Incontri di discernimento e solidarietà

Lettera al Cardinale Dionigi Tettamanzi 2001-2002

Carissimo Padre,              

volendo comunicare a molti amici una riflessione sull'urgenza di un ritorno della Chiesa all'Apocalisse e sul bisogno della guida dei Pastori, mi sono permesso di dare a tale comunicazione la forma di una lettera indirizzata a lei.

Diversi amici cristiani si sono sentiti confortati da quanto lei ha detto in occasione del G8. mi sono rallegrato con loro, pur non essendo in grado di condividere in pieno le loro valutazioni per la mia scarsa conoscenza dei fatti.

La situazione in cui stiamo vivendo ha resa più forte in me la convinzione, già in altre occasioni manifestata, che la Chiesa è chiamata a convertirsi con un serio ritorno all'Apocalisse.

L'Apocalisse di Giovanni, scritto conclusivo di tutto il primo e il nuovo testamento, è il libro della speranza e della gioia in tempo di tribolazione. Eppure i cristiani hanno in genere accettato di usare il termine "Apocalisse" per significare solo la catastrofe. Tale distorsione è per la Chiesa una perdita gravissima.

L'impegno dei cristiani nel mondo viene per lo più qualificato per il riferimento ai valori e ai principi generali del Vangelo, lasciando in secondo piano la morte, la resurrezione e l'ascensione al cielo del Signore. Questa riduzione del Vangelo a codice morale è di una gravità estrema ed è dilagante, specialmente quando si tratta della dimensione politica dell'impegno della Chiesa nel mondo. Per questo è urgente il ritorno all'Apocalisse che è appunto la rivelazione del senso della storia a partire dall'agnello immolato che solo apre il libro sigillato che sta nella mano di Dio.

Recentemente, con alcuni amici, abbiamo meditato un testo del Padre Ugo Vanni "Divenire nello Spirito - L'Apocalisse guida di spiritualità, Edizioni AdP 2000", di cui riporto alcuni passi.


 

"Uno sguardo all'esegesi dell'Apocalisse o, più genericamente, al posto che questo libro ha avuto nella vita e vitalità della Chiesa, ci mostra come esso abbia sempre nutrito in prospettiva spirituale tutte le generazioni cristiane, a cominciare dalla prima." (P. 21).

 

"Per comprendere la spiritualità tipica dell'Apocalisse, dobbiamo innanzitutto considerare il suo carattere di esperienza. L'Apocalisse non è un libro fatto, ma un libro da fare". (p. 21)

 

"Si tratta di sottomettersi al giudizio di Cristo risorto, creduto e sentito presente in mezzo alla sua Chiesa, per una purificazione completa, una vera e propria trafila penitenziale". (p. 21)

 

"La Chiesa è invitata, tramite Giovanni, a salire in cielo e a guardare, dal punto di vista della trascendenza di Dio e di Cristo, ciò che deve accadere.

Si tratta dei fatti della storia umana, non previsti oziosamente sulla linea della loro attuazione cronologica, ma letti in profondità in quel filo religioso che li unisce e che costituisce la logica di Dio, in base alla quale essi si devono verificare. Si tratta, in altre parole, di un impegno di discernimento, di lettura dei segni dei tempi.

L'autore dell'Apocalisse prende questo impegno molto sul serio. Il primo passo per una lettura dei segni dei tempi in profondità è un risveglio del senso di Dio". (p. 23)

 

"Dio, seduto sul trono, domina tutto. I fatti della storia sono dominati attivamente da lui.

C'è un rapporto tra lui e la storia, un rapporto diretto, che non è intaccato, né condizionato da nessun elemento.

Per poter leggere la storia, occorre risvegliare, riscoprire questa radicalità assoluta di Dio, al di sopra di qualunque schema.

Ma i fatti della storia, proprio come tali, sconcertano. Il rapporto che essi hanno con Dio non solo non appare a prima vista, ma sfugge completamente, fino a diventare di segno negativo: alcuni eventi della storia, nella loro drammaticità e nell'assurdo del male che vi si riscontra, sembrano escludere addirittura una presenza di Dio. In realtà non è così. Tutti i fatti della storia, tutte le persone che ne sono protagoniste, in un parola tutto ciò che è reale dipende direttamente da Dio ed è determinato da lui. L'autore lo esplicita mediante la presentazione del libro sigillato con sette sigilli." (p.24).

 

"Una serie di paradigmi vengono proposti per potere, alla luce di Cristo, interpretare in profondità la propria storia. 

Si tratterà di guardare con realismo ai fatti contemporanei, di cogliere tutti gli aspetti, anche i più sconcertanti; di avere poi la fede ardita di dire a se stessi che tutti questi fatti sono determinati da Dio, previsti e valutati da lui, ma che sono intelligibili soltanto alla luce di Cristo, rapportandoci a lui.

 Il rapporto a Cristo sarà specificato dai singoli schemi interpretativi e dovrà essere focalizzato situazione per situazione, potremmo dire addirittura caso per caso, persona per persona.

In questa ottica di una storia da interpretare riferendola a Cristo la comunità ecclesiale passa in rivista tutte le realtà che trova nella sua situazione. Si occuperà, ad esempio, dello Stato in cui si trova; farà attenzione alla propaganda che dà vita ad esso; farà attenzione anche a quei centri di potere - l'Apocalisse li chiama "re della terra" -, che al di dentro di una organizzazione statale condizionano in maniera spesso determinante la vita dell'uomo.

Un mondo organizzato soltanto a livello terrestre, chiuso a Dio, diventa l'impressionante città consumistica, la "grande prostituta", Babilonia, che proprio per questa sua pretesa di costruire un sistema di vita orizzontale e autosufficiente crolla poi dal dentro. Questo sistema terrestre di vita non coesiste pacificamente con il sistema di apertura a Dio, di sintonia con lui e con Cristo, che è proprio dei cristiani.

Si ha così una tensione permanente, che facilmente - anche se non sempre inevitabilmente e nella stessa misura - sfocia nella violenza della persecuzione. I cristiani sono impegnati con Cristo a superare questo sistema terrestre antitetico, che essi possono trovare nella loro storia contemporanea". (p. 24-25).

 

"Una volta effettuata un'accurata lettura di segni dei tempi, la comunità ecclesiale dovrà stabilire quali decisioni e quali iniziative la situazione della storia che essa sta vivendo richiede da lui.

Queste decisioni ovviamente non sono specificate dall'autore dell'Apocalisse: dipendono dall'attività spirituale di ogni assemblea liturgica, come questa si realizza nelle diverse circostanze spazio-temporali". (p. 26).

 

"In conclusione, l'apocalittica ci parla di Dio, dei fatti della storia, dei giudizi di Dio, del male che egli scaccia e che sarà sconfitto, del bene che trova faticosamente la sua realizzazione storica, sempre insidiata da forze sociologicamente superiori.

L'uomo apocalittico sa guardare in faccia a tutte queste realtà, mantenendo realisticamente la sua presenza, il suo affidamento totale a Dio. Tutto ciò trova nell'Apocalisse un'organizzazione sistematica, in cui tutte le varie componenti hanno un loro posto nel quadro d'insieme.

E' così che l'Apocalisse diventa una spiritualità globale: la spiritualità tipica dell'assemblea, che, in contatto prolungato con Cristo, si lascia purificare da lui, legge la propria storia, collabora attivamente con lui alla vittoria sul male, guarda il presente e il futuro con la speranza solida di chi sa che nonostante tutto il bene trionferà davvero.

Questo tipo di spiritualità, sempre presente come esigenza e come realizzazione almeno parziale della vita della Chiesa, ne costituisce una costante irrinunciabile. Senza di essa la Chiesa correrebbe il rischio del ghetto, il rischio di chiudersi in una torre d'avorio, ignorando al realtà che la circonda e di cui essa fa parte." (p. 27-28).

 

"Il campo della speranza si estende e si precisa man mano che si sviluppa la seconda parte dell'Apocalisse. L'assemblea liturgica applicando con duttilità intelligente, a seconda delle circostanze storiche in cui vive, i molteplici schemi di interpretazione che l'Autore le propone, approfondisce la rilevazione del male.

Constata così come le forze negative tendono ad agglutinarsi, costituendo un sistema di vita organizzata: dei centri di potere ("i re della terra"); uno Stato che si fa adorare, e una pressione psicologica di propaganda che lo tiene in vita (la "bestia" che viene dal mare e la bestia "che viene dalla terra"). I "re della terra" e le due "bestie" danno luogo ad un sistema di vita consumistico, autosufficiente, chiuso alla trascendenza, simboleggiato dalla figura impressionante di Babilonia. E' il sistema terrestre, che non solo è eterogeneo rispetto ai cristiani - essi costituiscono, possiamo dire, il sistema di Cristo, che l'Autore simbolizza nella figura di Gerusalemme -, ma diventa intollerante fino all'aggressione.

Si scatena così un rapporto conflittuale permanente, che nello sviluppo della storia si attuerà con vicende alterne. Il sistema terrestre farà sentire la sua pressione fino a opprimere e conculcare quello cristiano. Gerusalemme, simbolo appunto del sistema cristiano, potrà essere calpestata dai pagani, profanata e distrutta. Ai cristiani rimarrà solo la capacità di pregare. Essi potranno anche essere chiamati a donare la vita: nella prospettiva dell'Apocalisse ogni cristiano è potenzialmente un martire.

Ma non esiste un martirio senza la speranza. Accanto al quadro del sistema terrestre, che viene delineato man mano nei dettagli, il gruppo di ascolto vede precisate anche le implicazioni della sua partecipazione alla vitalità di Cristo risorto. Di fronte alla "grande tribolazione" - quella determinata dalla pressione schiacciante del sistema terrestre -, il gruppo saprà di appartenere a coloro che "resero bianche le loro vesti nel sangue dell'Agnello" (7,14).

A contatto con Cristo-Agnello, con la sua sacramentalità realizzata nell'assemblea liturgica i cristiani potranno improntare la loro situazione morale alla risurrezione di Cristo. Sarà questa energia di risurrezione derivante dal "sangue dell'Agnello" che permetterà loro di vincere il demoniaco scatenato sulla terra:

            "Ed essi vinsero in forza del sangue dell'Agnello

            e in forza della parola della loro testimonianza, 

            e non amarono la loro vita fino alla morte" (Ap 12,11) (p. 143-144).

 

 

Alla luce dell'Apocalisse la presa di coscienza delle ingiustizie e delle violenze in cui viviamo, come vittime e come responsabili, mette in evidenza la necessità di una conversione personale ed ecclesiale, che appaiono tuttavia impossibili alle sole forze umane.

Ciò a cui siamo chiamati all'inizio del terzo millennio appare chiaramente: capire i grandi eventi, che con molta approssimazione vengono chiamati globalizzazione, secondo i criteri di lettura proposti dall'Apocalisse e soprattutto scegliere di vivere partecipando alla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, ritrovando la spiritualità tradizionale del battesimo e della eucaristia come partecipazione alla morte e risurrezione del figlio di Dio e di Maria.

 

Segnali di risveglio mentre il sonno continua

In occasione del G8 a Genova, si è risvegliata la coscienza di non pochi cristiani circa alcuni aspetti del male, dell'ingiustizia e della violenza, che ci sono nel mondo.

Si è deplorata la violenza di alcuni contestatori e di alcune forze dell'ordine.

Si sono denunciate le grandi ingiustizie presenti nel mondo ed alcune gravissime conseguenze della globalizzazione.

Si è reso tuttavia manifesto un grave limite nella coscienza di molti cristiani: la scarsa consapevolezza del male più diffuso di cui sono vittime e responsabili nella società del benessere.

            “Ma l'uomo nella prosperità non comprende

            è come gli animali che periscono”. (Sal 49).


Ingiustizie e violenze sono diffuse proprio in quel benessere di cui tanti godono e che molti propongono da estendere un po’ alla volta a tutti i popoli della terra.

 

Quale benessere?

E' il benessere che mette in primo piano i consumi e porta al consumismo. E' deplorato come il guasto più grave della nostra società, eppure si propone la crescita dei consumi come condizione necessarissima per rimanere fra i primi.

E' il benessere ricercato soprattutto nei beni materiali e nel potere, in tutte le forme del potere: politico, economico, culturale e religioso, inteso come dominio sugli altri e sulla natura. E' il potere desiderato come mezzo di dominio ma anche per essere dominati, inquadrati e deresponsabilizzati: idolatria che nasce nel profondo del cuore umano.

 

Il sonno.

Manca ancora fra i cristiani la coscienza viva di quanto il sistema terrestre si opponga al Regno di Dio. Mentre per esempio ci si domanda e si discute con impegno in che modo e con quale stile era bene andare a Genova nei giorni del G8, non ci si accorge che tutta la nostra vita va convertita, a cominciare dal nostro modo di guardare agli eventi e alla condizione di tutte le donne e gli uomini e al nostro modo di cercare il benessere per noi e per gli altri.

Viviamo in un sistema di potere che al vertice e alla base ricorre ad ogni mezzo, ad ogni arma di difesa e di offesa.

Ci perdiamo alla ricerca di alternative cristiane "di" potere, trascurando la fondamentale alternativa "al" potere: La kenosis del Figlio di Dio.

 

Che fare?

Man mano che ci si rende conto di essere immersi  e intimamente attraversati dalle acque del male, ci si domanda: che fare?

Si diffonde e si approfondisce la convinzione che non ci sia nulla da fare. Così tanti giovani diventano "assenti" da quel che succede nel mondo e tante persone mature sono deluse e sfiduciate. Non pochi cristiani poi invocano una mediazione culturale che sia sconto alla radicalità del Vangelo.

Avviene così che non ci si accorga che c'è molto anzi tutto da fare: cambiare la propria vita, pur rimanendo in questo mondo, stare nel sistema dominante resistendo alla sua forza di omologazione.

 

Conversione.

"Convertitevi e credete al Vangelo". Siamo chiamati alla conversione dei nostri consumi e dei nostri desideri di consumare. Quale percentuale dei discorsi di tanti buoni cristiani verte sul mangiare, sul divertirsi, sul divagarsi nei modi più diversi? Siamo chiamati a convertirci nei rapporti con i potenti e con quelli che non contano o sono emarginati, nei rapporti con i media, nelle conversazioni scarse di ascolto e di comunicazione autentica. Siamo chiamati a convertirci ai piccoli e ai poveri, e a noi stessi, rientrando in noi, per riconoscere i limiti e al tempo stesso l'abisso del mistero, liberandoci quanto è possibile da esaltazioni e depressioni. e tutto questo nella quotidianità e non solo nelle affermazioni di grandi scelte che restano nella teoria.


La coscienza politica.

La conversione più urgente nel mondo globalizzato è l'impegno per la crescita della coscienza politica, intesa come responsabilità verso tutti e verso il tutto. 

Il passaggio dalla conversione alla coscienza politica, che può apparire molto strano, è a mio avviso decisivo.

Non è una caduta banale di un discorso spirituale, non è un abile raggiro per ritrovare una qualche egemonia, non è, per me personalmente, un tentativo di rilanciare un appello inascoltato; nel '75 scrivevo, infatti, "La coscienza politica".

Sono profondamente persuaso che tutta la Bibbia ci chiama a una conversione del cuore che è assunzione di responsabilità politica: dalla città di Caino alla Gerusalemme celeste. Sono altresì convinto che il vero agire politico nasce dalla conversione del cuore.

Oggi sento qualcuno che parla di primato della cultura politica e quindi della formazione della lotta di potere. E' un discorso promettente ma temo che difficilmente si fondi su un concetto profondo di cultura che implica la conversione del cuore: dall'egoismo all'amore verso tutti e verso il tutto.

 

La profezia.

Come è possibile la conversione personale ed ecclesiale? 

Ricordando la vocazione profetica di tutto il popolo di Dio, secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II, ascoltiamo Dio che chiama Geremia: "Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca.

Ecco, oggi ti costituisco 

sopra i popoli e sopra i regni

per sradicare e demolire,

per distruggere ed abbattere, per edificare e piantare" (Ger 1, 9-10).

Il lavoro da fare è immenso sia che pensiamo al nostro cuore sia che pensiamo a tutte le costruzione ecclesiali.

Nel nostro cuore quanti sentimenti e pensieri contrari al Vangelo e quanto terreno ancora incolto. Occorre una radicale purificazione che non sembra alla nostra portata: la intravediamo come possibile solo a seguito di una crescita nella fede, di una esperienza viva del Mistero. L'ascetica dopo la mistica.

Nelle costruzioni ecclesiali, o forse meglio ecclesiastiche, sul piano delle elaborazioni culturali come su quello delle iniziative apostoliche, caritative, pastorali, sociali e politiche, accanto a meravigliose manifestazioni dello Spirito, quante realizzazioni solamente umane, affermazioni di se stessi e del proprio prestigio o della Chiesa come potenza di questo mondo, in concorrenza con le altre forze in campo.

Quanto c'è da sradicare e demolire, distruggere ed abbattere, e quanto da edificare e piantare sempre che si voglia fare quello di cui c'è più bisogno e che, con la grazia di Dio, siamo in grado di fare.

 

Qualche spunto.

Ecco qualche spunto circa il "da fare", senza nemmeno il tentativo di dire cosa viene prima e cosa viene dopo.

Liberarsi dal protagonismo che nei modi più diversi ostacola la fede nel primato di Dio in tutte le cose. Il protagonismo oggi emergente nella Chiesa sembra essere quello di sentirsi gestori della salvezza e managers accreditati per la costruzione di un benessere terreno. Torniamo all'esortazione di Pietro:

"Stringendovi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo". (1 Pt 2,4-5).

Lasciarsi coinvolgere da tutti i guai dell'umanità, rinunciando a tutti i recinti protettivi, ai mondi cattolici (orribile espressione) in cui vivere tranquillamente, moltiplicando opere buone che tuttavia non rispondono tanto al grido dei poveri e dei sofferenti quanto all'esigenza di sentirsi buoni.

Pensarsi e muoversi come un unico popolo di Dio di cui non conosciamo i confini, pur riconoscendo la diversità dei carismi, liberandoci quanto è possibile dalla soggettività individualista, di gruppo, di appartenenza e di schieramento. Aiutarsi a vicenda con la comunicazione spirituale del discernimento evangelico della dimensione sociale della nostra esistenza.

Ripensare l'uso del possessivo: la mia casa, la mia chiesa, i miei fedeli, i miei giovani… fino alla mia religiosità e alla mia fede, che è dono e opera dello Spirito Santo in me.

Accettare dure esperienze di solitudine, di incomprensione e di marginalizzazione. Come la povertà tali esperienze vanno combattute e ricercate al tempo stesso.

Sopportare pazientemente i limiti propri e altrui, liberandosi da illusioni di facili successi mondani.

Non allontanarsi mai dal popolo per intraprendere itinerari riservati alle élites.

Riportare al centro della ricerca spirituale temi che rischiano di cadere in disuso nella pastorale: ricchezza e povertà, anche nella scelta dei mezzi, potere e non potere, successo e persecuzione, eccetera, per esporre tutto alla Parola, per riscoprire fino a che punto i nostri cuori sono sedotti e le nostre costruzioni, culturali ed operative, albergano cuori idolatri.

 

Fare l'Apocalisse.

L'Apocalisse non è un libro fatto ma da fare. Questa affermazione del padre Ugo Vanni mi ha aiutato a prendere coscienza che quel che da tanto tempo cercavo di fare e di proporre era proprio l'Apocalisse. Alcuni amici che consideravano questo libro "inaccostabile" hanno scoperto che in esso c'era ciò che più desideravano per sé e per la Chiesa.

Fare l'Apocalisse è una proposta e una richiesta urgente rivolta a tutta la Chiesa popolo di Dio.

Convertirsi ed ascoltare le parole profetiche di questo libro è impossibile agli uomini da soli ma è possibile con la grazia di Dio.

Fare l'Apocalisse è urgente anche se occorre accettare tempi lunghi, come è importante imboccare la strada giusta anche quando la meta è molto lontana.

Nel mondo sembra trionfare la violenza contro le persone, i popoli e le culture, e per tante persone mancano il pane e la libertà. Fare l'Apocalisse è la vera resistenza e la partecipazione alla vittoria di Gesù Cristo, è assunzione di responsabilità verso tutti i sofferenti, attesa operante di cieli e terre nuove.[1] Occorre mettersi in movimento come popolo di Dio, debolissimo fra le potenze di questo mondo ma forte per l'unione nello Spirito inviato dal Padre e dal Figlio Gesù Cristo.

Comunichiamo quindi le nostre esperienze, specialmente quelle di chi già fa o sente il bisogno di fare l'Apocalisse.

Cerchiamo la guida di pastori che si preoccupino di essere "Ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1 Cor 4,1). Torniamo a quel che dice la Dei Verbum al n. 8 circa la crescita della tradizione apostolica per l'apporto del popolo di Dio e dei suoi pastori. 

"Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cfr. Lc. 2, 19 e 51), sia con l'esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. La Chiesa cioè, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finchè in essa vengano a compimento le parole di Dio".

Mi guardo bene da qualunque giudizio sulle intenzioni dei nostri pastori e non ho nessuna difficoltà a considerarli superiori a me stesso secondo l'esortazione di Paolo ai Filippesi (cfr. Fil 2,1.4). Di fatto molti vescovi sono considerati, nella Chiesa e al di fuori di essa, come centri di potere, uomini da cui ci si può aspettare molto su un piano temporale che prescinda dal mistero di Dio. La loro guida non di rado è apprezzata come espressione di capacità organizzative e manageriali.

Mi sembra che ai nostri giorni guardando ai problemi locali inquadrati nei grandi cambiamenti su scala planetaria, sia urgente la funzione di ministri di Cristo e di interpreti degli eventi personali e sociali alla luce del Mistero Pasquale. Servono, in una parola, vescovi che guidino il popolo di Dio nel fare l'Apocalisse, attenti a raccogliere tutte le esperienze spirituali in ordine a un vero discernimento evangelico di cui il primo soggetto è la Chiesa popolo di Dio.

Non mancano persone e comunità impegnate in una seria ricerca spirituale che scoraggiate ritengono che non ci si possa aspettare più di tanto da chi ha un grande potere in questo mondo. Io continuo a sperare: "Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui". (Salmo 37, 7). "In chi ha ricevuto un carisma sicuro di verità".

Profondamente unito nel Mistero Pasquale, suo


Pio Parisi s.j.


Con un gruppo di amici cerchiamo da anni di discernere alla luce del Mistero Pasquale quel che succede nel mondo. Quest'anno abbiamo deciso di incontrarci ogni tre settimane per accostarci seriamente all'Apocalisse tenendo presente i grandi cambiamenti che sempre più spesso vengono indicati con il termine "globalizzazione". Chi vuole in qualche modo "comunicare" in questa ricerca ce lo faccia sapere; ne saremmo molto lieti.


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 [1]E' la vera laicità proposta in un libro recentemente ripubblicato dalla casa editrice Rubbettino: M. Castelli, S. Corradino, P. Parisi, P. Stancari, Dialoghi sulla laicità.[1]

Discernimento

L'Apocalisse 2001-02


  • 2001-02
    Lettera al Cardinale Dionigi Tettamanzi