Incontri di discernimento e solidarietà
   

Profeti Minori:


Sofonia

Nasce una visione della storia del tutto nuova:
i vincenti sono gli umili e i poveri della terra

 

 

Quarto incontro del ciclo 2010-2011


1 febbraio 2011

                      


Per l’incontro di questa sera ho proposto il libro di Sofonia; forse avete notato che la prima lettura della Messa di domenica scorsa (IV del tempo ordinario) era tratta da questo libro e il brano evangelico era quello delle “beatitudini” secondo Matteo: c’è un richiamo che potremo comprendere in modo più preciso procedendo nella lettura del testo. Sono solo tre capitoli. Stiamo seguendo un percorso che rispetta la coerenza con le logiche degli eventi, delle figure: Michea, Naum e ora Sofonia. Michea, VIII secolo a.C.; Naum, prima metà del VII secolo a.C.; Sofonia, seconda metà dello stesso secolo (tra il 639-40 e il 609 a.C.). L’impero assiro è ormai in crisi, in fase di decadenza che sarà poi rapidissima, un tracollo; ed è come se tutto il mondo del vicino Medio Oriente, dominato dall’ombra feroce e tragica dell’impero assiro, gustasse l’ebbrezza della liberazione; un’euforia davvero esaltante. Il regno di Giuda vive un periodo molto amaro per quello che è stato il contesto del lungo regno del re Manasse – prima metà del VII secolo a.C. – complice dell’impero assiro, il quale cercava forme di alleanza che hanno implicato complicità sul piano civile, culturale e religioso e fenomeni di corruzione dilagante (ma questo è un dato ricorrente nella storia del popolo di Dio). Dall’anno 640 regna a Gerusalemme Giosia, che è una figura straordinariamente positiva: giovanissimo, sale al trono dopo un periodo di reggenza. Di Giosia si parla sempre  soltanto bene: è un caso rarissimo perché di tutti i re di Israele e di Giuda si fanno notare sempre le insufficienze, spesso in maniera tragica, altre volte in modo più normale, quasi che sia “istituzionale” constatare che il sovrano di turno è un disgraziato malfattore. Giosia, invece, è un re riformatore, si trascina dietro le speranze dei suoi sudditi e sembra consentire l’affaccio su nuove prospettive storiche illuminate da un sole che deve sorgere per non tramontare mai più. E’ un riformatore sia sul piano civile che religioso ed è in questo contesto che si inserisce anche la predicazione profetica di Sofonia. Notate che nel periodo di Giosia compare anche la grandissima, superlativa figura di un altro profeta che domina tutto quel periodo storico e che lascia una traccia indelebile nel popolo di Dio: Geremia.
Sofonia, suo contemporaneo, probabilmente precede di qualche anno l’attività di Geremia che si inserisce nel quadro delle riforme del re Giosia; riforme che comunque non ottengono il risultato previsto e desiderato, e che dovranno fare i conti con lo sviluppo di eventi storici che andranno precipitando verso la catastrofe. Nell’anno 609 Sofonia muore, in modo imprevedibile, e da quel momento c’è una deriva tragica che travolge il regno di Giuda.
Geremia è la figura che domina tutto lo svolgimento di questo periodo storico, che dura diversi decenni. Sofonia è una voce più raccolta, depositata in questo piccolo libro dell’Antico Testamento, che non ha la potenza declamatoria di un personaggio che invade la scena pubblica; Geremia, contestato, rifiutato, maltrattato, perseguitato, è una figura che si impone sulla scena, un personaggio che per decenni, invecchiando, diventa un punto di riferimento, il che gli scatenerà contro le ire più aspre. Sofonia è una figura che assume un rilievo più appartato; è un personaggio che si configura come testimone di un’eredità culturale piuttosto raffinata; viene da una famiglia aristocratica, probabilmente dignitari di corte, con incarichi anche di carattere diplomatico; personaggi che hanno viaggiato per il mondo e ne hanno viste tante. Sofonia è erede di questa tradizione di famiglia, che gli consente di avere un quadro particolarmente acuto nel discernere le vicende storiche internazionali, insieme a un linguaggio molto raffinato. Non è un predicatore di strada; è un uomo che, in ambito molto più ristretto e raccolto (ci lascia intendere che si rivolge ad una cerchia di conoscenze, di amicizie, di figure ben individuate in una forma abbastanza riservata), sviluppa tutta una sua riflessione sugli eventi che sono in corso e ne trae una visione teologica della storia del popolo di Dio e della relazione tra Dio e il suo popolo; una lettura teologica di questa storia inserita nel contesto della grande storia internazionale che anch’essa viene letta in chiave teologica; in quel contesto emerge, per la prima volta, nella rivelazione biblica, la formulazione di quella che poi, in modo più articolato, sarà chiamata la “teologia dei poveri”. Non per niente il Vangelo di domenica scorsa era centrato sulle “beatitudini” di Matteo. La teologia dei poveri – per cui anche Gesù usa quel linguaggio – prende inizio con la profezia di Sofonia.
Il testo si apre con un titolo che conferisce alla figura di Sofonia una certa autorevolezza e solennità; vengono citate cinque generazioni: “Parola del Signore rivolta a Sofonìa figlio dell'Etiope, figlio di Godolia, figlio di Amaria, figlio di Ezechia”. Siamo nel contesto di una famiglia che, evidentemente, a queste cose ci tiene: Ezechia è il nome di un re, figlio di Acaz, che nasce al tempo di Isaia quando il profeta annuncia il figlio della vergine che deve concepire e partorire. Avremo a che fare, dunque, con un’ascendenza che è diramazione della famiglia regale. E’ possibile? Non importa. Siamo al tempo di Giosia, figlio di Amos, re di Giuda; c’è di mezzo anche un etiope nel senso di un soprannome come se suo padre fosse stato ambasciatore in Etiopia. Sofonia, dunque, è collocato in un ambiente che gli fornisce elementi di lettura della storia contemporanea piuttosto qualificati.

Dies irae: un nuovo diluvio… senza un Noè
Dal v. 2 del cap. 1 una prima sezione del nostro libro – diviso in tre sezioni – che ci porterà fino al v. 3 del cap. 2. Abbiamo a che fare con un annuncio fondamentale che riguarda il giorno del Signore: Dio ha qualcosa da dire, da realizzare; interviene, è all’opera, è protagonista; questa storia appartiene a Lui. Che cosa significa che il giorno del Signore si avvicina, si impone, ed è il criterio determinante per interpretare gli eventi in corso? Siamo alle prese con i dati che ci costringono a registrare un disastro: il giorno del Signore che viene porta con sé una denuncia che è registrata nei dati che Sofonia raccoglie e sintetizza qui in maniera efficacissima e sono l’emblema di un diluvio universale; un nuovo diluvio, come se fossimo tornati al tempo di Noè: “Tutto farò sparire dalla terra (non potrebbe esserci un avvio più preciso di così). Distruggerò uomini e bestie;
sterminerò gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
abbatterò gli empi (gli scandali degli empi; si tratta di intendere che gli animali che saranno sterminati sono diventati nel frattempo figure idolatriche a cui gli uomini si rivolgono e in questa maniera manifestano la loro empietà); sterminerò l'uomo dalla terra”. L’uomo che è intrappolato dentro questo cataclisma che è nelle cose, negli animi, nelle intenzioni, nelle motivazioni per cui la bestialità è diventata il valore di riferimento. “Oracolo del Signore”: tutto sparisce.
Stenderò la mano su Giuda
e su tutti gli abitanti di Gerusalemme;
sterminerò da questo luogo gli avanzi di Baal (se le cose stanno come leggiamo nei vv. 2 e 3 ci sentiamo incoraggiati a cercare un nuovo Noè: se questo è un nuovo diluvio ci sarà un nuovo Noè, ci sarà un’arca da qualche parte che galleggerà sulla superficie dell’abisso. Ci mettiamo alla ricerca e la ricerca appare molto deludente) e il nome stesso dei suoi falsi sacerdoti (è possibile rinvenire a Gerusalemme residui dei culti cananei, culti baalici,); quelli che sui tetti si prostrano
davanti alla milizia celeste (reminiscenze dei culti astrali sintonizzati con la religiosità degli assiri) e quelli che si prostrano davanti al Signore,
e poi giurano per Milcom (Milcom è la divinità degli Ammoniti, popolazione che vive ad oriente del Giordano; a Gerusalemme si è fatto ricorso a forme ambigue, sincretistiche approfittando delle situazioni, adattandosi a tutte le complicità); quelli che si allontanano dal seguire il Signore,
che non lo cercano, né si curano di lui”. E’ questa la situazione di fatto: un’apostasia che non ha bisogno neanche di essere motivata da scelte, argomentazioni, ripensamenti di ordine teologico o pastorale; i cosiddetti credenti si allontanano dal seguire il Signore, non lo cercano, non si curano di Lui; un disinteresse di fatto, un’apatia dell’animo, un’insensibilità che sembra aver cancellato una volta per tutte quell’identità che costituiva il patrimonio più prezioso di un popolo e di un regno sopravvissuto, come quello di Giuda e di Gerusalemme, capitale del regno: non cercano il Signore, né si curano di Lui.
E Noè dove è andato a finire?, non c’è Noè, c’è invece l’apostasia.
V. 7: “Silenzio (come un araldo che fa squillare la tromba e impone il silenzio), alla presenza del Signore Dio,
perchè il giorno del Signore è vicino (è il filo conduttore dei versetti che stiamo leggendo in questa prima sezione. Il giorno del Signore è vicino: questa è anche la predicazione che caratterizza l’attività pubblica del Signore; già Giovanni Battista “il regno dei cieli è vicino”; viene, è venuto), perchè il Signore ha preparato un sacrificio,
ha mandato a chiamare i suoi invitati”. Questa venuta del giorno è descritta alla maniera di un proclama che invita i fedeli a partecipare a una celebrazione liturgica per la quale bisogna predisporsi con opportune purificazioni, e poi ci sarà un banchetto celebrativo. Questa immagine ritorna anche nelle parabole dei Vangeli dove si dice che un certo signore invita le persone che gli stanno a cuore per un banchetto, ma queste non ne vogliono sapere, non vanno, hanno altro da fare, sono disinteressate. Il Signore viene, il giorno incalza.
Di seguito, ora, la resa dei conti che chiarisce come la venuta del giorno del Signore denunci l’assenza di coloro che sono stati invitati a più riprese, con tanto calore e con tanto affetto, ma non ci sono, sono assenti. V. 8: “Nel giorno del sacrificio del Signore,
io punirò i prìncipi e i figli di re
e quanti vestono alla moda straniera;
punirò in quel giorno chiunque salta la soglia,
chi riempie di rapine e di frodi
il palazzo del suo padrone”. Qui abbiamo a che fare con coloro che frequentano gli ambienti del governo; sono loro stessi impegnati direttamente in queste funzioni o collaborano ad esse. E, vedete, il palazzo del padrone (il luogo della violenza e dell’inganno è il luogo della superstizione: quei tali che vestono alla moda straniera e poi saltano la soglia; quel gesto superstizioso di chi non vuol calpestare l’interstizio tra una pietra e l’altra. Gli ambienti degli uomini di potere – cosiddetti uomini di potere che gestiscono le cose pubbliche – sono ambienti molto superstiziosi.
Il giorno del Signore chiarisce che gl’invitati non ci sono.
Vv. 10 e 11: “In quel giorno - parola del Signore -
grida d'aiuto verranno dalla Porta dei pesci,
ululati dal quartiere nuovo (qui siamo a Gerusalemme  nei diversi spazi, quartieri e piazze che possiamo individuare come gli spazi dedicati alle attività commerciali) e grande fragore dai colli.
Urlate, abitanti del Mortaio,
poichè tutta la turba dei trafficanti è finita,
tutti i pesatori d'argento sono sterminati”. Sono i luoghi destinati all’attività commerciale nelle sue varie forme, ma questa attività ha assunto aspetti ossessivi; gente esasperata, abituata a urlare, gridare, strepitare. E, ora, il Signore viene per denunciare l’assenza, lo svuotamento dall’interno di queste presenze che pure hanno abitato la città e l’hanno fortemente condizionata in obbedienza ai propri interessi.
V. 12: “In quel tempo (in quel giorno)
perlustrerò Gerusalemme con lanterne
e farò giustizia di quegli uomini
che riposando sulle loro fecce pensano:
«Il Signore non fa né bene né male»”. Il profeta raffigura se stesso come un viandante che di notte va in giro con una lanterna a cercare degli… ubriachi, gente che riposa sulle proprie fecce. Questa ubriacatura è propria di coloro che sono abituati a disconoscere l’intervento attivo di Dio; dicono, pensano (questo è il loro criterio interpretativo delle cose in base al quale impostano il loro cammino, la loro maniera di stare al mondo). Il Signore non fa né bene né male, dunque Dio è distratto, dicono; dal loro punto di vista il vero ubriaco è Dio che è andato in pensione, si è ritirato ed è arrivato il momento nel quale essi possono fare quel che a loro pare e piace.
V. 13: “I loro beni saranno saccheggiati
e le loro case distrutte.
Hanno costruito case ma non le abiteranno,
hanno piantato viti, ma non ne berranno il vino”. La scena si amplia e non in maniera indefinita, ma il nostro profeta coglie una situazione che, nella profondità degli animi, è divenuta il motivo portante della vita di tanti, una mentalità corrente, un’operosità a cui ci si dedica in obbedienza all’opinione pubblica; ma, vedete, tutti i programmi sono ribaltati: quel che era un bene si dimostra un disastro, quella che era stata una grande fatica in realtà ha prodotto un danno.
Ed ecco, dal v. 14, viene il giorno del Signore: “E' vicino il gran giorno del Signore,
è vicino e avanza a grandi passi (l’immagine di un corridore agilissimo che incalza). Una voce: Amaro è il giorno del Signore!
anche un prode lo grida.
«Giorno d'ira quel giorno (ricordate l’inno liturgico “Dies irae”, presente nella preghiera delle ore; il testo di riferimento nella sacra scrittura è questo), giorno di angoscia e di afflizione,
giorno di rovina e di sterminio,
giorno di tenebre e di caligine,
giorno di nubi e di oscurità,
giorno di squilli di tromba e d'allarme
sulle fortezze
e sulle torri d'angolo.
Metterò gli uomini in angoscia
e cammineranno come ciechi,
perchè han peccato contro il Signore;
il loro sangue sarà sparso come polvere
e le loro viscere come escrementi.
Neppure il loro argento, neppure il loro oro
potranno salvarli»”. Viene il giorno del Signore, ma è il giorno della collera. Emerge questa situazione di sfascio generale che non trova modo di ripararsi, aggiustarsi, in virtù di accorgimenti di ordine tecnico o economico; è una situazione di sfascio per cui non c’è più rimedio. Sofonia considera e parla di questo processo di sprofondamento con toni sommessi, non da predicatore che grida in pubblico e con una partecipazione emotiva piuttosto intensa, ma in modo caratteristico di un animo aristocratico che sa guardare le cose con la preoccupazione, sempre e comunque, di oggettivare. Lui c’è dentro in questa situazione, ma la guarda, la contempla, la descrive, ne soffre; è in grado di parlarne a se stesso e ai suoi amici. Siamo in una condizione di cecità generale; in una situazione che coloro che vi sono dentro non vedono, non se ne accorgono; per questo lui ne parla in virtù della sua sensibilità, col suo modo di interpretare, di vedere. Qui abbiamo a che fare con una profezia; questo suo modo di discernere gli eventi, di scavare negli animi e interpretarli è la parola del Signore che si fa ascoltare. Sofonia, in ascolto della parola del Signore, vede, interpreta, discerne; parla di queste cose in termini di accecamento generale. Tutto diventa spregevole e la gente, presa dalla quotidianità, non se ne accorge. E insiste: “Nel giorno dell'ira del Signore
e al fuoco della sua gelosia
tutta la terra sarà consumata,
poichè farà improvvisa distruzione
di tutti gli abitanti della terra”. Siamo alla fine del capitolo 1°, v. 18: è proprio vero, è un nuovo diluvio; ecco che, all’improvviso qui – e siamo alla svolta tra i capitoli 1 e 2 – un altro richiamo: “Radunatevi, raccoglietevi,
o gente spudorata,
prima di essere travolti
come pula che scompare in un giorno;
prima che piombi su di voi
la collera furiosa del Signore (attenzione al v. 3 che apriva la prima lettura di domenica scorsa). Cercate il Signore voi tutti,
umili della terra (appaiono qui i poveri della terra: gente spregevole, gente squalificata? I poveri della terra: gente espropriata, schiacciata, maciullata. Nel contesto di quello sfascio generale che è un nuovo diluvio abbiamo trovato Noè che sta costruendo l’arca, proprio qui nel v. 3 del cap. 2) che eseguite i suoi ordini;
cercate la giustizia,
cercate l'umiltà,
per trovarvi al riparo
nel giorno dell'ira del Signore”. Ricordate che, nel v. 6, leggevamo che a Gerusalemme Sofonia ha a che fare con gente che non cerca il Signore, né si cura di Lui; invece qui, adesso, abbiamo a che fare con gente che cerca il Signore e proprio loro che sono squalificati a tutti gli effetti operano secondo la parola del Signore; in loro la parola del Signore trova riscontro: “voi che eseguite i suoi ordini, voi cercate la giustizia, l'umiltà, la povertà”. Cercare il Signore fa tutt’uno con cercare la povertà. La teologia dei poveri ha inizio qui; questo piccolo scritto, posto in un anfratto nascosto dell’Antico Testamento, sta all’origine di quella teologia che mette sulla bocca di Gesù le beatitudini. Ecco Noè, ed è l’inizio di un uomo nuovo, è l’arca, è il principio di una storia nuova.
Nella seconda sezione del nostro libro, dal v. 4 del cap. 2 al v. 8 del cap. 3, Sofonia fa un ampio giro d’orizzonte; leggiamo oracoli che vengono pronunciati riguardo a popoli pagani che circondano la terra di Israele e poi si arriva a oracoli che interpellano direttamente il popolo di Dio, che coincide nel suo contesto storico con il regno di Giuda, gli abitanti di Gerusalemme; Sofonia constata che in realtà quello che succede nel mondo degli uomini, popoli vicini e lontani, popoli pagani di questo mondo, è quel che poi c’è da registrare anche nella storia passata e contemporanea del popolo di Dio.

A occidente, contro i Filistei
V. 4: “Gaza (è uno dei principati filistei) infatti sarà desolata
e Ascalòna ridotta a un deserto.
Asdòd in pieno giorno sarà deportata
ed Ekròn distrutta dalle fondamenta (sono nomi dei principati filistei; ce n’è un quinto, Gat; tentacoli filistei sulla costa del mar Mediterraneo). Guai agli abitanti della costa del mare,
alla gente dei Cretei!
La parola del Signore è contro di te,
Canaan, paese dei Filistei:
«Io ti distruggerò privandoti di ogni abitante.
Diverrai pascoli di pastori
e recinti di greggi» (questa fascia costiera ridotta a pascolo).
La costa del mare
apparterrà al resto della casa di Giuda;
in quei luoghi pascoleranno e a sera
nelle case di Ascalòna prenderanno riposo,
quando il Signore loro Dio li avrà visitati
e avrà restaurato le loro sorti”. Il territorio è abitato dai Filistei i quali godono di una situazione di benessere superlativo fin da un’epoca molto antica e il fatto stesso di essere attestati sulla costa e di determinare, attraverso i porti, il commercio consente il raggiungimento dell’oltre mare, oltre il Mediterraneo. Tradizionalmente i Filistei appartengono a un livello di cultura superiore a quello raggiunto dai popoli di Israele quando giungono nella terra promessa, anche se sono passati secoli nel frattempo. Il dislivello culturale è ben raffigurato in quella scena che ricordiamo tutti nell’episodio di Davide e Golia. I Filistei appartengono già all’età del ferro, quando gli altri sono ancora fermi all’età del bronzo; un salto qualitativo enorme (fenomeni registrati anche nell’età moderna), ma per dire che ormai quei territori sono ridotti a pascolo.

 

A oriente, contro Moab e Ammon
Dal v. 8 abbiamo a che fare con i Moabiti e gli Ammoniti, popolazioni con cui Israele è in contatto per due secoli; c’è una remota parentela con Moab e Ammon, perché vengono considerati come i discendenti di Lot, frutto di unioni incestuose tra Lot e le sue figlie. E’ un modo per porre all’origine di queste popolazioni nemiche una macchia indelebile.
“«Ho udito l'insulto di Moab
e gli oltraggi degli Ammoniti,
con i quali hanno insultato il mio popolo
gloriandosi del loro territorio.
Perciò, com'è vero ch'io vivo,
- parola del Signore degli eserciti Dio d'Israele -
Moab diventerà come Sòdoma
e gli Ammoniti come Gomorra (Moab e Ammon sono popolazioni che lungo i secoli hanno svolto la funzione di incubi negli animi di quanti appartengono al popolo di Israele; ombre costantemente minacciose ridotte a un mucchio di rovine come Sodoma e Gomorra): un luogo invaso dai pruni, una cava di sale,
un deserto per sempre.
I rimasti del mio popolo li saccheggeranno
e i superstiti della mia gente ne saranno gli eredi».
Questo accadrà ad essi per la loro superbia,
perchè hanno insultato, hanno disprezzato
il popolo del Signore.
Terribile sarà il Signore con loro,
poichè annienterà tutti gli idoli della terra,
mentre a lui si prostreranno, ognuno sul proprio suolo,
i popoli di tutti i continenti”. Queste popolazioni orientali vengono scrutate dal nostro profeta e, in base ai dati che sta registrando, è in grado di prevedere la progressiva decadenza che li trasformerà in un deserto perenne. Il deserto, qui, assume la fisionomia di una distesa marina (v. 11). E tutto questo perché è il Signore che avanza, che annienta gli idoli della terra e quindi a Lui, il Signore, “si prostreranno i popoli di tutti i continenti”. La nota dice giustamente che bisognerebbe tradurre “tutte le isole delle nazioni”, tutti i popoli che stanno al di là del mare e tutti i popoli, vicini e lontani, sottostanno alla signoria del vero protagonista: è lui il Signore, è Lui che annienta i popoli della terra e questo vale per la storia di popoli vicini e confinanti così come per la storia di popoli lontani e ancora sconosciuti. Per il nostro profeta non sfuggono nè sfuggiranno mai a questo criterio di riferimento: l’orizzonte all’interno del quale si inserisce la sua profezia è un orizzonte universale, ecumenico; è davvero un nuovo diluvio quello che è in atto; la “globalità” di cui parliamo noi oggi è ancora inappropriata per diventare linguaggio che ci consenta di cogliere e di condividere questo sguardo profetico così ecumenico. E’ un diluvio, è un nuovo diluvio, è la storia fatta dagli uomini; e in questo diluvio Sofonia è alla ricerca di un Noè.

A sud, contro gli Etiopi
V. 12, in un solo versetto è sintetizzato il richiamo agli Etiopi:
“«Anche voi, Etiopi,
sarete trafitti dalla mia spada».

A nord contro gli Assiri
Adesso l’attenzione si sposta a nord contro la Siria: “Stenderà la mano anche al settentrione
e distruggerà Assur,
farà di Ninive una desolazione,
arida come il deserto (Ninive è la capitale).
Alloggeranno in mezzo a lei, a branchi,
tutti gli animali della valle (Ninive è ridotta a una steppa, le rovine divenute covi di belve feroci o animali di male augurio).
Anche il pellicano, anche il riccio
albergheranno nei suoi capitelli;
il gufo striderà sulle finestre
e il corvo sulle soglie.
E' questa la città gaudente
che si sentiva sicura
e che pensava:
«Io e non altri all'infuori di me»?
Come mai è diventata un deserto,
un rifugio di animali?
Chiunque le passa vicino
fischia e agita la mano”. Nel v. 13, nell’oracolo dedicato a Assur, “stenderà la mano”: la mano del Signore; è la mano di Dio che è rivolta a Ninive per stringere e stringendo distrugge. Alla fine dell’oracolo, ultimo rigo – “Chiunque le passa vicino
fischia e agita la mano” – adesso è la mano umana, di coloro che transitano di là e osservano la scena; è la mano che viene rivolta verso Ninive come per mantenere la distanza, e questo modo di agitare la mano da parte degli uomini dimostra quale solidarietà coinvolge tutti i viandanti che pure vogliono mantenere le distanze nel dramma storico di cui sono spettatori.

 

Lo sfascio non risparmia Gerusalemme, ma il Signore interviene
Nel cap. 3, vv. 1-8, si passa da Ninive a Gerusalemme, in continuità. Sofonia si rende conto che in realtà è veramente un’unica storia che riguarda Ninive, ma anche Gerusalemme, e quel che riguarda i popoli riguarda anche quello che ha ricevuto tanti segni di privilegio, che ha un valore sacramentale; ma nei fatti il popolo di Dio (che qui coincide con il regno di Giuda e con la capitale, Gerusalemme, è emblema ricapitolativo di ogni cosa) non è diverso dagli altri popoli; lo sfascio è unico e universale.
Guai alla città ribelle e contaminata,
alla città prepotente!
Non ha ascoltato la voce,
non ha accettato la correzione.
Non ha confidato nel Signore,
non si è rivolta al suo Dio (l’oracolo si apre con un “guai” e poi ci sono quattro sentenze che spiegano il motivo di questo proclama così aspro: non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione, non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio. E’ denunciato in maniera ormai incontestabile il fallimento di una vocazione e coloro che erano depositari di una chiamata privilegiata sono i testimoni di una storia sbagliata).
I suoi capi in mezzo ad essa
sono leoni ruggenti (è il  popolo nella sua interezza che è venuto meno alla sua vocazione)
i suoi giudici sono lupi della sera (sono animati da una bramosia inesauribile) che non hanno rosicchiato dal mattino.
I suoi profeti sono boriosi,
uomini fraudolenti (i profeti sono al servizio della Parola: se la Parola viene strumentalizzata la loro responsabilità è gravissima, corrompe le coscienze, fa di quello che deve essere un servizio una frode). I suoi sacerdoti profanano le cose sacre,
violano la legge (tutte le categorie abbienti e qualificate sono qui messe in discussione: perfino i sacerdoti che profanano le cose sacre e determinano una confusione terribile nelle coscienze).
In mezzo ad essa il Signore è giusto,
non commette iniquità;
ogni mattino dà il suo giudizio,
come la luce che non viene mai meno”. In questo contesto l’unico giusto è il Signore: è sollecito, attento, pronto, mattiniero. Soltanto che questa sua sollecitudine, il suo buon esempio, per dir così, diviene un motivo aggravante per quanto riguarda tutte le accuse che sono state formulate fino a questo momento; se Lui fosse disinteressato, fosse distratto, fosse assente, se avesse rinunciato, potremmo aggiustarci in maniera più tranquilla. Invece questo non è possibile perchè Lui insiste, incalza, incombe: viene ogni mattino si sveglia, ed “è giusto”, non commette iniquità e pretende di abitare in mezzo ad essa (Gerusalemme); una presenza scomoda, fastidiosa, insopportabile quella a cui è puntualmente fedele.
V. 6: “Ho sterminato le nazioni (responsabilità del popolo di Dio è anche quella che ora viene denunciata come la mancata comprensione dei castighi che hanno coinvolto altri: le nazioni sono state colpite in tanti modi e non è successo niente, non se ne sono accorti, non si sono resi conto di quali lezioni ricevevano per trarne motivi di ravvedimento, di conversione), le loro torri d'angolo sono state distrutte;
ho reso deserte le loro strade
sì che non c'è alcun passante;
sono state depredate le loro città
e nessuno più le abita.
Io pensavo (è il Signore che parla): «Almeno ora mi temerà!
Accoglierà la correzione.
Non si cancelleranno dai suoi occhi
tutte le punizioni che le ho inflitte».
Ma invece si sono affrettati
a pervertire di nuovo ogni loro azione (c’è una frettolosa puntualità nella perversione; anche Gerusalemme, è come  le nazioni, anche Israele). Perciò aspettatemi - parola del Signore -
quando mi leverò per accusare,
perchè ho decretato di adunare le genti,
di convocare i regni,
per riversare su di essi la mia collera,
tutta la mia ira ardente:
poichè dal fuoco della mia gelosia
sarà consumata tutta la terra”. E’ il Signore che viene nel suo giorno; è la sua collera che esplode e vedete come il mondo dei pagani sia quello stesso mondo a cui appartiene anche Israele, malgrado i vantaggi di cui ha potuto godere.
E intanto qualcosa di nuovo sta emergendo.
Ritroviamo ora alcuni versetti che leggevamo domenica scorsa, perché la prima lettura della IV domenica del tempo ordinario è composta di due brani: il primo lo abbiamo già incontrato, il secondo lo incontriamo qui. Notate che il v. 8 che abbiamo appena letto fa coincidere l’esplosione della collera con il fuoco della gelosia. Questo intervento del Signore che viene nel suo giorno sta a dimostrare come Lui sia coerente con la rivendicazione della sua gelosia, della sua intransigente volontà d’amore; è questo il motivo per cui interviene e a questo riguardo Lui è fedele, puntuale, preciso, determinato; una coerenza irrevocabile la Sua, una gelosia d’amore: “dal fuoco della mia gelosia
sarà consumata tutta la terra”.  

Un popolo umile e povero: l’inizio di una storia nuova
Cap. 3, v. 9, terza sezione del nostro libro: “Allora io darò ai popoli un labbro puro
perchè invochino tutti il nome del Signore (un orizzonte che più universale di così non potrebbe essere: tutti i popoli messi in grado di invocare il nome del Signore) e lo servano tutti sotto lo stesso giogo.
Da oltre i fiumi di Etiopia
fino all'estremo settentrione,
i miei supplicanti mi porteranno offerte (la visione raccoglie la partecipazione di tutti i popoli; tutti affluiscono, tutti concorrono all’interno di questa ricomposizione di un unico linguaggio che è, sì, strumento di comunicazione sonora, ma è un unico linguaggio che viene appreso nell’intimo dei cuori ed è il linguaggio della povertà che è divenuta prerogativa del cuore umano e si arrende, si affida, si consegna, si converte. Il cuore umano è espropriato laddove la superbia è sconfitta, l’arroganza è maciullata, l’alluvione è generale: emerge, galleggia l’arca di Noè). In quel giorno non avrai vergogna
di tutti i misfatti commessi contro di me,
perchè allora eliminerò da te
tutti i superbi millantatori
e tu cesserai di inorgoglirti
sopra il mio santo monte (non avrai più vergogna).
Farò restare in mezzo a te
un popolo umile e povero;
confiderà nel nome del Signore (il nome del Signore che è invocato con labbro puro da tutti i popoli che sono soggiogati insieme, che condividono lo stesso linguaggio. Questa espressione di “umile e povero” è quella che leggiamo nel vangelo secondo Matteo, laddove è Gesù stesso che dice “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi perché io sono mite e umile di cuore, sono umile e povero”. Un popolo umile e povero resterà: è il principio di un mondo nuovo, di una storia nuova, è il principio di quella umanità redenta che ormai si viene ricomponendo, ritrovando una comunione di linguaggio in un un’unica – avventurosa più che mai – esperienza di salvezza)
il resto d'Israele.
Non commetteranno più iniquità
e non proferiranno menzogna;
non si troverà più nella loro bocca
una lingua fraudolenta.
Potranno pascolare e riposare
senza che alcuno li molesti (resta un popolo povero che è strutturato in tutto il suo vissuto nei termini propri della confidenza; e, d’altra parte è un popolo operoso, non è un popolo che aspetta la manna dal cielo. E’ un popolo confidente e operoso che usa un linguaggio trasparente, senza frode).

Gioia nuziale in Sion
Adesso Sofonia ha condiviso quale luce ha acceso la Parola nell’animo suo, quale spiraglio è in grado di contemplare, quale novità vuole testimoniare senza farne uno slogan che verrebbe probabilmente frainteso, esposto al contatto con il grande pubblico. Ma, in questo contesto riservato, per il nostro Sofonia la scena si viene configurando come l’avvento di quel giorno nel quale il Signore dimostra come porta a compimento le sue promesse, come grida la sua intenzione d’amore: è il giorno che segna il principio di una storia nuova, la storia dell’umanità liberata, redenta; è la storia di quella povertà che ormai è divenuta il criterio di identificazione in base al quale, senza più confini, impedimenti, barriere, la moltitudine umana si viene riconciliando nel nome del Signore. E’ quindi una grande festa, addirittura una festa nuziale. “Gioisci figlia di Sion (adesso Gerusalemme viene raffigurata come una sposa che si rallegra perché riconosce di essere sposata. Quella Gerusalemme di cui Sofonia ci parlava prima, che era ridotta allo strazio nella forma più penosa, è qui incoraggiata a rallegrarsi perché è il percorso lungo il quale si sta svolgendo questa storia che determina un impoverimento, un’espropriazione di fatto, uno sbriciolamento di false pretese e menzogne per cui resta “un popolo umile e povero”), esulta, Israele,
e rallegrati con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato la tua condanna,
ha disperso il tuo nemico.
Re d'Israele è il Signore in mezzo a te,
tu non vedrai più la sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
«Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore tuo Dio in mezzo a te
è un salvatore potente.
Esulterà di gioia per te (la gioia della sposa, Gerusalemme, e la gioia del Signore. Ci sono testi nell’Antico Testamento in cui il linguaggio dei profeti diventa eco della gioia che esplode nell’intimo del Dio vivente), ti rinnoverà con il suo amore,
si rallegrerà per te con grida di gioia,
come nei giorni di festa”.
Siamo alla fine: questa coda, questo ultimo brano è stato aggiunto da qualche redattore che ha sistemato questo scritto, aggiungendo questi oracoli: “Ho allontanato da te il male,
perchè tu non abbia a subirne la vergogna.
Ecco, in quel tempo io sterminerò
tutti i tuoi oppressori.
Soccorrerò gli zoppicanti, radunerò i dispersi,
li porrò in lode e fama
dovunque sulla terra sono stati oggetto di vergogna.
In quel tempo io vi guiderò,
in quel tempo vi radunerò
e vi darò fama e lode
fra tutti i popoli della terra,
quando, davanti ai vostri occhi,
ristabilirò le vostre sorti, dice il Signore”.

Questo cambiamento della sorte è esattamente il senso della storia di ieri, di oggi, di domani e adesso noi siamo alle prese con questa identificazione di un popolo di poveri che, ormai, è in vista del compimento futuro, il punto di riferimento attorno a cui tutti i dati di una storia sbagliata verranno ricomposti, riconciliati, ricreati come epifania del Signore che viene.

 

Lectio divina

Profetti Minori 2010-11


  • 1 Febbraio 2010

    Nasce una visione della storia del tutto nuova: i vincenti sono gli umili e i poveri della terra