Incontri di discernimento e solidarietà
 
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17 gennaio 2002

Chiesa e Islam all’epoca delle Crociate.
L’incontro di S. Francesco d’Assisi con il sultano d’Egitto.

Prof. Chiara Frugoni


Per capire l’estrema tolleranza che San Francesco ha avuto rispetto all’Islam – una cosa assolutamente al di fuori del tempo – è bene prenderla un poco da lontano, ma non troppo, per cercare di vedere quale fosse la situazione e vedere come fosse percepito il diverso, l’altro, che non era soltanto l’islam, ma chiunque avesse opinioni diverse, per es. gli ebrei, o anche all’interno della stessa Chiesa. Bisogna cercare prima di capire quale fosse il contesto per capire la dissonanza di San Francesco che era assolutamente contro corrente.

La storia delle Crociate comincia con il Papa Urbano II nel 1095 sulla base di due notizie false che si erano diffuse in occidente, cioè che all’improvviso tutti i pellegrini non potevano andare in Terra Santa e che l’imperatore bizantino avesse assolutamente bisogno di cristiani per combattere. In realtà ciò non era assolutamente vero, ma semplicemente l’imperatore aveva bisogno di mercenari e i pellegrini che da sempre andavano in Terra Santa dovevano pagare una tassa più alta. In realtà il viaggio in Terra Santa non si è mai interrotto ed è stato preso come pretesto da Urbano II per molte ragioni: c’era una società molto turbolenta in occidente. I cavalieri di cui sempre parliamo in maniera mistica in realtà erano come briganti, persone violentissime che vivevano di razzie e di rapine. Il Papa dice loro: smettetela di continuare ad uccidere altri cristiani, andate ad uccidere gl’infedeli, e così farete una cosa accetta a Dio.

Dobbiamo anche pensare che a lungo si è dibattuto se gl’infedeli, in quanto tali, avevano l’anima o no; quindi erano sentiti come qualcosa di completamente diverso. Gl’islamici poi erano sentiti come persone particolarmente peccaminose anche perché è il momento in cui la Chiesa sta cercando d’imporre un nuovo modello di matrimonio, monogamico. Il matrimonio, come lo conosciamo noi, per tanto tempo non è stato così. Fino all’undicesimo secolo la Chiesa non aveva nessuna presa sul matrimonio dei laici che era ritenuto un contratto. I laici, spesso, con parola moderna «divorziavano» e c’erano molte concubine e un modo di vivere estremamente vario. La Chiesa tende a imporre il modello monogamico e indissolubile, che poi è stato vincente. L’islam che permetteva tantissime mogli era sentito come qualcosa che andava contro un grande sforzo della Chiesa.

Non c’è solo l’islam in Terra Santa; ci sono gli arabi in Spagna e di pari passo nasce la leggenda dell’apostolo Giacomo che sarebbe andato addirittura a morire a Compostella. In questo periodo, guarda caso, si ritrovano le ossa dell’apostolo e rapidissimamente si comincia a pensare di dover cacciare i mori. Vedete un altro passaggio: questi arabi si comincia a chiamarli «mori», cioè negri, con un altro passo di razzismo, e san Giacomo si comincia a pensarlo come matamoros, il santo che uccide i mori aiutando nella grande battaglia contro gli arabi.

Il discorso di Urbano che chiede che tutti partano per la Terra Santa con un pellegrinaggio armato - all’inizio nessuno aveva la croce, si trattava solo di fare un pellegrinaggio armato, in modo che in caso di necessità si sarebbe potuto combattere – provoca immediatamente un’altra conseguenza: quando cominciano a partire in maniera tumultuosa, questi cristiani si accorgono che prima di arrivare in Terra Santa e trovare gl’infedeli, già ne trovavano a bizzeffe nelle loro terre, cioè trovavano gli uccisori di Cristo, gli ebrei. Quindi questa Crociata, prima ancora di arrivare, comincia con dei massacri spaventosi in Germania, per es. a Colonia. Succedono cose terribili.

Non vi racconto la storia delle Crociate che si possono numerare in tanti modi. Cominciano nel 1096 e l’ultima è del 1270, nella quale muore Luigi IX che la Chiesa ha poi fatto santo. Fra l’una e l’altra ci sono continue minicrociate. Per darvi un’idea di come sia per noi strano immaginare questa fede, vi leggo un piccolissimo brano che è la conquista di Gerusalemme nel 1099 in una fonte cristiana: "appena i nostri ebbero occupate le mura e le torri della città, avresti potuto vedere cose orribili; alcuni, ed era una fortuna per loro, avevano la testa troncata, altri cadevano dalle mura crivellati di frecce, moltissimi altri, infine, bruciavano tra le fiamme; per la strada e per le piazze si vedevano mucchi di teste, mani e piedi tagliati...." e così avanti, con queste nefandezze. Dice che i cavalli andavano con il sangue fino alle ginocchia; dopo di che dice: "Presa la città, valeva davvero la pena vedere la devozione dei pellegrini davanti al S. Sepolcro del Signore, in che modo gioivano esultando e cantando, il loro cuore offriva a Dio vincitore lodi inesprimibili a parole."

Come vedete, questa andata alla Terra Santa voleva dire massacri spaventosi e distruzioni spaventose. Nella IV Crociata, i crociati addirittura dimenticano di arrivare alla Terra Santa, perché per poter avere i soldi per poter armare le navi, devono prima fare un patto con i veneziani che li portano a conquistare Zara cristiana; dopo di che i Veneziani dicono: venite con noi a Costantinopoli e quindi c’è la terribile distruzione di questa città, e la IV Crociata non va oltre.

Il bilancio delle Crociate è stato totalmente fallimentare sotto moltissimi aspetti. Ha rinfocolato gli odii reciproci. Pensiamo che fosse una guerra mondiale continua per la quantità di paesi coinvolti. Sono morti due milioni di persone e dobbiamo pensare che si moriva in pochi; non erano le guerre nostre. E’ stata distrutta per molti versi una grande civiltà. Questo clima di intolleranza che s’instaura in Europa non è soltanto contro l’Islam. All’improvviso si rinfocola l’intolleranza per il diverso, anche perché c’è di pari passo uno sforzo della Chiesa di affermarsi come la Chiesa dove il Vescovo di Roma è il Papa e come tale comanda su tutti gli altri Vescovi, cosa che in quel tempo non era scontata. Questo crea una serie di scissioni, e, anche di più, di scismi con la Chiesa d’oriente e fa sì che la Chiesa si senta attaccata da chiunque esprima, anche all’interno della stessa religione, opinioni diverse.

C’è il grande fenomeno delle eresie, e in particolare di una: i Catari con i quali ha a che fare anche San Francesco. I Catari, più che una eresia, rappresentano un’altra religione; pensano che vi sia alla pari un Dio del bene e un Dio del male, che lo spirito si incarna nella carne che è male e che quindi ciò che bisogna cercare di fare è di arrivare quanto prima alla morte per essere liberati. I catari erano persone molto per bene, assolutamente non violente, degne persone. Per il tipo di vita che vivevano, avevano uno straordinario successo. Oggi potremmo essere tutti, se non fossero successe alcune cose. I Catari si erano diffusi in maniera straordinaria anche perché contemporaneamente l’esempio che dava la Chiesa nel duecento era di un clero molto corrotto e quindi non credibile.

Con i Catari si scontrano in particolare alcuni Papi e i nuovi Ordini: i francescani e i domenicani, in una maniera completamente diversa. Anche dove viveva Francesco, l’Umbria, era catara. I Catari avevano questa concezione cupa della vita, per loro il creato era male. Una delle prime risposte di Francesco non è di combatterli, come farà invece Innocenzo III che scatena contro di loro una vera e propria crociata, massacrando gli Albigesi. Francesco con il suo modo tipico, non attacca mai; è un tratto della sua religiosità e forse anche della sua intelligenza politica; non attacca mai la Chiesa e pone se stesso come esempio diverso e dissonante per cui gli altri avrebbero potuto vedere quale fosse la condotta giusta. Rispetto ai Catari, per esempio, scrive il Cantico delle creature che è un inno al creato, agli elementi, a tutto il mondo. Ed è ancora più commovente pensare che lo ha scritto quando era già cieco e quindi non vedeva più nulla di quello che racconta con tanta gioia, il sole, la luce... Questo inno di gioia è una sua prima risposta ai Catari che avevano del mondo una visione così cupa.

I Catari con il loro grande successo mettono in agitazione la Chiesa. Un testimone contemporaneo dice: l’eresia degli Albigesi crebbe tanto da contagiare in breve tempo mille città e avrebbe corrotto tutta l’Europa se non fosse stata repressa dalle armi dei fedeli. La prima crociata è in Francia con una serie di massacri. C’è un dialogo che forse non è mai avvenuto ma che dà bene l’idea del clima che si era formato. A un certo punto l’esercito è guidato da S Simone di Montfort e sta massacrando tutti, eretici e cattolici, e Simone si rivolge al legato papale e chiede: cosa dobbiamo fare, signore, non possiamo distinguere i buoni dai malvagi. Il legato papale avrebbe risposto: uccideteli tutti, Dio infatti conoscerà i suoi. Non è detto che il dialogo sia avvenuto, ma esprime molto bene quel mondo.

Di fronte al pericolo cataro, la Chiesa in tutto questo periodo risponde con le armi e la repressione. Intanto però occupava il soglio pontificio un Papa molto intelligente, Innocenzo III: da un parte egli scatena la crociata contro gli albigesi e i musulmani d’altra parte capisce che bisogna dare l’esempio di un clero credibile e dare risposta a un altro problema che intanto era sorto. Siamo nel duecento, con una società molto diversa, molta gente sta bene, è ricca, i mercanti viaggiano, sanno fare cose molto complicate. La Chiesa fino ad allora aveva proibito ai laici di poter leggere autonomamente la Bibbia. I laici cominciano a reclamare uno spazio loro. Sorge, per esempio, il movimento dei Valdesi. Valdo - che per molti aspetti è simile a Francesco: un ricco mercante che a un certo punto vende tutto e dà tutto ai poveri e comincia a predicare - chiede spazio all’interno della Chiesa attaccandola e dicendo che non occorre la mediazione dei sacerdoti; a Dio si può andare direttamente, si possono leggere e tradurre i vangeli, e chiunque li può esporre. Valdo dà molto spazio alle donne e questo è un altro successo degli eretici, sia catari che valdesi, che le donne possano finalmente parlare. Ma la Chiesa contro Valdo reagisce duramente; all’inizio c’è qualche perplessità ma poi si chiude.

Innocenzo III capisce che non può soltanto reprimere e accoglie prontamente il progetto di Domenico e quello di Francesco che consiste nel dare spazio ai laici e proporsi un clero più credibile e dignitoso. Abbiamo due strade diverse. Domenico è un santo che, come Francesco, è molto manipolato, inventato o meglio aggiornato dai Domenicani agli eventi che sono seguiti. Domenico era un chierico molto colto e pensava che il problema degli eretici dovesse essere risolto con una grande preparazione dottrinale per poter sostenere un dibattito. Domenico non pensa affatto che bisogna sconfiggere o addirittura portare in tribunale gli eretici, torturarli e magari mandarli al rogo. Ciò avviene dopo. Si presenta con Domenico una fase del tutto nuova perché fino ad allora nel clero c’erano o i monaci chiusi nel loro monastero, a piangere i loro peccati e senza poter uscire dal monastero, oppure c’erano i preti che stavano nelle loro chiese e aspettavano che i fedeli arrivassero e che predicavano in modo che la Parola non giungeva ai fedeli, cominciando dalla spiegazione di un versetto della Bibbia in maniera anche dotta ma che non arrivava ai fedeli.

Sia Domenico che Francesco sono diversissimi da questo stile, perché non solo vendono tutto e danno tutto ai poveri, ma perché cominciano a camminare, sempre in viaggio, e vanno a cercare i fedeli e si propongono come esempio credibile del Vangelo; persone poverissime, che sono sempre per strada. Quando insegnavo e dovevo spiegare la differenza fra un monaco ed un frate: San Francesco ha previsto per sé un abbigliamento minimo, solo una tunica con una corda, senza scarpe e senza calze, però aveva previsto le mutande perché era sempre in cammino e doveva saltare fossi e tirare su il saio; i monaci che stanno dentro, con pellicce e varie cose, non avevano le mutande, come risulta dall’assegnazione del vestiario, perché stanno sempre all’interno del monastero. Agli esami qualcuno mi diceva che i monaci sono quelli senza mutande.

San Domenico per oggi non lo affrontiamo. Il progetto di San Francesco è completamente diverso: fa un salto di campo. Fino ad allora, la Chiesa aveva aiutato i poveri senza farsi povera; Francesco vuole che i suoi diventino poveri e addirittura all’inizio nessuno può riconoscere i francescani perché sono vestiti degli abiti che la gente dà loro e lo si vede nelle prime immagini: i vestiti sono marroni, verdini o di qualsiasi altro colore. Soprattutto Francesco vuole farsi povero e condividere la vita dei derelitti e dei contadini, della gente più miserabile. E proprio per questo rifiuta completamente la scienza. In realtà Francesco era un uomo assai colto che oltre che nella sua lingua, poteva scrivere in latino, sapeva benissimo il francese, conosceva la musica e aveva letto moltissimi romanzi in codici di pergamena (non un libro in libreria) e cita: Artù, Oliviero, i Paladini della Tavola rotonda; quindi era all’interno di una cultura da laico, molto forte. La sua scelta è proprio controcorrente perché non vuole che i suoi frati diventino colti e addirittura dice: chi non sa lavorare impari, chi non sa leggere non impari. Questo non perché non sentisse il fascino dei libri, ma perché pensava che la scienza gonfia e poteva togliere quella carità che era proprio una delle parti costitutive di Francesco.

E quindi, proprio perché tutta la vita di Francesco corre in una aderenza al Vangelo letterale, anche il problema del diverso viene affrontato in tutt’altro modo, nel senso che Francesco pensa che con chi ha un’altra fede non si debba nemmeno, come invece pensava Domenico, sostenere una disputa e cercare comunque di sconfiggere o di convincere umiliando chi la pensa in maniera diversa, ma se possibile dire una buona parola; soprattutto deve essere l’esempio della propria condotta a spingere le persone a cambiare. Questo tratto è veramente simpatico. A un certo punto i suoi frati vogliono convertire dei ladroni in un bosco. Lui dice loro: cosa credete, di poter andare lì e dire, pensate a Dio, pensate a Dio. Può darsi che questi ladroni siano diventati tali perché sono caduti in povertà, in disgrazia; quindi prima di tutto non vanno pensati come dei reietti e guardati dall’alto in basso; se vivono così male, avranno fame, perciò per prima cosa un giorno portate loro un buon pollo, il secondo giorno del buon vino, poi del cacio, e quando si sono ben rifocillati, provate se ci riuscite a parlare di Dio.

Questo modi di Francesco di aderire al Vangelo non è mai formale. A quel tempo si era molto attenti a non mangiare carne il venerdì: Francesco dice che bisogna fare attenzione alla carità verso chi te la offre, per cui se di venerdì ti offrono un pollo, mangialo. All’interno di questo grandissimo spirito di fratellanza ricordiamoci che i suoi primi frati abitano soprattutto nei lebbrosari e curano quelli che la società respingeva perché li considerava castigati da Dio, reietti. Quando si pone il problema delle Crociate, Francesco ha una reazione completamente diversa ed è l’unico scrittore di una regola che dica come i frati si devono comportare quando vanno tra i saraceni. " Vi raccomando di provare a parlare, se potete, di Dio, ma pronti ad affrontare il martirio e comunque non dovete mai far disputa o discussione. Questo è nella regola come un patto costitutivo.

Verso il 1218 si ha la quinta Crociata e Francesco ha questa idea straordinaria. Dobbiamo pensare cosa volesse dire arrivare da Assisi in Terra Santa, un viaggio infinito. Lui parte e va nel campo dei crociati e dice: voi che siete cristiani, uccidete!! Cerca a lungo di convincere i crociati ma non ci riesce. E allora con una mossa straordinaria va dal nemico, dal Sultano. Le prime fonti francescane dicono pochissimo. Sappiamo che Francesco è stato un anno intero dal Sultano e sarebbe rimasto anche di più. Dobbiamo immaginare che abbia percorso in lungo e in largo la Terra Santa. Torna semplicemente perché un suo frate in maniera estremamente avventurosa riesce a raggiungerlo e dice a Francesco: guarda che il tuo Ordine si sta dividendo, torna, altrimenti è una catastrofe.

Devo parlare un momento delle fonti francescane, altrimenti non posso spiegare quello che è successo con il Sultano. Francesco, proprio perché è stato un santo così scomodo e d’altra parte, di così straordinario successo, ha costretto i suoi discepoli e la Chiesa a continuamente aggiornare la sua immagine a mano che passava da un uomo buono ma non così famoso ad essere un fondatore che in pochissimi anni aveva trentamila frati. In più c’era il grosso problema delle stigmate, di cui stasera non posso parlare, ma a cui ho dedicato molto studio, che è un problema enorme. Basta dire che prima di Francesco non c’è mai stato nessuno stigmatizzato e la Chiesa prima di Francesco aveva risposto molto negativamente a chiunque si fosse inflitto delle ferite anche solo per provare i dolori della passione. Erano stati condannati anche a morte. Le stigmate quindi sono state uno shock che la Chiesa per molto tempo non ha creduto, la gente e i pittori non hanno creduto, i domenicani, si capisce, non credevano. Gli stessi francescani predicavano contro. Come le stigmate fossero avvenute, era un grosso problema, anche perché immediatamente ci sono stati dei testimoni autorevolissimi all’interno dell’ordine francescano che raccontavano quest’episodio in maniera assolutamente diversa. Uno era un frate Leone che era l’amico e compagno di Francesco, l’altro era frate Elia che Francesco ha molto amato e che quando Francesco è morto stava per diventare capo dell’Ordine, e poi Tommaso da Celano, primo biografo ufficiale francescano, incaricato dal Papa di scrivere una biografia che però non piace e crea problemi. Tommaso da Celano nel giro di trenta anni scrive tre biografie, tutte diverse, su San Francesco. Vi dò solo un esempio di come in esse Francesco è cambiato. Nella prima i frati si ricordavano molto bene di Francesco che si era convertito molto tardi, era un giovane molto brillante, era un giovane scapestrato, poi la mano di Dio è su di lui - chiaramente il modello è san Paolo sulla via di Damasco – e si converte; aveva genitori perfidi, che lo hanno traviato, dice Tommaso da Celano.

Passano quindici anni e l’Ordine è diventato importantissimo e diventò molto imbarazzante continuare a parlare di un fondatore che non si presentava con la faccia del santo. Allora viene tutto cancellato, e agli stessi frati che penso avessero conosciuto Francesco viene detto: Francesco da sempre un santo, la sua mamma era un’altra santa Elisabetta, il babbo pure buonissimo. Come questo esempio, ne potrei fare tanti altri. Finché rimane Tommaso da Celano, le cose non vanno malissimo, perché è un francescano, premuto da tante parti, ma che dà sempre la possibilità di capire. Lui stesso dice: scrivo in tanti modi perché chiunque possa capire, ci saranno i devoti, quelli che vogliono il miracolo, quelli che capiscono di più. Quindi dà anche la possibilità di capire, con una specie di codice, come sono andate le cose.

Il grande dramma avviene quando l’Ordine viene preso in mano da san Bonaventura che nel 1276 scrive la sua biografia fondamentale. L’Ordine si era talmente diviso su come interpretare la regola di san Francesco che ad alcuni frati sembrava così difficile. Bonaventura, d’accordo con alcuni frati, prende una decisione tremenda, di distruggere tutte le biografie, tutte le immagini, e scrivere un nuovo Francesco. Cosa che Bonaventura fa, ma non riesce a distruggere tutte le immagini perché alcune sono anche miracolose e non è facile metterle nel cestino. Avviene questa distruzione capillare di migliaia e migliaia di manoscritti. Per moltissimi secoli, san Francesco è quello di Bonaventura, che è la base di Giotto sugli affreschi di Assisi. Siamo fortunati perché all’inizio del secolo, in un unico manoscritto, sono rivenute fuori le biografie di Tommaso da Celano che per secoli erano scomparse. Ora è possibile confrontare e vedere i cambiamenti.

Per tornare a Francesco e il Sultano, quando Tommaso da Celano ne parla, racconta quel che vi ho detto finora. C’è una tavola, l’unica rimasta, in Santa Croce a Firenze, dove si vede che Francesco parla al Sultano e ai musulmani che l’ascoltano rapiti; una predica attenta. Invece san Bonaventura racconta quello che tutti noi vediamo ad Assisi: Francesco arrivato dal Sultano propone una sfida: fai andare in un grande fuoco i tuoi sacerdoti e ci vado dentro anch’io. Se loro saranno bruciati, vuol dire che la vostra fede non va bene, se io sarò bruciato, vuol dire che va bene. Lo stesso Bonaventura dice che questa fu una proposta di Francesco. Quando però andate ad Assisi, vedete il Sultano e i suoi sacerdoti in fuga e Francesco che sta per entrare in questa grande fiamma...che non è mai esistita, perché non c’è stato mai questo confronto. Bonaventura sta ormai nell’ottica tipica della lotta contro l’eretico: bisogna sconfiggere il nemico e possibilmente mandarlo al rogo. Era l’idea che portava avanti la Chiesa, soprattutto con il tribunale dell’inquisizione.

Francesco ha ancora un’altra cosa riguardo al problema delle Crociate: il presepio di Greccio che è la sconfessione delle Crociate, un’altra delle risposte tipiche di san Francesco che non attacca la Chiesa ma propone una cosa molto diversa e in un certo senso molto polemica. Tornato dall’incontro col Sultano, chiede ad un devoto di preparargli sulla montagna a Greccio il bue, l’asinello e del fieno. Il sacerdote – Francesco era solo diacono - celebra la Messa poi Francesco predica in un modo così infiammato del bambino di Betlemme nato in povertà assoluta, Dio incarnato per amore, con una tale forza di trascinamento che ad un devoto sembra che Francesco si avvicini alla greppia e sollevi un bambino morto che riapre gli occhi. Che cosa è questo racconto anche da parte di Tommaso da Celano? Quel che Francesco vuole dire è che è inutile andare in Terra Santa per liberare i luoghi santi, che Betlemme può essere ovunque, anche a Greccio, purché Cristo sia nel cuore. Quello che Francesco fa è riaprire gli occhi di questo bambino morto, cioè riaprire nel cuore dei fedeli quell’amore per gli altri che era assolutamente morto. Quindi l’invenzione del presepio mi sembra sia proprio la risposta di Francesco alle Crociate. L’essenziale non è sconfiggere, uccidere; al contrario, è far rivivere il messaggio di Cristo.

Sull’andata di Francesco dal Sultano siamo abbastanza fortunati perché abbiamo una fonte araba. Un’epigrafe parla di questo monaco d’Occidente che parlò così a lungo con il Sultano. Ad Assisi ci sono ancora i doni che Francesco avrebbe ricevuto dal Sultano. Non siamo sicuri della loro autenticità, ma questa è molto probabile.

Quel che è straordinaria è l’idea che Francesco ha avuto di andare, e per prima cosa parlare con i crociati, poi con gl’infedeli, e predicare in una maniera tutta diversa da quella che la Chiesa di solito faceva, e poi di ritornare cercando di far capire come fosse completamente inutile quello che si stava facendo e che produceva solo odio.

Dopo la relazione ci sono stati numerosi interventi con relativi approfondimenti della professoressa Chiara Frugoni, che non siamo in grado di trascrivere. Accenniamo ad alcuni temi toccati che sarebbe importante approfondire.

  • Si può e si deve parlare di razzismo da parte dei cristiani in Spagna nei confronti dei "mori". S. Giacomo "matamoros"
  • Diverse integrazioni del "non uccidere" evangelico.
  • Il Cap. XVI della regola non bollata, scritta da S. Francesco nel 1221, "per coloro che vanno tra i saraceni e altri infedeli", scompare nella regola bollata del 1223.
  • Le divisioni nell’ordine che costringono Francesco a tornare in Italia lasciando l’evangelizzazione dei musulmani.
  • Il risultato "politico" della missione di S. Francesco.
  • Il seguito nella Chiesa della scelta di Francesco nei confronti dell’Islam.
  • La contrarietà di Francesco nei confronti delle penitenze.
  • Il principio di Francesco di non chiedere nella Chiesa nessun privilegio per i frati.
  • Come la cultura ostacola la carità.
  • Difficoltà di vivere il Vangelo nelle istituzioni che crescono di numero e di potere.
  • Francesco e il privilegio evangelico dei "piccoli" a cui è dato di comprendere il Mistero

Lectio mundi

Islam 2002