Incontri di discernimento e solidarietà
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04 aprile 2017

Prima Lettera di Pietro - terza parte

La novità della vita cristiana, sacramento ed epifania di bellezza

Quarto incontro del ciclo 2016-2017


Abbiamo letto, il mese sorso, il capitolo 2 della Lettera di Pietro fino al v. 10. Sappiamo che la Lettera è scritta da Roma; Pietro è consapevole della posizione autorevole che gli viene riconosciuta universalmente e scrive ad alcune chiese con cui non ha avuto contatti diretti, ma verso le quali è in grado di svolgere comunque un ministero pastorale di esortazione. In queste chiese dell'Asia, composte prevalentemente ormai da cristiani provenienti dal paganesimo, dopo anni di impegno serio nel cammino della vita nuova e consacrati mediante il battesimo, la catechesi ha assunto una sua articolazione coerente e capillare; una catechesi che si rifà in misura determinante al grande insegnamento di Paolo, il teologo per antonomasia. Ora questi cristiani avvertono stanchezza e fenomeni di smarrimento. Pietro scrive senza produrre novità dottrinarie, ma supponendo conoscenze di ordine catechetico, fondate su quella teologia che ha trovato proprio in Paolo l'autore di riferimento. Noi che leggiamo siamo un po' in difficoltà, perché quelle conoscenze di ordine biblico che Pietro dà per scontate per le chiese d'oriente di allora, non sono così scontate per noi: abbiamo bisogno di recuperare frammenti, percorsi all'interno della rivelazione antico-testamentaria che, nella catechesi delle prime chiese, erano dati ormai acquisiti. Ma comprendiamo bene qual è l'intonazione dominante della Lettera. Dopo una grande benedizione introduttiva, fino al v. 12 del cap. 1, ha inizio una serie di svolgimenti, cinque in tutto, di carattere esortativo. Abbiamo letto il primo, arrivando per l'appunto al v. 10 del cap. 2. Questo primo svolgimento ha come tema la lealtà ormai sperimentata che credo di aver sintetizzato mediante l'uso del termine "trasformazione", che è avvenuta; la vita ormai è cambiata ed è la vita di coloro che, con un certo imbarazzo, stanno sperimentando che cosa vuol dire essere diventati "stranieri in casa propria". Pietro riflette su questo dato e lo valorizza come motivo di incoraggiamento: è proprio vero che questa trasformazione è avvenuta e va nuovamente illustrata; si tratta di comprenderne le motivazioni, le modalità di coinvolgimento; ed ecco la meta che si prospetta nella continuità di questo itinerario che ha preso una piega così originale ed ha conferito alla vita di coloro che, dal punto di vista esteriore, non sono molto diversi da quello che erano precedentemente, ma di fatto, per quanto riguarda la strutturazione interiore del vissuto e del loro inserimento nel mondo, sono radicalmente trasformati.

Affrontiamo la lettura del secondo svolgimento esortativo. Abbiamo a che fare con un testo piuttosto ampio e, a suo modo, impegnativo. Dal cap. 2, v. 11 al cap. 3, v. 12. Diamo subito un titolo: "La vita nuova". La Lettera di Pietro è rivolta a quei cristiani preoccupati, angustiati, sfiduciati, smarriti nonostante il fatto che sono persone che hanno affrontato il cammino nella nuova prospettiva e sono arrivati a tappe di considerevole maturità. Ed ecco "La vita nuova come epifania di bellezza". E proprio nuova questa vita, è trasformata; bisogna prenderne atto e valorizzarne le caratteristiche intrinseche. Anche nelle pagine che ora leggeremo sono presenti molteplici citazioni antico-testamentarie. L'esposizione di Pietro si articola in tre momenti: il momento centrale, il secondo della sequenza, è particolarmente ampio e robusto, a sua volta costruito con una serie di richiami che sono strutturati in maniera molto eloquente. Il momento che sta all'inizio di questa esortazione si riduce a due versetti; così il terzo momento, quello che chiuderà questa seconda esortazione, lo incontreremo nel cap. 3, dal v. 8 in poi. Anche qui sono pochi versetti, ma niente affatto trascurabili. Sono versetti che fanno da corona a quello che è lo svolgimento centrale di questa esortazione dedicata alla "vita nuova" come manifestazione di bellezza.


Nel faticoso cammino della vita, evangelizzate con le vostre opere belle

Cap. 2, vv. 11-12. "Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima. La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio". In questi due versetti compare due volte l'aggettivo "kalos", "bello"; quando parla di condotta "irreprensibile" intende "bella" e, subito dopo, "le buone opere", le "opere belle", la bellezza del vostro operare. Ẻ la bellezza della vita nuova, della vita cristiana come noi la definiamo e Pietro fa, ancora una volta, implicito riferimento alla condizione itinerante della vita nuova. Il fatto è che questa condizione itinerante suggerirebbe a noi il sudore del viandante, la fatica di chi ha logorato i sandali, l'incertezza di chi affronta strade nuove e inesplorate; invece, subito, Pietro identifica questa condizione itinerante della vita cristiana come epifania, manifestazione di bellezza. Stranieri e pellegrini sono coloro che, per le esigenze immediate della loro itineranza, sono sollecitati ad alleggerirsi di pesi superflui; hanno bisogno di una sostanziale sobrietà, di un progressivo alleggerimento interiore. "... io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima"; rinvia al Libro del Genesi, cap. 23, v. 4, quando Abramo, dopo la morte di Sara, sua moglie, si dà da fare per acquistare un pezzo di terreno dove poter seppellire il suo cadavere: sarà l'unica proprietà di Abramo nella terra che poi gli è stata promessa. In quella terra Abramo è straniero e pellegrino. La stessa espressione risuona poi nel Salmo 39, v. 13, che ha tutte le caratteristiche della preghiera di chi si prepara a morire. Questa itineranza che comporta necessariamente la rimozione di tutto quello che è superfluo e la riduzione all'essenziale (si tratta di "astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima"); c'è poco da pensare, cercare, aspirare, desiderare. Nel corso del viaggio la strada si fa sempre più precisa, esigente, orientata in maniera da escludere qualunque altra ipotesi di ricerca. Questa condizione itinerante della vita cristiana è contemplata da Pietro come una manifestazione di bellezza che, per come Pietro si esprime, acquista il valore di un segno rappresentativo, sulla scena del mondo, agli occhi di tutti gli spettatori; diventa un sacramento glorioso di Dio, un segno sacramentale della presenza stessa di Dio nella storia umana; infatti, leggevamo: "la vostra condotta tra i pagani sia bella" "perché mentre vi calunniano come malfattori (abbiamo a che fare con gente alle prese con contrarietà, ostacoli, segni di ostilità da parte di avversari che vengono immediatamente posti dinanzi a questa manifestazione di bellezza, che Pietro identifica con la primaria e più efficace evangelizzazione che esige - a sua volta - tutta un'aggiunta di impegni di ordine catechetico, di appuntamenti in una ricerca pedagogica). al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio", a discernere la gloria, la magnificenza, l'opera di Dio. E allora quella bellezza - una bellezza itinerante, rigata di sudore, accompagnata dalla fatica, che passa attraverso la stanchezza che consuma - è la bellezza che evangelizza i pagani di questo mondo. ... "giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio": il termine "giudizio" in greco significa "visita" (ci sono problemi di traduzione); quella gloria di Dio che porta a compimento la sua visita. Tutta la storia della salvezza è la storia della visita di Dio; è un linguaggio tipicamente biblico (ricordate il cantico di Zaccaria); è il segno, il sacramento inconfondibile, efficace, per quanto riguarda il Vangelo, di questa gloria di Dio che salva il mondo, che fa della storia umana una storia visitata da Lui; il segno sacramentale è la bellezza della vita nuova, la bellezza di quella vita che passa attraverso l'esperienza intensa, matura, costante di coloro che hanno accolto l'Evangelo e intrapreso questo cammino dall'inizio fino al sepolcro.

Dal v. 13 del cap. 2 il secondo momento dell'esortazione, più ampio, più articolato, strutturato; ci porta fino al v. 7 del cap. 3. Pietro prende in considerazione la bellezza della vita cristiana considerata nelle diverse posizioni, nei diversi contesti in cui essa in cui si svolge. Sono diversi contesti di vita che Pietro riduce a tre situazioni di carattere esemplare. E riesce con pochi tratti a sviluppare un'esortazione che, in un modo o nell'altro, raggiunge veramente tutti i tre fondamentali contesti dove si sviluppa la vita dei cristiani e dove affiora e si manifesta la bellezza della vita nuova. Naturalmente questa bellezza è illustrata da comportamenti nuovi, adeguati a quella condizione itinerante che i cristiani stanno affrontando.


Il rapporto con le autorità civili, necessarie ma creature; servi solo di Dio

Vv. 13-16. La prima situazione riguarda i comportamenti relativi al rapporto con le autorità pubbliche, nel contesto di una vita sociale che è quella del mondo pagano. Le chiese in cui vivono e stanno maturando i cristiani, a cui Pietro si rivolge, non sono chiese passate attraverso l'esperienza di quella che gli storici chiamano la cristianità; è un mondo pagano. Le autorità pubbliche non mancano e l'organizzazione della società non è priva di una sua coerenza, compattezza e organicità. L'impero di Roma domina tutto il mondo che si affaccia sul mar Mediterraneo in maniera puntuale, rigorosa, coerente, con un'efficacia di cui ancora abbiamo riscontri. La preoccupazione di Pietro non è quella di fare una scuola di amministratori o addetti alla politica; la sua preoccupazione è la bellezza della vita cristiana in quel contesto. Non si tratta per Pietro di formare degli amministratori, degli economisti, dei tecnici della gestione politica della società: si tratta di aiutare i cristiani a valorizzare la bellezza della loro vita nuova in quel contesto.

"State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio". L'esortazione che introduce questa pagina ("siate sottomessi") potrebbe preoccuparci: come, che cosa vuol dire? Dobbiamo fare attenzione alla traduzione: dove dice "State sottomessi ad ogni istituzione umana", in greco dice "ad ogni creatura umana" e sono parole mediante le quali Pietro sta drasticamente ridimensionando qualunque autorità civile. Abbiamo a che fare con delle creature ma che, comunque, nel contesto della vita sociale, svolgono una funzione necessaria per il bene pubblico. La convivenza umana non è abbandonata all'anarchia creativa dell'occasionale fantasia di chi si sveglia la mattina dopo aver sognato di notte; c'è un'organizzazione e occorre tenerne conto non in una prospettiva che è costantemente segnalata nel corso della storia della salvezza, costantemente contestata come motivo di angosciante compromesso da parte del popolo di Dio. L'Egitto, la Siria, Babilonia? Idolatria. "È una creatura" colui con cui tu hai a che fare. Per Pietro ciò che è determinante è questo prendere atto di aver a che fare con una creatura che non è un'identità divina, sacra, non è un'immagine idolatrica, per amore del Signore. Il riferimento, per i cristiani a cui si rivolge, è sempre dato da questa appartenenza al Kyrios, a Lui, Gesù, il Figlio vittorioso sulla morte e intronizzato nella gloria. E Pietro aggiunge il richiamo al re, ai governatori, agli inviati e tutto dovrebbe inserirsi in una prospettiva mirata a garantire il bene della vita sociale per punire i malfattori e premiare i buoni. Pietro non sta dicendo che sempre avviene questo, non è affatto scontato e le conoscenze storiche del passato e del presente lo confermano. Ma questo complesso di istituzioni, questa organizzazione della vita sociale, questo riferimento all'autonomia di gestione della convivenza pubblica ha come obiettivo la punizione dei malfattori e il premio dei buoni, perché questa è la volontà di Dio. In questo contesto quello che preme a Pietro (anche se il funzionamento della vita pubblica non corrisponde a questa prospettiva, contraddicendo i pensieri, le aspettative, i sentimenti della moltitudine umana) è sottolineare che la volontà di Dio è che "operiate il bene voi". In quel contesto i cristiani a cui Pietro si rivolge sono coloro che si qualificano come "cercatori del bene, in obbedienza alla volontà di Dio". E questo loro modo di essere presenti nel contesto sociale non li sottrae a inconvenienti, ostacoli, incomprensioni, ma certamente - Pietro ne è convinto - li colloca al di là di ogni possibile contestazione in modo tale da "chiudere la bocca all'ignoranza degli stolti", cioè all'incomprensione da parte di coloro che sono prevenuti. Pietro si rende conto che nell'organizzazione della società civile ci sono tanti interessi trasversali, prese di posizione di potere che contraddicono l'obiettivo del bene comune. Si tratta di assumere, in quel contesto, un atteggiamento che non ammette compromessi con coloro che sono prevenuti e che non comprendono la coerenza delle persone che si consacrano alla ricerca del bene generale, il bene della società civile, dell'organizzazione della vita condivisa pubblicamente. Questa è la volontà di Dio. In questa prospettiva Pietro aggiunge: "Comportatevi come uomini liberi": questo è il vero e proprio esercizio della libertà che passa attraverso contestazioni anche piuttosto pesanti e fastidiose. C'è un richiamo a quel passaggio nella storia della salvezza che consiste nella liberazione dalla schiavitù: coloro che erano schiavi del faraone sono stati liberati. Ma ora: "Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia" escludendo nettamente ogni forma di libertinaggio. La libertà di cui Pietro ci sta parlando non può essere sbandierata come un buon motivo per dare sfogo alla propria cattiveria, prepotenza, arroganza per schiacciare la vita altrui, ma "come servitori di Dio". Questa espressione compare nel v. 1 del Salmo 113 (i Salmi dal 113 al 118 accompagnano lo svolgimento del banchetto pasquale): "Alleluia, servi del Signore lodate il nome del Signore" che rimanda alla situazione nella quale si trovano coloro che ancora dimorano in Egitto e stanno celebrando per la prima volta il banchetto dell'Agnello in quelle case che sono state segnate con il sangue. E, per la prima volta, celebrando il banchetto dell'Agnello, cantano i Salmi dell'Alleluia. Tutta la tradizione interpretativa antica e moderna, nell'esegesi ebraica e dei Padri della Chiesa rimarca il fatto che si dice "servi del Signore", quando in realtà sono ancora schiavi del faraone. Perché questo? Perché chi canta l'Alleluia è un uomo libero; chi dipende dal Signore non dipende più da alcun signore di questo mondo; chi loda Dio è un uomo libero in qualunque momento nel corso della storia, in qualunque luogo si trovi, anche nella situazione più tragica, più compromessa, negli ambienti più inquinati. L'alleluia è il canto pasquale e chi loda il Signore è servo del Signore e non è più schiavo di un faraone chiunque egli sia. Senza escludere polemiche, contrapposizioni e contestazioni che potrebbero essere estremamente penose fino alle conseguenze più dolorose, questo è l'esercizio della libertà e in questo modo è realizzata l'identità dei servi di Dio, che cantano l'alleluia come era annunciato fin da quando i progenitori celebrarono per la prima volta il banchetto nel corso di quella notte fatidica; ed erano ancora in Egitto, ancora schiavi, ancora sottoposti al faraone, ma cantavano l'alleluia.

Pietro va alla ricerca della bellezza della vita cristiana, non di sostituire il faraone con un altro ritenuto migliore. Va alla ricerca di questa bellezza, la illustra, la vuole documentare: è la bellezza degli uomini liberi, di coloro che ridimensionano qualunque potere di questo mondo proprio perché appartiene a questo mondo; è il potere di una creatura che è al servizio del bene, ma che può anche diventare un feroce oppressore che contraddice il bene dell'umanità; ma è esattamente in forza del criterio interpretativo che sta indicando che quella creatura viene radicalmente ricondotta alle misure proprie della sua piccolezza umana.


Onorate tutti e il re; amate i fratelli e Dio

Il v. 17 chiude questo primo paragrafo con quattro imperativi che ci danno una visione sintetica del criterio di autenticità di questa vita libera, sacramento di bellezza nel contesto di quell'organizzazione sociale che ha bisogno delle sue istituzioni particolari.

"Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re". I quattro imperativi sono costruiti secondo una particolare struttura; mettiamo in relazione il primo con il quarto e il secondo con il terzo: "Onorate tutti, onorate il re"; il criterio di autenticità che ci aiuta a contemplare il valore significativo di quella bellezza che Pietro vuole illustrare sta in questa coincidenza tra l'onore riferito al re e l'onore dovuto a tutti. C'è un onore per il re perché c'è un onore per tutti. Bellissima la vita di coloro che sono così liberi, nel contesto sociale, perché il re vale tanto quanto ciascun essere di quei "tutti" che serve a identificare la totalità degli esseri umani. "Amate i vostri fratelli, temete Dio"; Pietro va ancora più a fondo; quella coincidenza tra l'onore del re e l'onore di tutti è testimoniata adeguatamente quando la vita umana si misura in virtù della convergenza tra il timore di Dio e l'amore nella famiglia dei fratelli. Sono il primo e secondo comandamento; il primo è come il secondo e il secondo è come il primo, ma questa convergenza tra il timore di Dio e la famiglia dei fratelli ci spiega qual è l'impulso che dall'interno rende possibile l'esercizio della libertà sulla scena pubblica del mondo per cui l'onore reso al re - a cui non ci si può sottrarre - coincide con l'onore reso a tutti. Ed ecco dove sta la bellezza della vita cristiana colta da Pietro nell'impatto con le urgenze imprescindibili della vita sociale, dell'organizzazione della vita sociale, delle istituzioni di cui la società umana ha bisogno per servire la vita di tutti.


Le ingiustizie subite riscattano il peccato del mondo

Vv. 18-25. Pietro prende in considerazione i comportamenti relativi al rapporto con le autorità domestiche, quell'ambiente nel quale la vita domestica ha le caratteristiche di un sistema aziendale. In questo contesto si inseriscono tanto i familiari quanto i lavoratori, anche gli schiavi. "Domestici, state soggetti con profondo rispetto ai vostri padroni (e qui già cominciamo a dire: ma come? Noi, prima di tutto, dovremmo organizzare un sindacato. Notate il verbo usato nel v. 18 ma ampiamente usate altrove nel testo biblico: "siate sottomessi a ogni creatura umana"), non solo a quelli buoni e miti, ma anche a quelli difficili". Pietro ci incoraggia a prestare ossequio ai mascalzoni, ai negrieri? Attenzione, perché dice: "È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente". Bisogna che ci intendiamo perché Pietro parla di un'ingiustizia e, dunque, fa esplicito riferimento alla lucidità del discernimento che sa cogliere ciò che è ingiusto, quando la coscienza è aperta a Dio; e un'ingiustizia non merita alcuna approvazione. Il verbo "soffrire" ha a che fare con quel modo di affrontare la realtà delle cose, del mondo, della storia, quel modo di vivere che è sostenuto, internamente motivato da una passione d'amore. Ed è un linguaggio che comprendiamo benissimo perché parliamo di "passione" come patimento, sofferenza, strazio, dolore e di "passione" come espansione di un impulso d'amore traboccante, travolgente, appassionato. E quando diciamo che "Cristo patì" parliamo di una sofferenza che lo ha schiacciato fino alla morte, ma in una sovrabbondante testimonianza di amore appassionato. Pietro ci fa intravedere un modo di essere presenti - in questo contesto dove le relazioni sono spesso aspre, severe, esigenti, prepotenti - un modo discepolato cristiano, che fa trasparire la straordinaria bellezza che si riscontra in una pura passione d'amore. La sua preoccupazione non è quella di bacchettare il negriero (ce ne sarà anche bisogno, verrà il momento), ma di illustrare e valorizzare la bellezza della vita cristiana che è presente e si manifesta in quel contesto come sovrabbondante testimonianza d'amore, che non dimentica l'ingiustizia ma l'assume, l'avvolge, la ricapitola all'interno di un'obbedienza che diventa un'opera d'amore, immensamente più efficace rispetto a qualunque - seppure necessaria - contestazione dell'ingiustizia nell'immediato contesto lavorativo. L'ingiustizia non merita approvazione ma, qui, Pietro fa riferimento a quella bellezza straordinaria propria della vita cristiana che affronta l'ingiustizia nella prospettiva di un'onda che dall'interno fa della vita nuova un traboccamento d'amore appassionato. Fa sul serio; e fa tanto sul serio che ci spiega come tutto fa capo alla passione di Cristo. ... "che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio (se la vostra vita si realizza come passione d'amore che affronta le ingiustizie e che, mentre le subisce, le ricapitola all'interno di una testimonianza della gloriosa della volontà di Dio). A questo infatti siete stati chiamati (questi versetti prendono l'andatura di un canto - uno dei grandi cantici di origine neo-testamentaria - che viene costruito da Pietro nell'eco del quarto canto del servo di Isaia (capp. 52-53 del Libro di Isaia ed è la prima lettura della liturgia della croce: "Anche Cristo patì per noi (patire non nel senso che è stato schiacciato, ma nel senso che ha fatto di quell'ingiustizia subita una vittoria d'amore) lasciandovi un esempio (ha tracciato una strada) perché ne seguiate le orme (c'è già un richiamo a un itinerario di carattere pastorale); egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca (quell'innocenza ha riscattato il peccato del mondo; così cantava già l'antico profeta), oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime". Ecco il pastore che ha raccolto attorno a sé tutte le pecore disperse; il pastore che il quarto canto del servo di Isaia descrive come l'Agnello condotto al macello, l'Agnello che porge il capo e che le pecore riconoscono come il pastore di cui hanno bisogno; finalmente c'è un pastore che comprende le pecore, che le chiama una per una - dirà poi Gesù - per nome. Le pecore possono fidarsi di questo pastore perché è l'Agnello divenuto pastore; così si esprime Giovanni nell'Apocalisse. È tutta la celebrazione della settimana santa, della Pasqua che si avvicina: quell'Agnello è il Pastore, l'Innocente che ha soverchiato l'ingiustizia con quella sovrabbondante passione d'amore, rivelatrice della giustizia di Dio, che ha introdotto nella storia umana la novità della bellezza della vita cristiana, che riesce a manifestarsi anche nel concreto di vicende più che mai impegnative per non dire, in qualche caso, strazianti. È così, dice Pietro, che si accoglie la grazia di vivere per la giustizia (v. 19); è una grazia per chi conosce Dio, per chi ha la coscienza aperta a Dio. E nel v. 20: "Ciò sarà gradito davanti a Dio". V. 21: "A questo infatti siete stati chiamati". Si tratta di una vocazione che va scoprendo come si aprano le strade della vita anche attraverso le situazioni più impervie; e Pietro ci indica questa prospettiva tutta da esplorare, da sopportare; ma è una sopportazione gloriosa che disegna progressivamente l'immagine di una bellezza sfolgorante. V. 23: "... oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia". È una vocazione; non è legata a un momento, ma si svolge nel tempo e passa attraverso le contrarietà, le vicissitudini, le incomprensioni, le ingiustizie. Lungo questo percorso il Pastore ci è venuto incontro, si è fatto egli stesso guida, ha lasciato un tracciato: è l'Agnello. Alla fine del canto, v. 25: Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime". Il termine guardiano in greco è epìscopos: il visitatore, il ministero episcopale per eccellenza. Che cosa fa il vescovo nella chiesa? Visita; e quel suo modo di visitare è il sacramento permanente di quella che è stata la visita mediante la quale Dio si è rivelato entrando nella storia umana. È la visita che si è compiuta nell'incarnazione del Figlio, la sua Pasqua redentiva. E il vescovo è il visitatore, è il sacramento che permane, è il pastore della Chiesa, è l'evangelizzazione che si ricapitola nella sua figura.

Colui che ci viene incontro sempre e dappertutto con l'autorità che gli spetta è l'Agnello che esercita nei nostri confronti la guida del pastore. Ed ecco come noi stiamo imparando a specchiare il nostro volto e il pathos del nostro animo nella bellezza del Suo Volto e nella fecondità inesauribile del suo pathos d'amore. Per questo siamo cristiani.


La bellezza delle mogli...

Cap. 3, vv. 1-6. Terzo contesto di vita: la vita di coppia, la bellezza della vita di coppia. "Ugualmente voi, mogli, state sottomesse (continua ad usare quel verbo che, come spiegato prima, ci preoccupa, ma ci siamo resi conto che l'Agnello è il Pastore. Quando parla di "sottomissione" sta attribuendo alla figura femminile una funzione pastorale nei confronti dei mariti. Siamo troppo abituati a fermarci alla superficie del linguaggio biblico che, in realtà, apre scenari più ampi e rivelativi di un grande mistero) ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati considerando la vostra condotta casta e rispettosa". Pietro sostiene che "voi svolgete nei confronti dei vostri mariti una funzione pastorale in continuità con quel discepolato che si sta delineando, configurando, maturando nella sequela del servo; è il canto di Isaia, richiamato precedentemente. Siamo tutti alla sequela del servo, pecore erranti che stanno imparando a camminare lungo il tracciato che l'Agnello ha reso percorribile per noi. Pietro attribuisce a questa posizione pastorale delle donne una facoltà di valore redentivo, un'efficacia inesauribile per quanto riguarda la vita dei mariti. Quando parla di castità e di rispetto parla esattamente di questa fecondità nella vita. Nel linguaggio biblico la castità è una prerogativa della vita; non è una misura che chiude, circoscrive, impone dei regolamenti. Lo dice anche S. Francesco: "l'acqua umile, preziosa e casta", perché l'acqua è per la vita; la castità è prerogativa dell'esistenza umana che funziona al servizio della vita. E attribuisce alla figura femminile questa fecondità che ha un'efficacia di valore sacramentale nel senso che è, per l'appunto, l'opera di Dio per la salvezza che passa attraverso la bellezza di questa presenza femminile.

"Il vostro ornamento non sia quello esteriore - capelli intrecciati, collane d'oro, sfoggio di vestiti -; cercate piuttosto di adornare l'interno del vostro cuore con un'anima incorruttibile piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio". È una traduzione infelicissima perché Pietro ci parla "dell'uomo che è nascosto nel cuore". L'ornamento (il vestito, l'acconciatura, le decorazioni) è il decoro della presenza femminile che per Pietro coincide con l'ornamento interiore, un kosmos che è quell'uomo nascosto nel cuore della donna. È un'indicazione preziosissima; è il principio della bellezza femminile. Si parla quindi di questo "ornamento" incorruttibile, in quanto viene poi manifestato da un respiro mite, pacificato; è quell'uomo nascosto nel cuore della donna che diventa il suo ornamento ed è incorruttibile. Ẻ questo "ciò che è prezioso davanti a Dio". "Così una volta si ornavano le sante donne che speravano in Dio (c'è il ricordo delle matriarche e di Sara la prima delle matriarche); esse stavano sottomesse ai loro mariti, come Sara che obbediva ad Abramo, chiamandolo signore (Genesi, cap. 18). Di essa siete diventate figlie, se operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia". Il richiamo al caso di Sara consente a Pietro di valorizzare un ulteriore elemento di questa bellezza femminile che sta tratteggiando in maniera così sobria e dignitosa: la figliolanza femminile nei confronti della maternità; quel modo di essere figlie che è proprio delle donne. Nella comunione tra donne si esprime un valore che Pietro considera come la premessa valida per sottrarsi a qualunque influenza negativa. "... non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia". C'è proprio una bellezza dell'essere madri e figlie, figlie e madri; e in quella continuità della vita una corrente che conserva un valore intrinseco che è libero rispetto a qualunque influsso negativo. Quello che resta sorprendente è che quando le donne parlano di certe cose fra di loro - essere regina o sguattera non conta - sono rimosse tutte le distinzioni; in rapporto alla vita c'è una comunione tra donne che non cede a condizionamenti di ordine sociale, culturale, civile, politico o economico, che non contano più niente in quella dimensione e in quella prospettiva, in obbedienza a quella corrente.


... e la bellezza dei mariti

V. 7. "E ugualmente voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della vita: così non saranno impedite le vostre preghiere". Anche qui c'è qualche problema di traduzione. La bellezza dei mariti è data da un'attenzione alla debolezza altrui in un contesto dove determinante è l'obbedienza al fatto di poter vivere dimorando nel vissuto altrui. È questa obbedienza al fatto che i mariti abitano nella vita che è messa a loro disposizione dalla presenza femminile diventa motivo di riconoscenza. Il fatto che ci sia un accenno a un corpo più debole è un'obbedienza riconoscente che diventa onore e rispetto per la presenza con cui si condivide metà della vita; sono coeredi della vita. Pietro coglie la bellezza della figura maschile in questo progressivo scoprirsi riconoscente in obbedienza all'offerta della vita che diventa la dimora in cui può affrontare il proprio cammino e quelle che saranno tutte le sue responsabilità. Gli uomini sono un ulteriore sacramento di bellezza in quanto, proprio nell'obbedienza alla loro vita cristiana, scoprono di essere obbedienti alla vita che ricevono e di cui sono partecipi. "Così non saranno impedite le vostre preghiere", espressione assolutamente essenziale, che allude alla preghiera comune che costituisce l'icona della bellezza nella coppia; la preghiera comune è il criterio che serve a garantire l'autenticità di quella bellezza; è l'icona della bellezza nella coppia.


La vita cristiana come laboratorio di benedizione

Vv. 8-12. L'attenzione adesso è concentrata sulla vita comunitaria e la bellezza del cammino comunitario che comporta anch'esso contraddizioni, ammaccature, incomprensioni, ritardi di ogni genere. "E finalmente (c'è un'urgenza escatologica che è implicita nelle relazioni di comunità) siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili (c'è un coinvolgimento affettivo che Pietro illustra con cinque attributi e che serve a esplicitare la gratuità di relazioni che coinvolgono persone che di fatto sono estranee, sconosciute. E questo è un fatto misterioso che va apprezzato e coltivato; per questo è necessario attivare un linguaggio che sia coerente con questa novità che per Pietro è già un anticipo di quella che è la rivelazione finale; una prospettiva escatologica); non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria (è in questione il linguaggio; la vita comunitaria è il laboratorio linguistico per antonomasia e il linguaggio lo strumento di mediazione da cui non si può prescindere nel rapporto di solidarietà, di vicinanza, di collaborazione che è il rapporto che struttura una vita comunitaria), ma, al contrario, rispondete benedicendo (la vita comunitaria come laboratorio di benedizione; imparare a benedire. È la bellezza della vita nuova con la sua prerogativa di vita comunitaria. Nel laboratorio in cui si impara a parlare - la mediazione linguistica - si impara a benedire: a benedire il diverso, l'estraneo, lo sconosciuto. E ricevere benedizione) poiché a questo siete stati chiamati per avere in eredità la benedizione". Questa è l'eredità di famiglia intesa come comunità: imparare a benedire. La nostra vita comunitaria splende di bellezza laddove impariamo a trasmettere e ricevere benedizione. E ora cita il Salmo 34: "Infatti:

Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici,
trattenga la sua lingua dal male
e le sue labbra da parole d'inganno;
eviti il male e faccia il bene,
cerchi la pace e la segua,
perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti
e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere;
ma il volto del Signore è contro coloro che fanno il
male
".

Il Salmo 34 era già stato citato precedentemente nel cap. 2, v. 3: "Gustate e vedete come è buono il Signore".

La vita comunitaria anticipa l'attuazione di quel disegno di comunione che raccoglie tutte le creature nel tempo e nello spazio in corrispondenza all'inesauribile volontà d'amore che scaturisce dal grembo del Dio vivente. In vista di quella fine, imparare a benedire; per questo siamo impegnati, come stranieri e pellegrini, nel cammino che ci espone a tutte le contraddizioni di questo mondo; ma godiamo il beneficio di questa bellezza che possiamo offrire come specchio vicendevole in quel luogo in cui la benedizione che abbiamo ricevuto fin dall'inizio mediante l'Evangelo ci sta educando, trasmettendoci un'energia sempre più intensa e appassionata per imparare a benedire. La presenza della Chiesa nella storia umana, così come Pietro riesce a sintetizzarla in poche parole, offre un sacramento di bellezza per il fatto stesso che riceve e trasmette benedizioni.

Lectio divina


Incontri 2016-2017 - Ciclo


  • 04 aprile 2017
    Prima lettera di Pietro - terza parte
    La novità della vita cristiana, sacramento ed epifania di bellezza