrazia e della tradizione sul valori dell’uomo
Lazzati era contrario al Patto atlantico principalmente perché lamentava il rischio che si introducessero quegli aspetti non positivi della cultura americana, - e poi non ha avuto torto -, a cominciare dal consumismo e la perdita di molti valori.
Una conferma di alcune preoccupazioni può essere tratta da quello che è avvenuto poi in Polonia, con l’apertura al mondo nordamericano.
In realtà, nel Patto atlantico l’aspetto principale era quello della difesa dall’espansionismo sovietico verso l’Europa, che però ha indubbiamente ha trascinato, con la presenza di americani in Europa e la diffusione di una certa cultura e prodotti (film, media, rappresentazioni di vita, moda ecc) una contaminazione di tradizionali valori sociali e della dignità dell’uomo.
Lazzati era un uomo essenzialmente critico pronto a riconoscere i propri errori e questo è la differenza rispetto alla maggior parte degli uomini politici attuali: prendono un binario e anche se c’è uno ostacolo serio, proseguono senza curarsi di una soluzione accettabile, perché non ammettono possibilità di ripensamenti e vanno avanti anche se il binario è finito.
Lui percepiva un alto livello della politica, congiunta però a “premesse culturali”, intese come un momento culturale, che non deve limitarsi a precedere l’azione politica , ma deve accompagnare di continuo, fedele al metodo, che gli è proprio, nelle forme più adatte e efficaci, secondo i tempi e i luoghi, l’azione nel suo svilupparsi. Lazzati insiste di continuo su questo ed abbandona la politica proprio vedendo alcuni degradi derivanti dalla mancata attenzione all’esigenza di preparare, di educare e di formare i cittadini.
Probabilmente alcuni rilevanti guasti della società attuale sono connessi al fatto che non abbiamo molto badato alla formazione dell’uomo. Non a caso nelle scuole quelli che potevano essere gli elementi di educazione civica: quindi l’aspetto della polis, l’aspetto del bene comune, man mano è stato abbandonato.
Poi ci lamentiamo se i giovani non rispettano, non dico il rispetto formale, ma la stessa esistenza della poliscittà, che deve essere considerata comune a tutti e che dipende molto dall’esigenza di conoscenza ed osservanza di certe regole, del rispetto degli altri e soprattutto degli impegni di carattere comune, che appartengono a tutti: quindi il problema riguarda il bene di tutti o “bene comune”, come bene non di questo o quel cittadino o gruppo sociale, persona o gruppo (aggiungo corporativo, sindacale o partitico).
Lazzati si richiama alle parole di Paolo VI : non spetta né allo Stato né ai partiti politici, che sarebbero chiusi su se stessi - a parte che ora i partiti politici non esistono forse nella vera concezione che aveva Mortati – di tentare di imporre una ideologia, con mezzi che sboccherebbero nella dittatura degli spiriti, la peggiore di tutti.
E’ compito dei raggruppamenti culturali e religiosi, - ecco il laicato, le associazioni laicali e anche di carattere religioso - nella libertà di adesione che essi presuppongono di sviluppare nel corpo sociale in maniera disinteressata, per le vie loro proprie, queste convinzioni ultime sulla natura, l’origine e la fine dell’uomo e della società.
Questo ci deve anche indurre, forse ad alcune forme limitate di autocritica su certi comportamenti o atteggiamenti aggressivi, che si sono avuto anche su limitati aspetti del problema del fine della vita.
Non è questa la determinazione ultima della azione politica nel nostro sistema democratico rappresentativo, saranno invece i partiti a proporli volti come sono, come dovrebbe essere al perseguimento del bene comune e quanto più possibile condiviso.
Purtroppo questo non avviene, e ciò concorre in modo rilevante ad una crescente disaffezione dei cittadini per i partiti e ad una disistima per la politica.
E qui si ritorna ancora sul bene comune e sull’etica. Ma il degrado morale che si nota nel complesso della vita pubblica, - descritto nel 1984 e che ora sarebbero delle parole di un eufemismo compassionevole - nessun settore escluso è certo conseguenza anche di questa perdita di coscienza del rapporto tra valori morali e città dell’uomo, tra responsabilità personale fondata su questi valori,: Lazzati, insiste molto sulla responsabilità personale di ciascuno, che fa parte di questa collettività, di questa comunità che è la città dell’uomo, e saldezza della medesima città, che è dire della vita che in essa si sviluppa o che degrada in relazione a detti rapporti.
Lazzati accenna al problema fiscale, affermando che l’onesta fiscale è dovere preciso del cittadino che non può certo farsi giustizia da sé, ove gli sembri che il peso non corrisponda alle sue possibilità. Vediamo che alcuni ora quasi si vantano e giustificano l’evasione fiscale.
Questi due aspetti debbono essere risolti – secondo Lazzati - con una partecipazione attiva e onesta, attraverso una scelta oculata di perone e partiti destinati ad operare per una vera giustizia fiscale, ed insieme compiendo ciascuno il proprio dovere per il bene comune.
Un altro profilo, assai significativo nelle convinzioni di Lazzati, è che la disoccupazione deve preoccupare molto il cristiano impegnato, dovendo valutare ciò che significa per una persona la perdita del lavoro.
Lazzati insiste molto sull’aspetto antropologico del rapporto chiesa-mondo-fedele laico e sull’autonomia delle realtà terrene, rimanendo in questo senso critico: il fedele laico, che sa di essere tale grazie alla funzione ministeriale della Chiesa (perciò è fedele), si farà attento agli insegnamenti, alle indicazioni che, di tempo in tempo, secondo le circostanze lo richiedano, la chiesa nelle sue espressioni magisteriali, fornisce ai cristiani, perché il loro agire sia conforme al Vangelo.
D’altro canto la Chiesa sa che “in ragione del suo ufficio, della sua competenza in nessuna maniera si confonde con la comunità politica5, ma non può rinunciare, in forza della sua missione, “a dare il giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e della salvezza delle anime….Dai sacerdoti i laici si aspettano luce e forza spirituale. Non pensiamo però che i loro pastori siano sempreesperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge…. possano avere pronta una soluzione concreta” 6. E qui lui associa la necessità che i laici assumono essi la propria responsabilità alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero.
Il fedele laico deve essere veramente, da cristiano,costruttore della città dell’uomo, a misura dell’uomo, avendo coscienza di ogni valore veramente umano, la cui ricerca “insieme, cristiani o no”deve, il fine di tutti gli uomini, con una cooperazione con coloro che riconoscono questi valori, pur non professando il cristianesimo7.
Di questo tipo di collaborazione richiama l’esemplare esperienza del lavoro svolto nell’Assemblea Costituente, soprattutto per la stesura della parte fondamentale e dei principi della Costituzione da uomini come Giorgio La Pira.
Di fronte a quelli, che avevano criticato certe arrendevolezze, Egli rivendica la grande – ma assai poco conosciuta, perché mai insegnata - virtù di della prudenza cristiana che guidava La Pira, a scegliere il mezzo atto a raggiungere il fine e dunque la misura di un discorso volto a trovare insieme, con rappresentanti di diverse ed opposte culture, il punto comune indispensabilea fondare la nuova città dell’uomo a misura d’uomo. 8
Questa prudenza cristiana che porta alla collaborazionecon gli altri, per la ricerca di un punto comune, non al rigetto, quindi si allontana delle posizioni del Sillabo che storicamente Egli considera superate. La ricerca di questo punto comune deve essere diretta a trovare il consenso, non chiudendosi in se stessi 9, in una forma quasi di superiorità, consapevoli, invece, delle esigenze degli altri e convinti di cercare di trovare quello che, con la capacità di mediazione, che il discorso riesce ad avere. Mediare indica appunto il “fare incontrare”, congiungere, tenere insieme due realtà per sé diverse in questo caso la categoria della fede, la categoria dell’agire secondo l’esigenze delle realtà temporali.
Il dialogo, strumento di vera cooperazione, prima di tutto deve essere fra cristiani, che si trovano insieme impegnati a risolvere i problemi attinenti alla città dell’uomo, ma i cristiani devono essere pronti ad aprirlo con tutti, tenendo a radice di questa capacità il rispetto e l’amore di tutti e l’onestà del dialogo secondo naturale esigenza di ricerca della verità.
Il dialogo, fatto di rispetto, di sincerità, senza perdita di identità, guidato da vera prudenza politica cristiana, non deve escludere nessuno, ma richiede preparazione adeguata ed insieme esige, a dare credibilità alle parole, che sia vera testimonianza di vita e stile di vita, specchio fedele dei valori umani, per cui ci si batte, non sostituibile con la formale esibizione di valori religiosi, che isolati da quelli, perdono il loro pieno significato 10.
La necessità di aprire ai non cristiani deve essere collegata con la cultura di Lazzati sugli scrittori Cristiani delle origini, sui quali vertevano la sua tesi di laurea i suoi studi e scritti
L’esempio tipico di questo comportamento di Lazzati è dato dal periodo della prigionia in campi di concentramento tedeschi perché da militare aveva rifiutato di aderire alla repubblica sociale italiana e immediatamente dopo il 9 settembre 1943 avviato nei lagertedeschi, campi ove compì un lungo pellegrinaggio : lì ha saputo organizzare, per coloro che condividevano la prigionia, seminari con una sorta di formazione continua, con lezioni, incontri più o meno clandestini su problemi di filosofia, su problemi relativi soprattutto al Vangelo, alla cultura che deve avere il cattolico, aperta per tutti anche non credenti.
In queste attività. volte a tenere soprattutto alto il morale e la fedeltà ai valori di queste persone internate che soffrivano fame e privazioni, era talmente impegnato, che riusciva a trascinare ebrei, un sacerdote valdese, un evangelico come risulta dal ricordo di Natta e di altri compagni di prigionia. Lazzati ha girato quasi tutti i campi di prigionia tedesca, perché trasferito in quanto considerato come elemento che aggregava.
Il dialogo senza nessuna distinzione era da Lui considerato come un’apertura verso la formazione dell’individuo, profilo sul quale ha sempre insistito in quanto ritenuta necessariamente continua 11, che non si può arrestare e deve essere considerata anche strumento per portare il messaggio evangelico. Per la formazione è anche importante l’insegnamento sociale della Chiesa su cui i laici devono dare un contributo.
Quasi tutti gli scritti di Lazzati, a cominciare dalla Città dell’uomo, sono imperniati su questo circuito formazione, dialogo con gli altri, mediazione, non chiusura, ma apertura per cercare quello che è il consenso e questo deve avvenire anche nella politica. Egli avverte una certa inferiorità dei cattolici, soprattutto in Italia, per quanto riguarda la formazione e la preparazione.
Vi è in Lazzati un cenno indiretto al ritardo della conoscenza della tradizione storica del cattolicesimo italiano sotto i profili politici e sociali: con una sottintesa sofferenza e rammarico Lazzati lo sottolinea, facendo riferimento al periodo successivo all’università, quando “ci siamo messi insieme a parlare di questo cose”, durante la guerra e dopo, precisava Dossetti.12
La guerra e tutto il periodo, in cui vi sono state sofferenze e privazioni anche di libertà, hanno rafforzato il senso della solidarietà e quindi una certa forma di comunità.
Il primo impatto che ebbe con il mondo cattolico politico precedente anche nel periodo clandestino (Gronchi, Marazza ed altri) fu abbastanza deludente - sottolinea Lazzati - perché si occupavano molto della spartizione dei posti di governo, per cui - sono le sue parole crude - non si può stare con questa gente. 13
Poi riferendosi alla epoca successiva il suo giudizio è assai critico la condizione politica è degradata dal momento in cui ci siamo ritirati ad oggi, in una misura tale che non è commisurabile a quella di allora. Perché quel De Gasperi di cui noi sembrava fossimo grandi oppositori,in realtà poi aveva una sua lineaa cui credeva; era una linea più o meno attuabile però ce l’aveva.
Poi ci fu il tentativo di Moro di portare avanti una certa linea, gradualmente progressivamente si è cercato di farla entrare nella coscienze, ma non avendo nessun supporto né da parte della Chiesa né da parte di chi avrebbe dovuto o potuto fare qualcosa in questo senso. La Chiesa ha preso alcuni atteggiamenti soprattutto nel documento del 1981 “ La Chiesa nelle prospettive del paese” 14a leggerlo un bel documento però, Lazzati torna a dirlo: è nel cassetto.
Nel cassetto è la sua recriminazioni che riecheggia più volte da parte Sua, esaltatore del Vaticano II, continuamente richiamato.
In un altro libro, che Lazzati ci ha lasciato15, sottolinea che il laico deve essere soggetto attivo della Chiesa, cioè soggetto sul quale posa la responsabilità del crescere e di far crescere la Chiesa in tutto quello che costituisce la sua vocazione: il rispetto della legge, delle diversità attraverso la quale pesa sul singolo soggetto la responsabilità di portare a pienezza la missione della Chiesa quale sacramento di universale salvezza.
Però questo crescere deve avvenire nella unità e sempre questa unità negli elementi spirituali ed essenziali, invece diversità vi può essere nella specifica vocazione dei laici - richiamandosi al Concilio - e nelle realtà temporali affidate ai laici, cui tocca assumere l’instaurazione dell’ordine temporale come compito proprio e in esso operare direttamente ed in modo concreto; come cittadini cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e la propria responsabilità 16.
Per il fedele laico costituisce proprio e peculiare compito e contenuto dell’azione di cercare il Regno di dio agendo dentro e sulle realtà temporali.
Anche esercitando la professione secolare può esservi una testimonianza, come mezzo che il laico può portare all’evangelizzazione in ogni momento, in ogni ambiente e tipo di impegno, come stile di vita, rivelatore del sale di sapienza e carità, tuttavia non strumentalizzato questo impegno alla evangelizzazione in senso diretto. Quindi la necessità di pensare e di vivere con rispetto e dolcezza come insegna San Pietro “il segreto della sua speranza” 17.
E ancora qui insiste sulla formazione culturale 18, come costante punto massimo di riferimento, accompagnato, però, ad una spiritualità laicale: la preghiera ossia questa formazione non può avvenire se non attraverso anche la preghiera e i sacramenti, guida che lo Spirito Santo può dare.
Lazzati è un fedele laico veramente impegnato e conseguente sempre nella sua azione, nel dialogo e nel rispetto degli altri, questo lo troviamo messo in risalto in un bel libro di un gesuita 19, che ritorna sull’aspetto del dialogo e sottolinea che ci sono delle pagine veramente significative dell’azione che Lazzati insieme al Pastore valdese Girardet nei diversi campi riusciva perfino a fare la preghiera comune con i valdesi, con gli ebrei come elemento di unione e di valore sul piano umano.
Anche nella nostra laica Costituzione, l’aspetto della religione non è nel senso erroneo di rifiutare la religione, ed anzi la considera come un valore da rispettare quale esso sia e un valore nella società.
Giuseppe Lazzati è convinto esaltatore della bontà della nostra Costituzione, a differenza di alcuni cattolici anche avanzati dell’epoca, che la consideravano risultato di troppo “compromesso.” Quello che lamenta spesso Lazzati è che anche questa Costituzione in un certo periodo è stata quasi “messa nel cassetto”.
Vi è stato un ritardo nella sua attuazione – a parte il fatto che ci sono alcuni aspetti della nostra Costituzione non ancora compiuti, il problema dello sciopero, il problema dei partiti politici, il divieto di iscrizione dei magistrati a partiti politici, le stesse posizioni di eguaglianza e quindi traspare da questo. che prima di pensare a cambiarla vediamo di cercare di attuarla tutta, anche se non lo dice apertamente, appaiono aspetti da migliorare.
L’abbandono della politica attiva ha uno scopo preciso di ritornar alla formazione, per rifondare un vero sentimento etico culturale e dedicarsi alla educazione etico culturale degli italiani, particolarmente i giovani. Perciò ritorna in Università, questa è la sua motivazione reale e dichiarata in modo netto .
Torna, anche in questa occasione, tutto il suo rammarico per l’impreparazione dei cattolici ed la sua dedizione per colmarlo, rivendica la competenza del laicato e l’impegnarsi del laicato cattolico suscettibile di avere un senso solo se vi è un ripristino nel senso del Vaticano II della funzione del laicato rispetto alla politica e alla società civile.
Chiudo ritornando sul pensiero di Lazzati sulla evangelizzazione, che può avvenire anche attraverso il fare politica, con l’esempio e con la testimonianza. E questa distinzione netta che ci deve essere tra l’evangelizzazione da parte della Chiesa e la gerarchia e quello del laicato. Il fedele laico deve avere come obbiettivo la convivenza con gli altri e il rispetto degli altri. Significativo un suo articolo La laicità dello Stato del 17 gennaio 1986 su editoriale del giornale da lui diretto, incentrato su questo aspetto della convivenza e del rispetto degli altri.
Ma quello che traspare in ogni momento è un uomo che afferma il principio (praticandolo) che ogni persona deve trovare nella sua giornata il tempo della preghiera e della meditazione questo è l’unico mezzo, che può contribuire a una formazione e consentire a ciascuno di essere soprattutto fedele alla propria funzione di cristiano laico.
Giulio Cascino
Sottolinea l’attualità del pensiero e della figura di Giuseppe Lazzati. L’insistenza sulla formazione e sulla preghiera sono estremamente interessanti e utili dal punto di vista pratico: cosa deve fare il laico che vuole contribuire alla creazione della polis? Lazzati ci dà due indicazioni molto precise: per impegnarsi occorre essere preparati (la formazione) e ricorrere alla preghiera. La difficoltà è realizzare queste cose. E’ estremamente faticoso far capire l’importanza di riuscire a inserire la formazione (dimensione culturale ma anche spirituale) dentro l’azione politica. Un’altra caratteristica del suo impegno è lo stare dentro ma con un piede sempre fuori; il suo impegno politico è stato fortemente richiesto, quasi forzato: la politica è fatta per chi vuole realizzare qualcosa, dovrebbe essere volontariato. Una delle cause della degenerazione della politica è che gradualmente la politica è sempre più diventata attività lucrativa. I giovani si accostano alla politica per trovare o farne un lavoro in particolare nei territori dominati da mafia, camorra e n’drangheta, o massoneria.
L’altra cosa che mi ha interessato è questa sua valutazione positiva della Costituzione che, analogamente al Concilio, è qualcosa che rischia di essere messa nel cassetto. Questo accostamento tra Costituzione e Concilio viene fuori spesso in questo periodo nel mondo cattolico. Si vive questa contraddizione che per essere progressisti bisogna guardare indietro. Eppure se si parla di Costituzione si pensa a qualcosa di “vecchio”, di superato mentre la Costituzione, almeno nei suoi principi programmatici, va attuata. A livello ecclesiale si verifica lo stesso con il Concilio.
Non ha capito bene l’ostilità verso De Gasperi.
Riccardo Chieppa
L’ostilità ideologica che aveva Dossetti si rifletteva anche su Lazzati perché De Gasperi rappresentava la continuazione della tradizione del Partito Popolare. Il gruppo dossettiano del Partito Popolare o della Democrazia Cristiana di Murri o di tutta la tradizione cattolica più avanzata che spingeva a superare il divieto per il cattolico di fare politica è una palla al piede. Però alla fine Lazzati riconosce la grandezza di De Gasperi che col suo atteggiamento aveva salvato l’Italia.
Giulio Cascino
Il pericolo vero, soprattutto nei primissimi anni dopo la guerra, era la destra, sostenuta dagli alleati che dubitavano della possibilità di creare un regime democratico in Italia perché c’era un forte Partito Comunista. La funzione di De Gasperi è stata di salvare la democrazia da destra, almeno in quella fase.
Il documento dell’84 che hai letto, cioè la sua analisi della crisi morale della politica, è perfetta. Il decennio della generazione è stato il decennio del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani); dopo Moro la corruzione (che peraltro c’è sempre stata) è diventata sistemica. Adesso, addirittura, alcune cose sono state legalizzate. Se non si capisce però bene cosa è successo negli anni ’80 non si capisce cosa è successo dopo: la vittoria del berlusconismo è il trionfo di quella mentalità.
Pio Parisi
Riguardo al rapporto con De Gasperi, Dossetti ci spiegò un giorno a Napoli (eravamo un gruppo di giovani gesuiti destinati a fare l’apostolato sociale), subito dopo che Lazzati lasciò la politica, che il suo punto di vista era diverso e che De Gasperi aveva scelto la linea di Einaudi(il liberalismo, ecc); d’altra parte, storicamente, se loro avessero continuato avrebbero spaccato la Democrazia Cristiana e ciò avrebbe molto nuociuto alla situazione generale. Decisero quindi di lasciare la politica e mettersi a fare un lavoro di formazione, di preparazione alla politica. E questo era il motivo per cui non voleva diffondere la nostra riflessione sulla laicità perché era convinto che il problema fosse il clericalismo e che si doveva parlare dei laici in quanto non sono parte del clero e sono stati emarginati. Il discorso sulla laicità che facevamo noi è quello di fondo, più vero, ma concretamente occorreva altro.
Piero Fantozzi
Si chiede perché questo tipo di persone oggi sono sempre più difficili da trovare all’interno della chiesa e della politica italiana. C’è evidentemente una dimensione diversa della politica così come oggi la vediamo, pura gestione del potere. Oggi la politica, per come si presenta, come pratica ed esperienza, è un elemento di degrado. Non si sente di dire la stessa cosa della chiesa gerarchica, però ci sono dei punti in cui la chiesa adotta il criterio della politica come gestione del potere, per cui nella chiesa queste cose difficilmente vengono fuori. E’ come si presenta, il tipo di testimonianza che offre; ci sono dei problemi anche profondi e hanno a che fare con Lazzati e la sua vita cristiana, Lazzati e la sua idea di laicità. Lazzati rappresenta la dimensione della politica come costruzione della città dell’uomo ed è quello che oggi ci manca di più: questo elemento di coscienza di base che sta dentro uomini di questo tipo che oggi non ritroviamo. C’è dentro la vicinanza tra la vita cristiana, la laicità, la profezia, la costruzione dell’uomo, la dimensione di quello che deve essere il mondo: nella visione di Lazzati indirettamente c’è la prospettiva del mondo. Quando diceva di essere contrario al Patto Atlantico perché si correva il pericolo dell’omologazione aveva ragione: l’omologazione c’è stata. Il problema vero, che dovremmo provare a rileggere a partire da oggi, è che viviamo un sistema, dell’omologazione, delle comunicazioni, delle falsificazioni che comporta la caduta di coscienza. La profezia di Dossetti ci porta esattamente ad oggi. Siamo veramente sicuri che l’entrata nell’agire economico, così come l’abbiamo vissuta a partire da quel momento, sia stato elemento di sviluppo in termini di coscienza e il berlusconismo è estraneo a quel mondo? O è frutto di quel mondo, di quelle scelte. C’è un elemento strutturale che impedisce la formazione delle coscienze che è l’organizzazione della vita così com’è e come si presenta. Noi, oggi, per poter lavorare sulle coscienze dobbiamo lavorare in antitesi a quel mondo. Lazzati dà degli elementi interessantissimi, come li dava Dossetti, e ci sono degli elementi della sua coscienza, del suo rapporto con la vita cristiana; non credo che la coscienza di Lazzati sia frutto di un cammino individuale oppure di un piccolo gruppo: è il riflesso di una tensione che era comune a tanta gente in quel momento. Se devo cercare delle cause strutturali che hanno favorito l’impedimento della costruzione di meccanismi di riflessione, di solidarietà, di amicizia e che invece hanno alimentato la competizione, la ricerca della ricchezza, dei soldi, del potere, probabilmente dobbiamo rifarci a quelle scelte che hanno prodotto anche ricchezza, ma ci hanno privato della crescita della coscienza. Non ne farebbe un descorso deterministico, perché anche tante altre scelte hanno contribuito. Quali sono gli elementi della coscienza che noi cerchiamo, di cui abbiamo bisogno per poter guardare al mondo con responsabilità e mettere al centro della dimensione della politica la costruzione della città dell’uomo? Ci rendiamo conto che il nostro cammino non è scindibile dal nostro cammino di conversione alla vita cristiana. Non possiamo avere una visione volontaristica (“arriviamo noi e cambiamo le cose”). Ci rendiamo conto che c’è un dato determinante della riflessione sul mondo e nel mondo e quindi della corresponsabilità: come possiamo rimettere al centro questo aspetto della coscienza e come possiamo ripristinare un’esperienza di laicità come la visione di Lazzati ci presenta? Pensa che sia estremamente prezioso continuare a riflettere, come stiamo facendo oggi, magari circoscrivendo alcune grandi questioni venute fuori oggi e lavorandoci dentro.
Giorgio Marcello
Una domanda: si è fatto riferimento alla questione della dittatura. Si diceva che per Lazzati la forma più pericolosa di dittatura è quella sulle coscienze, la dittatura spirituale. Quanta percezione diffusa oggi c’è della dimensione dittatoriale in cui ci troviamo? Una dittatura che, rispetto a quello che è avvenuto nel periodo fascista, non ha espressioni violente, di violenza fisica, che nel passato suscitavano anche una reazione che oggi non si vede. Che cosa oggi si può fare per prendere coscienza insieme di questa situazione e quali saldature di potere, che vedono coinvolte anche espressioni significative della gerarchia in Italia, la rendono possibile?
Il secondo spunto è il tema della tradizione che è anche il filo conduttore, il significato più profondo degli incontri che stiamo facendo a partire dalla memoria di Lazzati. Che cosa succede ad una comunità, alla chiesa, alla società civile quando si perdono i contatti con il flusso vivo della tradizione. Noi cogliamo con mano le distrazioni rispetto ai contenuti della grande tradizione di cui siamo eredi. E questa è la difficoltà del tempo che stiamo vivendo oggi (un tempo che frammenta, che frantuma e che riduce ognuno a se stesso; è un tempo, come diceva Dossetti ricordando Lazzati, in cui ognuno regala a se stesso una condizione di solitudine senza riparo). Quando si perde il contatto con il flusso vivo della tradizione gli effetti sui contenuti della convivenza, sul senso stesso dello stare assieme, sono devastanti. Se dovessimo pensare all’intervento di cui c’è più urgenza, più bisogno dovremmo provare a prendere sul serio l’appello alla conversione. Se c’è un aspetto positivo della crisi che stiamo vivendo è che è sempre più chiaro – proprio per la drammaticità della situazione che viviamo a livello ecclesiale e civile – che la prospettiva di cui abbiamo più bisogno è quella della conversione. Se non si parte da lì rifare il tessuto sociale ed ecclesiale sarà sempre più complicato. Aggiungerei anche un riferimento più personale, dell’associazione di volontariato che nasce da un tentativo di ascolto della parola di Dio in un contesto specifico (quello di Cosenza). Quanto più il tempo passa tanto più sperimentiamo che è veramente difficile comunicare a livello delle cose più profonde. Dopo vent’anni la possibilità di comunicare tra di noi e agli altri quali sono le motivazioni di fondo del nostro impegno diventa sempre più complicato, per limiti nostri probabilmente, ma probabilmente anche per limiti che stanno fuori e che non riusciamo ad affrontare adeguatamente.
Riccardo Chieppa
Lazzati dice che la comunità cristiana attualmente non c’è: lo dice in due punti. Se ne parla tanto ma non c’è (è triste dirlo) perché i cristiani sono privati della profondità della conoscenza del mistero cristiano; lui parte dall’aspetto dell’umiltà, della carità e l’impressione è che tra noi cristiani questa comunione, comunità va intesa “ad modum delfini”, come si dice: una sfera riduttiva limitata a quel che piace. Fa l’esempio delle parrocchie, di altre comunità che ci sono e tutte finiscono con l’essere separate. E lui finisce con l’idolatria dell’io che abbiamo, che si riflette in politica: si cerca di idolatrare alcuni “io”, che sarà il capo del Partito delle Libertà e nella stessa opposizione alla ricerca spasmodica non tanto di un’unità ma di trovare la persona di riferimento, cosa difficile oggi in questo periodo di mediocrità. C’è in Lazzati la visione della sofferenza, del sacrificio – che genera un senso di umiltà in ciascuno che soffre – che può produrre la catarsi. E’ il periodo della prigionia nel lager. Credo che la crisi economica può produrre una riflessione sul consumismo, l’idolatria della personalità di alcuni: se non ci si avvia sul vero cammino della carità non si riesce a superare la crisi; occorre ritornare a quella comunione dei cristiani sofferenti del primo periodo: ci troviamo tutti pellegrini, stranieri in un mondo che, a poco a poco, sentiamo che non ci appartiene.
Pio Parisi
Considerando la validità e la santità straordinaria di quest’uomo, sentiamo che questo è il meglio che è e ci potrà essere nell’esperienza cristiana. I piccoli e i poveri contano poco e nell’istituto che all’epoca si chiamava “Milites Christi” (poi “Cristo Re”), così serio sul piano spirituale come il suo fondatore, impegnato nelle cose del mondo, vedendo che mancava una lettura di fede di ciò che stava succedendo nella chiesa sia gerarchica che di base e nella politica, Lazzati disse che nell’Istituto si sarebbero divisi e per loro era essenziale rimanere uniti come Istituto secolare. Nell’Istituto erano presenti sia datori di lavoro che lavoratori, gente più di destra e più di sinistra e questo mette in luce che il fondamento spirituale ancora non fosse pienamente il Vangelo. C’è un passo decisivo che ancora non è stato compiuto e che è sempre più urgente e neppure Lazzati l’ha potuto fare: impegnarsi a costruire la polis a partire dal Vangelo, dal Mistero Pasquale e non dall’etica del Vangelo. Il Vangelo ridotto a etica non è più la rivelazione del Mistero di Dio.
Lazzati oltre a essere un contemplativo era anche un mistico ma nella situazione ecclesiale per quello che riguarda l’impegno nel mondo c’è ancora un rifiuto del Vangelo del Mistero. Non crediamo che la potenza di Dio entra nel mondo attraverso la debolezza; non ci crediamo quando operiamo nel mondo; cominciamo a crederci quando cominciamo ad essere deboli noi perché vecchi, malati, sofferenti. Lo troviamo nelle lettere di Chiara Patrizia che, pur essendo una suora di clausura, “sta” nella storia. E’ qualcosa che ancora non esiste, è il futuro della Chiesa. S. Paolo ci dice che la potenza di Dio è entrata nel mondo attraverso la debolezza ed è sulla croce che il Signore ha salvato il mondo.
Flavio Zanardi
Pio ha detto meravigliosamente quello che la riflessione comune gli ha evocato. C’è la famosa affermazione di Gramsci che se i cattolici entrano in politicasono destinati a disfarsi perché la cogenza, l’esigenza di classe li porteranno a mettersi su due fronti o a finire completamente egemonizzati da uno dei due blocchi. Non ragionava da cattolico ma era profondamente italiano e vedeva il vizio di fondo – P. Castelli lo ha chiaramente annunciato – che è il pastoralismo, cioè la riduzione a un gregge irresponsabile da portare dove pare a loro. Siamo completamente disaggregati e purtroppo la chiesa istituzionale ha le sue responsabilità; si stanno scatenando tutti gli atei devoti e stanno venendo al pettine dei nodi che sono vecchissimi, d’altra parte la storia ha i suoi corsi e ricorsi. Stiamo in Europa ma non siamo riusciti a diventare una nazione: la commozione per la morte di Alberto Sordi è dovuta al fatto che era forse una delle ultime maschere della commedia dell’arte. Ci sono contraddizioni in pista che sono enormi e ci danno come risultato un collasso antropologico. Lazzati e le altre figure di cui stiamo parlando erano uomini veri; adesso abbiamo figure che fanno quasi tenerezza rispetto a quelle. Se questo sia davvero l’attesa di un cambiamento, una tensione per andare in qualche direzione diversa non lo sappiamo. C’è un pericolo enorme (ma là dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva) ed è una democrazia senza democrata, senza un cittadino responsabile che la tenga viva, per cui in qualunque momento può virare e rivelarsi una dittatura. Sono convinto che il Vangelo sia come Atlante con la terra per i cristiani e questo spazza via tutti i discorsi, anche gramsciani, sulla separazione; se tocchiamo terra, stiamo sulla terra abbiamo una forza che altri non hanno. C’è una citazione, sintetica ma stupenda, di Leopardi che definisce la democrazia “L’onesto e retto conversar cittadino” (onesto non nel senso che non ruba, ma nel senso che sa stare al mondo, che è competente, e retto nel senso che va all’obiettivo). C’è una tensione di fondo oggi che porta al degrado servendosi del progresso tecnologico e per uscire da questa situazione c’è solo il Vangelo. Se tu mantieni la tensione di classe torna a degenerare.
Maria Luisa Matera
Formazione e preghiera: c’è un terzo passaggio che è importante; è importante la formazione ma in quanto poi la formazione diventa un modo di pregare nel confronto con l’altro. Quando pensa ai partiti o si ritrova in realtà associative, pensa a quanto l’altro ci impoverisce nella nostra formazione nel senso che si chiede quanto siamo disposti a demolirci nei confronti dell’altro. Il povero con il quale si confronta nel lavoro di strada o in altre attività, gli ha insegnato a vedere in certi ambienti aristocratici quanta poca disponibilità ci sia all’ascolto. Manca la percezione che quello che ti sta seduto accanto è “l’altro”; si rende conto che in certi contesti è difficile stabilire questa dimensione di intimità che poi è la mistica. Si chiede quanto il confronto con poche persone diventa desiderio di costruire la polis. Si ritrova ora a riprendere le fila di un circolo Dossetti con tutti quei pregiudizi rispetto a delle modalità che rendono sempre difficile l’ascolto perché vengono viste come dei passaggi intermedi per arrivare all’obiettivo di realizzare quel fine perdendo di vista il fatto che quel momento, all’interno di un partito o di una associazione, se fosse reale comunicazione e ascolto sarebbe già di per sé edificazione della polis. Mistica è sentire l’intimità nel mondo attraverso quelle vite, è apertura al mondo, ma si baipassa. Pensa ad un amico impegnato da tanti anni in politica che perde di vista il fatto che per 20-25 anni è stato continuamente demolito. Vede veramente in lui un’esperienza mistica, anche se non ne ha coscienza; un’esperienza di continua emarginazione all’interno di un sistema ha fatto di lui una testimonianza di esclusione. Nel porsi insieme agli altri in una dimensione di ascolto più profondo fa rendere conto che gli altri sono dominati da linguaggi che forse nemmeno gli appartengono intimamente; c’è una specie di dissociazione, ci sono forze esterne che in qualche modo ci posseggono e ci impediscono di far venire fuori altro. Questa dimensione intima, questa comunicazione avviene con una sorta di piccolo martirio continuo nello stare insieme agli altri. Più cresce lo stare insieme, rispetto alla sua piccola esperienza intima, più cresce la coscienza politica. E vedo camminare queste cose insieme. L’unica strada è quella del Vangelo che diceva Pio. Si va frantumando il linguaggio e cresce la capacità dell’ascolto.
Flavio Zanardi
Le adesioni ideologiche sono forme di narcisismo collettivo che permettono a degli eco-demoni (?) di sentirsi più forti.
Pio Parisi
Con Ruggero Orfei affronteremo un discorso sul piano culturale.
Giulio Cascino
La domanda che facevi prima su quanto era popolare questa esperienza. Dossetti e Lazzati non erano nel filone del popolarismo dove questa dimensione popolare c’era, anche se poi realizzata male; ma l’obiettivo era quello di rivolgersi a tutti, “liberi e forti”. L’art. 49 della Costituzione italiana vede nei partiti politici lo strumento di partecipazione del popolo; pensa alla sezione della DC o alla cellula del PCI degli anni ’50. Erano strutture aperte al popolo, soprattutto nei piccoli centri. Si parlava, si discuteva, si guardava a quello che facevano gli eletti; questo concetto di dare voce al popolo c’era. E’ stato spazzato via per tanti motivi, non ultime le mutazioni antropologiche, i media, la tv, la stampa, e dall’idolo dell’io. Fantozzi ricordava prima che certe scelte poi hanno reso possibile la vittoria di questa visione individualista del mondo. C’è però la sensazione che questa crisi, questo botto clamoroso a cui stiamo assistendo possa aprire delle possibilità di conversione, perché è talmente clamorosamente fallita questa visione del mondo basata sul mercato che diventa il fine, sull’io, in cui tutti competono e tutti sono avversari a cominciare dalla scuola dove devi primeggiare a tutti i costi; siccome questa cosa è esplosa si aprono delle possibilità; Stancari ci ha spiegato questo discorso della catastrofe. Ci vuole credere.
Massimo Panvini
Questa è la visione ottimale. C’è un altro passo da fare.
Flavio Zanardi
Dovremmo trovare delle forme politiche nuove di democrazia reale.
Riccardo Chieppa
La ritiene una crisi provocata, ossia serve per fare speculazione: petrolio, gas, banche, borse. C’è gente che ci guadagna. Stiamo assistendo a un mondo in cui manca l’elemento fondamentale della carità che richiamava anche Lazzati, perché manca il senso della comunità. Non l’abbiamo neanche tra cristiani il senso della comunità, della comunione, dell’accoglienza, trasparenza. Credo che tutti si cerca di approfittare di qualche cosa, anche della crisi. Tornando alla formazione, Lazzati vedeva la formazione come uno strumento per arrivare a un dialogo, un ascolto: la crisi profonda è che siamo in un mondo di sordi che non vuole essere in grado di ascoltare. Anche il comportamento governo-opposizione: tutti e due parlano dei linguaggi differenti perché vogliono così piuttosto che arrivare alla determinazione di vedere il vicino, di soccorrerlo; la stessa disoccupazione la sfruttano per pompare soldi alle imprese. Credo che invece quello che voleva Lazzati era il dialogo, il confronto comune, perché il confronto avvicina, fa comunità, necessita di un linguaggio comune. E’ stato detto “si frantuma il linguaggio”, si crea questo elemento di sordità. Ciascuno di noi non ascolta più l’altro e il vero povero non è quello privo di mezzi ma il povero di spirito. Siamo tutti portati a essere poveri di spirito perché non abbiamo quella coscienza politica che è mezzo di mediazione; i guasti dell’opposizione e della maggioranza derivano dal fatto che non sanno più confrontarsi. Per superare la crisi bisogna fare proposte, non negare e vedere l’errore dell’altro. Cominciamo a fare proposte concrete su come si può superare; e non si supera nel dare credito perché se poi uno non può pagare le rate come fa? E’ un suicidio. Il credito e la fiducia si acquistano sulla validità di certe proposte, non tanto sul demolire quello che fa l’altro. Batterci per progredire, costruire più in alto, ci insegna Lazzati; da qui preghiera e meditazione che sono inseparabili. Dobbiamo meditare ognuno di noi su questa realtà giorno per giorno e questo ci allontana dal disinteresse e dall’indifferenza. Lazzati ci può dare questo: essere pronti all’ascolto, per trovare i punti di consenso, non per dividerci. La crisi della DC è stata dovuta all’esasperare al massimo il punto di divisione e non a cercare le convergenze. Nel periodo universitario ha fatto un’attività politica, nelle associazioni cattoliche, ed è riuscito ad avere la maggioranza dei cattolici all’università di Roma. Cercare i punti in comune e il cristiano li può cercare più facilmente perché ha quello spirito di persuasione e soprattutto l’umiltà nella carità; trovare il bene in qualsiasi cosa che può essere anche la proposta più cattiva. Non c’è mai qualcosa di assolutamente negativo nel mondo; si può trovare anche un briciolo che può portare a fare un gradino in più. Questo è l’unico spirito che deve avere il cristiano; “abbiate fiducia” e la fiducia nasce dalla fede, in quello che Lazzati diceva: “la verità vi farà liberi”, rispettosi sempre della posizione degli altri. Se si va su questa via si può progredire, altrimenti ci dissolviamo in divisioni e la divisione anche con l’avversario la ritiene sempre pericolosa.
Flavio Zanardi
E’ assolutamente d’accordo sulle ultime cose dette, ma non quando all’inizio ha detto che la crisi è provocata ad arte per interessi. Secondo lui non è così. Che qualcuno con la crisi ci guadagna è ovvio, però il problema è che il modello di sviluppo che ha la sua centralità nel petrolio è saltato. Oggi vengono fuori la Cina e l’India e nello stesso tempo l’idea di una crescita all’infinito fa a pugni con i limiti dell’ambiente che stanno venendo a galla.
Riccardo Chieppa
La libertà del mercato è la distruzione di una società perché, con la globalizzazione supernazionale, nessuno stato riesce più a governare questo mercato libero; lo faranno i gruppi di delinquenti con i diversi paradisi fiscali(abbiamo gli esempi anche in Italia). Se non si riesce a creare delle regole generali condivise e accettate di mercato basate anche sull’elemento della carità, della comprensione dei popoli che hanno meno, poi sfugge a ciascuno stato anche il controllo. Se non si creano anche sul piano del commercio, dei mercati, delle regole aumenterà per esempio il mercato delle armi (si bruciano ricchezze enormi per gli armamenti). Come spiegare altrimenti che il petrolio va su e giù a secondo delle convenienze. E’ stato fatto per elementi di speculazione: c’è gente sempre (ricorda, durante la guerra, il mercato nero che è un fenomeno deprecabile ma che ha consentito all’Italia di sopravvivere) che ci guadagna e si avvantaggia e i tentacoli di questa piovra del danaro portano alla distruzione dell’uomo e della società. C’è stato un convegno a Urbino; un ecclesiastico ha denunciato il rischio degli effetti dei mutui in America di cui nessuno si curava. I politici e gli economisti non fecero nulla ma poi si sono visti gli effetti. Poi tutto questo serve per mungere le diverse parti degli stati a dare i soldi a chi aveva guadagnato di più da tutto questo, le banche; il fenomeno Parmalat e altro. Il rischio è di contribuire ad arricchire chi ha già. E poi c’è il povero operatore che ci rimette le penne e la diffusione delle perdite mentre c’è un accentramento delle rendite in questi fenomeni.
Giulio Cascino
Non crede che la crisi sia stata voluta dagli speculatori. E’ un fatto economico e nella crisi gli speculatori ci sguazzano.
Riccardo Chieppa
E’ il pallone leggero che sta in fondo al mare, esce fuori, farà il salto di cento metri in alto poi ricade e si rompe; quindi è tutto un fenomeno economico. Perché c’è stata la crisi del ’29 anche? Probabilmente era prevedibile e c’è gente che si è arricchita, ha acquistato proprietà e altre ricchezze e questo sta accadendo anche ora e accadrà ancora di più.
La conclusione è: non disperiamo se abbiamo la fede e la convinzione in certi valori. Questo è forse l’apporto che il cristiano può dare in questo momento. Vedo nei giovani la mancanza di valori che li fa rivolgere alla droga o altro. Pensate anche alla massa di giovani che vanno all’estero per volontariato.
Biagio Cinque
Il vero problema è questa mancanza di valori in assenza di maestri. Quando eravamo ragazzi noi c’erano grandi figure di riferimento. Oggi la testimonianza è una testimonianza comoda; è molto comodo immaginare che certi valori siano quelli che possono dare loro tante cose.
Ed è dove ha fallito Lazzati come rettore dell’Università. Diceva delle cose bellissime ma tutti gli altri testimoniavano l’esatto contrario e tutta quella massa di laureati non ha portato il seme della giustizia, di un altro modo ad esempio di fare il medico. In realtà – andando a vedere i maestri di adesso – non è arrivato niente. Ci siamo omologati a tutte le altre università con i guai e le pecche, forse aumentate, di tutti gli altri. Lazzati era convinto che noi ci dovevamo distinguere dagli altri perché avevamo avuto un certo tipo di formazione. Ha ragione Pio quando dice che era un discorso aristocratico, bellissimo, ma che non teneva conto di chi eravamo noi, da quali famiglie venivamo e che probabilmente il discorso doveva essere fatto in maniera diversa. Una volta, vedendo l’esperienza che Pio aveva fatto qui con noi, lui diceva che effettivamente quello che mancava all’Università cattolica è il contatto con il mondo. Credo che la questione dei valori, della formazione, dei maestri sia quello su cui noi dobbiamo lavorare di più.
Giulio Cascino
A un certo punto Gesù dice: “troverò la fede?” “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla terra troverà ancora la fede?” Oppure nella frase che c’è nel Vangelo di domani quando dice “non si fidava di loro”. Domani c’è il brano della cacciata dal tempio nella versione di Giovanni. Poi faceva tanti miracoli e Giovanni dice “ma lui non si fidava di loro perché li conosceva”.
La conclusione è che da soli non ce la facciamo.
Maria Luisa Matera
E’ morto pure per quelli di cui non si fidava.
Giulio Cascino
Bisogna farsi aiutare da S. Paolo quando dice “io non sono capace di fare il bene, io faccio il male che non voglio”. Sembra un disastro questa radicale incapacità dell’uomo, ma poi aggiunge che “è lì che c’è la potenza dello Spirito”.
Amico di Maria Luisa Matera
Vorrei capire cosa deve succedere perché a me sembra che succede da sempre; non è qualcosa che deve arrivare, lo sente, c’è. Poi non si può manifestare costantemente, però sta a noi ricercarlo. La felicità è una cosa che ci appartiene solo che ce ne siamo dimenticati. Finisco io non il mondo; c’è il mondo con cui posso interagire; sta a me pormi in relazione con questo evento che c’è prima e dopo di me. La politica può fare solo politica, non può intervenire veramente nel debole (vorrei riconoscere nel debole l’umanità). Sente che quando si trova vicino al debole deve accompagnarlo mentre lui lo accompagna in questa continua perdita che poi è un ricostruire se stessi. Magari sono cose che vivi e non te ne accorgi poi ci pensi e le ritrovi.
Pio Parisi
Nel Vangelo quando chiedono a Gesù “quando verrà il regno di Dio” il Signore risponde “il regno di Dio è in mezzo a voi” e viene sine observatione, senza che la gente se ne accorga. Il bene molto spesso è sotto traccia, non si manifesta. Se uno ha l’animo semplice e cerca di stare in ascolto degli altri si accorge che c’è il regno di Dio. Incontra spesso persone che si lamentano perché la gerarchia ecclesiale fa questo o perché i politici fanno quest’altro; e risponde che stanno sempre a pensare a un gruppetto di persone piccolo piccolo in confronto a sei miliardi e mezzo di persone che ci sono al mondo; e invece siamo fissati su alcuni che contano di più e che fanno male. Se uno ha un po’ di fede valgono tutti quanto vale Berlusconi o Benedetto XVI, non c’è differenza: anche l’ultimo bimbetto del Bangladesh che muore di fame ha lo stesso valore, e il regno di Dio non si esaurisce in questo mondo. E’ presente in questo mondo, ma è solo un’introduzione verso “cieli nuove e terre nuove”. E questo va annunciato sempre di più, anche con ottimismo. Per esempio, adesso, il mondo occidentale comincia ad essere povero (anche se ancora non se ne accorge) non solo sul piano economico ma perché mancante di personalità, travolto dai poteri, dai media; se siamo così poveracci, ridotti così male, sentiamo il Vangelo che ci dice “beati voi poveri”. In questa situazione, in questa crisi che riassumo in due parole – sedati e sedotti – arriverà la parola di Dio se il Vangelo verrà annunciato. E’ inutile pensare solo a quelle poche persone potenti. Occorre pensare di più ai poveri di tutta l’umanità (nel Bangladesh, che è un terzo dell’Italia, ci stanno 125 milioni di persone), piuttosto che a quelle poche persone che contano e che hanno catturato la nostra attenzione e il nostro immaginario. Se ce se ne rende conto si può cominciare a liberarsi e forse la situazione di crisi può aiutare a togliere il popolo dalla seduzione e dalla sedazione in cui si trova attualmente.
Il prossimo incontro è fissato per il 18 aprile, mentre il 7 aprile c’è P. Pino Stancari, dalle 18.30 alle 20.30 e poi possiamo continuare a discutere e pensare a queste cose.
1 Presenti:Giacomo e Patrizia Barbalaco, Paolo Bonfanti, Giulio Cascino, Ricardo Chieppa, Biagio Cinque, Luigi Cinque, Fiorenzo D’Ambrosio, Federica Di Violante, Piero Fantozzi, Francesco Giordani, Roberto Giordani, Ketty La Torre, Giorgio Marcello, Dario Marchesini, Laura Marini, Maria Luisa Matera e un suo amico, Francesca Mignini, Paola Mignini, Massimo Panvini, Pio Parisi, Anna Maria Polverari, Giuseppe Scalia, Giuliano Tonello, Flavio Zanardi
2 In periodo immediatamente prima e durante la Costituente e per un successivo limitato periodo.
3 Solo in un caso, sia pure con estrema riluttanza, non è stato completamente coerente quando membro della Assemblea costituente (si era dimesso dagli incarichi nell’Azione cattolica, perché il relativo esercizio era da lui ritenuto non compatibile con l’attività politica) era stato delegato dalla stessa Azione cattolica per svolgere una attività nel Mezzogiorno di propaganda affiancata a scelte politiche. Ciò anche se aveva con sensibilità avvertito l’esigenza d separare l’attività di politico da quella di funzioni nel laicato cattolico specie se ecclesiale: egli vedeva le esigenze di unità, ma con separazione di funzioni. Lazzati era fermo nella convinzione che la Chiesa, sia pure con il suo Magistero doveva continuare nella sua azione, ma soprattutto doveva lasciare fare ai laici quella che era l’attività concreta nel “temporale”.
4 La Città dell’uomo, cit., Introduzione, p. 10.
5 Testualmente richiama l’espressione Gaudiun et spes, 76 in La città dell’uomo, p. 54.
6 Gaudiun et spes, 43, in La città dell’uomo, p. 55.
7 La città dell’uomo, p. 59.
8 La città dell’uomo, p. 61.
9 Una certa critica si vede verso certi comportamenti di alcune comunità chiuse, qualche accenno lo si vede poi anche successivamente nel dialogo tra lui e Dossetti rispetto a talune formazioni tipo Opus Dei od altre chiuse in se stesse.
10 La città dell’uomo, p. 65.
11 Ivi, 65.
12 A colloquio con Dossetti e Lazzati, intervista a cura di L. Elia e P. Scoppola, Il Mulino, 2003, intervista datata 19 novembre 1984., p.22, 26.
13 A colloquio cit., p. 31
14 Lazzati attribuisce il testo del documento al “ nostro Vescovo ausiliare di Milano Monsignor Nicora.
15 Per una nuova maturità del laicato. Il fedele laico attivo e responsabile nella Chiesa del mondo Ave, Roma, 1986.
16 Vi è in , Per una nuova maturità, cit. p. 42 un richiamo testuale al Vaticano II, Lumen gentium, 31.
17 Per una nuova maturità, cit. p. 58.
18 Ivi, p.74.
19 P. Vanzan; Giuseppe Lazzati, amare il finito nell’Infinito, ed. Studium, Roma, 2004.