Incontri di discernimento e solidarietà
 
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Roma, 11 12.04



Carissimo Gianni,


cerco ancora di entrare in sintonia con te per arricchirmi della tua esperienza interiore e con la speranza di darti una mano.


Ci si presentano problemi di fondo: quale certezza abbiamo di Dio e della divinità di Gesù Cristo? Quale speranza per la vita futura? Come possiamo essere in comunione con Dio in una vera preghiera?


Ti comunico qualche passaggio della mia ricerca che dura da 60 anni, da quando sono entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù.


Un tempo mi confortava l’autorità della Chiesa e di tanti amici credenti, a cominciare dai miei fratelli, che erano certamente più maturi di me e che avevano già superato tante perplessità e critiche che mi venivano in mente.


Mi ha affascinato molto la figura di Gesù Cristo che scoprivo nei Vangeli con l’aiuto di commentatori che erano soprattutto maestri nello Spirito.


Poi, a partire in particolare da un testo di dom Columba Marmion, “Cristo vita dell’anima”, mi sono rivolto alla contemplazione del disegno di Dio, specialmente con la lettura di S. Paolo. Così si è fatta più forte l’esperienza di una luce che non poteva venire da noi.


Sono stato distratto dall’attenzione a Gesù Cristo da certe istanze etiche e ascetiche che venivano proposte in primo piano, come l’unica vera strada e verifica dell’essere un buon cristiano e un buon religioso.


La distrazione più seria che poi mi si è rivelata non essere necessariamente in alternativa alla ricerca di Dio, è stato l’interesse per la società e per la politica, che fin dall’inizio ho conosciuto in modo molto diverso dall’accezione corrente del termine, cioè ricerca e gestione del potere.


Per un certo tempo, grazie anche a un ottimo professore di teologia naturale, il P. Arnou, ho molto pensato a Dio come creatore e salvatore della condizione umana con un’attenzione crescente a tutta l’umanità. Pensavo più o meno così: son certo dell’esistenza mia e di tanti altri, ma la condizione umana, tanto limitata nel tempo e nello spazio, nell’inevitabilità della sofferenza e nella difficoltà di amare, mi sembra insopportabile e assurda. Il non avere in noi la ragione sufficiente della nostra esistenza (ma perché esistiamo?) mi appariva intollerabile, non solo per la intelligenza ma per tutto il mio essere personale. Ecco quindi il bisogno di un essere trascendente, al di là dei nostri limiti e al tempo stesso nel più profondo del mio io. Mi sono fermato a lungo a pensare: io sono ma potrei non essere. Lui c’è infinitamente più di me ed io sono da Lui, con Lui, per Lui. Ma più che ragionamenti si trattava di una percezione chiara e solidissima che Dio c’era.


E così, anche sulla scia di S. Ignazio che pone a fondamento del cammino dei suoi esercizi spirituali il concetto di creazione, ho gustato grandemente la rivelazione di Dio creatore e la totale dipendenza da Lui, fondamento della nostra stessa libertà.


L’aiuto più grande alla mia fede mi è venuto dagli amici che mi hanno stimolato a un rapporto personale, più maturo, con la parola di Dio. Non è mancato chi, in qualche modo e certamente con la migliore intenzione, mi ha sbattuto in faccia la mia ignoranza, ma in tanti modi sono stato confortato nel recuperare un tempo perduto. (Penso soprattutto a ventuno esami e una tesi di laurea in giurisprudenza sostenuti per il fatto che i miei superiore volevano che mi preparassi all’apostolato sociale. Come sarebbe stato meglio se quelle energie intellettuali, peraltro molto limitate, le avessi spese a conoscere un po’ meglio il primo e il nuovo Testamento invece che il diritto, rispettabilissimo ma in nessun modo collegabile alla mia vocazione).


Cosa è oggi per me la parola di Dio? Come sostiene la mia fede? E’ un alimento quotidiano, anche se la dieta che seguo non è delle migliori. Sempre grazie ad amici che sono veri ascoltatori della Parola, quando cerco di mettermi in ascolto mi pare di affacciarmi su un abisso di luce e il termine che mi viene sempre in mente è: “Mistero infinito”. Ciò non mi accade nei confronti delle speculazioni teologiche se non in casi molto particolari, quando evidentemente si percepisce che è una teologia che nasce dalla Parola e dallo Spirito.


Provo ora, caro Gianni, a comunicarti semplicemente e sinteticamente su cosa si fonda quel filo di fede che come acqua viva scorre sotto i cumuli di detriti che si sono formati nella mia vita:


  • l’assurdità del mondo senza Dio;

  • la trascendenza di Dio e il Mistero;

  • la luce è Gesù Cristo;

  • il Salvatore universale nel tempo e nell’eternità;

  • l’illuminazione di tutte le ricerche umane religiose, etiche, nelle elaborazioni culturali e nella prassi quotidiana;

  • la Chiesa che custodisce il “depositum fidei”;

  • la Chiesa che ancora non annuncia il Vangelo nel mondo;

  • la speranza che un giorno ciò avverrà:

  • nella povertà

  • ritrovando il protagonismo dei piccoli.


L’assurdità del mondo senza Dio.

C’è chi pensa che davanti a un bambino che soffre non è possibile credere in un Dio onnipotente che voglia o permetta una cosa così orribile.

Io penso non solo ai bambini ma a tutte le donne e a tutti gli uomini, a ogni tipo di sofferenza, anche quelle causate dagli uomini e quelle stesse degli uomini che fanno soffrire gli altri… tutto un oceano di sofferenze e di male. Pensando a questa realtà in cui sono immerso, anche se in posizione per tanti versi privilegiata, cerco di togliermi gli scafandri che mi proteggono, le mille distrazioni che mi tolgono la coscienza della realtà, e tutto mi appare assurdo, inaccettabile. C’è poi la condizione mortale, il tempo che si porta via tutto: le presenze, le vite, i ricordi. Tutto è assurdo e la ripugnanza è totale, della mente, del cuore, della voglia di vivere.


Non c’è che una via di uscita: non tutto può finire qui, in quel che vedo, che sento, che tocco, in quel che penso, che sento, che ammiro. Al di là del tempo stesso nel profondo di tutto c’è un Altro, Dio.


La trascendenza di Dio e il Mistero

Amici mi interrogano su come è Dio e come è e sarà la nostra vita in Lui, nel presente e nel futuro.

Questi interrogativi, che io stesso mi pongo non di rado, nascono dal fatto che siamo portati a pensare che in Lui e dopo la nostra morte continui in qualche modo la nostra esperienza presente. Rivedrò i miei cari? E’ la domanda rispettabilissima e comprensibilissima che presuppone sempre una continuità di ciò che è proprio della nostra vita terrena: continuità del soggetto, per cui Dio è uno tanto più grande di noi, continuità delle nostre esperienze per cui staremo meglio o peggio di ora. Ma Dio trascendente significa che è al di là dei limiti di ogni nostra conoscenza possibile.


Il Mistero.

E’ la parola chiave di tutta l’esperienza umana, quella che ci allontana e ci avvicina a Dio, a tutte le donne e a tutti gli uomini, a tutte le creature, a tutto il cosmo. La dimenticanza di questa parola svuota ogni esperienza religiosa e in genere ogni esperienza umana. Senza riconoscimento del Mistero anche le più alte conclusioni teologiche sono castelli di carta e così le strategie politiche, per non parlare delle potenze militari.

Il mistero ci avvicina a Dio perché ci libera dalle idolatrie, anche quelle costruite con un presunto, illusorio possesso di verità rivelate, e ci apre all’ascolto, all’accoglienza di Lui, del suo ineffabile splendore, del fuoco del suo amore: Deus charitas est.

Il mistero ci allontana da Dio in quanto ci fa prendere coscienza che tutte le nostre costruzioni su di lui sono idolatriche come quelle delle bestie dell’Apocalisse (cfr. Ap, 13).

Il mistero ci avvicina e ci allontana da tutte le creature: ammirazione, stupore, amore, intimità e al tempo stesso rispetto e impossibilità di ogni strumentalizzazione. E questo nei confronti in primo luogo di tutte le donne e di tutti gli uomini e poi, in qualche modo, di tutta la natura.


La luce è Gesù Cristo

Tutto converge in Lui:

Per Cristo, con Cristo ed in Cristo a te Dio Padre Onnipotente,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”.

Tutto converge: ma il mio tutto è così scarso, come la mia capacità di lasciarmi trasportare e travolgere dallo Spirito nella convergenza.

Potrei dire tante cose su ciò che mi ha frenato o sviato dal convergere in Cristo ma non servirebbe a giustificarmi. Non mi resta che affidarmi alla sua forza di attrazione, allo Spirito inviato dal Padre e dal Figlio che non cessa di operare in tutte le creature.

Nella consapevolezza del mio peccato continuerò incessantemente ad ascoltare la Parola, a rileggere i Vangeli e tutto il Nuovo ed il primo Testamento.


Il salvatore universale nel tempo e nell’eternità

La via d’uscita dell’assurdità dell’esistenza umana è la trascendenza: un Altro è al di là dei nostri limiti, la luce di Gesù Cristo, il Salvatore.

Qualcuno mi dice: non ho affatto bisogno di essere salvato, sto bene così e comunque faccio da solo. Mi sembra questa l’affermazione più immatura ed egoista, anche se per secoli è stata all’origine di tanto progresso della scienza e della tecnica.

Ogni piccolo, cioè ogni persona saggia, riconosce facilmente i propri limiti e l’assurdità della condizione umana qualora fossimo veramente lasciati a noi stessi.

Gesù Cristo con la sua luminosità trascendente ci si presenta come il Salvatore di tutti e di tutto. La sua salvezza va alla radice della nostra miseria, al peccato e alla morte da lui sconfitta con la sua morte e risurrezione. Ed è una salvezza per il tempo, un senso e una speranza per tutti i giorni della nostra vita terrena, e al di là del tempo, per la pienezza della vita nella partecipazione al Mistero infinito della sua vita trinitaria.


L’illuminazione di tutte le vicende umane religiose, etiche, nelle elaborazioni culturali e nella prassi quotidiana.

All’assurdità universale nell’ipotesi che non vi sia trascendenza, che non esista Dio, corrisponde un’illuminazione e una salvezza universale a partire dal Salvatore Gesù Cristo. Ogni sforzo umano e ogni ricerca diventa valida e vincente alla luce del Mistero Pasquale.

Ogni religione non solo contiene qualcosa di vero, come spesso si ammette, ma è vera in quanto autentica ricerca del bene, della salvezza. Ne segue che essendo un cristiano che cerca di vivere la fede ricavo che tutte le religioni sono un dono, un aiuto a crescere nella mia fede, nella speranza e nell’amore. La mia fede ha bisogno di integrarsi con tutte le esperienze religiose perché come virtù teologale ha Dio per oggetto, ma in quanto io ne sono il soggetto ha sempre bisogno di crescere: “La tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa… che nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità, finchè in essa vengano a compimento le parole di Dio” (Dei Verbum, n. 8).

Lo stesso si può dire di tutte le etiche che in quanto superamento del proprio io e del proprio interesse personale realizzano una trascendenza che è un tendere verso Dio.

Questo va detto delle dottrine etiche ma ancor più nei confronti della quotidianità, anche dei piccoli che non s’impegnano in elaborazioni e “progetti” culturali ma vivono gratuità e solidarietà in tanti momenti della vita.

Mi nasce un’obiezione a tutto ciò. Io potrei cogliere tutta la bellezza della natura e dell’esistenza umana, nella cronaca e nella storia, senza alcun riferimento a un’etica, a una religione, a Gesù Cristo, e potrei essere così in pace e nella verità. Mi rispondo. Non credo che lo potrei: ci sono degli interrogativi di fondo sul senso di ogni cosa che ne scoprono la radicale insufficienza e quindi l’assurdità della loro bellezza.


La Chiesa che custodisce il “depositum fidei”.

Non riducendo la Chiesa solo a una sua componente, cioè alla gerarchia ed a quelli che più contano nel giudizio di tanti che si dicono credenti o non credenti, ma stando alla Parola di Dio e al Concilio Vaticano II non c’è nulla di più grande della Chiesa. Il suo splendore e il suo Mistero sono al di sopra di ogni possibile lode ed amore.

Perché? E’ la madre e maestra che custodisce il “depositum fidei”, è la tradizione che a partire dagli apostoli giunge fino a noi. Che questo avvenga sulle ginocchia di mia madre e di mio padre, o su quelle del nonno e della nonna, o nel piccolo catechismo parrocchiale, o nelle cattedre prestigiose di una università pontificia o nel magistero ufficiale, è un fatto secondario. La cosa straordinaria è che il Mistero infinito di Dio mi viene trasmesso, comunicato da altre persone ed io ad altri posso comunicarlo.


La Chiesa che ancora non annuncia il Vangelo nel mondo.

Quel che più mi stupisce riguardo alla Chiesa è ciò che sono andato mettendo a fuoco in una vita di riflessione e di ricerca: la Chiesa, specialmente nella sua ufficialità, ancora non annuncia il Vangelo nel mondo, nella dimensione sociale dell’esistenza umana, nella società, nella politica.

Ancora si dice che il cristiano nell’impegno sociale si rifà ai principi generali o ai valori del Vangelo, riducendo questo ad etica e lasciando in secondo piano il kerigma, cioè l’annuncio della Buona Novella, del Figlio di Dio che si è fatto uomo, è morto, risorto e asceso al cielo.


La speranza che ciò un giorno avverrà

Sono certo che un giorno verrà in cui la Chiesa annuncerà al mondo il Vangelo, leggendo tutto quello che accade alla luce del Mistero Pasquale.

Sarà una Chiesa rinnovata nella povertà, in una spogliazione e in uno svuotamento che estenderanno la kenosi del Verbo di Dio.

Una Chiesa in adorazione silente del Mistero. Una Chiesa che riconoscerà che la salvezza nel tempo e nell’eternità per lei e per tutti è opera dello Spirito che rivela il Padre e il Figlio ai piccoli (cfr. Lc 10, 21-22).


Caro Gianni, ti ho comunicato qualcosa della mia esperienza per quanto povera e stracciona. Penso sia questa la via per realizzare l’amicizia spirituale che ci aiuta nel cammino della vera laicità che P. Mario Castelli proponeva come carità per il mondo.

Lettere spirituali

Lettere a Gianni 2004 - 2005