Incontri di discernimento e solidarietà
 
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LA STABILITA’, LA POVERTA’, L’ACCOGLIENZA

di Pino Stancari


Nell’oggi del Figlio

Il tema di fondo su cui noi stiamo riflettendo dall'inizio del nostro lavoro è il tema dell'evangelo. Quando si dice evangelo si intende quella novità nella storia degli uomini per cui noi siamo in grado di inserirci in quella visita che Dio ha compiuto nel suo giorno, quel giorno nel quale il Figlio ha portato a compimento la sua missione, il regno è stato instaurato. L'evangelo è il nostro inserimento in quella visita, lontana da noi nel tempo e nello spazio. Per di più lontano da noi è il Figlio di Dio che ora è asceso al cielo. Il racconto degli Atti si apre esattamente così, con l'ascensione al cielo del Figlio: è lui intronizzato nella gloria, è lui il vittorioso, che ha instaurato il regno.
Noi siamo lontani rispetto a questa sua regalità gloriosa, rispetto a questa sua intronizzazione nella comunione con il Padre nel mistero del Dio vivente. Noi siamo lontani, siamo separati, siamo distratti, siamo condizionati, siamo alle prese con la vicenda umana che nel tempo e nello spazio stringe la nostra carne in modo da essere eterogenea rispetto alla sua carne gloriosa.
L'evangelo è quella novità per cui noi siamo inseriti nel suo giorno e noi siamo resi testimoni della sua gloria. Noi lo chiamiamo per nome. Questa profezia, di cui è oramai dotata la nostra condizione umana, è manifestazione in noi dello Spirito di Dio che è stato effuso. E' la potenza dello Spirito di Dio che ha riempito la distanza, ha reso possibile quel contatto che consente a noi, nelle misure di tempo e di spazio della nostra condizione umana, di aderire alla pienezza gloriosa del Signore vivente, Noi siamo in grado di chiamarlo per nome. E’ il primo discorso di Pietro a Gerusalemme. Questa profezia, che ci consente di invocare il nome del Signore, è opera di Spirito Santo. C'è tra noi e il Figlio, che ha vinto la morte e che regna nella eterna attualità della sua maestà divina, una relazione di parentela e di vita. Nel nome di Gesù: è in questo modo che esercitiamo la nostra profezia, che testimoniamo quale comunione di vita ci coinvolge in rapporto a lui.
L'evangelista Luca racconta i primi episodi che danno una fisionomia oramai operativa alla evangelizzazione per la quale sono impegnati i primi discepoli del Signore, nel cap. 3 e nel cap. 4.


Nel nome del Signore

Noi siamo coinvolti in una relazione con il Signore vivente, asceso al cielo, che ci conferisce in pienezza la prerogativa dei profeti. Invocare quel nome significa esprimere il vincolo di parentela che ci consente di condividere, noi che siamo collocati nelle misure di tempo e di spazio proprie della nostra condizione attuale, la pienezza gloriosa della sua vita instaurata nella maestà divina. Noi invochiamo il nome di Gesù, siamo resi profeti in forza di questa invocazione del nome. Diceva Pietro, citando il profeta Gioele nel capitolo 2,: “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”. Quel Gesù che gli uomini hanno crocefisso, proprio lui è l'interlocutore che ci fa vivere. E' il parente che condivide con noi la vita che riguarda lui, che compete a lui. Colui che noi abbiamo rifiutato, proprio lui è la sorgente della vita che oramai è divenuta la nostra stessa vita. Siamo chiamati a condividere la stessa potenza di vita gloriosa nel contatto con colui che è intronizzato essendo passato attraverso la morte e avendo riportato la vittoria della resurrezione. Noi siamo abilitati a chiamarlo per nome. Questa profezia per cui noi ci appelliamo a Gesù, diviene il nostro modo per intersecare la vita degli uomini. Noi in quanto profeti, siamo depositari di una responsabilità che si chiama evangelizzazione. Questa nostra profezia per cui chiamiamo per nome Gesù, il rifiutato, l'escluso, il reietto che è sorgente della nostra vita, ha un intrinseco valore di evangelizzazione: incrocia la vita degli uomini, chiama gli uomini tutti e ciascuno a condividere la medesima relazione con Gesù, Messia e Signore.
Alla fine del discorso di Pietro (2,37): «all'udire tutto questo si sentirono trafiggere il cuore. E dissero a Pietro e agli altri apostoli: che cosa dobbiamo fare fratelli?». Fratelli che cosa dobbiamo fare? Si sono sentiti trafiggere il cuore. Si sono sentiti presi, toccati, attraversati, colpiti nel cuore, feriti, squarciati, interpellati, sconvolti. Tutto questo e molto di più: si sentirono trafiggere il cuore. La profezia dei discepoli, attraverso Pietro e gli altri, diventa un incoraggiamento, un annuncio che chiama loro, così come chiama tutti, a rendersi conto del valore straordinario che compete alla condizione umana. E' la prospettiva della vita ritrovata che oramai si apre e si illumina per tutti gli uomini. Questa prospettiva si apre in relazione a questo rapporto totalmente nuovo: prendiamo la vita da colui che è stato rifiutato. Il mistero di Dio si è rivelato così, una volta per tutte. E questa rivelazione che si è compiuta in modo esauriente, porta in sé una fecondità universale. Questa fecondità dilaga. Si apre, si illumina, si squarcia l'orizzonte della vita che era stata perduta e che ora è ritrovata. Tutto questo “nel nome di Gesù”, in forza di quel vincolo di comunione che ci stringe a lui, che ci lega a lui indissolubilmente. Non c'è rifiuto che possa più allontanarci da lui se non per constatare come la sua vittoria è in grado di ottenere un frutto di redenzione, di riscatto, di riconciliazione, per noi e per qualunque altro soggetto umano che abbia rifiutato la vita. La sua opera di redenzione è vittoriosa sul nostro rifiuto. Nel nome di Gesù, in quanto siamo legati a Gesù, e in quanto lo Spirito effuso ci ha sigillati in questo legame di parentela con lui. Si sentirono trafiggere il cuore: che cosa dobbiamo fare fratelli?
«Pietro disse: Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati e riceverete il dono dello Spirito Santo».
Dalla trafittura del cuore alla conversione della vita: convertitevi, che cosa c'è da fare? C'è da arrendersi a questa novità, accettarla, assumerla, divenire ancora una volta profeti in continuità con la profezia della evangelizzazione ricevuta.
Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù che è il Messia. Il battesimo realizza in modo esauriente il vincolo di comunione che ci lega al Signore risorto dai morti. Ogni nostro cammino verso la morte, ogni nostro tuffo nella morte sarà occasione per incontrare lui, il vivente. Man mano che andremo morendo, incontreremo lui, il vivente; man mano che la nostra vita sprofonderà, noi lo incontreremo. Noi già siamo segnati nella comunione con lui, battezzati in nome suo. Il battesimo fin dall'inizio fa di noi, i morienti, coloro che sono parenti del figlio vittorioso sulla morte, parenti nel senso che già condividono la sua vittoria sulla morte. La nostra morte oramai è dominata dalla sua vittoria gloriosa. Convertitevi, ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù per la remissione dei vostri peccati.


Per voi e per i vostri figli


Ed ecco il dono dello Spirito Santo. Questa conversione alla vita di Gesù, viene individuata da Pietro nelle sue grandi misure. «Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli». I giudei sono i depositari della promessa, ma quella promessa man mano ha acquisito un significato più intenso, più profondo, più universale: è la promessa mediante la quale il Signore è intervenuto nella storia umana, si è rivelato, si è fatto vicino, si è presentato, per riportare alla vita coloro che l'avevano perduta. La promessa è per voi e per i vostri figli, certo, i giudei, ma, aggiunge Pietro: «Per tutti quelli che sono lontani quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». E’ una citazione di Isaia 57. Si tratta di una allusione oramai inequivocabile alla realtà dei pagani. Giudei e pagani. Inizialmente vi parlavo di un accampamento, l'accampamento dei discepoli, là dove, stando al grande modello di cui leggiamo nel libro dei numeri, viene realizzato il censimento. L'accampamento ha ora delle misure nuove: sono presenti i giudei e saranno presenti anche i pagani. E' solo un accenno, perché in realtà coloro con cui Pietro sta trattando a Gerusalemme sono solo Giudei, e sarà così ancora per un pezzo. La prima evangelizzazione ha a che fare con Israele, con il popolo dell'alleanza, con il popolo del primo accampamento, non c'è alcun dubbio. Gli interlocutori destinatari di questo primo annuncio sono abitanti di Gerusalemme o ospiti di Gerusalemme, comunque appartengono alla grande realtà del popolo di Dio, Israele. Ma la prospettiva già è indicata per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro, giudei e pagani. Quella conversione a cui Pietro sta alludendo, e che si compie nel battesimo, porta in sé l'esperienza di questa vita nuova che è adeguata all'inserimento in un accampamento dotato di nuova capacità, nuovi spazi, nuove articolazioni, voi e quelli che sono lontani. Non solo, insiste: «con molte altre parole li scongiurava e li esortava: salvatevi da questa generazione perversa».
C'è una generazione che percorre una strada deviante, la strada che precipita, che è in contraddizione con la strada della vita. Questa è la strada della quale gli uomini fanno comunemente esperienza, è la strada della morte, è la strada che ci conduce lontani dal giardino della vita. E’ l'inizio, è la storia umana. Ebbene: salvatevi. E’ l'imperativo, un imperativo implorante, che indica oramai in modo clamoroso l'avvio di un'altra strada, di una strada alternativa. La salvezza è esattamente quella nuova capacità di relazione con il mondo, con gli altri, con il grande mistero che avvolge ogni cosa, quella grande capacità di relazione che è vita non più prigioniera di quella morte che l'umanità ha ereditato dal suo passato perverso: salvatevi da questa generazione perversa. La salvezza non è una etichetta che qualcuno può appendere al giubbotto. La salvezza è il respiro nuovo che oramai pervade la vita umana e che le conferisce quella pienezza che è adeguata alla comunione con la vita del Signore glorioso, del Figlio risorto dai morti. Salvatevi da questa generazione perversa. «E allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa 3000 persone». Altre cifre verranno ancora citate successivamente, sempre da intendere in quella prospettiva di escatologia numerica, escatologia campestre a cui accennavo.

C'è un'altra strada. Pietro parla di un'altra strada. Questa strada si chiama salvezza. E' un termine che poi è di uso corrente, non solo negli Atti, ma in tutto il NT, già nell'At, e poi nel linguaggio della Chiesa: la salvezza. Uno stato di vita che condivide la pasqua del Figlio, quello stato di vita per cui oramai noi moriamo e risorgiamo con il Figlio, per cui il nostro morire è il nostro essere agganciati alla sua pasqua che ci trascina, passando attraverso tutte le immersioni e gli sprofondamenti e gli inabissamenti, ci trascina alla gloria vittoriosa della sua intronizzazione. Noi siamo coinvolti nella pasqua del Signore, e questo è il percorso di conversione per morire e risorgere con lui. Non c'è morte che non ci chiude in noi stessi e ci isola nel nostro stato di perdizione, ma siamo chiamati a salvarci, siamo invitati, incoraggiati, sollecitati a renderci conto di quale strada alternativa si apra là dove la nostra vita, in quanto nostra, era prigioniera della morte. Siamo nella strada della salvezza, siamo coinvolti in questa relazione nuova con colui che morendo e risorgendo ha oramai riportato la vittoria definitiva nel nome di Gesù, in rapporto a Gesù, dal momento che lo Spirito di Dio ha fatto di noi dei profeti e ci sigilla nella comunione con lui, siamo imparentati in modo indissolubile oramai.
Questo stato di vita che ci consente di vivere la pasqua del Signore è il costante riferimento dell'attività di evangelizzazione che da quel giorno in poi è prerogativa missionaria, pastorale di Pietro e degli altri.
La prima evangelizzazione a Gerusalemme riguarderà direttamente coloro che appartengono al popolo di Dio, Israele, come Gesù, come Pietro e i primi discepoli.

Nel corso di questi primi 5 capitoli compaiono 3 testi che sono spesso definiti “sommari”. Essi descrivono la realtà della prima comunità dei discepoli. Sono pochi versetti, ma molto densi e misteriosi e, a loro modo, preoccupanti. Abbiamo l'impressione che il nostro evangelista stia dipingendo per noi una icona. Sono tre grandi dimensioni costitutive della vita nuova, della vita cristiana, della profezia cristiana, dell'evangelo. Uno stato di vita alternativo rispetto alla perdizione a cui gli uomini sono abituati nel senso di obbedienza alla morte. Ecco, il primo sommario, 2,42-48. Per ciascuno di questi 3 brevi testi vorrei cogliere uno spunto essenziale con qualche annotazione di contorno.


La stabilità

«Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli, nell'unione fraterna, nella frazione del pane, nelle preghiere». E’ bene insistere su questa assiduità. Il verbo proskartereo, usato qui, ritorna nel v. 46: tutti insieme frequentavano il tempio ecc. Questa assiduità, questa continuità, questa stabilità. Mi sembra che sia necessario cogliere questo aspetto come fondamentale: la vita nuova, alternativa, è caratterizzata da una sua intrinseca stabilità. Stabilità è un termine applicato dall’esterno a questo testo, è una forzatura, ma una forzatura che esprime i limiti della nostra lettura e anche la necessità di assumere un impegno di lettura profetica. Ebbene, la stabilità nella rivelazione biblica ha normalmente a che fare con quella che noi chiameremmo regalità. La stabilità riguarda il trono, riguarda colui che siede sul trono e che è in grado di esprimere il valore di un riferimento incrollabile nello spazio e nel tempo. Luca, e siamo appena alla fine del cap. 2, dà grande valore a questa nota regale della vita nuova: essa è dotata di stabilità, è un nuovo stato di vita. Non è soltanto la famosa etichetta, ma non è nemmeno la grande emozione, il fatto singolo. L'evento si è compiuto, si. Ma adesso è in questione la salvezza in quanto stato di vita. Stabile. Erano assidui. La stabilità viene articolata lungo 4 direttrici.
Erano assidui nell'ascoltare: l'insegnamento degli apostoli, la comunione, la frazione del pane, le preghiere. Queste 4 note caratteristiche della vita cristiana nel suo primo configurarsi meritano un'attenzione specifica e dettagliata, ma tutte e 4 queste indicazioni fanno capo all’ assiduità: erano assidui, erano stabili, coerenti, la loro regalità, quella che oramai è divenuta la loro prerogativa regale. I versetti seguenti ci aiutano a precisare meglio. «Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni venivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune. Chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti secondo il bisogno di ciascuno».
Sono 3 versetti che ci aiutano a cogliere la novità del rapporto con l'ambiente circostante. E’ un testo da contemplare. C'è un rapporto con l'ambiente che è intrinsecamente trasformato, convertito, filtrato, passato attraverso la pasqua di morte e resurrezione. Un rapporto con l'ambiente che è stabilito nella novità. Si dice nel v. 44 che: tutti coloro che erano divenuti credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune. Qui si intende la fede come radicamento su un terreno solido. Quei tali sono credenti insieme, stavano insieme, tenevano ogni cosa in comune. Stanno sullo stesso fondamento, dice così la lettera del testo, e condividono la diversità. Il fatto di potersi stabilire sullo stesso fondamento li rende capaci di condividere la diversità. Non è lo stesso che abolire la diversità. E' condividerla nella stabilità che è data nell'unico fondamento. E chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E' la diversità propria che è divenuta un'occasione di incontro e di condivisione con gli altri.
Nei versetti 46-47 l'attenzione viene spostata verso il popolo d'Israele con il suo particolare significato: «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio». E’ il tempio di Gerusalemme, là dove salgono i fedeli del popolo d'Israele: «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio re spezzavano il pane a casa, prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo». Il riferimento al tempio è dolcemente contrastato dal riferimento alla consuetudine di ritrovarsi casa per casa a spezzare il pane. E' un riferimento all'eucarestia, l'eucarestia accompagnata dai canti alleluiatici, è eucarestia celebrata in allegrezza e in atteggiamento di gratitudine: lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Questo termine “simpatia”, per un verso è da intendere come il favore gratificante che ricevono da parte del popolo, per un altro verso è da intendere come gratitudine. Sono radicalmente inseriti nel popolo d'Israele, ma già sono depositari di una pienezza che provoca tensioni, di cui poi il racconto che segue ci darà il riscontro oggettivo. E in ogni caso sono animati da una inesauribile gratitudine nei confronti di quel popolo d'Israele, che è il loro, a cui essi appartengono. E' il popolo d'Israele, il popolo del tempio, dell'alleanza, dell'esodo, è il popolo verso il quale là dove viene celebrata l'eucarestia, è costantemente rivolto il ringraziamento dei discepoli del Signore. Sono solo degli accenni, ma è proprio vero: ogni diversità è motivo di condivisione, e ogni diversità diventa arricchimento della vita altrui, così come ci si arricchisce della diversità altrui. E questo riguarda il modo di essere inseriti nel mondo in rapporto alle creature di Dio, tutte nella loro originalità, e questo riguarda il rapporto che resterà sempre particolare e unico imprescindibile con il popolo d'Israele.
v. 48: «Il Signore aggiungeva ogni giorno alla comunità quelli che erano salvati”. Cresce la prima comunità dei discepoli, cresce nella fecondità del dono profetico per la salvezza, quel dono profetico che si esplicita mediante l'invocazione del nome.
Il dono profetico che si esprime mediante l'invocazione del nome di Gesù realizza quel nuovo stato di vita che si chiama salvezza. E' uno stato di vita caratterizzato da una stabilità originalissima, per cui oramai sempre e dappertutto c'è da condividere quel che è proprio della diversità. Per questo sono stabili, per questo sono assidui, per questo sono radicati in una situazione che oramai è definitivamente consolidata, perché non c'è più una istanza vitale, non c'è un'occasione, una esperienza, un vissuto che non sia condivisibile e che non sia occasione di crescita nella condivisione. Sono stabili oramai. Non hanno più da temere, ma non hanno più nemmeno da programmare gran che, là dove la vita nuova è costituita nella sua stabilità. Ogni novità sarà conferma di quella inesauribile apertura alla condivisione che oramai la salvezza ha conferito a coloro che hanno intrapreso il cammino della conversione e sono stati battezzati.


La povertà

Capitolo 4, vv. 32-35. C'è una seconda dimensione: la povertà. E’ un termine da cui non possiamo mai prescindere. Dopo il fatto dello storpio che è stato introdotto nel tempio, i discepoli vengono rimessi in libertà (4,23ss), si raccolgono insieme con gli altri, pregano. v. 29: pregano chiedendo di essere custoditi dallo sguardo del Signore, dal momento che su di loro sono invece puntate le minacce di coloro che vorrebbero aggredirli: «Concedi ai tuoi servi di annunziare con tutta franchezza la tua parola. Stendi la mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù».
Chiedono quello sguardo, e chiedono l'intervento di quella mano che consentano ad essi di essere in comunione con il santo servo Gesù, colui che, rifiutato, ha riportato vittoria, colui che escluso e inchiodato, è divenuto sorgente di vita nuova per tutti gli uomini. Hanno a che fare con una posizione di vita che è di per sé indifesa e sguarnita, è la condizione di vita del santo servo Gesù, ed è la condizione di vita che oramai riguarda tutti quanti loro, in quanto sono coinvolti nella comunione con il Figlio crocifisso e glorificato, il santo servo Gesù.
Non c'è dubbio: una vita indifesa e sguarnita, a questo punto, è una vita meravigliosa. Stendi la mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù. Una vita meravigliosa proprio perché è puntualmente confermata, intimamente sigillata nella comunione con la vita del Figlio, che, indifeso e disarmato, è passato in mezzo a noi, ha subito tutte le conseguenze del rifiuto più violento fino alla morte ed ha riportato vittoria nella gratuità della sua figliolanza condivisa. A partire da questa richiesta c'è come un rinnovarsi della pentecoste, v. 31, ecco v. 32: «La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno».
Notiamo l'accenno a una unità di propositi. Coloro che sono venuti alla fede, coloro che sono impiantati su quell'unico fondamento, avevano un cuore solo e un'anima sola. Dunque unità di intenti, di progetti, di sentimenti, unità di propositi. E notate ancora il riferimento agli apostoli, e, più esattamente, alla grandezza degli apostoli. v. 33: con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza. La grandezza, la magnificenza. Questa terminologia diviene più facilmente comprensibile se teniamo conto del magnificat, il cantico della Madre del Signore: l'anima mia proclama la grandezza del Signore. E’ il cantico della creatura che, là dove non pretende più di essere nient'altro che creatura, porta in sé e offre attraverso di sé, la rivelazione del creatore. Tutto di Dio diviene presente là dove abbiamo a che fare con una creatura che non ha nessun altra prerogativa, nessun altra intenzione, nessun altro progetto, nessun altro proposito se non quello di essere quella creatura che è, in quanto creatura appartiene al creatore, una creatura che proprio perché è tale è la rivelazione della grandezza, della maestà, della magnificenza del Dio vivente.
La grande forza degli apostoli è da comprendere in rapporto al Magnificat di Maria santissima. E' la grandezza delle creature che, là dove si offrono per quelle che sono, divengono inconfondibili sacramenti del creatore.
Gli apostoli sono citati in questo sommario come i mediatori di quel meccanismo che prevede l'intervento a vantaggio di coloro che sono bisognosi, la rinuncia ai propri beni di coloro che sono abbienti, e cosi via.
Noi siamo portati a quantificare queste posizioni e anche a organizzare questo tipo di spostamento da una posizione abbiente alla posizione del bisogno e viceversa. Io ho proprio l'impressione che qui dobbiamo rimanere attenti a rimanere in atteggiamento contemplativo, mirando altrove. Gli apostoli sono i mediatori di tutta questa vicenda, ai piedi degli apostoli tutto viene deposto, in quanto proprio loro stessi sono esperti per quanto riguarda la condizione del bisogno. Gli apostoli qui non sono citati come i tecnici della distribuzione, ma in quanto bisognosi e quindi svolgono una funzione che è di loro competenza per quanto concerne lo svuotamento dei beni. L'attenzione contemplativa, che il nostro evangelista Luca vuole educare in noi lettori, ci orienta a scoprire che la povertà è divenuta indifesa, sguarnita, disarmata. La povertà è divenuta un atto di obbedienza alla gratuità del mistero di Dio.
Gli apostoli non sono citati come i tecnici della redistribuzione dei beni, ma sono citati in quanto poveri. La povertà si configura come il nuovo stato della vita cristiana. Una situazione di povertà che è intrinseca, costitutiva, nel nuovo stato della vita cristiana, povertà come affidamento alla gratuità di Dio, del suo mistero, della sua opera, gratuità della presenza altrui, gratuità di quanti si prenderanno cura di te.
Il caso del bisognoso non è citato come quella situazione marginale e pericolosa a cui bisogna ovviare. Queste sono preoccupazioni nostre, perché noi siamo radicalmente condizionati dalla convinzione che la povertà sia di per sé un dato negativo. Il brano biblico va in un'altra direzione. La grandezza è proprio là dove la creatura umana, nella sua povertà, si consegna, si affida, non si appartiene più. Questa povertà diventa intrinseca testimonianza della novità cristiana, della fiducia in Dio e nel suo regno, nella novità che da Dio è stata introdotta nella storia umana, diventa affidamento e anche obbedienza alla gratuità della presenza altrui. Non si evangelizza perché si raccoglie la propria ricchezza per andare incontro ai poveri, ma si evangelizza perché nella povertà ci si consegna.
L’aiutare i poveri è secondario. Il punto è nell'essere poveri. L'affidamento alla gratuità dell'opera di Dio diviene motivo di incoraggiamento, di consolazione, di conversione, anche motivo di provocazione per tutti coloro di cui si ha bisogno. Consegnarsi come bisognosi. Questo è il tema costitutivo della novità cristiana. Non garantirsi la ricchezza così che possiamo aiutare i poveri, ma consegnarsi come bisognosi. Questa è la novità.
Subito dopo c'è il caso di Giuseppe (v. 36), detto Barnaba, e poi c'è il caso di Anania e di Saffica. Questo seguito, fino a 5,11 è da mettere in stretta connessione con il secondo sommario che abbiamo appena letto.
Barnaba si rallegra di poter stare là dove stanno gli apostoli, ai piedi degli apostoli. Là depone il suo campo che ha venduto: stare là dove si trovano gli apostoli. Stare in quella posizione. Il punto non è tanto fare la buona azione, ma stare là dove stanno gli apostoli, in quella condizione di bisogno che mi espone e che mi affida alla gratuità del disegno realizzato da Dio attraverso questa novità che investe il cuore degli uomini.
Barnaba si espone a quella stessa povertà di cui gli apostoli sono l'espressione strutturale, ufficiale, costitutiva della chiesa. Dico nella chiesa, perché per la prima volta nel cap. 5 appare il termine ekklesia, proprio in rapporto alla povertà. Il caso di Anania e Saffica è il caso esemplare in senso opposto: la diffidenza nei confronti dell'amore. Non si fidano dell'amore. Si tratta per loro di un cedimento rispetto al dominio della morte. La loro stessa nuzialità è una nuzialità per la morte. Il testo ci tiene a rimarcare questo fatto: una nuzialità per la morte, ed è invece lo Spirito del Signore che è geloso della sposa di Cristo, che è la ekklesia. Vedete qui in 5,9: «Allora Pietro le disse: Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore?».Lo Spirito del Signore è colui che rivendica la dignità della sua sposa, è la sposa di Cristo, è la ekklesia (v. 11): «un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose». E' la prima volta che compare questo termine negli Atti degli apostoli, compare in rapporto al caso di Anania e Saffica, al caso di una nuzialità rattrappita dentro i meccanismi della morte. La chiesa, sposa di Cristo, di cui lo Spirito del Signore è geloso custode, si consegna invece nella povertà del suo stato di bisogno. E si consegna allo sposo, al creatore, a Dio, si consegna alla storia e al mondo, si consegna agli uomini chiamati a vita nuova. Come sarebbe mai possibile testimoniare la novità della vita cristiana, quella novità che evangelizza, se non là dove i discepoli del Signore non si consegnano nella povertà?
Questo loro consegnarsi nella povertà fa tutt'uno con la loro testimonianza di piena appartenenza al mistero glorioso del Signore vivente che coinvolge il cuore umano in una nuova capacità d'amore e di comunione.


L’accoglienza

Subito dopo c'è il terzo sommario 5,12-16: «Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli». Terza dimensione: l'accoglienza. C'è qui un accenno alla operosità del servizio. «Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava». Li magnificava, riconosceva la loro grandezza, la grandezza della creatura che nella sua povertà è affidata al creatore e la grandezza di quella creatura che nella sua povertà è affidata all'amore altrui. Non c'è evangelizzazione possibile se non ci si affida poveramente all'amore altrui, non c'è evangelizzazione possibile, profezia. Non c'è novità di vita se non ci si affida alla propria povertà di bisognosi all'amore altrui.
Non si va ad evangelizzare perché qualcuno ha bisogno dell'amore nostro. Questo è anche vero, ma questo diventa molto marginale. Si va ad evangelizzare perché ci si affida all'amore che sarà donato, sarà suscitato, che lo Spirito di Dio, nella sua inesauribile fecondità genera nel cuore umano.
E adesso l'operosità del servizio. Attorno agli apostoli c'è un certo turbamento, c'è movimento di gente in difficoltà, cresce il tumulto. Portavano uomini e donne sulle piazze, ammalati, su lettucci, giacigli, perché: «quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti».
Questo affidamento all'ombra di Pietro, questa immagine, è stata ripresa in tanti modi nella tradizione antica e moderna.

Stancari 7 gennaio 2003

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