Incontri di discernimento e solidarietà
 
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1995-1996 - VANGELO DI MARCO (Prima parte)

LA NOVITA' DI DIO

lettura spirituale di Mc 1,1-20

evangelo di Gesù
Il vangelo secondo Marco è il primo dei quattro vangeli che leggiamo all'inizio del N.T. Il termine "vangelo" è proprio in apertura di questo scritto, al v.1 del cap.1: «Inizio del vangelo di Gesù». Il vangelo secondo Marco si presenta come una grande catechesi che è destinata ad aiutare i cristiani nella progressiva maturazione della loro vita di fede e nel discernimento della loro vocazione.

Quando leggiamo all'inizio del nostro libro: «Inizio del vangelo di Gesù», il termine "vangelo" indica qualcosa che è antecedente ad uno scritto, qualcosa che è ben più significativo per la nostra fede cristiana e per il discernimento della nostra vocazione di quanto non possa avvenire nel rapporto con uno scritto. Vangelo significa messaggio, ed un messaggio rinvia ad un annunziatore. Nel testo di Marco il termine evangelo è immediatamente connesso al nome di Gesù: è il vangelo di Gesù; è la predicazione del messaggio che è stata svolta da Gesù. Il vangelo è inteso perciò come predicazione di Gesù: testimonianza e memoria di quanto Gesù ha predicato.

Bisogna aggiungere subito che il termine evangelo di Gesù comporta il riferimento a Gesù non soltanto in quanto è stato lui il primo evangelizzatore, ma in quanto è proprio la realtà della sua persona, l'elezione di cui egli è stato protagonista fino alla sua pasqua di morte e resurrezione, a costituire il contenuto dell'evangelo. In questo senso si tratta di evangelo su Gesù, che ha Gesù come contenuto, in quanto è trasmissione a noi del messaggio predicato dai discepoli, testimoni degli avvenimenti, che dopo la resurrezione del Signore hanno evangelizzato.

L'evangelo è pertanto la predicazione dei discepoli che vogliono annunciare ad altri, e ad altri ancora fino a noi, oggi, la realtà misteriosa e pregnante di ogni significato per la salvezza della storia umana, che si ricapitola nella pasqua di morte e di resurrezione del Maestro. Coloro che hanno conosciuto Gesù come maestro, ora lo evangelizzano come Signore. «Evangelo di Gesù». In questo caso abbiamo a che fare con la predicazione dei discepoli, mentre prima avevamo a che fare con la predicazione di Gesù. C'è una ovvia continuità tra la predicazione dell'uno e la predicazione degli altri: evangelo di Gesù quando era annunciatore, evangelo di Gesù quando era annunciato.

inizio..

C'è un passaggio ulteriore su cui conviene riflettere: quello che dalla tradizione orale porta al testo scritto. C’è un richiamo che è posto in apertura del testo: «Inizio dell'evangelo di Gesù». Inizio. La parola in greco è arché, principio, ed è un termine che non significa semplicemente l'avvio di una narrazione, in questo caso di una narrazione scritta; il termine ha una precisa pregnanza teologica. Si parla di inizio nel senso forte di quella sorgente da cui tutto scaturisce che è la iniziativa di Dio, il Vivente. L'inizio dell'evangelo è da intendere come la testimonianza per noi della originaria, primigenia e gratuita iniziativa di Dio: da Dio l'inizio, in Dio l'inizio, Dio il protagonista di ogni iniziativa.

Inizio del vangelo non è soltanto il primo avvio di un discorso che seguirà, ma inizio è l'evangelo in quanto notizia di una iniziativa che compete solo a Dio e che ormai s'impone a noi in modo determinato, definitivo, inequivocabile. Una notizia che riguarda Dio, che ha Dio stesso come protagonista: Dio si è manifestato a noi per notificarci qualcosa di suo, per rivelarci un suo discorso, per prendere posizione in rapporto a noi, creature sue, nella libertà dei suoi gesti, nella fedeltà alla sua eterna intenzione d'amore.

Inizio dell’evangelo ci rimanda ad altro "inizio": «in principio Dio creò il cielo e la terra», così come risuona nelle prime battute del libro della Genesi che, non a caso, è detto il libro delle origini. E' quel principio che coincide con il mistero stesso di Dio, sorgente inesauribile, eternamente feconda di ogni iniziativa: quell'inizio che è Dio stesso.

Il mistero di Dio si manifesta a tappe. L'evangelista, Giovanni, così inizia il suo scritto evangelico: «In principio era il logos, e il logos era rivolto a Dio». "In principio" è l'evangelo in quanto è il rivelarsi stesso di Dio, il suo rendersi presente e operante in rapporto a noi, che siamo sue creature, originate da lui. Siamo così ricondotti a quella origine da cui proveniamo per essere confermati nella appartenenza alla sua eterna e fedele intenzione d'amore.

Siamo soltanto all'inizio di un libro e siamo dinanzi a colui che è il libro. Siamo raggiunti dalla notizia che ha Dio come soggetto e che risuona per noi in quanto mistero stesso di Dio che conferma la sua iniziativa e, dunque, la sua volontà di manifestarsi e dialogare con noi. E' la novità divina: è il mistero di Dio che affiora, che si fa riconoscibile; è il mistero di Dio che si impone come forza e vita, energia incontenibile, impulso intransigente, volontà d'amore, che tutti ci precede, che tutti ci anticipa, e che, ora, vuole instaurare con noi, sue creature, nella storia degli uomini, un rapporto di comunione e di riconciliazione, un rapporto di salvezza.

Questa iniziativa del vangelo, iniziativa di Dio, si presenta a noi portatrice di una urgenza che attraversa tutto lo spessore della nostra condizione umana, scandaglia tutte le profondità della nostra miseria, prende contatto con tutte le ostilità e ribellioni che nella nostra realtà di creature umane abbiamo frapposto alla originaria volontà di Dio. Ecco quello che Dio vuole nella sua originaria iniziativa: prevalere rispetto a qualunque nostra opposizione a lui. Questo è l'evangelo, quell'"inizio" che si chiama evangelo. L'evangelista Marco immediatamente aggiunge: è quell'evangelo che si chiama Gesù.

Il vangelo non è solo un discorso che contiene un messaggio prezioso, ma in se stesso è attraversato e sostenuto da un impulso vivo: è il rivelarsi stesso di Dio, l'affiorare dell'Onnipotente che vuole ricondurre a sé le creature che si sono allontanate.

Se l'evangelo è questa energia che preme dal di dentro della storia, non è allora un discorrere che passa da istruttori a istruiti, ma è internamente mosso da un impulso incontenibile: è la potenza, la forza, la volontà di Dio che si manifesta e si impone dentro gli eventi della storia umana, in modo da intersecare tutte le realtà di questo mondo. Ed è proprio questa forza ad attirare tutto e tutti verso Gesù: egli morendo e risorgendo nella pienezza dei tempi ha manifestato in modo definitivo la volontà di Dio nel rapporto con le sue creature e con l'intero disegno della storia.

Se l'evangelo diviene uno scritto, un libro, è proprio perché i discepoli del Signore avvertirono la necessità di fornirsi loro stessi (e gli altri) di uno strumento che fosse di supporto nel contatto sempre intimo, incandescente e travolgente, con quell'impulso che è rivelazione per noi della presenza di Dio nella storia umana.

la novità di Dio

Lo scritto evangelico è uno strumento essenziale per la crescita matura della fede, ma è uno strumento nello stesso tempo fragilissimo, esposto a tutti gli inconvenienti di uno scritto. Le pagine del libro sono state redatte, sono state poi affidate alla comunità dei discepoli, la chiesa, che le custodisce, le rilegge. La chiesa è costantemente chiamata ad un ascolto pieno di venerazione verso le pagine degli scritti sacri, nella concretezza del testo, nella pazienza di ascoltare, di masticare, di ripetere, di studiare, di scrutare nelle profondità ogni singolo versetto. Tutto questo avviene nella obbedienza a quell'impulso che continua ad essere urgente e vivo nella storia degli uomini, perché l'evangelo è la novità di Dio , egli si impone a noi come protagonista della nostra storia e della nostra vita assumendola in tutte le sue dimensioni. L'iniziativa divina s'impone ancora a noi, oggi come all'inizio, così, per sempre.

L'incontro tra noi e le pagine del vangelo è un incontro esigente e in qualche maniera anche umiliante, ci riduce in condizione di estrema povertà. L'incontro con le pagine evangeliche ha un valore veramente sacramentale: è la presenza santissima di Dio che ci precede, che ci incalza da tutti i lati; è la presenza di Dio, presenza santissima, che, attraverso le pagine del libro sacro, ci visita con tutta la sua novità per la salvezza del mondo. Una notizia che ha la forza viva di imporre e di spiegare a noi la realtà di una nuova creazione. Essa ci coinvolge nell'esperienza di questa novità che riguarda l'universo, la storia, la vita umana, il cuore di Gesù.

egheneto, fu

L'evangelo di Gesù. Il nome di Gesù è identificato mediante quei titoli che gli vengono attribuiti: il primo titolo è Cristo, il secondo è Figlio di Dio. E' in sintesi tutta la catechesi che l'evangelista Marco svilupperà nelle pagine che successive.

La prima parte del vangelo di Marco, fino al cap.8, aiuta a comprendere e contemplare la messianicità di Gesù: Gesù il Cristo; la seconda parte della catechesi, sviluppata dalla fine del cap.8 in poi, si concentrerà a precisare il senso di quel secondo titolo attribuito a Gesù, quello di Figlio di Dio.

Il racconto evangelico si apre con la messa a fuoco di un motivo che sarà puntualmente scandito dalla ripetizione di una stessa forma verbale: egheneto. Per tre volte risuona questa forma verbale: essa indica una azione determinata e risolutiva che si è compiuta una volta per tutte. Questo verbo appare nel v.4 dove leggiamo: «Si presentò Giovanni». Si potrebbe dire: « e fu Giovanni». La forma verbale presentata qui ha una intensità straordinaria, è il verbo con il quale si allude all'opera del Creatore: «Egli disse e la luce fu». E' lui, l'Onnipotente, il Santo che prende posizione; è il Vivente che si è introdotto nella storia degli uomini e la sua presenza affiora in modo inconfondibile.

Lo stesso verbo - «e fu Giovanni» -, ritorna al v.9, in cui si parla ormai di Gesù: «In quei giorni Gesù fu», e venne da Nazareth di Galilea. La nostra Bibbia trascura di dare rilievo nella presenza di questa forma verbale che invece ha un rilievo prezioso e per nulla trascurabile. Questa forma verbale appare per la terza volta nel v.11: «E si sentì una voce dal cielo». Alla lettera: «E fu una voce dal cielo». Di nuovo egheneto. In pochi versetti per tre volte appare la stessa forma verbale e non è un caso: fu. E' Dio che viene, è la sua presenza che si manifesta, è la notizia che interseca il vissuto di ognuno di noi così come ha attraversato per intero la vicenda degli uomini. Egheneto viene adottato con una urgenza crescente, come se fossimo sottoposti a tre strappi successivi, a tre sobbalzi, a tre singhiozzi: singhiozza la terra, singhiozza il cielo, singhiozza l'universo. E' una spinta che preme in modo da abbattere qualsiasi barriera: non ci sono tempi o spazi che possano avere impedimenti invalicabili.

Giovanni il battezzatore

Un salto all'indietro ed è ricapitolata tutta la storia umana, una storia premuta da questa presenza: che è luce, che viene, che si fa protagonista di svolte nuove, di soluzioni definitive.

Ecco io mando il mio messaggero davanti a te,

egli ti preparerà la strada.

Voce di uno che grida nel deserto:

preparate la strada del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri.

La citazione del profeta Isaia sintetizza diversi testi veterotestamentari: il libro dell'Esodo, di Malachia, di Isaia e altri ancora.

Giovanni il battezzatore con la sua persona rievoca tutto il percorso della storia antica , tutta la storia della salvezza, quella che va dalle promesse ad Abramo fino a Gesù.

Giovanni è vestito di una tunica di pelle. Nel libro della Genesi, al cap.3, proprio questo è l'abito che il Signore concede alle sue creature. Si tratta di Adamo e di Eva dopo il peccato: si sono rivestiti con foglie di fico e il Signore dà loro come abito una tunica di pelle.

I progenitori restano in sosta fuori del giardino, una volta che questo è stato chiuso a loro. Giovanni, rivestito di una tunica di pelle, sta sulla soglia: è la soglia per eccellenza, quella dinanzi alla quale sono stati i progenitori dopo l'espulsione dal giardino, ma è anche la soglia dinanzi alla quale è in sosta tutta la storia umana di ieri, di oggi e di domani. Siamo sulla soglia della salvezza della storia umana in rapporto all'opera di Dio che è ormai nella fase di attuazione definitiva. Per questo Giovanni è sulla sponda del Giordano, come i progenitori furono lasciati sulla soglia del giardino.

Il Giordano nella storia della salvezza è il luogo della sosta: le tribù d'Israele sostano dinanzi al fiume dopo la peregrinazione del deserto. Il popolo di Israele entrerà nella terra promessa varcando il fiume Giordano con le tribù guidate da Giosuè. Giovanni si presenta come un nuovo Giosuè, erede di tutto il percorso già compiuto dalle generazioni precedenti: è di fronte al Giordano, in procinto di attraversarlo ed entrare nella terra, una volta che sarà avvenuta la necessaria purificazione; entrare nel giardino una volta che, non solo il popolo delle promesse, ma tutta la famiglia umana sarà riconciliata.

Tutto questo avviene perché Dio si manifesta: «fu Giovanni». Il suo abbigliamento accenna alla tradizione profetica, il richiamo è al profeta Elia. E' un modo per ricapitolare tutto quel complesso di eventi insondabili e indecifrabili che sono nella esperienza dell'umanità, di ieri, di oggi e di domani. Il senso di tutto quello che sta avvenendo e di quello che avverrà è dinanzi ad una soglia. Lì è Giovanni. Dinanzi a quella soglia Giovanni è condotto dalla pressione poderosa operata da Dio che avanza e si rivela e vuole imporre la sua novità nella sua eterna intenzione d'amore.

un figlio che ascolta

«In quei giorni Gesù fu, e venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano dal Battista». Adesso l'attenzione si concentra su di lui: «E subito, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba». Bisogna aggiungere questo avverbio di tempo, subito, che la traduzione trascura. Questo avverbio di tempo verrà ripreso più volte nel corso del cap.1 e diventa una specie di rintocco che batte il tempo, sempre più incalzante, di questi avvenimenti.

«Subito uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e discendere su di lui lo Spirito come una colomba». Siamo dinanzi a Gesù che esce dall'acqua. Gesù ha seguito il cammino degli altri che si sono rivolti a Giovanni e hanno ricevuto il battesimo. Ebbene, su di lui si apre il cielo, espressione questa che è già presente nell'Antico Testamento. Essa serve magnificamente ad indicare quello che avviene nel cuore dell'uomo: il cielo si spalanca perché è il cuore dell'uomo che si apre. Abbiamo a che fare con lo spalancamento del cuore. Il cuore di un uomo, il cuore dell'uomo, si apre: uscendo dall'acqua vide aprirsi il cielo.

E' l'opera di Dio che si manifesta a noi per conferire un ritmo nuovo alle vicende della nostra storia. Essa ci svela una profondità mai esplorata nell'abisso del cuore. Dinanzi a noi un uomo dal cuore aperto: è Gesù.

Ed ecco la terza ondata, la terza spinta, la terza scossa di questo terremoto che sta progressivamente sbaragliando qualunque resistenza. E' l'evangelo a farlo, è il mistero di Dio a compiersi, perché è la presenza del Santo ad incedere e a costituire la notizia che fa nuovo il mondo.

«E fu una voce dal cielo (e la voce dice): tu sei il figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto». E' la voce che viene dal cielo, una voce. Fu: la voce; fu Giovanni, fu Gesù. La voce dal cielo riguarda Gesù, si rivolge a Gesù, proprio a lui direttamente, personalmente, e gli dice: tu sei il figlio, il figlio mio prediletto.

La voce si compiace di un figlio che ascolta, Gesù. La novità ormai è affiorata e diviene punto di riferimento capace di interpretare e significare tutto nel mondo e nella storia. Un figlio in ascolto. Quella novità che è opera e rivelazione di Dio è una rivelazione che ci visita, ci sorprende, ci travolge dall'interno della nostra vicenda umana, dal fondo del nostro cuore visitato, sbaragliato, nel vissuto faticoso della nostra esperienza di dialogo con il Signore onnipotente.

C'è un figlio che ascolta; c'è in mezzo a noi qualcuno che ascolta. E la voce si compiace di lui. C'è in mezzo a noi qualcuno che è in grado di consumare e realizzare la propria esistenza nel mondo in obbedienza alla voce; c'è in mezzo a noi un figlio che ascolta: non ha altra testimonianza da rendere, non ha altra missione da compiere che non sia l’ascolto della voce. E' un ascoltatore senza ritrosie, senza cedimenti, senza limiti: "tu sei il figlio mio prediletto". La voce si compiace.

Questo è l'evangelo: Gesù, il figlio che ascolta la voce.

La storia degli uomini è trascinata in un vortice di una immensa energia creatrice in rapporto a quel figlio che ascolta. E' lui, Gesù, e noi siamo trascinati.

nel deserto

Lo Spirito lo conduce poi nel deserto. Ritorna l'avverbio "subito": «Subito, lo Spirito lo sospinse nel deserto». Il figlio è nel deserto, è il deserto di questo mondo, della storia umana, del cuore umano. Il Figlio è condotto nel deserto per aprire un varco in forza della sua obbedienza alla voce. E' il deserto che noi siamo abituati a rifuggire senza mai venirne a capo; è il mondo che è dentro di noi e di cui sperimentiamo l’aridità soffocante; è il nostro cuore che ha la durezza di una immobile pietraia.

« E vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano». Il v.12 e il v.13 sono una descrizione anticipatrice di tutta la missione che Gesù affronterà. Gesù rimane per quaranta giorni nel deserto tentato da Satana. Quaranta giorni è il periodo di tempo che indica i giorni della vita umana, della sua vita: un tempo di tentazioni, di prove, di schiacciamento, di scontro, fino al limite estremo, fino all'impatto con la morte.

Attorno a lui e in rapporto a lui una nuova creazione e una nuova umanità sta ai suoi piedi e gli angeli lo servono. Quella soglia invalicabile che impediva ai progenitori di rientrare nel giardino è ormai superata: «stava con le fiere e gli angeli lo servivano». Ha attraversato il deserto, ha scandagliato tutte le profondità, ha urtato contro tutti gli ostacoli, ha divelto tutte le asprezze: «stava con le fiere e gli angeli lo servivano».

Questo riguarda tutti, riguarda noi. E' il motivo per cui l'evangelista ha scritto, per cui la chiesa continua a leggere e commentare il libro. Questa novità è forza di Dio che si è realizzata in lui e che fa nuovo il mondo, che fa nuove creature noi, tutti, senza che più nessuno sia dimenticato o escluso.

sulla riva del mare

«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù venne nella Galilea predicando l'evangelo di Dio. Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo»: Proprio qui, sulla sponda del mare. A quella sequenza di tuoni, di scosse di terremoto che abbiamo prima descritto segue una scena serena, come se tutto si placasse sulla riva del mare: Gesù passeggia. Il mare di Galilea è in realtà un lago (neppure tanto grande), ma nel vangelo secondo Marco si chiama sempre mare. Il mare nel linguaggio biblico significa il male, l'ostacolo per eccellenza, il blocco, l'impedimento. La storia della salvezza conosce una delle sue soglie decisive quando Israele attraversa il mare.

Siamo sulla sponda del mare e Gesù passeggia. Per la prima volta è segnalato questo gesto di Gesù. Sarà quasi una necessità vitale per Gesù avvicinarsi al mare, puntare verso il mare, guardare il mare. Il mare è un altro modo per parlare del deserto, un deserto liquido, in cui lui deve entrare, che lui deve attraversare: lui, il figlio che risponde alla voce. Il figlio che ritorna a casa deve attraversare il deserto, la distesa del mare.

L'evangelista Marco vi accenna in altre occasioni ancora: è un sospiro, una tensione, un entusiasmo, irriducibile questa sua spinta verso il mare. E' sulla sponda del mare che Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, gettare le reti. Sono pescatori di terra, sono pescatori che non affrontano il mare. Le loro sono reti, come ci dice il testo greco in modo inequivocabile, che si gettano stando a riva. Sono pescatori ributtati dalle onde del mare sulla riva. Un'immagine quanto mai evocativa: detriti che il mare ha portato fino a quella sponda, che la corrente ha scaraventato come relitti, più o meno preziosi. Le onde battono senza storia, senza novità e sulle sponde si raccolgono le cose perdute ed inutili. Sulla sponda di quel mare transita Gesù, li vede, li chiama e li invita a seguirlo nell'attraversamento del mare, per essere veri pescatori. Erano pescatori di terra, Gesù li vuole pescatori al largo, nel mare. Gesù li raccoglie, sono detriti preziosi comunque per lui, anche se la corrente marina li ha depositati sulla sponda. Questi tali sono i lettori del vangelo. Marco sta delimitando i termini della sua catechesi. Chi siamo noi se non quei tali, che all'alba di quel giorno, in una quiete che sembrava senza storia sono stati visti da Dio, raggiunti dalla sua parola? «Seguimi, io ti farò pescatore di uomini.. Subito, lasciate le reti, lo seguirono». Torna l'avverbio subito. La scena è sobria, essenziale: quello che conta è che Gesù li ha presi con sé. Gesù non dice loro molte parole ma parla con una inconfondibile intimità di cuore - cuore a cuore - di un viaggio attraverso il mare. E' un dialogo fatto solo di sguardi, di gesti che rivelano una intimità e una immediatezza tra lui e loro, tra lui e i lettori del vangelo, da cui emerge la sua novità, una novità sempre nuova.

Vi sono anche altri due pescatori su una barca, anche loro sono chiamati: «Li chiamò subito, ed essi, lasciate le loro reti, lo seguirono». Ritorna l'avverbio subito.


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Vangelo di Marco 1995-96