Incontri di discernimento e solidarietà

Consolare gli afflitti (Mt. 5,4; Lc. 6)

Affliggere i consolati


Chi non è afflitto e non ha bisogno di essere consolato? Ricordo il titolo di un libro del P. Giuseppe Massaruti “Da te consolato per te consolatore”. Da ragazzi ci abbiamo sorriso, ma quel titolo rappresentava una esperienza profondamente cristiana.


Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo”.

(II Cor. 1, 3 – 6)


Nell’oggi del mondo e della Chiesa, vivendo a Roma, in un maldestro tentativo di vita contemplativa, con la porta sempre aperta, in particolare agli studenti fuori sede di cui condivido il genere di vita, e con la finestra che cerco di tenere spalancata sul mondo, sento che dovrei con tutte le mie forze consolare gli afflitti.

Ogni giorno di più, forse anche per motivi anagrafici, incontro, più o meno direttamente, persone duramente provate nel corpo e nello spirito. Siamo tutti “mortali”. Incontro anche persone che non danno segni di afflizione. Quando si tratta di giovani cerco di aiutarli a scoprire che “la vita è bella” anche se prima o dopo si scopre che è in salita e faticosa; per questo è ancora più bella. Quando si tratta di persone mature e soprattutto quante sono considerate importanti, hanno “voce in capitolo” e manifestano la compiacenza di se stessi, sento per loro una particolare compassione. Recitando fra l’altro tutti i giorni i salmi, so che il loro futuro è un piano inclinato verso il precipizio (cfr. Salmo 37).

Cerco di aiutare anche loro con una “consolazione preventiva”.

Mentre sento di dovere in ogni situazione e in ogni rapporto consolare gli afflitti, mi sembra sia sempre più urgente “affliggere i consolati”.

E’ il titolo di una raccolta di meditazioni che don Tonino Bello ha fatto poco dopo che era diventato Vescovo, ai suoi preti, presentando un documento della CEI dell’anno ’83 intitolato “Eucarestia, comunione, comunità”. Il sottotitolo di “Affliggere i consolati” è: lo scandalo dell’Eucarestia.

Mi appare la gran contraddizione fra il modo di vivere di tanti cristiani e la condizione di miliardi di persone, che non sono presi in considerazione come figli del Padre, redenti dal Figlio, santificati dallo Spirito.

Mi stupisce l’irresponsabilità di persone seriamente credenti e serenamente incoscienti. Allora mi dico con don Tonino: bisogna affliggere i consolati, e forse il punto principale è scoprire il possibile scandalo dell’Eucarestia.

PRIMA PARTE


LA PROFEZIA


Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebr. 1, 1-2).

Il Concilio Vaticano II: “Cristo, il grande Profeta... adempie il suo ufficio profetico... non solo per mezzo della Gerarchia,... ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della Parola” (L.G. 35). “Il popolo santo di Dio partecipa pure all’ufficio profetico di Cristo col diffondere ovunque la testimonianza di Lui” (L.G. 12).

Dal profondo della mia miseria provo a comunicare qualcosa di valido cercando che non sia altro che partecipazione alla profezia di Cristo.

La profezia è innanzitutto ascolto di Dio che ci parla a cui seguono parole nostre, gesti, silenzi e comportamenti nuovi.

Non ho avuto rivelazioni particolari ma, con l’aiuto di autentici ascoltatori della Parola, penso di aver capito anche io qualcosa della Bibbia. L’amicizia poi, sincera e duratura con persone diversamente impegnate nel mondo, specialmente piccole, povere e sofferenti, mi ha aiutato a discernere un poco alla luce della Parola le vicende personali e gli eventi della storia.

Mi conforta il fatto che quanto sto per comunicare non mi ha procurato successo terreno ma piuttosto, almeno in piccola parte, emarginazione.


La coscienza politica


Inizio da questo termine che probabilmente non si trova nei dizionari di teologia biblica. Sono tuttavia fiducioso che ciò non mi allontani né mi distragga dal riconoscere il primato della Parola.

Penso sia facile intendersi sul concetto di “coscienza” come consapevolezza e responsabilità.

Molto più difficile è l’uso de termine “politica”, qui qualificativo di coscienza. Tutti, salvo rarissime eccezioni, identificano la politica con la ricerca e la gestione del potere. E tale è la pressione che, anche se per un momento riescono a vedere che c’è una costruzione della polis che punta sul ritessere rapporti “fraterni”, subito dopo ricadono nell’affermazione che questa non è politica.

Se qualche volta ci si persuade della necessità di una politica “dal basso” rimane in genere inconcepibile la politica “nel basso”. “Dal basso” viene accettato perché si pensa che si potrà arrivare in alto, dove con i rapporti di potere – quelli in cui qualcuno determina la vita di molti – si può promuovere il bene di tutti. Rimanendo “nel basso” non si realizza nulla di veramente politico, nulla di buono e di valido per la convivenza umana: così la pensano quasi tutti.

Anticipo subito una considerazione su cui tornerò. Il Vangelo non è un’alternativa di potere ma al potere.


Cosa è politica?

Sono le relazioni fra le persone, che si moltiplicano e si intrecciano nello spazio e nel tempo, formando processi a catena, istituzionalizzandosi, determinando quella che chiamiamo storia, con tutte le distinzioni di soggetti, dai singoli agli stati, agli organismi internazionali, al mercato globale, ecc.

Sono relazioni positive o negative, di riconoscimento o di negazione, di attrazione o di repulsione, di amore o di odio. Relazioni fra persone, che si attuano nel rapporto con le cose, nel dono o nell’avidità.

Relazioni con l’assoluto? E’ il problema del rapporto fra la fede e la politica.

Per questo è essenziale distinguere la fede, appunto come ricerca del rapporto con l’assoluto, dalla religione, virtù morale e non teologale, il cui oggetto sono i nostri atti riguardanti la sfera dei rapporti con il divino.

La fede che è apertura al Mistero infinito, dono dello Spirito che “riempie l’universo” non fa parte della politica, non è una relazione in più che si aggiunge alle innumerevoli e svariatissime che appartengono alla politica. La fede non appartiene alla politica, è una luce, una vita (eterna) che illumina e vivifica ogni persona ed ogni relazione interpersonale in tutte le sue realizzazioni positive e negative.

Il sole di giustizia

trasfigura ed accende

l’universo in attesa

(Inno di lode)

La coscienza politica è quindi per me la consapevolezza di tutte le relazioni che formano il tessuto della esistenza umana e del loro ineffabile rapporto con la fede. E’ azione dello Spirito che ci apre al Mistero infinito che ci contiene e ci attraversa, che è l’inizio e il fine, l’alfa e l’omega. E’ tensione verso la giustizia e la pace (Iustitia et pax); la mancanza di coscienza politica è la negazione della giustizia e della pace.


La Parola e la coscienza politica

Iniziando la mia comunicazione con la “coscienza politica” può far pensare ad alcuni che io non riconosca che la Parola è in principio e che cada nel sociologismo o comunque in un discorso di sola sapienza umana.

Quello che cerco di comunicare e che ritengo abbia una valenza profetica è un momento di una ricerca che dura da vari decenni e che nasce nell’ascolto della parola di Dio. E’ la Parola che, ascoltata con tanti amici, mi ha aperto al prossimo, in particolare ai piccoli, ai poveri, ai sofferenti, agli scartati e a tutte le relazioni che ho pensato necessario chiamare “politica”.

Quindi mi è stato sempre chiaro che la parola di Dio viene prima.


Ripensando a quanti mi hanno aiutato in tanti anni di ricerca a mettere a fuoco quel che ora sento di dover comunicare, i nomi, i volti, gli esempi, gli insegnamenti si moltiplicano quasi all’infinito. Mi limito a indicare due persone.

Il Padre Dalmazio Mongillo con una sua frase e una sua lettera.

La frase è la seguente: “Più si situa la fede nella storia e la si fa valere nella sua radicalità più essa emerge nel suo aspetto di realtà non ancora svelata” (Aa. Vv. “La speranza per la politica”, ed. Lavoro 1999, p. 94).

La lettera che mi ha scritto poco prima della sua morte mi è stata di conforto come “un angelo dal cielo” (Riportarla tutta o in parte). La conservo come un sacramento di amicizia.

“Amico carissimo, sempre più amico, ho con me il tuo scritto. Mi evoca il cammino anche della mia vita. Pensare sempre la stessa cosa nella speranza che un giorno diventi luminosa.

Ti ammiro nella costante perseverante linearità della tua storia nella quale l’amor civitatis, nella verità, nella libertà e nella solidarietà, è speranza affettiva ed effettiva che unisce i giorni del vivere e li intesse nella trama del disegno della Provvidenza sulla storia, che il Cristo costruisce in con e attraverso e per coloro che in Lui sono Cristi nel Padre, cittadini della famiglia umana, responsabili nella e della creazione.

Ti ringrazio per avermi citato. Ispirato da te e alla tua scuola ho imparato a pensare e esprimermi come solo tu sai fare, con quel calore di carisma che ti fa una guida spirituale delle persone che con la vita attiva e preghiera vogliono rendere degna di essere dimora umana la città nella quale patiscono e sperano”.

Il Padre Mario Castelli, anche da me sollecitato, ha indicato i primi passi per un cammino che ritengo sia la speranza evangelica per la Chiesa nel mondo. Mi limito alla enunciazione di una tematica da lui svolta, anche se in forma iniziale: partire da come Dio interviene nella politica per la pace, per capire come noi siamo chiamati a intervenire. Scoprire cioè come la Chiesa è chiamata a stare nel mondo partendo dalla fede nel Mistero Pasquale.

Ricordo anche, se pure con una certa delusione, il Padre Jean Yves Calvez che in un suo “essais” “la politique et Dieu” (Cerf. 1985) poneva il problema di superare il livello etico per affrontare la relazione fra l’esistenza politica e quella religiosa. Dopo due anni mi disse che non aveva proseguito su quella linea perché non aveva incontrato l’interesse nei lettori.


Grandi amici mi hanno ancora aiutato ad accostarmi alla parola di Dio, alla storia della salvezza, in particolare “dalla città di Caino alla Gerusalemme celeste”. Mi ricordo sempre di loro e quel che conta è che il Signore si ricorda del bene che tramite loro mi ha fatto.


La Dottrina Sociale della Chiesa

E’ un capitolo su cui penso sia urgente riflettere e discernere pregando, specialmente dopo l’impulso dato dal magistero di Giovanni Paolo II.

Questa dottrina parte per lo più da una sapienza umana e solo secondariamente si apre alla sapienza divina. Ricordo solo l’affermazione corrente che il cristiano deve impegnarsi secondo i principi e i valori del Vangelo. C’è una riduzione del Vangelo ad etica ed un offuscamento del kerigma, del Mistero Pasquale rivelazione del Mistero infinito di Dio. Gli appelli a un ritorno alla mistica sono ancora scarsi e poco ascoltati.


La seduzione del potere

E’ importante esplorare il valore semantico della parola “sedurre”: portare fuori strada, illudere, conquistare, ecc.

Specialmente fra quanti si professano cristiani è frequente una reazione vivace e anche baldanzosa quando si indica la seduzione del potere: il potere è necessario, non si deve demonizzare il potere, il potere è servizio, è un riflesso della grandezza di Dio, ecc.

Occorre superare gli schieramenti ideologici e porsi in ascolto adorante della parola di Dio, nelle Sacre Scritture, nella Tradizione e in tutto quello che il Signore ci dice attraverso il mondo, per esempio “avevo fame e mi avete dato da mangiare” (cfr. Mt. 25).


Il potere è un modo di relazione fra persone che è diffuso in ogni momento della convivenza umana. Si tratta sempre di decidere qualcosa che riguarda un altro. I casi sono diversissimi: si va dalla decisione di cambiare il pannolino al bambino appena nato, alle concentrazioni planetarie di potere economico, politico, militare. Un caso che dovrebbe essere completamente diverso è quello del potere religioso. Penso in particolare alla Gerarchia nella Chiesa cattolica; anche questa, esposta alla tentazione di mondanizzazione, rischia di competere con le altre forme di potere.

Ho constatato che appena passa in seconda linea il servizio, specialmente quello necessario, nasce, cresce e si annida il potere come dominio sugli altri, soggezione di singoli, di categorie e di popoli, al proprio volere. E’ il potere che si mangia la libertà degli altri, con grossi bocconi e con un’insaziabile fame del consenso dei piccoli e dei poveri.


Bisogna riconoscere che il potere a tanti livelli è necessario se non altro per realizzare un ordine di cui la convivenza umana ha bisogno. Il potere e il suo esercizio possono essere anche origine di grandi beni a condizione che vengano vissuti con spirito di servizio. Tutti quelli che ottengono un potere dichiarano in genere che lo gestiranno per il bene altrui. Raramente tuttavia queste intenzioni si traducono nei fatti. La seduzione del potere è talmente forte, per il desiderio di possederlo e ancor più per la preoccupazione di non perderlo, che il proposito di servizio, anche quando è sincero, finisce facilmente per essere soffocato.


Quel che può difendere e far crescere lo spirito di servizio anche nella gestione del potere è l’ascolto assiduo interiore della Parola e il vivere alla presenza del Padre universale. Ciò può accadere anche senza una continua formulazione della nostra fede e anche in tanti che non si considerano credenti ma hanno una viva coscienza politica e non cessano di rispettare tutta la realtà. Essi vivono nella loro coscienza un ascolto spesso molto attento della volontà che ci trascende e vuole il nostro bene.


La religione avalla 1

Avallare ha vari significati figurati: confessare, garantire, legittimare, rendere credibile, sostenere, appoggiare.

Non mi riferisco evidentemente alla religione in quanto accoglienza di fede della Parola. Intendo qui la religione, in particolare in Italia, come opera degli uomini, come costruzione umana. Solo il Signore, poi, sa come il suo spirito opera, anche all’interno del tessuto umano, il filo rosso della fede, della speranza e della carità.

Religione come opera degli uomini significa innumerevoli cose, anche assai diverse fra di loro.

In primo luogo le elaborazioni culturali, dal catechismo alle più alte vette della teologia. C’è poi il vasto campo dell’etica, della morale e dell’ascetica, con la varietà delle pratiche e dei cammini che esse propongono. Grandissima importanza hanno i sacramenti, sempre considerando l’opera degli uomini senza tuttavia ignorare l’azione dello Spirito. C’è il campo vastissimo delle devozioni, in particolare quelle popolari. Infine consideriamo la grande costruzione ecclesiastica e ecclesiale; anche qui senza dimenticare l’azione dello Spirito.

Poche cose al mondo, come la Chiesa, costituiscono un’opera degli uomini così grande, un’organizzazione così estesa, una sorgente così ricca di opere rivolte al bene degli altri e al tempo stesso poche realtà sono così fortemente autoreferenziali, nella logica tensione alla propria auto conservazione e difesa da altre realtà concorrenti, non di rado avversarie.


In che modo la religione avalla quella che ho chiamato mancanza di coscienza politica?

Tacendo o facendo discorsi molto generici che non aiutano il risveglio delle coscienze.


Tacendo.

Non si tratta del silenzio, specialmente di quello interiore, di cui la società attuale tende violentemente e subdolamente a deprivarci. Si tratta del tacere su molte cose parlando di altro. La religione concentra spesso l’attenzione su alcuni problemi, non sempre della massima importanza, divenendo così un agente di distrazione che concorre con le altre innumerevoli e potentissime strategie di distruzione che operano nella nostra società.

Gli esempi di come la religione, tacendo su alcune realtà e parlando di altre, impedisce la maturazione di una coscienza politica popolare sono innumerevoli.

Un tempo si concentravano tutti gli sforzi sulla salvezza della propria anima per cui gli altri, con i loro problemi, passavano in secondo piano. Quello che a Roma veniva considerato l’undicesimo comandamento “fatti gli affari tuoi” aveva le più diverse applicazioni: dal piano economico a quello più genericamente sociale a quello appunto della salvezza della propria anima.

Un tempo si diceva: parlare dei poveri va bene per un cristiano, ma parlare delle cause della povertà è comunismo.


I discorsi generici

Si avalla la mancanza di coscienza politica, cioè di responsabilità di quello che succede nel mondo, anche accennando a queste realtà in modo astratto e del tutto generico.

La concretezza, condizione del vero amore, richiede l’attenzione alle persone nella loro individualità, “in carne e ossa”, nella loro esperienza anche interiore, nella loro povertà e nelle loro afflizioni. E’ chiaro che non è possibile questo tipo di attenzione nei confronti di sei miliardi e mezzo di persone.

Quel che è possibile e ci è quindi richiesto è di collegare l’attenzione al vicino, affettivamente e localmente tale, con l’attenzione a tutti, anche ai più lontani nello spazio e nel tempo.

Gli esempi possono essere innumerevoli. Ce ne è uno che può illuminare tutti gli altri. E’ morta una persona particolarmente cara e chiedo di celebrare per lei la Messa. Ottima cosa. Ma la Messa è il mistero della fede in cui la comunità ecclesiale si apre a tutta l’umanità, per la quale il Mistero infinito di Dio si è rivelato nel Mistero di Gesù Cristo, della sua morte e risurrezione. Una Messa vissuta senza questa comunione universale è una negazione del suo significato primo. Quando ho chiuso gli occhi a mio padre ho recitato un “Padre Nostro” per tutta l’umanità mortale. Così si vive un lutto universale e permanente, sempre illuminato dalla fede nella Risurrezione.

Quello che ci viene proposto dai media, in particolare dalla televisione, non è contatto diretto con la realtà ma con le immagini di questa che ci vengono proposte. Esse possono impressionare per un momento ma non contribuiscono, per lo più, a un’apertura stabile della mente e del cuore alla vera condizione umana.


Le denunce generiche

Un avallo al potere esercitato con violenza contro la giustizia e la pace, viene anche da quelle denunce generiche che si trovano spesso nei discorsi di chi si professa cristiano. Ciò avviene nei discorsi correnti, nelle prediche, nei documenti ufficiali della gerarchia, specialmente quelli che iniziano con l’analisi di quel che succede oggi nel mondo. Tutto ciò non giova al risveglio delle nostre coscienze.


Le realtà che vengono ignorate

Ho parlato della mancanza di coscienza politica, che dovrebbe nascere e crescere nell’ascolto della Parola, liberandoci dalla seduzione del potere.

Ho riflettuto su come la religione possa avallare questa mancanza con il silenzio su molti aspetti della realtà o con discorsi generici che non stimolano la conversione.

Ora accenno alle realtà che vengono ignorate e alla responsabilità che bisognerebbe far maturare nei loro confronti.


Il potere

Il potere economico, il potere politico, il potere scientifico e tecnologico, il potere dei media, il potere culturale e religioso.

La responsabilità richiede di conoscere, valutare, reagire, dissociarsi, combattere... senza violenza.


Tutti ci rendiamo conto del potere dell’economia, della sua crescente concentrazione, della sua ineluttabilità. Conosciamo le conseguenze di questo potere per gli squilibri nel modo di vivere di miliardi di persone ormai tutte a noi vicine nel mondo in via di globalizzazione. Conosciamo ingiustizie e violenze ma spesso questa conoscenza penetra nella nostra vita solo quando siamo personalmente “toccati” da qualche privazione economica.

La violenza del potere politico e di quello delle armi ci è nota, ma come dato prevalentemente esterno alla nostra vita e al nostro mondo.

Ci siamo esaltati, ai tempi della modernità, del potere tecnico e scientifico; oggi almeno alcuni si rendono conto dei suoi limiti e dei danni collaterali.

La crisi del pensiero e della comunicazione è di un’estrema gravità, proprio perché non ci si pensa e se ne parla poco. Il pensiero muore ovviamente non pensandoci, e la vera comunicazione scompare se non c’è una resistenza comunitaria.

Il potere dei “media” strettamente collegato a quello economico e politico, blandamente denunciato e moderato con ingenui palliativi, va consumando le grandi riserve della saggezza, della generosità e della solidarietà popolare.

C’è poi il potere più contraddittorio, quando è vissuto come dominio, quello culturale e religioso.

La vera cultura e la religione, dovrebbero essere in primo luogo ascolto, consapevolezza di povertà, ricerca della luce e del calore che ci viene da tutti, specialmente dai più piccoli, poveri, sofferenti ed emarginati.

E quando invece cultura e religione vengono vissute come possesso, come ricchezza e come dominio hanno un potere di corrutela irresistibile, per dirla con Saverio Corradino.

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SECONDA PARTE


Continuando a pensare e a comunicare nella profezia – che è in primo luogo ascolto della parola di Dio – a cui tutti siamo chiamati (cfr. Concilio Vat. II) arriviamo all’interrogativo semplice e fondamentale: che fare?


CHE FARE?


Quale la nostra responsabilità nei confronti della mancanza di coscienza politica fondata sulla parola di Dio?

Una risposta, su cui abbiamo tanto riflettuto e pregato con Mario Castelli, Saverio Corradino, Pino Stancari e altri amici, è la “laicità”. Abbiamo cercato il significato di questo termine nella parola di Dio accolta nella fede e ci siamo detti: la laicità è la profezia del popolo di Dio sul mondo, responsabilità dei credenti in Cristo, attesa operante della resurrezione.

Una volta di più abbiamo colto che la possibilità di rispondere alla nostra vocazione nel presente del mondo e della Chiesa, è l’azione dello Spirito, il suo dono, che viene incontro alla nostra debolezza.

Provando a declinare in qualche modo questa laicità sempre in ascolto della Parola, ci sembra di poter dire che è necessario conoscere, discernere, dissociarsi, combattere, costruire.


Conoscere

Conoscere nel senso pregnante biblico che non è la sola informazione di quel che accade ai singoli, ai popoli, nella storia, ma sentire profondo, condivisione e coinvolgimento.

Purtroppo viviamo in una rete fitta di informazioni parziali, fugaci, spesso distorte, che non aiutano il conoscere.


Discernere

Distinguere quanto è possibile ciò che è positivo da ciò che è negativo con un criterio evangelico e non solamente etico. Ci troviamo qui di fronte al grande ostacolo della riduzione del Vangelo a valori, quindi a etica, oscurando la luce del Mistero infinito di Dio rivelato in Gesù Cristo e nel mistero pasquale.


Dissociarsi

Raramente si sente questo termine che tuttavia, nei suoi molteplici significati, ha oggi un’importanza ed un’urgenza molto grande.

Accogliamo l’esortazione di Paolo ai Romani: Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2).

Per poter discernere è necessario “non conformarsi”. Ieri il Papa Benedetto in Germania ha denunciato con fermezza che i cristiani in occidente si sono spesso dimenticati di Dio.

Occorre urgentemente un deciso esame di coscienza per verificare quanto accettiamo atteggiamenti e modi di vivere del nostro mondo occidentale in pieno contrasto con il Vangelo.

Quanto mangiamo e quanto parliamo del mangiar bene.

Quanto cerchiamo il successo mondano e soprattutto quanto ammiriamo quelli che lo raggiungono.

Quanto critichiamo piccoli e grandi perché la politica non funziona e la società è corrotta, senza in queste critiche, spesso fondate, scoprirci parte in causa non solo come vittime ma anche come corresponsabili, almeno con il nostro silenzio, ma soprattutto non dissociandoci e “conformandoci alla mentalità” corrente.


Combattere

Non violenti ma nemmeno imbelli.

La resistenza è una forma essenziale della lotta.

Il potere di rinunzia e la gratuità sono molto più forti della gratuità.

Non si tratta di “schierarsi”, sia pure per salvare la propria identità cristiana, cosa che non ha nulla a che fare con il Vangelo e le dinamiche del Regno di Dio, ma di creare la comunione, la condivisione, la vera amicizia che è come il primo dei sacramenti. E l’amicizia non è una questione privata che riguarda il rapporto intimo fra pochi ma è il lievito di cui la società ha più bisogno. Le comunità e non i partiti sono i soggetti primi della politica, cioè della costruzione della polis, e non dei giochi di potere.


Costruire

Il prossimo convegno ecclesiale di Verona ha riproposto la bellissima prima lettera di S. Pietro. Nel secondo capitolo “La radice della testimonianza” ha proposto la splendida immagine della costruzione dell’edificio spirituale. ”Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati, come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt. 2, 4 – 5).

Ma purtroppo al posto di “rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” hanno messo quattro puntini. Hanno scartato la pietra scartata.

La dice lunga sulla difficoltà ad essere emarginato, minoranza, sale e lievito evangelici.

Così saremo grandi costruttori di edifici, ma non spirituali.


I sofferenti

Chi non soffre?

Tutti ci sentiamo sofferenti. C’è chi non ne parla per soffrire di meno e c’è chi ne parla, talvolta anche in eccesso, per trovare in questo modo sollievo.

Guardandoci intorno, vicino e lontano, riconosciamo tanti che sono “sofferenti” in modo particolare: nella carne e nello spirito, per cause diverse e non di rado perché vittime di altre persone malvagie e violente, o in genere perché emarginate e scartate dalla società.

Questi sofferenti in modo particolare sono la salvezza del mondo: i sofferenti e non la sofferenza.

Come? Portano il peso della condizione umana. Svegliano la coscienza di tanti. Sono riconosciuti dalle religioni, dalle filosofie, dalle culture popolari.

Joan Baptista Metz propone per questo un ecumene della compassione come risposta alla violenza della globalizzazione del mercato.

I sofferenti smorzano gli odi nei singoli e nei popoli.

Nella contemplazione di fede i sofferenti risplendono come coloro che danno compimento al Mistero pasquale, che è mistero di morte e di risurrezione.

Siamo chiamati a riconoscere questo altissimo ruolo dei sofferenti e, mentre con tutte le nostre energie dobbiamo cercare di alleviarne le sofferenze, non dobbiamo tralasciare di comunicare loro il valore del peso che portano per il bene di tutta l’umanità.

Infine la cosa più immediata, e al tempo stesso la più impegnativa, è accettare con serenità la nostra parte di sofferenze e la prospettiva che esse possano aumentare.


Guai e speranze

Proseguo nel tentativo di scrivere pagine che abbiano una valenza profetica conforme alla vera laicità e a quel che propone il Concilio Vaticano II.

Quel che penso di comunicare mi appare incredibilmente poco pensando soprattutto ai grandi profeti del primo testamento: i guai e le speranze.

I guai nell’oggi del mondo e della Chiesa non sono minori di quelli che hanno fin qui attraversato la storia dell’umanità. Ingiustizie, violenze e sofferenze inaudite per miliardi di persone. Una realtà immensa che ci sovrasta, se riusciamo, almeno per un momento, a fare silenzio di fronte al mondo, spegnendo le mille voci e i suoni che ci vengono dal di fuori e interrompendo il flusso continuo dei nostri discorsi e dei nostri sentimenti.

Ci sono poi i guai prevedibili nel futuro sempre più prossimo. Nel rapporto con la natura e nel rapporto dei popoli fra di loro si prevede con crescente chiarezza che così non si può andare avanti. La catastrofe sembra imminente anche se non si riesce a coglierne i parametri e i tempi.

I guai non annullano le speranze.

Le speranze sono realtà del presente: la pazienza, la gratuità, la solidarietà, l’operosità, la sopportazione, lo sforzo della ricerca, la fatica del pensare ecc. A monte delle cose positive che producono, sono questi i grandi segnali della vivacità dello spirito umano e della presenza operante dello Spirito di Dio.

Per il futuro ci è dati di sperare, anche contro ogni umana previsione, innumerevoli crescite dello spirito, nei singoli, nelle comunità e, di conseguenza, anche nelle istituzioni.

L’ecclesia semper reformanda, la Chiesa povera, testimone umile e fedele del Vangelo, è al centro delle nostre speranze.


La Messa sul mondo


La Messa è la sorgente e il compimento di ciò che ci è rivelato: della parola che Dio ci rivolge nelle Sacre scritture e in tutto il creato, nel più intimo del nostro cuore, nelle svolte della storia e nell’evoluzione del cosmo.

La Messa è anche il momento della massima contraddizione fra l’immensità del Mistero che si celebra e la scarsa consapevolezza di quanti vi partecipano, dal celebrante principale al più piccolo dei fedeli.

Ho scritto in proposito in occasione del 50° del mio sacerdozio.

1 A.C. Moro, Studi Zancan, giugno 2005

Discernimento


50 anni di sacerdozio e 80 anni di vita di P. Pio Parisi 2006-07


  • 5 novembre 2006
    Consolare gli afflitti. Affliggere i consolati